Il Gesù storico sembra destinato inesorabilmente alla tomba. Su un angolo di essa i mitologi, o i loro successori, scriveranno NEMO; gli escatologisti o i loro successori rifiuteranno questa iscrizione come grave offesa alla storia, e in un altro angolo scriveranno IGNOTUS.
(il folle apologeta cattolico Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, pag. 246)
I primi cristiani ebbero visioni e nella visione videro il loro MEDICO.
(Anonimo)
Il Dio di Coincidenza
Può qualcuno negare che
Una cosa dopo l'altra
In sequenza e logica
Mai vista prima
Non può essere che la
Interferenza di un Dio
Determinata a provare che
Ognuno che pretende
Di conoscere ora
Una cospirazione è
Demente?
(Kent Murphy)
Questa è, io credo, la vera agenda dietro il disprezzo con cui la posizione radicale olandese (quando è conosciuta) è sempre stata liquidata. Noi siamo assistendo ad una guerra per procura in cui l'apologetica teologica schiera le sue truppe come i soldati di Vladimir Putin che invadono la Crimea: Privi di insegne nazionali, la loro identità era nondimeno fin troppo chiara.
(Robert M. Price, A Wave of Hypercriticism: The English Writings of W.C. van Manen, pag. 252, mia traduzione)
Con quel penetrante paragone, fatto nel 2013, Robert M. Price aveva rivelato in un lampo la cinica natura delle «pie frodi» alacremente all'opera nelle cosiddette «epistole paoline», un problema che sarà per sempre insolubile, quello cioè di sapere fino a che punto i bastardi falsari proto-cattolici — perché è un fatto che ci furono realmente un sacco di bastardi falsari proto-cattolici — si spinsero nell'interpolare e corrompere a man bassa le originali (se mai ce ne furono) epistole scritte nel nome di Paolo l'apostolo.
L'equivalente francese dell'olandese Van Manen si chiamò Joseph Turmel: egli giunse alla conclusione che il misticismo delle epistole non poté essere addebitato all'apostolo. Lo fece, probabilmente, per lo stesso motivo di Van Manen: salvare un Gesù storico.
Perché mal si concilia il misticismo paolino, se autentico, se davvero risalente agli anni 50 del primo secolo Era Comune, con la nozione che l'oggetto del culto di Paolo fosse un miserabile insurrezionista galileo crocifisso da Pilato. Quel misticismo conosce altezze a noi ignote così elevate, così vertiginose, che a scatenarlo non poté essere la visione post-mortem di qualcuno che sarebbe stato ricordato unicamente per ciò che il suo spettro avrebbe fatto dopo la sua morte, ossia apparire in sogni, visioni, rivelazioni (leggi: allucinazioni). No: a scatenarlo poteva essere soltanto la visione di un arcangelo celeste, mai esistito sulla terra.
Fu dunque per scagionare l'uomo chiamato Paolo dall'accusa di essere un folle, un pazzo visionario (per la metrica moderna), per farla breve un allucinatore, che Joseph Turmel e prima di lui Van Manen, si accinsero, nel loro distorto amore per il «Gesù storico» (e devo pur riconoscere: nel loro genio), ad attribuire l'origine di quel misticismo alle scuole gnostiche del secondo secolo, in primo luogo a quel famigerato eresiarca di nome Marcione il cui docetismo e anti-demiurgismo tanto imbarazzo avrebbe causato al cattolicesimo nascente, un imbarazzo che è a dir vero un trauma, un segno di violenza di cui si percepisce il ricordo anche solo partecipando ad una messa, con tutta quell'enfasi ossessiva sulla «carne» di Cristo, tanto altrettanto aborrita quando negata da Marcione e dai marcioniti... ...ma un'enfasi il cui significato originario, la cui intenzione originaria, sfugge oramai ai più...
Nondimeno, un'enfasi che contribuisce a sentire puzza di imbroglio.
