sabato 12 giugno 2021

IL MITO DI GESÙ (XII)

 (segue da qui)

d) La storicità del Gesù paolino.

È vero che il Cristo, secondo Paolo, sarebbe nato da una donna. [1] Ma ciò è solo la condizione necessaria della sua natura umana, presa esclusivamente in senso dogmatico; quella natura umana è, in un modo generale, un postulato che comporta l'idea di un Salvatore del mondo. Paolo lo dice nato dalla stirpe di Davide. [2] Evidentemente, perché ciò è uno degli elementi dell'attesa messianica degli ebrei. Egli soffre, [3] muore sulla croce, [4] è sepolto, [5] risorge, [6] è glorificato: tutto ciò è perfettamente conforme al Servo di Dio in Isaia, nella Sapienza di Salomone e nei misteri ebraici. È un po' ingenuo voler concludere da questi dati per la storicità del Gesù paolino.

Allo stesso modo, i tratti del carattere che Paolo gli attribuisce: la sua umiltà, la sua obbedienza, il suo spirito di sacrificio e la sua carità verso gli uomini non superano in alcuna maniera il quadro delle idee profetiche sulla natura del Servo di Dio, e ciò tanto più che sono state attinte da quella fonte. [7] Paolo non invoca mai per il suo Gesù testimoni oculari di cui pure doveva disporre in gran numero, ma solo le «Scritture», [8] vale a dire l'Antico Testamento, allo stesso modo in cui secondo lui Dio avrebbe fatto annunciare in anticipo per mezzo dei suoi profeti questo stesso vangelo — il vangelo paolino riguardante Gesù — che egli pretende di aver ricevuto per rivelazione soprannaturale, non per tradizione orale di coloro che avevano personalmente conosciuto il Signore. [9] Da nessuna parte è possibile scoprire negli scritti paolini il minimo tratto individuale della vita di Gesù, quantomeno un tratto privo di ogni significato dogmatico e che tradisce che Paolo vedeva in Gesù un personaggio storico morto da poco. Il suo Gesù Cristo è senza genitori, senza patria, senza patria, senza dottrina, senza discepoli, addirittura non ha compiuto alcun miracolo se non il miracolo unico della sua resurrezione. Egli muore — per mano dei demoni o spiriti stellari, perché sono loro che designa il termine «Principi di questo secolo»;  [10] e se è vittorioso sulla morte, è perché la morte ha liberato lo spirito che abita in lui ed è uno con lo spirito di Dio, cosa che ci permette di partecipare alla sua resurrezione e alla sua vita celeste per mezzo della fede, cioè per mezzo dell'unione intima con lo spirito del Cristo, cedendoci personalmente la salvezza realizzata da lui, camminando sulle sue orme, morendo egualmente al peccato e penetrandoci con l'idea della sua passione. [11]

Le obiezioni che a favore della storicità del Gesù paolino si è soliti opporre a questi argomenti  non hanno alcuna consistenza. Si dice per esempio  che Paolo cita le parole di Gesù, che doveva quindi ben sapere ciò che Gesù aveva detto e insegnato. Ma Paolo non conosce le parole di «Gesù», ma solo le parole del Signore, che pretende di aver ricevuto da lui per rivelazione, ma che ispira effettivamente all'Antico Testamento, [12] il che prova che il termine di Signore non sottintende Gesù, ma Jahvè. Nel caso in cui queste parole del Signore citate da Paolo hanno una certa analogia con quelle del Gesù dei vangeli, nulla prova che provengano dai vangeli; al contrario hanno potuto benissimo passare dalle epistole nei vangeli, che sono posteriori e mostrano egualmente altri segni dell'influenza delle epistole. [13]

Se si suppone che Paolo ha conosciuto effettivamente le parole di un Gesù storico, perché non le invoca, se non in questioni secondarie della vita delle comunità come 1 Corinzi 7:10; 9:14 che riguardano il divorzio e il diritto degli apostoli di farsi mantenere dalla comunità? Perché non lo fa nelle questioni fondamentali del suo ministero piuttosto che dover ricorrere, per motivare le sue idee, soprattutto nei confronti dei suoi lettori pagani (!), ad una dimostrazione complicata e spesso difficilmente comprensibile  dalle Scritture, quando bastava citare una parola di Gesù per accreditare la sua opinione? La sostanza di tutte le sue esposizioni è l'atteggiamento da prendere nei confronti della legge ebraica. Ma mai a questo proposito egli si richiama a Gesù; e, cosa forse ancora più singolare: i suoi avversari non lo fanno più di lui, come se non riconoscessero a Gesù alcuna autorità. Allo stesso modo le idee morali di Paolo sono lontane dal coincidere in tutti i punti con quelle del Gesù dei vangeli. Equivaleva quindi a fatica sprecata e anche gli ambienti teologici non sono stati minimamente impressionati quando H. Holtzmann, in risposta al mito di Gesù, riunì in tutta fretta dalle epistole paoline un certo numero di presunte parole di Gesù per dimostrare che fossero familiari all'apostolo. Non solo il filologo Hertlein e il teologo Martin Brückner hanno confutato l'affermazione che Paolo deve queste parole del Signore alla sua conoscenza del Gesù dei vangeli: [14] ma Harnack stesso confessa di non potersi convincere che i passi in questione siano stati in qualche modo ispirati alla tradizione evangelica. [15]

Un argomento tanto fragile quanto le «parole del Signore» è quello che fa riferimento a 1 Corinzi 15:5ss. Paolo vi descrive come il Risorto è successivamente apparso a Pietro, poi ai Dodici, in seguito a più di cinquecento fratelli nello stesso tempo, a Giacomo, a tutti gli apostoli e infine a lui stesso. Paolo conosce quindi, si dice, i discepoli immediati di Gesù, ed è per mezzo di loro che ha sentito parlare di Gesù. Sia pure, ma a condizione che i discepoli gli abbiano fatto comunicazioni in merito a questo. Ma il nostro testo non ne dice nulla, e ci si può domandare se i Dodici, come pretendono i vangeli, siano stati personalmente in rapporto con Gesù. Essi, per la verità, possono aver avuto visioni del risorto, non si dovrebbe meravigliarsene da parte di uomini soggetti a esaltazioni religiose: ciò che vedono con gli occhi della loro mente non può per nulla confermare la materialità di ciò che avvistano, non più di quanto la presunta visione di Damasco prova in qualche modo la materialità storica di ciò che Paolo ha visto. Del resto, quest'ultimo non avrebbe nemmeno visto Gesù, ma sarebbe stato circondato solo da una luce imprecisa accompagnata da una voce che egli attribuiva, nel suo stato d'animo, a Gesù, ma senza che si abbia la minima garanzia che quella attribuzione mirasse ad un Gesù storico. Altrimenti sarebbe necessario, dalla visione di cui è stata privilegiata la contadina di Lourdes, concludere per la storicità della Vergine Maria. Il testo stesso che riporta le visioni del risorto è, dal punto di vista della critica letteraria, dei più sospetti. Non sono solo i filologi, ma anche i teologi che vedono nel passo 1 Corinzi 15 ss. un'interpolazione tardiva, o perlomeno un testo fortemente rimaneggiato. Ciò che dice Paolo è in flagrante contraddizione con i vangeli, dove il risorto sarebbe apparso dapprima alle donne [16] e dove, dopo il tradimento di Giuda, restano solo undici discepoli ai quali — in Luca [17] — si mostra Gesù. Ben singolare è anche  in questo racconto la menzione di Giacomo, i cui rapporti con suo «fratello» Gesù, secondo i vangeli, erano rimasti abbastanza distanti, e di cui i vangeli ignorano che fu privilegiato di una tale visione. Non si può quindi respingere a priori l'opinione che vede nei versi da 5 a 11 un'interpolazione tardiva, in ogni caso, questo passo non può essere considerato un argomento a favore della storicità di Gesù. [18]

Cosa pensare dei «fratelli» di Gesù? In 1 Corinzi 9:5 Paolo cita «gli altri apostoli, e i fratelli del Signore, e Cefa». In Galati 1:18 Giacomo riceve il titolo di «fratello di Gesù». Se dunque Gesù ha avuto dei fratelli e Paolo li ha conosciuti, è proprio necessario che Gesù sia un personaggio storico? [19] Ma dove quindi si parla di «fratelli di Gesù»? Il testo conosce, alla lettera, solo i «fratelli del Signore», e resta da dimostrare che questo termine indichi la consanguineità. Origene dice di Giacomo che fu chiamato «fratello del Signore» non tanto a causa del legame di parentela che sarebbe esistita tra i due uomini o a causa della loro giovinezza che avrebbero passato assieme, quanto a causa della sua fede e della sua virtù. [20] Girolamo, [21] Egesippo, Clemente di Alessandria e altri sono dello stesso avviso. I teologi cattolici ammettono generalmente che i «fratelli» di Gesù fossero suoi cugini. È vero che è soprattutto per riguardo della pretesa verginità di Maria che tutti questi autori contestano che Giacomo sia stato il fratello di Gesù. Origene comunque credeva alla consanguineità di Giacomo con Gesù, ma vuole nondimeno che il titolo «fratello del Signore» sia preso non tanto in senso naturale quanto in senso spirituale. Non è allora molto probabile che Paolo si sia già servito di questo termine nello stesso senso, tanto più che Egesippo [22] ci informa che Giacomo era molto stimato per la sua pietà negli ambienti giudeo-cristiani del II° secolo? L'uso del termine di fratello in senso figurato è comune nel Nuovo Testamento. Gesù domanda: «Chi è mia madre, e chi sono miei fratelli?» e risponde lui stesso: «Chiunque fa la volontà di Dio». [23] In Matteo 28:10 e Giovanni 20:17 Gesù chiama gli apostoli suoi «fratelli», termine che si ritrova, esattamente nello stesso senso, nel dialogo di Giustino con l'ebreo Trifone. [24]

È dunque evidente che i «fratelli del Signore» sono solo un gruppo di cristiani distinti per la loro pietà, più particolarmente i figli di Dio, [25] allo stesso modo in cui nella Chiesa di Siria, come ricorda Hertlein, tutti i cristiani erano chiamati fratelli e sorelle della nuova alleanza, il che non impediva di indicare più particolarmente, con questo nome, una cerchia più ristretta della comunità. [26] Nelle Costituzioni Apostoliche, i martiri sono chiamati fratelli del Signore, e secondo Atti 12:2 un certo Giacomo sarebbe stato il primo martire tra i dodici Apostoli. Perché, nella memoria di un'epoca più recente, Giacomo detto il Giusto non sarebbe stato confuso con Giacomo il martire, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni, e quella confusione non gli avrebbe valso il titolo di fratello del Signore? [27] Un termine il cui significato è così impreciso e che si presta a così molteplici interpretazioni come il titolo fratello del Signore non può quindi provare alcunché a favore della storicità di Gesù; mostra solo l'imbarazzo crudele degli storicisti che sono costretti, per difendere la loro ipotesi, ad aggrapparsi a quei vaghi fantasmi che sono i fratelli del Signore, e a citarli come testimoni contro la natura mitica del Gesù dell'apostolo Paolo.

Il solo testo che si possa ancora far valere per dimostrare che Paolo avesse in vista un Gesù storico sono le parole d'istituzione della Cena, 1 Corinzi 11:23 ss. «Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me. Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore finché egli venga». Finalmente teniamo qui, a quanto sembra, un'allusione ad un fatto ben determinato, ad un dettaglio preciso della vita di Gesù: la notte, il tradimento, il pasto che precede l'arresto! Gli avversari del mito di Gesù — non ci sarebbe da stupirsi — dichiarano trionfalmente che questo passo è «mortale» per i negatori della storicità (Giovanni Weiss).

Esaminiamo il testo un po' più da vicino! «Nella notte in cui fu tradito!» Gesù è dunque stato tradito? Tutta quella storia di tradimento, dal punto di vista dello psicologo come dello storico, è così strana, che senza dubbio molti lettori intelligenti dei vangeli vi si sono scontrati. Si immagina un Gesù che, sapendo che uno dei suoi discepoli lo tradirebbe e perderebbe così per tutta l'eternità la sua anima, non fa nulla per impedire al miserabile di realizzare il suo disegno, che, al contrario lo esorta a farlo, e che non fa nulla nemmeno per eludere gli effetti! Si immagini l'atteggiamento dei discepoli: Il maestro ha appena rivelato loro che uno tra loro lo avrebbe tradito nella stessa notte. I discepoli atterriti si guardano e gli domandano: «Sono forse io, Signore? Sono io?». Ciascuno, si direbbe, doveva credere di poter garantire per sé stesso, e vegliare sugli altri per scongiurare il tradimento. Niente! Tranquillamente, come se nulla fosse accaduto, i Dodici abbandonano con Gesù la sala della Cena, ed escono nella notte senza accorgersi che uno di loro ha appena lasciato il gruppo. Si immagina anche che Giuda riesca a farsi pagare dal sommo sacerdote per tradire un uomo che tutti i giorni circola liberamente per le strade di Gerusalemme, e che anche la notte poteva essere trovato senza i servizi di un traditore, tanto più che era costantemente accompagnato dai suoi dodici discepoli che potevano difficilmente sfuggire agli occhi di un investigatore. «Che Giuda», dice Kautsky, «abbia tradito Gesù è pressappoco altrettanto verosimile come se la polizia berlinese pagasse un informatore per indicargli il cittadino di nome Bebel». Il fatto è che l'intero episodio del tradimento non è altro che una trama fatta di allusioni alle profezie dell'Antico Testamento, e Giuda, lungi dall'essere un personaggio storico, è solo il simbolo e la personificazione della nazione odiata dai cristiani. Da qui il suo nome: Giuda. [28] Paolo doveva quindi ignorare l'episodio di Gesù tradito durante la notte, e il passo citato dalla prima ai Corinzi, che suppone il contrario, non può ispirare alcuna fiducia. 

Quel che ne dicano i teologi, è innegabile che il passo 1 Corinzi 11:23 ss. è più che sospetto di essere un'interpolazione tardiva nel testo paolino. Già gli olandesi Straatmann [29] e Bruins [30] hanno negato che l'episodio della Cena fosse di Paolo, e hanno sostenuto che questo passo si inserisce nel contesto: immediatamente prima (17:22) e dopo (33 ss.) non si parla dell'Eucarestia, ma delle agapi e degli abusi che vi si verificano e in merito ai quali Paolo rimprovera i Corinzi, prescrivendo loro l'atteggiamento da osservare. Steck ha dichiarato che questo passo è combinato per servire a fini liturgici, [31] Völter [32] pensa addirittura che tutto il capitolo 11 sia interpolato. Allo stesso modo, van Manen ha espresso dubbi a riguardo dell'intero brano relativo alla Cena perché si collega male a ciò che precede; questo critico ha l'impressione di una collezione di note provenienti da più fonti, destinate a relegare in secondo piano le agapi delle comunità e a sostituire loro l'eucarestia. [33] Questi studiosi sono stati seguiti dal filologo Schläger, traduttore dell'«Epistola ai Romani» di van Manen, che ha anche indicato le ragioni della diffidenza che gli ispira questo passaggio. [34] La bella indignazione che hanno manifestato i teologi quando io ho negato, nella prima parte del mio «Mito di Gesù», l'autenticità del brano in questione, sembra quindi un po' artificiale e fuori luogo. [35

Anche quando si ammettesse che questo testo fosse autenticamente paolino, cosa proverebbe per la storicità di Gesù? Paolo afferma di averlo «ricevuto dal Signore». Questa affermazione vale solo per le parole di Gesù, o anche per la notte in cui Gesù fu tradito e celebrò l'Ultima Cena con il suo popolo? Ma il testo greco ignora completamente che Gesù fu tradito, sa solo che fu consegnato, perché questo è il significato del verbo paradidonai. [36] Così compreso, è evidente che questo termine è ispirato alla descrizione del Servo di Dio di Isaia 53:12, dove è detto che il Servo di Dio fu consegnato alla morte. Che ciò si sia svolto nella notte sembra del tutto naturale, perché in Paolo gli avversari del Messia sono le potenze delle tenebre e del male, più esattamente gli spiriti stellari che esercitano il loro potere nefasto soprattutto durante la notte. Abbiamo già visto che la setta di Gesù celebrava una cena con dodici partecipanti. Si può quindi ammettere che in quella occasione, come negli altri antichi misteri, si ricordava questo passo di Isaia e si pronunciavano parole del dio del culto che erano considerate le parole d'addio del salvatore. Così Paolo può anche aver attinto dall'Antico Testamento i presunti dati storici sul tradimento notturno e sulla Cena, ed è in questo senso che li avrebbe «ricevuti dal Signore», perché in essi si manifesta il legame che associa la nuova setta di Gesù al Servo di Dio nel profeta.

Senza dubbio si deve anche interpretare nello stesso modo la rivelazione per la quale Paolo afferma di aver ricevuto dal Signore le parole di istituzione della Cena. Quest'ultime sono ben lungi dal dare un'impressione di autenticità. Esse hanno — i teologi stessi l'hanno spesso sottolineato — una natura spiccatamente rituale, presuppongono un uso cultuale già antico e sono semplicemente ispirate alla liturgia cristiana. Se Paolo le considera una rivelazione di cui è stato personalmente privilegiato, può essere solo perché ha creduto effettivamente di riconoscervi le parole del patrono della comunità, e perché gli fecero un'impressione particolare quando le sentì per la prima volta. Se queste parole fossero state pronunciate da un Gesù storico, è probabile che gli autori dei vangeli, invece di modificarle, le avrebbero conservate e trasmesse ai posteri come una inestimabile reliquia. Ma nei vangeli esse non hanno lo stesso contenuto, senza fare per questo un'impressione di maggiore autenticità. Nell'una e nell'altra versione, esse mal si adattano alla semplicità e umiltà tanto decantate delle parole di Gesù. «Come mai», chiede il teologo Eichhorn, «i discepoli dovevano immaginare di mangiare il corpo di Cristo che probabilmente sarebbe stato consegnato alla morte, e di bere il suo sangue, non quello contenuto nel suo corpo, ma quello che sarebbe stato presto versato?» [37] Queste sono le concezioni di una comunità che pratica un culto mistico, non quelle che potevano comprendere gente del popolo, semplici e non iniziati, poveri pescatori e artigiani, tutti ignari, tranne Pietro, che Gesù fosse il Messia; non quelle, di conseguenza, che poteva ragionevolmente pronunciare il loro maestro durante l'ultima ora che passava con loro. Soprattutto il Gesù storico, se si ammette che non è mai esistito, non può aver istituito il pasto commemorativo della Cena. Lo si immagina convinto che la fine del mondo fosse prossima, e questa sarebbe la premessa essenziale della sua dottrina. Ma quando il treno rapido che deve trasportare i credenti all'altro mondo è già entrato in stazione, non c'è più tempo per creare istituzioni. Non più di quanto un Gesù storico ha potuto pronunciare le parole che fanno di Pietro la roccia della Chiesa e che gli conferiscono il potere delle chiavi, [38] egli non può ragionevolmente aver pronunciato le parole di istituzione della Cena che gli presta Paolo senza contraddire sé stesso nel modo più lampante in tutte le altre parole che ha pronunciato. Perfino gli ambienti teologici si sono in gran parte convinti che l'istituzione della Cena deriva da fonti culturali e simboliche, che i vangeli hanno presentato alla maniera di un fatto storico. Quelli stessi che credono di poter sostenere che la narrazione nasconda un nucleo storico concedono che le cose si sono verificate in tutt'altro modo rispetto a quanto dicono i vangeli. [39] Ha allora poco senso voler nondimeno parlare del racconto paolino e vedere in 1 Corinzi 11:23 ss. una prova che Paolo avesse conosciuto un Gesù storico! Del resto, i teologi sembrano sempre di più ritornare a quella opinione. Heitmüller concorda che il racconto dell'ultimo pasto e dell'istituzione della Cena può servire solo indirettamente, perché è dato come «ricevuto dal Signore», ovvero come una rivelazione. [40] Ed è proprio questo passo che i teologi, nella controversia del mito di Gesù, hanno fatto il principale argomento a favore della storicità del Gesù paolino. [41]

Non esiste quindi, nelle epistole paoline, un solo passo che possa essere seriamente invocato per la storicità di Gesù. Se i teologi si richiamano unanimemente a Paolo come il testimone principale a sostegno della loro opinione, non vi è là che un bluff e una finzione che loro stessi non possono prendere sul serio. Tutti i passi che citano a sostegno della loro tesi, se non sono già sospetti dal punto di vista puramente letterario, si prestano a diverse interpretazioni, sono vaghi e ambigui, e senza preconcetti non possono essere considerati argomenti a favore della storicità di Gesù. Paolo non ha conosciuto nessun Gesù storico. Ciò risulta anche dal fatto che, secondo il racconto degli Atti, Festo e Agrippa non gli trovano alcuna colpa. Se si fosse effettivamente appellato ad un Gesù torturato per crimine politico, i Romani non avrebbero mancato di vedere anche in lui un criminale politico. 

Poco a poco, quella conclusione sembra imporsi anche ai teologi. Cosa nel 1903 M. Brückner aveva già avanzato nella sua opera Die Entstehung der paulinischen Christologie (Le Origini della Cristologia paolina) e nel 1904 Wrede nel suo Paulus apparso nella collezione delle Religionsgeschichtliche Volksbücher (Opere popolari sulla storia delle religioni), ossia che Paolo si è disinteressato della vita terrena di Gesù e la sua concezione del Cristo si è formata indipendentemente dal Cristo storico, è stato confermato anche da Heitmüller nel suo articolo sul problema «Paolo e Gesù» apparso nel 1912 nella Ztschr. f. neutestam. Wissenschaft (Rivista di Scienze neotestamentarie), dove sottolinea la parsimonia significativa con la quale l'apostolo si riferisce al Gesù storico. «Ho l'impressione», dice, «che negli ambienti teologici non si tenga abbastanza conto di questo fatto, o quantomeno che ci si affretti troppo a sminuirne la portata (!)... [42] Il fatto è che Gesù in quanto personaggio storico non appare direttamente nelle epistole come fattore determinante e costitutivo... [43] Ci viene detto spesso: Paolo ha naturalmente conosciuto Gesù ben più di quanto non lascino direttamente intendere le sue epistole. Ciò è possibile e anche probabile: i quindici giorni che ha passato con Pietro a Gerusalemme Galati 1:18 (? si veda più sopra) hanno potuto procurargli una conoscenza più esatta di Gesù, parimenti il contatto che egli ebbe, in occasione del sinodo degli apostoli, con i testimoni dell'attività di Gesù. Ma siamo qui interamente nel dominio delle possibilità: le nostre fonti non ci costringono a fare di queste possibilità delle certezze». [44] Non si possono invocare gli Atti e la storia di Stefano 7:58-8:3, perché in questo racconto le frasi che riguardano Paolo sembrano «sovrapposte o interpolate in un originale che originariamente non le conteneva affatto». [45La nota riguardante la partecipazione di Paolo all'esecuzione di Stefano, secondo Heitmüller, deve «essere relegata nel dominio della leggenda». [46] «Se tutto ciò è esatto, la tradizione non ci dà più alcun indizio e non ci permette di supporre che Paolo abbia dapprima preso contatto con la setta cristiana a Gerusalemme, né che vi abbia perseguitato la comunità». [47] «Spesso ci viene fatto notare che le epistole paoline che noi possediamo non sono scritti di propaganda, che sono rivolte a comunità già cristiane; nella sua attività missionaria, si dice, nella sua predicazione iniziale, Paolo dava naturalmente molti più dettagli sulla vita di Gesù. Anche questo è possibile, ma pure questo non è che una supposizione, e anche, mi sembra, una supposizione che le nostre fonti non autorizzano minimamente. Quel che è certo è che Paolo aveva l'abitudine di raffigurare agli occhi di coloro che voleva convertire, come in un grande affresco, la morte di Gesù sulla croce (Galati 3:1) seguita naturalmente dall'immagine corrispondente: la glorificazione. Ma supporre che egli abbia dato informazioni dettagliate sulla vita di Gesù e sulla sua personalità storica, che abbia fatto un ampio uso dell'abbondanza di materiale che ci dà la tradizione sinottica, ciò non sarebbe compatibile con l'atteggiamento che, dalle sue epistole, sappiamo nei riguardi del Gesù storico». [48] Ecco ciò che scrive lo stesso Heitmüller che, nel suo corso sulla storicità di Gesù, ha voluto coprire di ironia il «dilettante» Drews, e che nel 1913 ha pubblicato un'opera su Gesù in cui tenta malgrado tutto di difendere per mezzo delle epistole paoline la storicità di Gesù, con grandi tirate contro «i procedimenti arbitrari e contrari ad ogni metodo scientifico» per mezzo dei quali i negatori di Gesù si sforzano di scartare «i dati precisissimi» di queste epistole, «che provano effettivamente che Paolo conosceva il Gesù storico»; questo stesso Heitmüller che, per finire, arriva fino ad esclamare: «Paolo è la roccia contro la quale continueranno a fallire tutti i tentativi di eliminare Gesù dalla storia». [49] Se queste sono le farneticazioni di uno dei più eminenti tra i teologi, non si deve più stupirsi di nulla da parte degli altri. Il trucco è vecchio: si azzardano grandi parole quando non si hanno argomenti solidi da presentare.  Resta nondimeno il fatto che Paolo, lungi dall'essere un testimone a favore della storicità di Gesù, è al contrario il testimone più inconfutabile contro la tesi storicista. 

In tutto ciò — ripetiamolo — poco importa se le epistole siano autentiche o meno. Quand'anche fossero autentiche, non proverebbero che Paolo ha conosciuto un Gesù storico. «Se» — dice Robertson — ci si colloca dal punto di vista dello storico, queste epistole minano dalla base la tesi biografica, sia che si attribuisca loro una data antica o recente, sia che le si consideri autentiche o meno». Se esse sono antiche, spogliano completamente Gesù della sua reputazione di personalità impressionante. Se esse sono più recenti, come pensa van Manen che le presume redatte negli anni dal 120 al 140, provano non solo che la personalità di Gesù era insignificante, ma anche che il loro autore ignorava il racconto dei vangeli come noi lo possediamo, perché danno la nettissima impressione che egli ignorasse tutta la tragedia di Gesù; in effetti vi è solo fatta allusione a quella tragedia nelle interpolazioni ancora più recenti, benché esse risalgono ad un'epoca in cui la storia di Giuda non aveva ancora fatto il suo corso». [50]

Come si presentano sotto questo aspetto le altre epistole del Nuovo Testamento ? Abbiamo già avuto l'occasione di far sottolineare che l'epistola di Giuda ignora tutto di un Gesù storico, e che secondo ogni probabilità non è nemmeno di origine cristiana. Ne è lo stesso, come abbiamo già detto, per l'epistola di Giacomo, scritto di origine puramente ebraica che combatte la dottrina paolina della giustificazione per la sola fede, e dove il nome di Gesù (1:1; 2:1) è stato introdotto successivamente. Le due epistole di Pietro sono esclusivamente dogmatiche, malgrado l'audacia dell'autore che vuole farci credere che lui è stato «testimone oculare del suo splendore sul monte della transfigurazione» (!). [51] Come le epistole di Giovanni, che hanno una natura simile, esse risalgono al più presto alla metà del II° secolo, e non potrebbero quindi, cosa che d'altronde i teologi non contestano, essere prese in considerazione per il problema che ci riguarda. «La critica porta quindi necessariamente a quella conclusione, che per un intero secolo dopo la presunta morte del suo fondatore, la setta di Gesù non possedeva altri documenti se non alcuni scritti di origine ebraica come la Didaché, o alcune piccole epistole paoline di dubbia autenticità, che sono o andate perdute o assorbite da più grandi scritti di data più recente, e che a loro volta ignorano ancora i libri sacri dei seguaci di Gesù. Tutti questi documenti escludono l'ipotesi di un Gesù storico avente una personalità un tantino significativa. Nei punti della dottrina che hanno già scavato profondi solchi nella fede, la personalità di Gesù non vi è per nulla. Nessuno di questi scritti cita in quest'ordine di idee l'insegnamento di Gesù. Se egli è una vittima, non lo è che nel mondo delle astrazioni; e perfino in questo senso si distingue male la sua figura nella Didaché dei Dodici Apostoli. Non una parola né dei suoi genitori secondo la carne, né della sua casa, né della sua carriera. Tutto contribuisce a confermare la nostra supposizione che si tratti di un culto antichissimo, culminato in un sacramento derivato da un rito di sacrificio umano combinato con i miti ebraici e pagani che miravano fin dall'origine alla deificazione della vittima». [52]

La sola testimonianza che ci resta in favore della storicità dell'uomo-Dio che è stato immolato consiste quindi nei vangeli; di conseguenza quest'ultimi sono un fenomeno unico, isolato da ogni concatenazione di cause e di effetti. Si vuole provarci il contrario? I credenti, quando non vedono più altra scelta, sono soliti opporci un certo numero di presunte testimonianze profane a favore della storicità di Gesù. Cosa si deve pensare di queste testimonianze? Può essere utile esaminarle più da vicino prima di passare allo studio dei vangeli. 

NOTE

[1] Romani 1:4.

[2] Romani 8:17.

[3] Romani 6:6, 1 Corinzi 2:8.

[4] Romani 6:4, 1 Corinzi 15:4.

[5] L. c. Romani 4:24, 6:4.

[6] Romani 8:14.

[7] Si veda la mia opera: Das Markusevangelium als Zeugnis gegen die Geschichtlichkeit Jesu, 1921, 16 ss.

[8] 1 Corinzi 15:3 ss.

[9] Romani 1:2, 3:21, 16:26.

[10] Galati 1:12 ss.

[11] 1 Corinzi 2:6. Si veda P.-L. COUCHOUD, Le Mystère de Jésus, 1924, pag. 123 ss.

[12] Romani 6:4 s.

[13] Confronta HERTLEIN, Jesusworte bei Paulus? nel Prot. Monatshefte 1904, 265 ss; M. BRÜCKNER, Der Apostel Paulus als Zeuge wider das Christusbild der Evangelien, l. c. 1906, 352 ss; Mito di Gesù II 134-141.

[14] Confronta pure BRÜCKNER, Die Entstehung der paulinischen Christologie, 1903, 45 s.

[15] HARNACK, Sprüche und Reden Jesu, 1907, 210, nota.

[16] Matteo 29:9; Marco 16:9.

[17] 24:33.

[18] Vanno almeno considerati interpolati i 500 fratelli, come lo prova l'osservazione: «la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti». Paolo avrebbe scritto la prima ai Corinzi tra il 55 e il 57, ossia dai 25 ai 27 anni dopo gli eventi riferiti. Vi era allora occasione di fare quell'osservazione? Ciò si intendeva da sé, così bene che mal si comprende come mai un uomo come Paolo si sarebbe dato la pena di farne menzione. È più comprensibile che un interpolatore abbia pensato, in quella maniera, di dare più forza alla testimonianza dei 500 fratelli, forse ha trovato ciò anche molto astuto.

[19] Secondo HEITMÜLLER ci sarebbe anche una menzione, in 1 Corinzi 9:5, di cognate di Gesù, e WEINEL è del medesimo avviso. (HEITMÜLLER, Jesus, 1913, 9; WEINEL, Ist das geschichtliche Jesusbild widerlegt? 1910.) Il testo dice soltanto: «Non abbiamo il diritto di condurre con noi una sorella che sia nostra moglie?». Le «cognate» di Gesù sono state attinte da Heitmüller e Weinel dalla loro propria immaginazione. 

[20] Contra Celsum 1:47.

[21] Commentario a Gal. 4:19.

[22] EUSEBIO, Storia della Chiesa 2:25.

[23] Marco 3:33 ss.

[24] L. c. 106.

[25] Romani 8:14; Galati 4:6.

[26] HERTLEIN, Was wissen wir von Jesus? 22.

[27] Secondo WEINEL, sarebbe impossibile che Paolo avesse dato al termine «fratello del Signore» un senso spirituale, perché ha abitudine nelle sue dediche di chiamare i cristiani in generale «fratelli in Cristo». Precisamente, nei passi in questione, non si tratta di cristiani in generale, ma di un gruppo speciale di cristiani. Peraltro, il termine «fratelli in Cristo» figura in Colossesi 1:2, mentre in Filippesi 2:14 c'è solamente menzione di «fratelli nel Signore», e queste due epistole non contano nemmeno tra quelle che sono dichiarate «indubbiamente autentiche»!

[28] Si veda la mia opera Das Markusevangelium ecc., 245-249.

[29] Krit. Studien, 1863, 38-63.

[30] Theol. Tydschr. 26:397-403.

[31] L. c., 172 ss.

[32] Theol. Tydschr. 23:322.

[33] WHITTAKER l. c. 168.

[34] Theol. Tyjdschr., 1899, fasc. 1, 41 s.

[35] Si veda JOH. WEISS, Jesus von Nazareth, Mythus oder Geschichte, 1910. È curioso constatare che degli eruditi dotati di una singolare perspicacia nell'identificare in un testo delle interpolazioni e dei rimaneggiamenti, siano come colpiti da cecità allorché è in gioco la storicità di Gesù.

[36] 1 Corinzi 15:5 esclude la conoscenza del tradimento di Giuda. Si crede che Paolo, se ha scritto questo capitolo, abbia in mente il traditore Giuda allorché scrisse, in 1 Corinzi 11:23, le parole: «in cui fu consegnato»

[37] A. EICHHORN, Das Abendmahl, 1898, 19.

[38] Matteo 16:18.

[39] W. HEITMÜLLER, Taufe und Abendmahl im Urchristentum; 1911. 

[40] Jesus, l. c. 

[41] Ecco un esempio che mostra come i teologi si sentano a disagio a questo proposito: Nel suo articolo intitolato Der Abendmahls-, der Auferstehungsbericht und die Herrnworte im ersten Brief an die Korinther, SCHLAEGER aveva dimostrato, mediante dei metodi che riguardano unicamente la critica letteraria, l'inautenticità dei passi in questione. Ma quando tentò di far ricevere la sua esposizione da una rivista teologica tedesca, tutte queste riviste li proibirono le loro testate, in modo che l'autore si vide costretto a rivolgersi all'Olanda, dove il suo articolo apparve nella Theol. Tijdschr. XLV 1912 (!). Confronta Mito di Gesù II 116-125. 

[42] L. c. 320.

[43] Ibid.

[44] Ibid. 322.

[45] Ibid. 438.

[46] Ibid.

[47] Ibid.

[48] Ibid. 323. Si veda pure BOUSSET, Kyrios Christos, 1913.

[49] L. c. 11.

[50] The Jesus Problem 180. 

[51] 2 Pietro 1:16 ss.

[52] ROBERTSON, o. c. 181.

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