venerdì 11 giugno 2021

IL MITO DI GESÙ (XI)

 (segue da qui)


a) La cristologia paolina

Cos'è che Paolo insegna su Gesù? 

Tutta la dottrina di Paolo è tutta fondata su quella convinzione, che del resto egli condivide con tutti gli gnostici, che il mondo esistente è fondamentalmente malvagio e che le creature sono essenzialmente miserabili. Il mondo è sotto il dominio di demoni e di spiriti stellari malintenzionati che esercitano le loro influenze nefaste sotto gli ordini di Satana. Al loro sinistro potere gli uomini sono lasciati senza difesa. È invano che vorrebbero ribellarsi contro la schiavitù che grava su di loro sotto forma della sorte inscritta nelle stelle. Il diavolo è il Dio di questo mondo. [1] Il mondo è soggetto alla corruzione, alla morte. Insieme agli uomini, tutte le creature gemono sotto l'oppressione del male e aspirano ad essere liberate dalla perdizione.

Se almeno fosse possibile all'uomo di elevarsi con il suo spirito, nella coscienza del suo proprio valore, al di sopra di questo mondo! Ma la volontà umana è piegata sotto la legge del peccato, come la natura sotto quella della corruzione. [2] Malgrado la sua conoscenza superiore, l'uomo non è capace di fare il bene che vuole. Con una forza irresistibile, il peccato lo obbliga a fare ciò che la sua ragione rifiuta, come se non fosse lui stesso l'autore delle sue proprie azioni, ma che questo autore fosse il peccato che abita in lui. [3] Non cambia nulla, individualmente, aspirare ad essere liberati dalla schiavitù del peccato: in verità non vi è nessun giusto, nemmeno uno solo. Tutti gli uomini sono peccatori. Se per caso volessero riversare la responsabilità su Dio, Paolo direbbe loro che la creatura non ha alcun diritto contro il suo creatore, ma che questi ha il diritto e il potere di agire verso le sue creature così arbitrariamente come il vasaio verso i vasi d'argilla che ha appena fabbricato, che può a volontà conservare o distruggere. Dio prende in pietà chi vuole, e indurisce chi vuole, al fine di mostrare la sua potenza agli uomini e rivelare loro la sua gloria! [4] Prima della loro creazione, egli ha predestinato gli uomini al bene e al male. L'uomo è quindi incapace di liberarsi con i suoi propri mezzi dal peccato radicato nella sua natura, nella sua carne. Insieme all'imperfezione morale e fisica dell'uomo, il peccato comporta la sua morte, che non ne è che la conseguenza naturale. [5] La schiavitù esterna sotto il giogo della natura si accompagna dunque alla servitù interna sotto il giogo del peccato che è nella carne. Solo Adamo, il primo uomo, malgrado la sua natura carnale, non era ancora sotto la legge del peccato. Aveva, è vero, la facoltà di peccare, ma senza essere dall'inizio effettivamente un peccatore. Non è che per la sua disobbedienza verso Dio che il peccato, che fino ad allora non esisteva in lui che allo stato virtuale, diventò effettivo. La sua caduta portò tutta l'umanità sotto il giogo del peccato, e l'ha resa soggetta alla morte. [6]

Così sino a quando la Legge non era ancora proclamata, gli uomini, pur essendo sotto il dominio della morte e del peccato, non avevano ancora una coscienza ben chiara di quest'ultimo. È per mezzo della Legge data a Mosè che esso si manifestò, e prese la natura di una trasgressione di un ordine divino. [7] Ma la conoscenza del peccato non ne ha liberato gli uomini, né li ha condotti alla giustizia; al contrario, la Legge ha ancora aumentato il peccato. Ciò che è proibito stimola il desiderio, e la Legge esasperò gli istinti malvagi, prese in qualche modo pretesto dei comandamenti per sedurre gli uomini e li assoggettò così definitivamente alla morte. Senza la Legge il peccato era senza vita. Per mezzo della Legge il peccato ricevette la vita, e gli uomini la morte. 