Nel libro che mi appresto a tradurre, si troverà esposta una critica molto dura contro Joseph Turmel, una critica forse che Turmel non meritava, ancor più così perché proveniente da un miticista il cui capolavoro, «Le Dieu Jésus», abbiamo imparato ad apprezzare su questo blog: Edouard Dujardin.
La critica di Dujardin al Turmel, spiace dirlo, non è convincente. Il sospetto che i proto-cattolici abbiano fatto quello che potrebbero aver fatto, dato ciò che di negativo sappiamo su di loro (si pensi a quella cagna isterica di Ireneo, per farsi un'idea, oppure alla tendenziosa propaganda proto-cattolica nota come «Atti degli Apostoli») è troppo forte e non potrà mai essere fugato del tutto. Quella critica, dicevo, non è convincente.
Ma quel sospetto, per quanto così forte, non riesce a travalicare il sospetto altrettanto forte, così ben illustrato paradossalmente da un folle apologeta cattolico dell'Ottocento, un altro abate: Giuseppe Ricciotti. Trattandosi di un volgare apologeta, del tutto demente, quasi mi vergogno di citarlo.
Devo confessare infatti un vero pregiudizio: io detesto la religione in generale e detesto intensamente i folli apologeti cattolici in particolare. Di fronte a questa schifosa genìa, tendo a diventare intemperante, in particolare quando qualche folle apologeta cristiano viene a blaterare di scienza quando so benissimo che una menzogna ripetuta più volte diventa un dogma cattolico. Come Christopher Hitchens, sono più che un ateo. Sono un anti-teista, un anti-teista rumoroso, maleducato e sprezzante. E orgoglioso di esserlo.
Eppure, turandomi il naso, devo citare il folle apologeta cristiano in questione, perché egli rivolse il seguente attacco contro Alfred Loisy, il grande nemico di Paul-Louis Couchoud, finendo col dare, a tutti gli effetti pratici, assoluta ragione a quest'ultimo, con buona pace dello storicista Loisy. In ciò che segue delle sue parole, invito chi legge a soffermarsi specialmente sulle parole da me poste in grassetto:
Il gruppo del Drews obiettava agli avversari in sostanza cosi: Voi negate che Gesù sia stato Dio ed abbia operato miracoli, ed avete perfettamente ragione; ma non vedete voi che il Dio Gesù è attestato nelle fonti neotestamentarie con una precisione e nettezza che è certamente non minore, e forse maggiore, di quella per l’uomo Gesù? Non vedete che le due figure, del Dio e dell’uomo, sono connesse fra loro cosi intimamente da non potersi scindere a vicenda? Le due figure, storicamente, sono illuminate dalla stessa luce documentaria: quindi, se voi accettate l’uomo Gesù, non potete più respingere — soltanto in forza di postulati filosofici — il Dio Gesù. Del resto l’esperienza è in nostro favore, giacché i tentativi fatti dal Reimarus in poi, per salvare l’uomo Gesù abbandonando il Dio Gesù, sono tutti falliti, evidentemente perché battevano una strada sbagliata; noi perciò battiamo la strada inversa, abbandonando l’uomo Gesù, o meglio assegnando egualmente l’uomo e il Dio alla sfera dell’irreale. E, facendo ciò, noi siamo in accordo con la storia ben più di voi: voi, infatti, siete costretti ad ammettere la mostruosa assurdità che dei rigidi monoteisti — quali S. Paolo e i primi cristiani provenienti dal giudaismo — adorassero come un essere soprannaturale e divino un uomo morto pochi anni prima e già conosciuto personalmente da molti di loro; noi invece esigiamo un semplice processo di incarnazione ideale, affermando che quei primi cristiani velarono di esistenza terrena una loro idea religiosa, com’è avvenuto altre volte nella storia delle religioni.
Il ragionamento, come argomento ad hominem, era di una logica perfetta. Di qui la sdegnosa stizza e le polemiche degli avversari, che non gradivano di apparire illogici e inconseguenti.
...
Nel suo nervoso libretto su «Il mistero di Gesù» (1924) egli [Paul-Louis Couchoud] s’indirizza spesso al principale escatologista, il Loisy, a cui professa gratitudine per tutto ciò che ha imparato ma di cui trova ingiustificato l’attaccamento all’esistenza storica di Gesù. Alla tesi del Loisy, secondo cui il cristianesimo è sorto dalla deificazione dell’uomo Gesù, il Couchoud propone fra altre queste difficoltà: «In molte regioni dell’impero era cosa fattibile deificare un uomo privato. Ma per lo meno in una nazione la cosa era impossibile, cioè presso i Giudei. Essi adoravano Jahvè, l’unico Dio, il Dio trascendente, indicibile, di cui non si delineava l’effigie, di cui non si pronunziava il nome, ch’era separato da abissi di abissi da ogni creatura. Associare a Jahvè un uomo di qualunque genere, sarebbe stato il sacrilegio e l’abominazione suprema. I Giudei onoravano l’imperatore, ma si facevano tagliare a pezzi piuttosto che confessare solo a fior di labbra che l'imperatore era un Dio; e si sarebbero fatti egualmente tagliare a pezzi, se fossero stati obbligati a dire ciò dello stesso Mosè. E il primo cristiano di cui udiamo la voce, un Ebreo figlio d’Ebrei (cioè S. Paolo), assocerebbe un uomo a Jahvè nella maniera più naturale? Ecco il miracolo contro cui io ricalcitro». — «Sarebbe stato frivolo opporsi all’apoteosi dell’imperatore fino ad affrontare il martirio, per poi sostituirla con l’apoteosi di uno dei suoi sudditi». — «Proprio di un artigiano come lui Paolo ha detto: Chiunque invocherà il suo nome sarà salvo, ovvero: Ogni ginocchio si piegherà davanti a lui, quando la Scrittura dice ciò di Dio? Questo costruttore di baracche (tale era S. Paolo per mestiere) ha forse attribuito a un altro falegname ambulante l’opera dei sei giorni, la creazione della luce e delle acque, del sole e della luna, degli animali e dell’uomo, dei Troni, delle Dominazioni, dei Principati e delle Potestà degli Angeli e di Satana? Ha forse confuso un uomo con Jahvè?». È dunque inammissibile, per ragioni storiche, che il Cristo del cristianesimo sia l’uomo Gesù deificato.
....
Non resta dunque che ricorrere all’ipotesi perfettamente contraria a quella del Loisy; e infatti il Couchoud l’accetta, concludendo che «Gesù non è un uomo progressivamente divinizzato, ma un Dio progressivamente umanizzato».
All’attacco del Couchoud il Loisy ha risposto, occasionalmente, in maniera secca e sdegnosa, dichiarando fra l’altro che «noi non abbiamo mai preso sul tragico le speculazioni dei mitologi». Ma che l’attacco avesse ih realtà qualche elemento tragico, è apparso dalle ultime pubblicazioni del Loisy, quella su «La nascita del cristianesimo» (1933) rincalzata dalle «Osservazioni sulla letteratura epistolare del Nuovo Testamento» (1935). In questi scritti egli accentua sempre più il suo scetticismo storico circa la biografia di Gesù, e passa a giustificare questo scetticismo con una critica sempre più radicale delle lettere di S. Paolo.
Lo scetticismo è espresso in questi termini: «Rassegniamoci a sapere soltanto che, nel tempo in cui Ponzio Pilato era procuratore della Giudea, forse nell’anno 28 o 29 della nostra èra, forse un anno o due prima, un profeta si levò in Galilea, nella regione di Cafarnao. Si chiamava Gesù... Questo Gesù era della più umile origine. Non è probabile che il nome di suo Padre, Giuseppe, e quello di sua Madre, Maria, siano stati inventati dalla tradizione. Alcuni fratelli, ch’egli aveva, hanno goduto di un’autorità più o meno considerevole nella prima comunità. Senza dubbio era nato in qualche borgo o villaggio ove fu visto da principio insegnare». Si noterà come queste parole siano molto simili a quelle che già udimmo sullo stesso argomento dal Renan, sebbene costui poi non si attenesse in pratica al suo scetticismo: il Loisy, invece, ci si attiene.
