martedì 8 giugno 2021

IL MITO DI GESÙ (VIII)

 (segue da qui)


5. LA BUONA NOVELLA.

In cosa consisteva la salvezza che si attendeva ? I passi citati di Isaia e della Sapienza rispondono a quella domanda. Il Messia, di cui si aveva atteso l'avvento futuro, è già esistito. Servo di Dio, uomo dei dolori, si è immolato sulla croce per i peccati dei suoi, e Dio, suo padre, lo ha elevato al cielo, dove giudica i vivi e i morti. Ma questo giudizio non ha ancora avuto luogo. Il Messia ritornerà, il suo avvento è vicino, e allora tutti coloro che come lui hanno vissuto una vita di obbedienza, di umiltà e di pazienza saranno elevati verso di lui e avranno parte alla sua felicità. L'antica idea di Giosuè, salvatore sofferente, morente e risorgente come gli dèi salvatori dell'Asia occidentale, fu così collocata sotto una nuova luce. Fino ad allora aveva vegetato solo timidamente nella penombra delle eresie, alimentata dalle idee corrispondenti delle nazioni pagane a contatto con gli ebrei, in particolare con il mitraismo (il cui dio Mitra aveva trovato un sosia ebreo nell'arcangelo Michele); essa si era manifestata solo in certe usanze popolari che rimanevano incomprese dalla massa, come la parodia del re buffone e di Gesù Barabba. Aveva stabilito un rapporto tra il salvatore Giosuè da una parte e dall'altra la festa della pasqua con l'agnello e la circoncisione; si accompagnava ad una cena che era un ringraziamento per i benefici di Dio, e alla quale partecipavano dodici ospiti che, consumando il pane e il vino, commemoravano il sacrificio sanguinoso del salvatore. D'ora in avanti, sotto l'influenza di Isaia e della Sapienza, queste idee si preciseranno, e per essere liberati dall'oppressione del peccato e ottenere la vita eterna, si comincerà a considerare indispensabile l'adesione alla setta di Gesù.  

Ciò si spiega abbastanza bene se si ricorda quel che è stato detto più sopra: all'inizio della nostra era l'oppressione che gravava sugli spiriti era sentita più acutamente che mai. L'antica pietà ebraica si era pietrificata nel fariseismo, al punto di perdere ogni valore pratico per il popolo. Ciò che esigeva la Legge come condizione dell'immortalità individuale oltrepassava i limiti delle capacità di un semplice credente. Un dio giusto come lo Jahvé degli antichi, che giudica gli uomini rigorosamente secondo le loro opere, non poteva più essere, per la massa, garante della felicità eterna; occorreva un dio di amore, indulgente per le sue trasgressioni, che leggesse nel cuore degli uomini e li giudicasse secondo le loro intenzioni. Ma era un tale dio che professavano gli gnostici che rivendicavano una conoscenza superiore dei misteri divini e, basandosi sull'antico significato sostitutivo dell'agnello pasquale e della circoncisione, vedevano in Gesù il Figlio divino che si offriva lui stesso in olocausto per i peccati degli uomini, al fine di liberarli dalla Legge e dalle sue esigenze irrealizzabili. Lo stesso Isaia, nel suo capitolo 53, aveva paragonato il Servo di Dio ad un agnello, e aveva mostrato come l'amore divino si realizzò in lui. Il sacrificio espiatorio del Cristo è dunque la prova della misericordia e dell'amore di Dio, qualità più eccellenti della sua giustizia; per vivere una vita gradita a Dio, è meno importante essere giusti che seguire l'esempio di Gesù, cioè amare il prossimo e sacrificarsi per lui. 