Invece di essere una benedizione per il mondo, la Legge diventò quindi per esso una maledizione. Invece di indebolire il peccato, gli diede una forza nuova. [8] La Legge non può quindi salvare l'uomo. Non può che generare in lui uno spirito di paura e di schiavitù. Colui che è sotto la legge, come gli ebrei, non è dunque libero, ma al contrario schiavo del peccato. [9] Se non esistesse alcuna possibilità di liberarsi, non si dovrebbe fare altro che lanciare questo grido di disperazione: «Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?» [10

Esiste però una liberazione. Dio non è solo il Dio giusto che giudica gli uomini secondo le loro azioni conformemente alla Legge, ma è anche un Dio di clemenza e di misericordia. È solo mettendosi da questo punto di vista che si comprende il vero significato della Legge.  In effetti, anche se aumentasse il peso del peccato che grava sull'umanità, la Legge non le è stata data per la sua perdizione, ma per la sua salvezza. Il ruolo della Legge era di dare la conoscenza del peccato. [11] La trasgressione della Legge era precisamente lo scopo che perseguiva Dio nel proclamarla. [12] La Legge è paragonabile a un pedagogo a cui gli uomini sono soggetti per la durata della loro minorità, ma non per rimanere sotto di lui, al contrario, per esserne liberati non appena li avrebbe condotti alla successiva fase. [13] È un errore degli ebrei credere di possedere nella Legge l'espressione della perfetta conoscenza di Dio. [14

La Legge non conduce più oltre dell'idea del Dio giusto. Ma il Dio d'amore, il Padre misericordioso degli uomini è superiore al Dio giusto. [15] Perché «quando i tempi furono compiuti», vale a dire quando il ciclo di anni previsto da Dio era finito, (l'idea babilonese e persiana, che si ritrova anche nell'idea indù dei kalpa), piacque a Dio di inviare suo Figlio per recare la salvezza agli uomini. Ma è in questo che si manifestò la vera natura di Dio, che è amore e misericordia: Dio ebbe pietà della miseria degli uomini. Per questo consegnò suo Figlio alle potenze nemiche degli uomini e non lo risparmiò affatto; i «principi di questo mondo» si impadronirono del «Signore della gloria» e lo crocifissero, perché ignoravano il piano divino della salvezza, la «Sapienza di Dio» — se l'avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso l'inviato di Dio — e, senza saperlo, misero fine al loro stesso dominio. [16] Questa è in effetti l'interpretazione gnostica di Sapienza 3:21, dove è detto dei malvagi e degli empi che attentano alla vita del giusto: «La pensano così, ma si sbagliano, la loro malizia li ha accecati. Non conoscono i misteri di Dio». Questi «principi di questo mondo» non sono, come si potrebbe pensare, i sacerdoti e gli anziani degli ebrei, nemmeno le autorità romane, ma gli spiriti stellari, le costellazioni autunnali e invernali: nel momento in cui il «Signore della gloria», cioè il sole, avanza sul ramo discendente della sua orbita, essi si mettono in moto, si preparano a combatterlo e lo inchiodano alla croce, ossia alla croce autunnale, dove secondo la mitologia astrale, «muore». [17] Quella missione di suo Figlio ha permesso a Dio di soddisfare nel contempo la sua giustizia e il suo amore: la sua giustizia, in quanto il Cristo si è offerto lui stesso in sacrificio per gli uomini e così ha anche riconciliato con Dio il mondo decaduto e ribelle contro di lui; [18] il suo amore, in quanto il Cristo era senza peccato e per ciò stesso qualificato ad espiare per sostituzione le punizioni dell'umanità, e fu nondimeno trattato da Dio come un peccatore al fine di giustificare dinanzi a lui gli altri uomini. [19

Dio, che fino ad allora si era nascosto, si è manifestato agli uomini. Egli è apparso loro sotto la specie di suo Figlio, ed è così che si è sacrificato per l'umanità. D'ora in avanti gli uomini sanno che Dio ha cura di loro, non per motivi di giustizia, ma di amore paterno, questa parola presa in entrambi i sensi di amore verso gli uomini e di amore verso il Cristo, glorificato dalla sua morte. Gli uomini sanno ora che sono amati da Dio e che sono «suoi figli». [20] Lo chiamano «Padre», [21] e in particolare coloro che credono in Gesù lo considerano loro Padre, il cui amore riempie il loro cuore. [22] Così non solo sono liberati dal timore che ispira agli uomini l'idea di un Dio sconosciuto: [23] la certezza di essere gli eletti di Dio, i Figli di Dio e di conseguenza i suoi eredi, dà loro inoltre il diritto di disprezzare le sofferenze dei tempi presenti, tenendo gli occhi fissi sulla gloria futura che li attende. [24] Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Lui, che non ha affatto risparmiato il suo stesso Figlio, ma lo ha consegnato per noi tutti, come non ci darà anche tutte le cose con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? [25]