Del resto questo Gesù non avrebbe avuto neppure il tempo d’esplicare una vasta operosità, giacché la sua predicazione in Galilea «non è potuta durare a lungo; sarà fare una misura abbondante, prolungarla per qualche mese»: dopo di che, avvenne il viaggio a Gerusalemme e la morte. Ma anche cosi assottigliata, questa figura di Gesù ha sempre contro di sé — come faceva rilevare il Couchoud — la testimonianza di S. Paolo, che a neppure vent’anni di distanza dalla morte di Gesù fa di quest’uomo un essere divino, autore della redenzione umana, della grazia universale, dell’Eucarestia e dei cristiani misteri di salvezza; quindi, o è falsa la figura del Gesù delineata dal Loisy, o è falsa la testimonianza di S. Paolo. Il Loisy ha scelto, naturalmente, la seconda alternativa. Nel passato egli aveva ammesso l’autenticità sostanziale delle lettere di S. Paolo, assegnandole al periodo tra gli anni 50 e 61; ma adesso, per sfuggire alla suddetta obiezione, mantiene tale assegnazione solo di nome, mentre in realtà la abbandona, giacché scomponendo le singole lettere in una gran quantità di frammenti ne attribuisce ancora a S. Paolo solo una minima parte, e al contrario dichiara interpolati i frammenti più ampi e soprattutto più impaccianti per la sua teoria, attribuendoli a una «gnosi mistica» della fine del secolo I. Dopo lunghi tentennamenti, anche il fastidioso passo in cui S. Paolo attribuisce a Gesù l’istituzione dell’Eucarestia (I Corinti, 11) è dichiarato falso e interpolato.
In questo nuovo radicalismo applicato a S. Paolo il Loisy ha avuto un predecessore, Henri Delafosse. Sotto questo appellativo, che è uno dei vari pseudonimi di Joseph Turmel, costui ha pubblicato in una collana edita dal Couchoud (il riavvicinamento dei due studiosi è significativo) alcuni volumetti (1926 segg.) in cui egualmente anatomizza le lettere di S. Paolo, conservando all'apostolo brevi tratti ed attribuendo quasi tutto il resto a Marcione, che avrebbe scritto verso l’anno 150. Opera analoga ha fatto il Turmel, ancora sotto lo pseudonimo di Delafosse, per le lettere d’Ignazio d’Antiochia (1927) dichiarate d’origine marcionita, e per quella di Policarpo dichiarata interpolata. Le conclusioni del Turmel, salvo l’attribuzione a Marcione, sono state condivise e largamente impiegate dal Loisy.
...
Certamente tra Couchoud che nega l’esistenza storica di Gesù, e il Loisy che l’afferma, c’è un abisso. Ma l’abisso sembra più teoretico che pratico. A che si riduce, in pratica, il Gesù storico del Loisy? A un giovane Galileo visionario, che ha predicato per due o tre mesi, e che infine è stato giustiziato a Gerusalemme. Altro non si sa. È un’ombra, un semplice fantasma, che un tenue soffio farebbe svanire; il Loisy però non vuol dare quel soffio, e ricorre all’espediente di polverizzare le lettere di S. Paolo, piuttosto che fare svanire il fantasma. Il ricorso è coerente, ma da disperati; e appunto per questo evidente carattere di disperazione non è stato né sarà imitato. Non sarebbe dunque più agevole, e soprattutto più logico, dare quel decisivo soffio e fare svanire quell’ombra di Gesù storico, come ha fatto il Couchoud? È vero che il Loisy, e dietro lui il fedele Guignebert, ha più volte risposto al Couchoud che l’ipotesi ha il torto «di non spiegare l’origine del cristianesimo». Ma il Couchoud può sempre replicare chiedendo se l’ombra del Gesù storico, mantenuta dal Loisy, spieghi davvero l’origine del cristianesimo, o almeno la spieghi meglio dell’idea religiosa velata di storicità che il Couchoud preferisce; può inoltre insistere affermando che, quand’anche l’origine del cristianesimo non fosse spiegata nell’ipotesi che Gesù non sia esistito, ciò tutt’al più sarebbe un altro fra i molti casi in cui la storia deve ricorrere alla sapiente ars nesciendi: ma che, ad ogni modo, sarebbe evitata la mostruosa assurdità storica di presentare rigidi monoteisti giudei che adorano a masse un uomo morto poco prima e da essi ben conosciuto.
...
Ma questa conclusione è per i razionalisti impossibile a priori, e di qui il loro dramma: essi devono dimostrare a posteriori che le testimonianze in favore del Gesù soprannaturale e taumaturgo non hanno alcun valore, mentre essi stessi le giudicano autorevolissime in favore del Gesù storico. Il metodo seguito per raggiungere questa dimostrazione a posteriori è — come oramai sappiamo — quello della selezione dei testi: i testi irriducibilmente «soprannaturali» sono scartati perché privi di valore storico; gli altri, meno irriducibili, sono sottoposti al processo della dolce sollecitazione cara al Renan, e cosi sono ricondotti al livello puramente naturale e riacquistano valore storico. Ma questo metodo, per quanto sia comodo agli scopi aprioristici di chi lo applica, è troppo puerile, e puerile specialmente per la sua arbitrarietà. Proprio l’Harnack, cioè un razionalista insigne, previde che alla critica dei vangeli sarebbe avvenuto come a quel fanciullo che tolse via ad una ad una tutte le foglie di un bulbo, giudicandole nella sua mente puerile ingombranti o accessorie al bulbo stesso, ed aspettandosi di ritrovare nell’interno un nocciuolo: e invece, gettata via l’ultima foglia, restò con nulla in mano.
Gli avvenimenti successivi hanno mostrato che la previsione dell’Harnack era giustissima, giacché i critici che sfrondavano i testi più o meno abbondantemente sono stati seguiti dai critici che li hanno rasi al suolo indistintamente. Nulla, infatti, è più logico della logica stessa, quando sia applicata rigorosamente.
Una conclusione appare evidentissima, a chi riassuma i risultati delle molteplici esperienze fatte dal Reimarus fino ad oggi, ed è che quando si comincia a cancellare una parte della figura del Gesù storico qual è presentata dai vangeli, o si ottiene una figura storicamente assurda che ben presto è abbandonata, oppure si finisce col cancellarla del tutto. I lineamenti del Gesù dei vangeli sono tanto riconnessi e collegati fra loro, che si richiamano necessariamente a vicenda; quindi, o si lasciano come sono, oppure si cancellano fino all’ultimo.
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...il Gesù storico sembra destinato inesorabilmente alla tomba. Su un angolo di essa i mitologi, o i loro successori, scriveranno NEMO; gli escatologisti o i loro successori rifiuteranno questa iscrizione come grave offesa alla storia, e in un altro angolo scriveranno IGNOTUS.
(tratto da: Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, pag. 235-246, corsivo originale, mio grassetto)
ÉDOUARD DUJARDIN
GRANDEZZA
E
DECADENZA DELLA CRITICA
SUO RINNOVAMENTO
Il caso dell'abate Turmel
Agli eruditi
che da mezzo secolo
hanno rinnovato la storia delle religioni
e tra i primi
Robertson Smith
il signor Salomon Reinach
Emile Durkheim
il signor Lévy-Bruhl
il signor Alfred Loisy
PREMESSA
Questo libro non è un libro di circostanza; è stato interamente scritto allorché la scomunica dell'abate Turmel è stata pronunciata; nulla di importante vi è stato modificato, tranne che la personalità che costui dissimulava sotto numerosi pseudonimi non vi era rivelata; tranne qualche parola, questo libro resta ciò che doveva essere.
Dato che lo studio che abbiamo intrapreso delle origini e della formazione della leggenda evangelica è basato, da una parte, sui dati della storia sociologica delle religioni e, d'altra parte, sui testi del Nuovo Testamento, è di tutta evidenza che la questione della datazione e dell'autenticità di questi impegna la maggior parte di quello studio. Prima di consegnare al pubblico il volume relativo alla storia della prima generazione cristiana, era necessario esaminare quella autenticità, e tale doveva essere, infatti, l'intenzione del libro che pubblichiamo oggi. Tuttavia, siccome l'esame, anche succinto, di tutti i libri del Nuovo Testamento avrebbe richiesto diversi volumi, ci era sembrato preferibile non arrestarci a quelli le cui datazioni sono pressoché acquisite tra i critici indipendenti e i più liberali dei critici conservatori: tali i vangeli, che si possono considerare posteriori all'anno 70, data della distruzione di Gerusalemme e dello stato ebraico; tali gli Atti degli Apostoli, in cui la quasi unanimità degli studiosi riconosce da molto tempo dei documenti antichi di un valore storico incontestabile, aggiunti ad elementi tardivi e probabilmente rimaneggiati; tale ancora l'Apocalisse, la cui apparizione non può minimamente essere collocata se non intorno all'anno 96 o all'anno 70 stesso.
È del tutto diverso con le epistole di San Paolo. Come noi spiegheremo qualche pagina più avanti, è un affare considerevole sapere se esse siano l'opera autentica dell'apostolo e risalgano di conseguenza alla prima generazione cristiana, oppure se siano state scritte molto tempo dopo di lui e riflettano allora solo le istituzioni e le credenze della terza o della quarta generazione. Così siamo stati condotti tutto di seguito a dedicare questo libro alle epistole di San Paolo; Ma l'esame della loro autenticità, obbligandoci a discutere le tesi che la sostengono o la combattono, ci ha portato a prendere in causa i metodi e lo spirito a cui certi critici si sono ispirati, e in particolare il rappresentante più caratteristico di questo spirito e di questi metodi, il quale era, sotto gli pseudonimi di Henri Delafosse, Louis Coulange e altri, colui che sapevo e che tutti oggi sanno essere l'abate Turmel.
Se questo libro non è dunque un libro di circostanza, presenta nondimeno un certo interesse d'attualità, non perché vi si tratta abbondantemente di un uomo di cui tutti i giornali hanno raccontato l'avventura, ma perché, sotto il suo nome, è di un metodo e di uno spirito che noi discutiamo.
Ma bisogna qui guardarsi da un malinteso. Le opere nelle quali l'abate Turmel espone le sue teorie sono state condannate dalla Chiesa; l'idea verrà naturalmente alle persone che non sono al corrente di queste questioni che l'abate Turmel rappresenta, di fronte alla Chiesa, la critica moderna.
Ora, egli non lo è per nulla. E questo è ciò che importa comprendere.
Il signor Alfred Loisy, condannato e scomunicato dalla Chiesa nel 1908, rappresentava nel modo più degno la scienza indipendente; poco importa che le idee che esprimeva in quell'epoca fossero superate, e da lui stesso; la caratteristica della scienza indipendente è di evolvere incessantemente; ma quel giorno, in quella fase del suo sviluppo, egli aveva in mano il glorioso vessillo della libera ricerca. L'abate Turmel, tutt'al contrario, è restato tutta la sua vita e resta oggi l'avversario dei nuovi metodi critici, e forse non ne è nemmeno l'avversario e si accontenta di ignorarli; ma semplicemente li ignora; è questo che noi spiegheremo nel corso di questo libro, e come egli si trovi ad essere il portabandiera di un movimento reazionario in confronto al quale alcuni degli studiosi cattolici contemporanei più attaccati alla Chiesa appaiono come degli audaci innovatori.
Che ciò sia detto da critici cattolici si potrebbe sospettarlo di pregiudizio. Mi è parso bene che questo sia detto da un uomo staccato da ogni legame con il magistero cristiano e che professa la non-storicità del dio Gesù, — io mi permetto di aggiungere: e le cui idee sociali e politiche sono, rispetto alla civiltà contemporanea, ciò che erano quelle dei discepoli di San Paolo rispetto alla civiltà del loro tempo.
Ho bisogno di dire che questo libro non se la prende con la persona dell'abate Turmel, di cui si può non apprezzare il carattere ma la cui vita privata è rispettabile, l'erudizione patristica immensa e il talento reale. Prendo di mira qui uno spirito ed un metodo; non prendo di mira un uomo.
La verità è che, arrivato alla fine della mia carriera, ho sofferto in cuor mio, in presenza della sorta di piccolo successo fatto dal 1926 dai libri dell'abate Turmel, nel vedere misconosciuti questi nuovi metodi dell'indagine critica di cui da un quarto di secolo io seguo il progresso, di giorno in giorno, con l'emozione che si ha nel seguire, a teatro, lo sviluppo, scena dopo scena, di una grande opera... Si dirà che non è minimamente prudente fare il Don Chisciotte della storia delle religioni? Io ne accetto i rischi... La storia delle religioni, voglio dire la storia sociologica delle religioni, ha bisogno di essere difesa contro certi critici «indipendenti» più ancora che contro i critici ortodossi. [1]
Riassumiamo. Lo scopo di questo libro è duplice. In quanto giustificazione delle teorie che saranno presentate nella Légende du dieu Jésus, esso espone per quali ragioni abbiamo accettato (con le riserve che si vedranno) il principio dell'autenticità delle epistole di San Paolo. Allo stesso tempo, esso se la prende con i metodi e lo spirito in cui rientrano le tesi contrarie, e affronta così il problema stesso della critica.
Per svolgere al meglio questo doppio compito, sarebbe stato necessario, tanto quanto l'erudizione di un Lagrange, di un Loisy, di un Reitzenstein, di un Isidore Lévy, la verve possente dell'autore delle Provinciales. Ci basterà aver modestamente lasciato qualche nota per servire alla storia delle disavventure dell'intelligenza.
SCUSE AI LETTORI
Mi scuso, presso gli specialisti, per tutto ciò che le discussioni che essi troveranno qui avranno a volte di sommario; essi comprenderanno che ho dovuto limitarmi a ciò che ho creduto strettamente necessario e lasciare a lato una quantità di punti che avrebbero potuto essere utilmente intravisti.
Io mi scuso, presso i lettori alfabetizzati che non sono specializzati in queste questioni, per intrattenerli su sentieri in cui voglio entrare solo eccezionalmente e per questa volta soltanto. Lo scopo degli studi ai quali si lega il presente libro non è di stabilire con argomenti massicci la validità delle tesi esegetiche, ma di presentare un quadro concepibile delle origini cristiane, diciamo un'ipotesi capace di soddisfare certe menti. Più precisamente, lo scopo è di mettere in luce il valore rivoluzionario del cristianesimo primitivo, — ciò in un senso sociologico che si avrà luogo di definire e che non è quello nel contempo così vilipeso e così prostituito che si attribuisce comunemente alla nozione di Rivoluzione.
Alle scuse mi si permetterà di aggiungere le promesse: e cioè di portarne tra breve il tentativo nella Légende du dieu Jésus, seguito del Dieu Jésus pubblicato tre anni e mezzo fa.
Dicembre 1930.
NOTE
[1] Precisiamo da qui che avremo in vista, in tutta quest'opera, solo gli scritti dell'abate Turmel relativi al cristianesimo primitivo e in particolare alle epistole paoline (si veda, più oltre, pagina 19), ad esclusione di altri suoi lavori ed in particolare dei suoi lavori patristici.
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