Non è possibile precisare il momento in cui queste idee gnostiche hanno preso un'estensione più generale, ma si può affermare che prima della distruzione di Gerusalemme i loro adepti erano già numerosi, anche se dispersi dovunque vivevano gli ebrei, in Palestina, in Asia Minore, in Egitto, in Grecia e a Roma. Nella misura in cui l'angoscia religiosa diventava più profonda, ci si aggrappava più disperatamente a quella nuova fede, e può darsi che allora numerosi apostoli già diffondessero la Buona Novella, il vangelo del salvatore Gesù, che, per l'innocenza della sua vita e per il sacrificio della sua stessa persona, ha placato la collera di Dio e manifestato il suo amore: Gesù, il servo di Dio, è lui il Messia! Egli è morto per noi sulla croce, in tutta umiltà, senza che la sua natura divina sia stata riconosciuta, ma ritornerà sulle nubi del cielo, da re, proprio come si rappresentava il Messia; questo sarà forse domani, e guai allora a coloro che non vogliono conoscerlo, ma beati quelli che vivono come lui ha vissuto! La crisi politica e sociale e la miseria del popolo ebraico sotto il giogo romano avevano esaltato il sentimento religioso e non potevano che incitare i settari a rivelare ai loro compatrioti, come all'umanità intera, la loro conoscenza (gnosi) del fatto compiuto (la morte espiatrice del Salvatore), della misericordia di Jahvé così manifestata e dell'imminenza del regno di Dio, al fine di portarli alla penitenza indispensabile alla salvezza. Questo messaggio doveva trovare tanto più credito perché flagellava anche l'ipocrisia e la superbia dei farisei, da cui si era oltraggiati, e perché il ritorno di questi eretici alla pietà semplice e sincera dei profeti e dei Proverbi dell'Antico Testamento rendeva la salvezza delle anime accessibile a tutti, all'unica condizione di sforzarsi lealmente ad essere fondamentalmente buoni. 

Le Odi di Salomone mostrano chiaramente il legame che collega la nuova eresia alla gnosi. Questo legame è la conoscenza della vera natura della divinità, della sua bontà e del suo amore incarnati nella persona di suo figlio che fa partecipare il credente alla salvezza. Questi accenti trionfali ispirati dalla certezza di essere salvati sono penetrati dall'idea che è alla sola Conoscenza che l'uomo deve la sua salvezza. E le Odi non lasciano sussistere alcun dubbio sul fatto che quella idea si lega effettivamente a Isaia: 

«Essi mi incolparono quando mi levai, eppure ero senza colpa! 

Divisero il mio bottino, benché io non fossi loro debitore. 

Io però pazientai, tacqui e rimasi tranquillo, 

come uno da loro non provocato. 

Me ne stetti piuttosto immobile come roccia ferma, 

dall’onde sferzata e costante. 

La loro amarezza con umiltà sopportai, 

volendo il mio popolo redimere e farlo erede, 

Non volendo rendere nulla la promessa fatta ai patriarchi, 

che avevo promesso per la salvezza del loro seme».

È il Servo di Dio di Isaia 53 che dice queste parole e che si confonde con lo stesso Jahvè, così come, conformemente all'idea messianica tradizionale, Gesù il Messia e Jahvè senza dubbio sono stati considerati identici, idea che doveva più tardi contribuire molto a preparare la via al dogma della Trinità. Si direbbe anche che l'idea dell'uomo dei dolori del Salmo 22, martirizzato e deriso, traspare nel passo dove si parla della condivisione delle spoglie: 

«Spartiscono fra loro le mie vesti,

tirano a sorte la mia tunica». [1]

Veramente, non si ha bisogno di un personaggio storico di Gesù per spiegare, nella prima metà del primo secolo della nostra era, la genesi della fede cristiana. Le fiamme che si vide apparire all'improvviso avevano a lungo bruciato sotto la cenere, la fede di questi eretici si manifestò improvvisamente in piena luce e, rompendo in tutto o in parte con la Legge ebraica, rianimò, con antiche idee religiose, la pietà degli antichi profeti per garantire la salvezza dei fedeli. Se in quell'evoluzione la distruzione del Tempio nel 1970 ha svolto un ruolo, non può essere che quello di aver fornito agli adepti di Gesù un motivo in più per staccarsi dalla loro base ebraica e per fondare una religione universale indipendente dalle idee ebraiche e dai requisiti della Legge. [2

NOTE

[1] Salmo 22:19.

[2] Confronta ROBERTSON, The Jesus Problem, 202. 

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