Se Dio, sotto la specie di suo Figlio, è disceso sulla terra e vi si è sacrificato per gli uomini, è necessario che il Figlio divino sia apparso con una natura identica o almeno simile a quella degli uomini, in una carne simile a quella del peccato. [26] L'idea del sacrificio espiatorio e sostitutivo lo esige. Infatti, secondo le idee giudaiche, il Salvatore e Messia doveva essere un discendente di Davide. Doveva anche essere soggetto alla Legge, sennò avrebbe potuto essere sotto il colpo della maledizione, né avrebbe potuto prendere su di sé i peccati, conseguenza della Legge. Paolo insegna dunque che il Cristo, il Salvatore dell'attesa messianica degli ebrei, è Dio stesso in forma umana, il «Figlio di Dio», identico a quel Gesù che Isaia 53 descrive come il Servo di Dio oppresso di sofferenze, la Sapienza come il Giusto perseguitato e ucciso dai malvagi, e i misteri ebraici come lo strumento scelto da Dio per salvare l'umanità. Ecco perché era necessario che il Cristo, per riguardo del Servo di Dio, prendesse una «forma di servo» [27] e si rendesse povero, [28] allo stesso modo in cui in Zaccaria 3:3 il sommo sacerdote Giosuè che sta davanti all'angelo è coperto di vesti sporche (miserabili), lui che è destinato ad essere proclamato Messia e ad essere elevato da Dio al rango di Salvatore. Quando, nella Sapienza di Salomone, il Giusto si definisce lui stesso il Figlio di Dio, Paolo prende questo termine in senso metafisico e fa del Giusto un essere divino che discende dal cielo. La figura del Messia da una parte, quella del Servo di Dio oppresso di sofferenze e del Giusto dall'altra, l'idea di un essere soprannaturale e divino e quella di un essere naturale e umano, queste due concezioni, che fino ad allora sembrano essersi fatte concorrenza tra loro senza mai separarsi da una demarcazione ben precisa, finiscono per fondersi qui in quella unica idea: il Messia è da una parte di essenza divina e come tale da tutta l'eternità nascosto in Dio, preesistente, essere puramente spirituale, ma è apparso sulla terra come un uomo, rinunciando per gli uomini alla sua natura divina e alle sue ricchezze celesti, divenendo, sotto il nome di Gesù, un povero mortale come noi, al fine di renderci ricchi per la sua povertà. Per mezzo della sua morte sulla croce ha realizzato per gli altri uomini quello stato di innocenza che, secondo i profeti, è la condizione preliminare per l'avvento del Messia nella sua gloria. Era necessario un uomo per rappresentare l'umanità, e un superuomo, un dio, per cancellare, prendendoli su di sé, i peccati degli uomini. In tal modo, la forma umana del Salvatore non è che uno stato temporaneo e transitorio che lo riporta alla sua vera natura. Se Gesù è un uomo secondo la carne, è nondimeno, secondo lo spirito, Dio stesso o il Figlio di Dio. Quando la sua carriera terrena volgerà al termine, quando finirà di soffrire e Dio, in virtù della sua natura essenzialmente spirituale, lo resusciterà dai morti, [29], sarà anche riconosciuto come tale. Allora il servo Gesù si affermerà nostro padrone e signore. L'idea primitiva del Messia ebraico, fulmine di guerra e vincitore delle nazioni, è completamente assorbita dalla concezione metafisica di un salvatore divino. Il titolo di Cristo diventa un nome proprio, e Gesù Cristo o il Cristo Gesù diventa il nome che riassume per i credenti la natura nel contempo divina e umana del salvatore. [30]

Si vede che, in tutte queste definizioni, non vi è nulla che permetta di concludere un Gesù storico nell'accezione comune del termine. Prima di discendere sulla terra, il Cristo avrebbe soggiornato in cielo presso Dio suo Padre. [31] Avrebbe persino partecipato, esattamente come il Logos di Filone, alla creazione del mondo, nel senso che il genere umano, a quel che sembra in particolare i maschi, sarebbe stato creato a sua immagine. [32] Questo secondo o nuovo Adamo, che per Paolo è la controparte ideale del primo Adamo, e che conferisce a tutti la vita come il primo Adamo ha trasmesso loro la morte, [33] è effettivamente solo una personificazione del genere umano, allo stesso modo in cui Filone riassume la pienezza delle idee divine nella figura del Logos, del mediatore, Figlio di Dio e luce del mondo, identifica quella figura con l'uomo ideale, con l'idea-uomo, e la fa discendere dal mondo trascendente nel mondo sensibile, per elevare gli uomini a lei nella sua qualità di forza morale che trionfa sul male. Essendo solo una personificazione di tutte le qualità umane, il secondo Adamo è, come il primo, un personaggio puramente mitico. Colui che vede nel Cristo delle epistole paoline un personaggio storico, deve logicamente credere anche alla storicità di Adamo e del famoso episodio della mela e del serpente. Infatti è necessario che vi sia corrispondenza tra il primo e il secondo Adamo, se l'uno debba essere il complemento logico dell'altro. Il fatto che Paolo ha certamente preso il primo Adamo per un personaggio storico prova che al suo tempo non si distingueva ancora la storia dalla mitologia, e ci insegna cosa si debba pensare della storicità del secondo Adamo. Allo stesso modo in cui in Adamo tutti gli uomini hanno peccato, essi sono tutti giustificati in Cristo. È necessario dunque che quest'ultimo riassumi in un concetto unico il genere umano nell'insieme delle generazioni succedutesi nel corso dei secoli, cioè riassumi l'idea dell'umanità giustificata e santificata, così come il primo Adamo rappresentava la stessa idea prima che si fosse manifestata negli individui e nelle loro azioni viziate dal peccato. Non è che in quanto incarnazione dell'idea di uomo che Adamo può aver determinato in anticipo la sorte dei suoi discendenti, e che il Cristo può rappresentare l'insieme dell'umanità, pur restando lui stesso un membro individuale della famiglia umana. Nello stesso senso, i rabbini insegnano che Adamo portava in lui le anime di tutti gli uomini a venire, che sono caduti con lui. «Uno solo è morto per tutti e quindi tutti sono morti». [34«Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi». [35] Tutto ciò è un mito gnostico, non è storia. Le definizioni date da Paolo risiedono tutte nella penombra dei misteri ebraici che non distinguevano chiaramente il mondo celeste dal mondo materiale.  

NOTE

[1] 2 Corinzi 4:4.

[2] Romani 8:18 ss.

[3] Romani 7:14 ss.

[4] Romani 3:10 ss; 9:17 ss.

[5] Romani 7:15.

[6] Romani 5:12.

[7] Romani 4:15; 7:7.

[8] Galati 3:10.

[9] 1 Corinzi 15:56.

[10] Romani 6:15, 17.

[11] Romani 7:24.

[12] Romani 3:20.

[13] Galati 3:19; Romani 5:20.

[14] Galati 3:24.

[15] Romani 2.17 ss.

[16] Romani 8:3; 15, 39.

[17] Confronta la mia opera: Die Entstehung des Christentums, 173 s., 301 s.

[18] Romani 3:25; 5:10; 2 Corinzi 5:15, 21.

[19] L. c.

[20] Romani 1:7 s.; 1 Corinzi 1:3 s.; 2 Corinzi 1:2; Galati 1 1,3.

[21] Romani 8:15; Galati 4:6.

[22] Romani 5:5; 8:31 ss.

[23] Romani 8:15.

[24] L. c. ss.

[25] Romani 8:32.

[26] Romani 8:3; confronta Filippesi 2:8.

[27] Filippesi 2:7.

[28] Corinzi 8:9.

[29] Romani 8:11.

[30] Romani 1:3 s.

[31] Romani 10:6; Galati 4:4.

[32] 1 Corinzi 8:6; 2:3; 15:45-49.

[33] 1 Corinzi 15:23, 45 ss.

[34] 2 Corinzi 5:14.

[35] Galati 3:13.

Nessun commento: