giovedì 10 giugno 2021

IL MITO DI GESÙ (IX)

 (segue da qui)


IL GESÙ CRISTIANO

1. IL GESÙ PAOLINO

a) Gesù e Paolo negli Atti

Si vede generalmente nell'apostolo Paolo uno dei più eminenti rappresentanti della nuova dottrina, colui che non ha smesso tutta la sua vita di lottare per affrancarla dalla Legge mosaica. 

Chi era Paolo? Per informarcene, disponiamo di due fonti: gli Atti degli apostoli e le epistole che portano il suo nome. Esaminiamo prima di tutto gli Atti, che pretendono di informarci non solo sulla persona di Paolo, ma anche su quella di Gesù e sulla prima diffusione della nuova fede. È vero che tutto dipende dal credito che si vuole davvero accordare, dal punto di vista storico, al libro degli Atti.

Alcuni studiosi, tra cui Zeller, Schwegler, Hilgenfeld, Holsten, Overbeck, Weizsächer, Holtzmann e Hausrath, non attribuiscono a questo libro che un valore storico molto limitato. Ma Harnack si è impegnato a riabilitarlo, spingendosi fino a dichiararlo un documento storico di primo ordine, e i suoi sforzi sono stati assecondati dallo storico Eduard Mayer in un'opera in tre volumi: Ursprung und Anfänge des Christentums (Origine e inizio del cristianesimo, 1921 ss.). [1]

Sfortunatamente, i racconti miracolosi, che negli Atti sono così numerosi come nei vangeli, devono fin dall'inizio imporci delle riserve quanto al valore storico che Harnack attribuisce così perentoriamente a questo scritto. Inoltre, le analogie molto sospette della maggior parte di questi miracoli con quelli dei vangeli, i riferimenti all'Antico Testamento, il parallelismo artificiale dei miracoli di Pietro con quelli di Paolo, [2] sono altrettanto supposizioni contro lo «storico» Luca che avrebbe riportato semplicemente e in tutta ingenuità ciò che aveva sentito da testimoni non meno ingenui. Come vedere uno storico degno di fiducia in un autore che presenta l'ascensione di Gesù come un fatto storico, mettendosi peraltro in contraddizione esplicita con la fine del terzo vangelo; un autore che, per conformarsi ad una profezia dell'Antico Testamento, [3] si permette — lo stesso Harnack lo riconosce — di dotare di una «pomposa messa in scena» il miracolo della Pentecoste e della distribuzione delle lingue; un autore infine che spaccia per storie accadute quella dell'angelo che libera dalla prigione gli apostoli Pietro e Paolo e quella della resurrezione di Tabitha —  leggenda che si è basata attorno alle parole «Talita qoumi». [4] — quella della conversione del carceriere, della doppia conversione di Pietro e del centurione Cornelio, e altre storie altrettanto insipide? Un uomo che visse, come Harnack afferma di Luca, a contatto personale con Paolo e lo accompagnò anche nei suoi viaggi, non dovrebbe conoscere un po' la topografia delle regioni visitate dall'apostolo? Ma negli Atti egli ignora l'Asia Minore come, nel terzo vangelo, la Palestina. Conosce solo l'Italia, e i suoi racconti di viaggio mancano di chiarezza e di precisione al punto da mettere in disperazione le biografie moderne dell'Apostolo, e da rendere impossibile ogni credito che si vorrebbe dargli come un relatore immediato e degno di fiducia degli eventi nei quali sarebbe stato coinvolto. [5]

Anche i dati puramente storici degli Atti non ci permettono di concludere per un testimone oculare, e neppure di un narratore ben informato. Essi sono tutti così contraddittorie e confusi quanto le indicazioni geografiche. Rover e von Manen [6] in Olanda, Overbeck, Holtzmann e Hausrath in Germania hanno stabilito la prova inconfutabile che tutto il quadro storico degli Atti è stato organizzato esclusivamente sulla base dello storico ebreo Giuseppe. L'ascensione del Cristo è chiaramente modellata sull'ascensione di Mosè in Giuseppe. [7] I nomi di Anna e di Caifa, presentati negli Atti e nel terzo vangelo come due sommi sacerdoti che esercitano contemporaneamente il pontificato, a seguito di un'errata interpretazione di Giuseppe (che parla di Anna come del capo effettivo del partito sacerdotale sotto il pontificato di Caifa); Gamaliele, Simon Mago, Teuda, Giuda il Galileo, gli Egiziani, [8] Erode Agrippa, Berenice e Drusilla, Felice e Festo, tutti questi personaggi sono semplicemente attinti da Giuseppe, e talvolta sono anche in contraddizione con altri scritti inseriti negli Atti. Per esempio l'azione di Teuda si verificò effettivamente sotto Claudio, dieci anni dopo il discorso conciliatorio attribuito a Gamaliele, [9] mentre Giuda il Galileo, che Gamaliele fa ribellare dopo Teuda, aveva effettivamente provocato quella rivolta quarant'anni prima di Teuda. È anche unicamente da Giuseppe [10] che Luca ha attinto quello che sa della carestia sotto Claudio. [11] Ma gli scritti di Giuseppe sono stati scritti e si sono diffusi solo negli ultimi anni del primo secolo. L'autore degli Atti non può quindi aver scritto quest'opera nella veste di contemporaneo di Paolo, che si dice sia stato, nell'anno 64, una delle vittime della presunta persecuzione dei cristiani sotto Nerone.

Il vangelo di Luca presuppone che Gerusalemme sia già distrutta [12] e che la nuova fede si sia già diffusa nel mondo pagano. [13] Allo stesso modo gli Atti contengono indizi che permettono di concludere che sono stati scritti molto più tardi del tempo in cui sarebbe vissuto Paolo. Questo scritto pullula di anacronismi: l'autore non esita a trasporre le circostanze storiche e le istituzioni religiose del secondo secolo nel primo, dove non si spiegherebbero se i fatti fossero avvenuti come li dice. Conosce già l'istituzione dei sinodi, che secondo Eusebio sono stati creati nel secondo secolo in occasione dello scisma montanista. [14] Presenta i primi cristiani che formano comunità ben organizzate con vescovi, presbiteri e diaconi, fa menzione del sacramento della consacrazione dei sacerdoti per imposizione delle mani, soli i vescovi essendo qualificati a compiere questo rito, [15] parla dell'attribuzione a sorte delle funzioni ecclesiastiche, cita encicliche e decreti sinodali. Paolo predisse agli anziani di Efeso che dopo la sua partenza si sarebbero verificati nella loro città gravi disordini dovuti all'eresia, [16] il che sembra applicarsi al movimento gnostico di Cerinto che, nel secondo secolo, ebbe Efeso per punto di partenza, a meno che non si trattasse di una pura finzione, imitazione delle disgrazie che Gesù avrebbe predetto a Gerusalemme per gli ultimi giorni. Il cristianesimo descritto negli Atti ha già consapevolmente rotto con il giudaismo che rifiuta la nuova dottrina. L'autore respira un profondo odio per gli ebrei. Presta a Stefano un discorso che nel contesto del racconto sembra tanto inopportuno quanto inverosimile. [17] Ovunque la nuova fede si scontra con dell'opposizione. [18] È tra i pagani, che vengono in massa, [19] che essa recluta i suoi seguaci; essa si sforza di accreditarsi presso le autorità romane, e vede i suoi avversari irriducibili negli ebrei, dipinti come uomini ingiusti, odiosi, malvagi e fanatici. L'autore degli Atti vuole mostrare ai Romani che fin dall'inizio le loro autorità hanno osservato nei confronti della fede in Gesù un atteggiamento benevolo, e che hanno preso posizione per Paolo contro i suoi avversari; la sua intenzione è incitare i Romani a persistere in questo atteggiamento. Ecco perché mostra Paolo che rivendica il suo titolo di cittadino romano, status che non possedeva se è vero che a Efeso fu gettato alle bestie feroci, [20] e di cui, negli Atti, si ricorda ben tardi, dopo aver subito da parte degli ebrei e dei pagani i peggiori soprusi, per non parlare delle tribolazioni che avrebbe sofferto e dei pericoli che avrebbe corso in altre circostanze. [21] Sempre per lo stesso motivo, Festo confessa ad Agrippa che non gli trova alcuna colpa e lo stesso Agrippa fa all'apostolo quella confessione: «Ancora un po' e mi persuadi a diventare cristiano». [22] Tutte le autorità e tutti i tribunali dei Romani si mostrano convinti dell'innocenza dell'accusato Paolo, e quando lo condannano, lo fanno soltanto cedendo alle richieste del popolo. Il loro atteggiamento è identico a quello che avevano osservato al momento del processo di Gesù, quando gli ebrei reclamavano a torto la morte del Salvatore, mentre Pilato si sforzava di salvarlo. Vi è di più. se Paolo viene trascinato dagli ebrei davanti al governatore Felice, se vi è accusato, e poi consegnato dal suo successore Festo a Erode Agrippa, che a sua volta lo invia a Roma perché l'imperatore possa conoscerlo, tutto ciò è chiaramente imitazione del racconto evangelico del processo di Gesù e si ispira così chiaramente agli stessi motivi che tutto ciò che si potrebbe dirne sarebbe troppo. [23

Qui come nei vangeli, la calunnia dei loro avversari presenta i cristiani come criminali politici e fomentatori di rivolte, che offendono l'imperatore proclamando Gesù loro re. [24] Ma per quanto ne sappiamo, un odio così generale degli ebrei contro i cristiani non si spiegherebbe prima della distruzione di Gerusalemme. Esso si può comprendere solo dopo l'anno 70, meglio ancora dopo il primo secolo, e molto meglio dopo la sedizione di Bar-Cokhba (136), quando gli ebrei cominciarono a vedere negli gnostici (che fino ad allora non erano stati che una setta del giudaismo) i peggiori nemici della loro religione, quando questi ultimi si separarono definitivamente dalla tradizione ebraica, suscitarono avversari agli ebrei e cercarono di catturare la benevolenza dei Romani presentando la loro nuova dottrina sotto una luce il più possibile innocua. 

L'autore degli Atti è già così penetrato nell'abisso che separa il cristianesimo dall'ebraismo che non gli è più possibile mettersi nella situazione dei suoi personaggi. Fa parlare Pietro ai suoi connazionali ebrei come a degli stranieri, chiamandoli «uomini di Giudea». [25] Pietro dice loro: «Sappia dunque con certezza tutta la casa d'Israele che quel Gesù che voi (sic!) avete crocifisso, Dio lo ha fatto Signore e Cristo». [26«Il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi metteste nelle mani di Pilato e rinnegaste davanti a lui, mentre egli aveva giudicato di liberarlo. Ma voi rinnegaste il Santo, il Giusto e chiedeste che vi fosse concesso un omicida; e uccideste il Principe della vita, che Dio ha resuscitato dai morti». [27] Vediamo qui l'autore del terzo vangelo insistere sull'atteggiamento di Pilato come lo aveva descritto nella sua prima opera. Ma nessuno crederà che, immediatamente dopo la morte di Gesù, Pietro abbia così arringato la folla, da aver detto agli ebrei: «i vostri capi» [28] e che, per la resurrezione di Gesù, abbia semplicemente fatto riferimento alla testimonianza dei discepoli. [29] L'autore credente del secondo secolo vuole affermare tra i fedeli la fede nella storicità di Gesù quando presta al capo venerato dei discepoli queste parole: «di cui noi siamo testimoni». Ma dimentica che questa testimonianza non può avere valore ai nostri occhi se non alla condizione di essere storicamente attestata come autentica, e non riesce a renderla neanche lontanamente plausibile. Il racconto è infatti lontano dal dare l'impressione che i discorsi di Pietro su Gesù siano fondati su una tradizione autonoma, indipendente dai vangeli. Pietro non fa che ripetere ciò che dicono i vangeli, e perfino lo stile è già fissato in forme convenzionali e dogmatiche. In seguito agli eventi formidabili ancora molto recenti ai quali è ritenuto aver assistito, vorremmo percepire una nota di sincera emozione e commozione, e siamo delusi di sentire solo rimasticare una tradizione dottrinale e citare profezie campate per aria. «Quando si ascolta parlare Pietro», dice W. B. Smith, «nessuno ha l'impressione che parli di un uomo straordinario, di questo Gesù che egli pretende di aver conosciuto e amato». [30]

Le allusioni ai segni e ai miracoli sono superficiali, o addirittura intrise di dogmatismo. Pietro dice in 2:22 ss.: «Uomini d'Israele, ascoltate queste parole! Gesù il Nazareno, uomo che Dio ha accreditato fra di voi mediante opere potenti, prodigi e segni che Dio fece per mezzo di lui, tra di voi, come voi stessi (!) ben sapete, quest'uomo, quando vi fu dato nelle mani per il determinato consiglio e la prescienza di Dio, voi, per mano di iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste; ma Dio lo resuscitò, avendolo sciolto dagli angosciosi legami della morte, perché non era possibile che egli fosse da essa trattenuto». Poi viene la citazione di un salmo ritenuto annunciare e motivare la resurrezione, da cui l'oratore ricava la certezza che Gesù, elevato alla destra di Dio, ha ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che era stato promesso, e che è lui ad aver operato l'effusione di questo Spirito, di cui i presenti ne sono appena stati i testimoni; poi li esorta a pentirsi, a farsi battezzare nel nome di Gesù Cristo e a partecipare così al dono dello Spirito Santo. Nel racconto degli Atti vi è ancora un'altra circostanza in cui Pietro parla di Gesù: davanti al centurione Cornelio. «Voi sapete quello che è avvenuto in tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; vale a dire, la storia di Gesù di Nazaret; come Dio lo ha unto di Spirito Santo e di potenza; e com'egli è andato dappertutto facendo del bene e guarendo tutti quelli che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; essi lo uccisero, appendendolo a un legno. Ma Dio lo ha resuscitato il terzo giorno e volle che egli si manifestasse non a tutto il popolo, ma ai testimoni prescelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua resurrezione dai morti (!). E ci ha comandato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è colui che è stato da Dio costituito giudice dei vivi e dei morti. Di lui attestano tutti i profeti che chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati mediante il suo nome». [31]

Ci vuole una buona dose di credulità per ammettere che Pietro abbia effettivamente presentato queste sciocchezze davanti a persone che non erano analfabete, e che abbia ottenuto la loro approvazione. Un risorto che mangia e beve con i suoi discepoli, e questi ultimi lo affermano appoggiandosi sulla loro stessa testimonianza: questo è troppo, perfino per un antico, nonostante tutta la superstizione del tempo e la sua credulità nei confronti dei miracoli. È chiaramente una generazione successiva che esprime qui una credenza dogmatica come al limite la si poteva professare, senza timore di venir contraddetti, davanti ad una comunità religiosa e credente, per la sua edificazione. Ancora una volta si riconosce qui l'autore del Terzo vangelo, lo stesso che ha immaginato l'episodio dei discepoli di Emmaus, dove questi ultimi si sarebbero seduti a tavola con il Signore; lo stesso che fa apparire il risorto in mezzo ai suoi discepoli mentre essi sono a tavola, per farsi toccare da loro e per mangiare sotto i loro occhi del pesce arrosto; [32] lo stesso infine che, negli Atti, fa conversare Gesù ancora quaranta giorni dopo la sua morte con i suoi discepoli, come uno spirito con gli spiritisti, senza dover temere, a quanto sembra, di urtare il senso critico dei suoi lettori. [33] Ma è evidente che Pietro, discepolo di questo presunto Gesù storico, non può aver pronunciato queste parole. La vita di Gesù è ritenuta essersi svolta non in Giudea e a Gerusalemme, ma in Galilea. I discorsi di Pietro sono quindi campati in aria dall'inizio alla fine, così come le circostanze che ne sarebbero state l'occasione. Sono le idee di un'epoca successiva che trovano la loro espressione in questi discorsi, ed è per questo che è impossibile che il libro degli Atti sia già stato scritto poco dopo l'anno sessanta della nostra era. Eccoci ben delusi se abbiamo sperato di trovare in questo scritto dati storici che siano in qualche modo certi. 

Si può concedere che i testi in «noi» provengono da un testimone oculare degli eventi che vi sono riportati. Ma non si può trarre  da questo fatto alcuna argomentazione a sostegno dell'opinione di Harnack. Infatti, malgrado l'analogia del loro stile con quello delle altre parti degli Atti, essi contrastano così nettamente sul contesto che si dovrà continuare a considerarli un corpo estraneo in questo scritto. Il compilatore li ha attinti da una fonte che noi ignoriamo e li ha incorporati nel suo racconto, assimilando il loro stile alla sua propria maniera e degradandoli con l'aggiunta di miracoli assurdi come la resurrezione di Eutico, [34] la guarigione dei malati dell'isola di Malta [35] e altre puerilità: per esempio l'angelo che consola l'apostolo in un sogno e gli promette che apparirà davanti all'imperatore, [36] il discorso di Paolo e la rottura del pane durante l'uragano, le 276 (!) anime che si trovavano sulla nave e non avevano preso nessun cibo per due settimane (!). [37

No, l'autore del diario di viaggio, che sia il medico Luca [38] o qualsiasi altro compagno di Paolo, non può essere identificato con l'autore degli Atti, e questo scritto non può quindi avere né l'età né il valore documentario che la teologia retrograda di un Harnack vorrebbe attribuirgli. Nulla lo prova meglio del contrasto tra la figura dell'apostolo Paolo come lo raffigurano gli Atti, e quella che emerge dalle epistole che gli sono attribuite. 

Se nella vita dell'apostolo esiste una cosa certa, è il conflitto che è scoppiato tra lui, propagatore di un'eresia emancipata dal legalismo, sorta di mistero ebraico, e coloro che si chiamavano gli antichi apostoli di Gerusalemme, che si appellavano direttamente a Gesù stesso. Le epistole ai Corinzi, ai Galati, ai Filippesi sono piene di questo conflitto che è alla loro origine. I giudeo-cristiani si oppongono all'antinomismo radicale predicato da Paolo. Per questo si sforzano di suscitare ostacoli all'apostolo dei gentili, si insinuano nella sua cerchia, contestano la verità della sua dottrina sulla Legge, sospettano della sua persona, aizzano contro di lui i membri delle comunità che ha fondato e cercano con tutti i mezzi di ottenere dai gentili diventati credenti che osservino la legge di Mosè. È vero che, se si deve credere a Galati 2, un accordo sarebbe stato raggiunto a Gerusalemme tra Paolo e i primi apostoli, alla testa dei quali figurava lo zelante Giacomo. I giudeo-cristiani avrebbero riconosciuto la missione di Paolo tra i pagani, e gli avrebbero dato l'autorizzazione a diffondere il Vangelo senza la Legge. Ma l'atteggiamento equivoco di Pietro ad Antiochia sembra aver dato al conflitto una nuova gravità e aver portato ad una rottura. Da allora le due parti si ergono l'una contro l'altra, animate dalla più irriducibile ostilità. Nelle sue epistole, l'apostolo difende risolutamente il suo atteggiamento e si scaglia contro i suoi avversari giudeo-cristiani che chiama «cani», «cattivi operai», «castratori», perché esigendo la circoncisione hanno evirato e distrutto la vita delle comunità. [39] Hanno uno spirito diverso, un Gesù diverso dal suo. [40] Maledice anche gli avversari che predicano un vangelo diverso dal suo. [41] I giudeo-cristiani gli appaiono i suoi peggiori nemici, il tormento della sua vita. Gli impediscono di godere del successo della sua attività missionaria. 

Tale è l'impressione che emerge dalle stesse epistole paoline, relativamente a questo conflitto. 

Vediamo ora cosa ne dicono gli Atti degli Apostoli. Anche negli Atti si parla di un conflitto tra Paolo e i fratelli di Gerusalemme, in merito alla circoncisione. Il capitolo 15 indica le misure prese dalle due parti per per raggiungere un accordo, che stipula che in linea di principio e sotto certe riserve Paolo sarebbe stato libero di continuare la sua opera missionaria tra i pagani. Ma le circostanze di questo cosiddetto concilio degli apostoli a Gerusalemme si accordano così poco con quanto Paolo dice nella sua epistola ai Galati sul colloquio che ha avuto con i fratelli, il ruolo che avrebbe svolto l'apostolo   in quell'occasione è così diverso nelle due esposizioni che, se si vuole davvero ammettere che si tratta di un fatto storico, solo uno dei due testi può contenere la verità. [42] Gli Atti — questo è il punto essenziale — ignorano del tutto il conflitto di Antiochia tra Pietro e Paolo, conflitto che doveva essere di capitale importanza per la vita di Paolo prima di tutto, ma soprattutto per il futuro della religione cristiana. Secondo gli Atti, non sarebbe Paolo, ma Pietro ad aver portato per primo il vangelo ai pagani e a esserne stato rimproverato dagli altri fratelli. [43] Non si trova una parola sulle difficoltà che gli altri apostoli avrebbero causato a Paolo nella sua opera missionaria, né sulla disapprovazione che questi avrebbe incontrato. Negli Atti, egli ha sempre per avversari gli ebrei ortodossi, non i giudeo-cristiani.

Quella divergenza è così fondamentale che è sufficiente a ridurre a niente l'ipotesi di Harnack. Se si ammette che l'autore del diario di viaggio, compagno di Paolo nelle sue peregrinazioni missionarie e che pretende di aver condiviso con lui la prigionia di Cesarea e di Roma, abbia scritto durante la vita dell'apostolo, egli doveva aver avuto conoscenza anche del conflitto tra Paolo e i giudeo-cristiani, e non ha potuto passarlo sotto silenzio. Nella sua confutazione di Harnack intitolata: Der Autor ad Theophilum als Historiker (L'autore a Teofilo esaminato in quanto storico), Brückner fa sottolineare che «sembra inconcepibile che, nella sua esposizione storica, l'autore degli Atti non menzioni nemmeno il fatto al quale Paolo attribuisce la massima importanza, ossia i suoi rapporti con gli antichi apostoli di Gerusalemme prima e dopo il suo viaggio, Galati 2:1, in particolare il conflitto ad Antiochia, che è passato sotto silenzio; e i dibattiti di Paolo con Pietro e Giacomo a Gerusalemme sono presentati in una luce molto diversa dal modo in cui Paolo stesso li riporta. Per Brückner, gli Atti sarebbero una «distorsione consapevole e deliberata» di ciò che Paolo attesta con la sua propria testimonianza. «È inimmaginabile e assolutamente impossibile che un contemporaneo, un compagno, un collaboratore abbia potuto dare una narrazione così distorta dei fatti attestati da Paolo stesso. Il medico Luca, quindi, non può essere l'autore degli Atti degli Apostoli. Le divergenze che esistono tra gli Atti e l'epistola ai Galati provano in modo conclusivo che l'autore a Teofilo appartiene a un periodo molto più recente e che, quando parla di ciò che è accaduto tra Pietro e Paolo, questi fatti risalgono per lui ad un passato già lontano». [44]

Se è così, non è senza sospetti che possiamo accettare gli altri resoconti che gli Atti danno della vita di Paolo. 

Ecco all'inizio Paolo che perseguita con uno zelo fanatico le comunità cristiane a causa del loro atteggiamento nei riguardi della Legge. L'autore degli Atti ha disposto in merito a questo di una tradizione autonoma? Egli presenta Paolo dapprima sotto il nome di Saul, in occasione della lapidazione di Stefano: «Saulo aveva approvato la morte di Stefano». [45] Ma la morte di Stefano, per le sue evidenti analogie con la passione del Cristo, si rivela pura finzione. Già Baur, il grande teologo di Tubinga, ha dubitato del suo carattere storico, tanto più che il sinedrio ebraico, che non poteva far uccidere nessun condannato a morte senza il consenso del governatore romano, trascura completamente quella formalità nel processo a Stefano. [46] Allo stesso modo, Heitmüller dubita della presenza di Paolo all'esecuzione di Stefano, [47] e Smith nel suo «Gesù pre-cristiano» ha messo a nudo i motivi che hanno ispirato la finzione di una persecuzione dei seguaci di Gesù successiva a quella esecuzione. [48] Il rimprovero che Stefano nella sua apologia rivolge agli ebrei: «Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato?» ricorda così chiaramente Matteo 23:33 s. e 37, e quel che è detto degli ebrei nella prima ai Tessalonicesi: «che hanno fatto morire il Signore Gesù e i profeti», [49] che non si può invocare una coincidenza fortuita. Se il persecutore del Messia figlio di Davide porta il nome di Saul, come non sospettare che l'inventore di quella storia si sia ispirato al Saul (o Saulo) dell'Antico Testamento, persecutore di Davide?

Nella prima ai Corinzi Paolo esclama: «Non ho visto nostro Signore Gesù?» [50] E tra coloro ai quali è apparso il risorto egli si nomina da ultimo lui stesso, «il minimo degli apostoli, e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio». [51] L'autore degli Atti non avrebbe forse attinto solo da queste epistole tutta la sua conoscenza della conversione di Paolo, così come dello zelo mostrato da Paolo nella persecuzione degli avversari della sua fede tradizionale, e non avrebbe forse, partendo da questi dati, immaginato tutti i dettagli che dà sulla conversione di Paolo? Guillaume Brückner pensa allo stesso modo che tutto il racconto della conversione, Atti 9, ripetuto nei capitoli 22 e 26, con tutto ciò che Atti riportano dello zelo persecutore di Paolo, 7:58 e 8:3, non è che uno sviluppo dei pochi dati forniti dalle epistole citate. [52] Inoltre i racconti della conversione negli Atti sono di per sé contraddittori e confusi. In Atti 9:7 i presenti odono una voce, ma non vedono nessuno. In Atti 22:9 essi vedono la luce, ma non odono alcuna voce. Qui la folgorante apparizione getta solo Paolo a terra; là cadono tutti. Allo stesso modo, le parole ascoltate da Paolo variano a seconda dei punti. Il nome Damasco è stato attinto dall'autore di Atti da 2 Corinzi 11:32, dove ha trovato anche il racconto della persecuzione di Paolo in quella città, e della sua fuga aiutata dai discepoli di Damasco, che durante la notte lo fanno discendere in una cesta lungo le mura. La missione che è ritenuta aver motivato il viaggio di Paolo a Damasco, che consiste nel riportare prigionieri a Gerusalemme i cristiani che erano fuggiti da quella città, è storicamente improbabile, perché gli ebrei di Damasco non erano sotto la giurisdizione del sinedrio di Gerusalemme. [53] E perché avrebbe lasciato gli apostoli tranquilli a Gerusalemme? Chiaramente l'autore degli Atti aveva trovato nel primo libro di Samuele 19:18-21 la storia del re Saulo, omonimo dell'apostolo, che invia emissari per catturare Davide: Quest'ultimi, alla vista dei profeti di Naioth, presso Rama, sono afferrati dallo spirito di Dio, cadono in estasi e proferiscono parole profetiche; anche Saulo allora si mette a profetizzare, e giace giorno e notte davanti la casa di Samuele, da cui il proverbio in Israele: «Anche Saulo è tra i profeti?»  Ci vuole tutta l'ingenua credulità di un teologo per credere alla conversione di Paolo così come è riferita negli Atti, per attribuire all'«unicità dell'apparizione del Cristo davanti a Damasco» (Holtzmann) l'emancipazione di Paolo dalla Legge e la sua dottrina della rigenerazione dell'uomo che fa di lui una nuova creatura in Cristo, e per vedere in tutto il sistema teologico edificato da Paolo una generalizzazione di quella esperienza intima dell'apostolo, tanto più che l'autore degli Atti ha senza dubbio attinto i dettagli del suo racconto della conversione di Paolo dalla storia di Eliodoro, 2° Maccabei 3. [54]

L'autore degli Atti, o quantomeno l'autore del testo originale, ha conosciuto le epistole di Paolo e le ha utilizzate per il suo racconto. È così molto sorprendente che egli non parli da nessuna parte di questi scritti, e che in generale sembri ignorare completamente l'attività letteraria dell'apostolo. Ci si stupisce ancor di più del contrasto tra il personaggio di Paolo come è descritto negli Atti e la figura dell'apostolo che emerge dalle epistole. Il Paolo degli Atti è molto diverso da quello delle epistole. È vero che all'inizio degli Atti come nelle epistole Paolo ci viene presentato come un zelante fanatico, uomo appassionato che infierisce contro i seguaci di Gesù con minacce e omicidi e si rallegra della morte di Stefano. Ma a partire dalla sua conversione il suo carattere appare così dolce, paziente e conciliante che non si riconosce più in lui il vecchio Saulo. Nelle sue epistole, veglia con geloso zelo sulla fede delle sue comunità, scrive la sua epistola ai Galati in preda alla più profonda esasperazione, afferma di non aver ceduto di un dito di fronte ai pilastri di Gerusalemme, i Pietro, Giacomo e Giovanni, e di non essersi sottomesso ai legalisti, grida: «quelli che godono di maggiore stima non m'imposero nulla», [55] e negli Atti questo stesso Paolo non fa alcuna fatica a riconoscere l'autorità dei Dodici! Al cosiddetto concilio degli apostoli tollera addirittura che Pietro, che nelle epistole appare come il più deciso dei suoi avversari, gli interrompa il discorso e si dia lui stesso, contro ogni probabilità, come l'iniziatore della missione tra i pagani, — questo stesso Pietro che è appena evaso di prigione e che, invece di nascondersi, tranquillamente come se nulla fosse accaduto, fa il suo discorso davanti al concilio! Meglio ancora, il Paolo degli Atti anche nei confronti degli ebrei è conciliante fino alla debolezza; è a causa di loro che fa circoncidere Timoteo, [56] che anche al momento del suo ultimo soggiorno a Gerusalemme prende parte al culto ebraico, che si sottomette per ragioni di convenienza ad un giuramento di nazireato, e che, per confondere coloro che pretendono che la sua dottrina minaccia il Tempio e la Legge, conduce con ostentazione la vita di un ebreo attaccato alla Legge. [57] In Atti 24:14 egli confessa davanti al governatore Felice che egli serve il dio dei suoi padri secondo la via della sua setta, e che ha creduto a tutto ciò che è scritto nella Legge e nei profeti. In Atti 28:17 egli assicura agli ebrei di Roma che non ha fatto nulla contro il suo popolo né contro i costumi dei suoi padri. Nelle sue epistole, al contrario, egli fulmina senza posa, maledice e insulta coloro che si oppongono alla sua dottrina dell'abrogazione della Legge da parte di Gesù e che, fedeli alle idee e ai costumi tradizionali degli ebrei, cercano di allontanare le comunità dal Signore Gesù e dalle sue stesse dottrine. Essendo per lui l'emancipazione dalla Legge il frutto essenziale della crocifissione di Gesù, egli dichiara nell'Epistola ai Galati: «Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi; state dunque saldi e non vi lasciate porre di nuovo sotto il giogo della schiavitù. Ecco, io, Paolo, vi dichiaro che, se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. Dichiaro di nuovo: ogni uomo che si fa circoncidere, è obbligato a osservare tutta la legge. Voi che volete essere giustificati dalla Legge, siete separati da Cristo; siete scaduti dalla grazia. Riguardo a voi, io ho questa fiducia nel Signore, che non la penserete diversamente; ma colui che vi turba ne subirà la condanna, chiunque egli sia. Si facciano pure evirare quelli che vi turbano!» [58]

Cosa diviene negli Atti la dottrina di Paolo? Senza dubbio, questo scritto non ignora affatto il principio paolino della giustificazione per la fede e per la grazia di Dio. In Atti 13:39 Paolo insegna che chiunque crede è giustificato dal Cristo in tutte le cose in cui gli uomini non potevano essere giustificate dalla legge di Mosè. [59] È per mezzo del Cristo che i peccati sono perdonati. [60] Paolo e Barnaba esortano gli ebrei e i pii proseliti ad aggrapparsi alla grazia di Dio. [61] I pagani (verso cui si è rivolto il vangelo perché gli ebrei lo hanno rifiutato) gioiscono, glorificano la parola del Signore, e «tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero»; percepiamo qui anche un'eco della dottrina paolina della predestinazione. [62] Gli apostoli fortificano lo spirito dei discepoli. [63] Questi passi e molti altri si riferiscono chiaramente al vangelo di Paolo, [64] e ciò concorda con l'odio degli ebrei che risuona dovunque Paolo vada, motivato dal suo insegnamento. Gli si rimprovera di insegnare agli ebrei della diaspora a rinunciare a Mosè e a servire Dio in una maniera contraria alla legge, a non circoncidere i bambini e a non conformarsi ai costumi. [65]

In Atti 9:20 si vede Paolo immediatamente dopo la sua conversione annunciare nella sinagoga di Damasco che Gesù è il «Figlio di Dio». Negli Atti 12:23 ss. Gesù, conformemente alle credenze messianiche degli ebrei, è presentato come un discendente di Davide, e vi è detto che Dio ha suscitato, secondo la sua promessa, come un Salvatore in Israele, dopo che Giovanni lo ebbe annunciato esortando il popolo al pentimento. È evidente che l'autore degli Atti si ricorda del ministero del Battista come è descritto nei vangeli, tanto più che in quell'occorrenza Paolo, in accordo con Luca 3:8, dà ai suoi ascoltatori il titolo di figli della razza di Abramo. [66] Poi prosegue: «Gli abitanti di Gerusalemme infatti e i loro capi non l'hanno riconosciuto e condannandolo hanno adempiuto le parole dei profeti che si leggono ogni sabato; e, pur non avendo trovato in lui nessun motivo di condanna a morte, chiesero a Pilato che fosse ucciso. Dopo aver compiuto tutto quanto era stato scritto di lui, lo deposero dalla croce e lo misero nel sepolcro. Ma Dio lo ha resuscitato dai morti ed egli è apparso per molti giorni a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, e questi ora sono i suoi testimoni davanti al popolo». Anche queste parole presuppongono la conoscenza del racconto evangelico, e nulla prova che siano state effettivamente pronunciate da Paolo, tanto più che, in questo stesso discorso attribuito all'apostolo, i 450 anni che sarebbe durata l'epoca dei giudici e i 40 anni che sarebbe durato il regno di Saulo [67] sono presi dalle Antichità di Giuseppe. [68] E quando, negli Atti, Paolo annuncia che la promessa fatta ai padri, Dio l'ha adempiuta per i loro figli, resuscitando Gesù, [69] si appella lui stesso al salmo secondo, e non alla storia, proprio come Pietro e Giovanni vedono nello stesso salmo una profezia che annuncia le insidie che gli ebrei e i Romani sotto Erode e Pilato hanno ordito contro il Cristo. [70]

Agli abitanti di Lystra, Paolo e Barnaba recano la buona novella, esortandoli a rinunciare alle loro vane divinità, per rivolgersi al Dio vivente, che ha fatto il cielo e la terra; [71] Paolo resta dunque nei limiti del giudaismo. A Filippi invita il carceriere a credere in Gesù per essere salvato, gli annuncia la parola di Dio e gli insegna a credere in Dio; [72] si può comprendere che gli riveli la manifestazione dell'amore divino nel senso della setta dei seguaci di Gesù. A Tessalonica, spiega agli ebrei «secondo le Scritture» che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti. «Il Cristo, diceva, è quel Gesù che io vi annuncio». [73] Non risulta affatto da questo passo che egli parlasse di Gesù in quanto personaggio storico presentato nei vangeli; ciò non risulta nemmeno da 18:5 dove è detto che Paolo attestava agli ebrei che Gesù era il Cristo. Infatti, abbiamo già appreso che il nome di Gesù era la designazione generale del Salvatore e Servo di Dio afflitto da sofferenze descritto da Isaia; essendo questo Servo di Dio identificato al Messia o Cristo, se ne concluse che il Messia doveva soffrire. 

Ciò che Paolo annunciava agli Ateniesi non sembra aver dato loro l'idea che si trattasse di un personaggio storico; al contrario, sentendo Paolo «annunciare Gesù e la resurrezione», lo presero per un predicatore di divinità straniere. [74] All'Areopago parla agli Ateniesi del Dio ignoto, Signore del cielo e della terra, che ha creato l'universo, che non abita affatto nei templi, che a tutti la vita e il respiro, che non è lontano da nessuno di noi, dà vita e respiro a tutti, che non è lontano da ognuno di noi, in cui abbiamo la vita, il movimento e l'essere. Finora gli uomini hanno vissuto nella sua ignoranza, ma ora egli fa annunciare a tutti «di ravvedersi, poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col resuscitarlo dai morti». [76] A Efeso, Paolo fa di nuovo allusione a Giovanni il Battista, che non battezzava ancora nel nome del Signore Gesù e non comunicava ancora lo Spirito Santo a coloro che si facevano battezzare, e per tre mesi discute delle cose che riguardano il regno di Dio; [76] agli anziani della Chiesa ricorda che annunciava «ai Giudei e ai Greci la necessità della conversione a Dio e della fede nel nostro Signore Gesù Cristo». [77]

Atti 20:24 s. Paolo dichiara che lui ha ricevuto dal Signore Gesù il ministero «di annunciare la buona novella della grazia di Dio». Atti 20:35 cita anche una parola del Signore; ma si sospetta che l'idea, espressa anche in 1 Corinzi 9:8 ss., della gratuità del vangelo annunciato da Paolo, ha ricordato all'autore degli Atti il passo del vangelo dove è detto che c'è più felicità nel dare che nel ricevere, e che egli la pone in bocca a Paolo. Ancora una volta non siamo quindi in presenza di un ricordo storico, tanto più che tutto il discorso di addio dell'apostolo con i suoi oscuri presentimenti del pericolo che lo minaccia a Gerusalemme è troppo chiaramente imitato ai discorsi che Gesù avrebbe pronunciato in circostanze analoghe. Di fronte al sinedrio, Paolo confessa di essere messo sotto processo a causa della speranza e della resurrezione dei morti (!), [78] e ripete quella dichiarazione di fronte al governatore Felice [79] e di fronte al re Erode Agrippa. [80] Parla a Felice e a sua moglie Drusilla della fede in Gesù Cristo, e discute sulla giustizia, sulla temperanza e sul giudizio a venire, [81] senza dubbio perché l'autore degli Atti ha letto in Giuseppe che Drusilla aveva abbandonato il marito per Felice. [82] Ad Agrippa, Paolo informa che, non resistendo alla visione celeste, egli ha predicato il pentimento e la conversione a Dio, con la pratica di opere degne del pentimento, prima a quelli di Damasco, poi a Gerusalemme, in tutta la Giudea e tra i pagani. Aggiunge che non si è discostato in nulla da ciò che i profeti e Mosè hanno dichiarato dover accadere, «che cioè il Cristo sarebbe morto, e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunciato la luce al popolo e ai pagani». [83] Agli ebrei di Roma, egli annuncia il regno di Dio, rendendo testimonianza per la legge di Mosè e per i profeti, cercando di persuaderli di ciò che concerne Gesù; [84] E siccome essi non lo capiscono, Paolo si consola col passo di Isaia dove è detto [85] che Dio ha reso insensibile il cuore di questo popolo e che ha indurito le sue orecchie, affinché la salvezza diventi la condivisione dei pagani, — la stessa citazione e la stessa sequenza di idee che si riscontra nell'epistola ai Romani 11: 8 ss., da dove senza dubbio l'autore degli Atti le ha attinte. 

Tutto ciò che si apprende così della dottrina di Paolo non fa che galleggiare in superficie, sia che l'autore degli Atti abbia mancato di comprensione per quella dottrina, sia che abbia voluto informare i suoi lettori solo sugli Atti degli apostoli senza preoccuparsi troppo delle credenze professate da loro. Se tuttavia c'è un fatto che emerge chiaramente dalla sua esposizione, è che il centro di gravità della predicazione missionaria di Paolo, come di quella di Pietro, era una dottrina dogmatica su Gesù, non l'insegnamento e la propagazione della dottrina di un Gesù storico, né un'esposizione della sua vita. Si è anche detto espressamente che Paolo a Roma insegnava «le cose riguardanti il Signore Gesù»; [86] ciò non può indicare altro che la dottrina su Gesù immaginato in quanto Figlio di Dio inviato da suo Padre celeste per amore degli uomini, dottrina che trae la sua importanza dalla morte propiziatoria del Cristo, dall'imminenza della fine del mondo e dal giudizio finale. Se gli Atti non ci insegnano nulla di Gesù, essi non ce ne insegnano di più sul primo periodo della diffusione della nuova fede. L'autore degli Atti ha per sola tendenza di fare di Gerusalemme il punto di partenza della fede in Gesù: è per questo che è necessario che Stefano sia stato lapidato e che Paolo abbia assistito a quella esecuzione, è per questo che è stato inventato l'episodio della conversione dell'apostolo in cui questi sembra dipendere da Gerusalemme; Paolo rimarrà dunque in seguito subordinato ai discepoli a Gerusalemme, Pietro e Paolo si scambieranno i loro ruoli, Paolo venendo presentato come l'iniziatore della missione tra i pagani. 

L'autore disponeva senza dubbio di due fonti di cui l'una raccontava la storia di Pietro, l'altra quella di Paolo, ciascuna sforzandosi di esaltare il suo eroe a spese del suo rivale, ed egli le combinò come meglio poteva, senza preoccuparsi troppo delle contraddizioni che dovevano necessariamente risultare da quella violenza fatta a due documenti le cui tendenze erano diametralmente opposte.  Ciò che lo preoccupa è presentare all'eccellente Teofilo il cristianesimo nella luce più favorevole, dando un'esposizione delle sue gloriose origini. Si sforza quindi di velare il conflitto tra giudeo—cristiani e gentili cristiani, rappresentati dai personaggi di Pietro e Paolo, e di fare della Chiesa un'oasi di pace, invece di un campo chiuso dove si danno libero corso le passioni delle parti. Vuole anche completare di affrancare i cristiani dai loro legami con la sinagoga, abolire il ruolo che svolgeva, nel piano della salvezza, la Legge ebraica con la sua circoncisione e i suoi riti alimentari, e incorporare i giudeo—cristiani nella nuova unità della religione misterica insegnata da Paolo. Ecco perché è necessario che immediatamente dopo la resurrezione lo Spirito Santo cancelli tutte le differenze che separano i popoli e le lingue, che Paolo, fautore fanatico del legalismo, sia chiamato dal Cristo stesso alla missione tra i pagani, che Pietro sia guidato da visioni miracolose a battezzare un pagano, e che la comunità di Gerusalemme approvi, in una seduta solenne, l'atteggiamento che Pietro e Paolo avevano osservato nei confronti dei cristiani estranei alla Legge. Sembra dunque evidente che questa impalcatura di menzogne non avrebbe potuto essere eretta tra gli anni 60 e 70 del primo secolo, quando gli interessati vivevano ancora, ma al più presto nel primo terzo, forse addirittura, come suppone van Manen, [87] verso la metà del secondo. 

Gli Atti degli Apostoli non sono quindi minimamente un documento storico da cui sarebbe possibile trarre informazioni, anche se solo leggermente certe, sulle origini e sulla diffusione del cristianesimo. È un racconto deliberatamente falsificato dall'inizio alla fine. «L'autore della relazione rivolta all'eccellente Teofilo», dice Hausrath, «è, tra gli scrittori della Chiesa primitiva, il primo (?) che è pienamente consapevole della sua insincerità, e che dà ai fatti l'aspetto che conviene ai suoi scopi». [88] Sarebbe quindi vano cercarvi dati certi sull'Apostolo, sui suoi viaggi o sul suo carattere. Al contrario, su questo punto come sugli altri, tutto è artificiale, inverosimile e privo di valore storico; i teologi di Tubinga lo avevano già constatato, gli sforzi disperati di un Harnack non faranno nulla al riguardo, né quelli delle pecore di Panurge che lo seguono, nonostante il nome di storico di cui si fregiano, e per quanto famosi siano i loro nomi.  

NOTE

[1] Confronta HARNACK, Lukas der Arzt, der Verfasser des dritten Evangeliums und der Apostelgeschichte, 1906; Die Apostelgeschichte, 1908; Neue Untersuchungen zur Apostelgeschichte, 1911. Harnack pensa che gli Atti siano stati redatti dall'evangelista Luca poco dopo l'anno 60 della nostra era; egli attribuisce a Luca anche i «testi in noi» (Wirstücke), dove l'autore parla di sé alla prima persona plurale. Si vede generalmente in questi testi il diario di bordo di un compagno di Paolo, diario che il redattore del libro che conosciamo avrebbe inserito nel suo racconto.

[2] I due apostoli cominciano la serie delle loro guarigioni miracolose facendo camminare un paralitico (3:2; 14:8). Pietro opera gli stessi miracoli con la sua ombra (5:15), Paolo tramite i fazzoletti e grembiuli (19:12). I demoni temono il nome di Pietro (5:16; 8:7) quanto quello di Paolo (16:18; 19:11, 15; 28:9). Se Pietro confonde il mago Simone (8:18), Paolo fa lo stesso con Elima (15:6) e gli esorcisti efesini (19:13). Pietro e Paolo operano entrambi dei miracoli che hanno la natura di castighi (5:1). L'uno e l'altro dispongono del potere di resuscitare i morti (9:36; 20:9). Eutico corrisponde a Tabita, Enea (9:33) al padre di Publio (28:8). Se Cornelio cade in adorazione ai piedi di Pietro (10:25), Paolo, a Listra (14:11) come a Malta, è venerato al pari di un dio, e vi si oppone con parole quasi identiche.

[3] Gioele 3:1 ss.

[4] Marco 5:41.

[5] Confronta HAUSRATH, Jesus und die neutestamentl. Schriftsteller, 1909, 2 147.

[6] Paulus I De Handelingen der Apostel, 1890, 133 ss.

[7] Antichità 4:6, 48.

[8] 21:38.

[9] 5:36.

[10] L. c. 3:15, 3, 20.

[11] 11:27 ss.

[12] 21:20 ss.

[13] 5:1 ss.

[14] 15.

[15] 8:14 ss.

[16] 20:29 ss.

[17] 7:50 ss.

[18] 28:22.

[19] 13:43 ss.; 18:5 ss.; 28:28.

[20] 1 Corinzi 15:32.

[21] 2 Corinzi 11:2 ss.

[22] 26:28.  

[23] Questo è il metodo comunemente usato dagli apologeti del cristianesimo, per esempio quando affermavano che, ad eccezione di Nerone, nessun imperatore romano aveva perseguitato i cristiani. Il cristianesimo fu perseguitato dagli ebrei ma protetto dai romani. L'autore (il falsario? ) degli annali di Tacito 15:44 si ispirava a questo motivo, così come il falsario della famosa lettera di Plinio a Traiano: Come il governatore della Bitinia chiese al suo imperatore un consiglio sull'atteggiamento da adottare nei confronti dei cristiani, così negli Atti degli Apostoli vediamo il Festo romano sottoporre il caso di Paolo al re Agrippa, con il pretesto dell'imbarazzo che l'esame della dottrina insegnata dall'imputato gli avrebbe causato, che Agrippa finì per inviare a Roma nella casa dell'imperatore. Entrambe le storie sono ugualmente poco plausibili. Secondo Hausrath, l'autore degli Atti ha preso in prestito dalla lettera di Plinio le parole attribuite a Paolo, dicendo che egli costringeva i cristiani di Gerusalemme a bestemmiare Cristo (26:11). Infatti, Plinio dice che costringeva i cristiani a bestemmiare Cristo. Hausrath conclude che gli Atti sono stati scritti all'inizio della persecuzione sotto Traiano (l. c. 194 ss.). Sembra che sia vero esattamente il contrario: i termini usati da Plinio sono presi in prestito da Atti, e l'autore di questa lettera, quando descrive i templi abbandonati a causa dei disordini cristiani e i santuari profanati dai seguaci della nuova fede, si ispira alla storia dell'orafo Demetrio di Efeso (19,23 ss.). La lettera di Plinio a Traiano si ispira al discorso di Festo al re Agrippa (25,14 ss.; 21,24-27). Si tratta di un falso realizzato all'inizio del XVI secolo da Giocondo di Verona, e non può essere attribuito a Plinio il Giovane, se non altro per il fatto che non è mai stato governatore della Bitinia... Confronta HOCHART, Studi sulla persecuzione dei cristiani sotto Nerone, 1885, 79-143. La lettera fu dichiarata non autentica non appena fu pubblicata nel XVI secolo. Allo stesso modo SEMLER, AUBÉ (Histoire des persécutions de l'Eglise, 1871, 215 ss.), HAVET (Le christianisme et ses origines, 1884, IV, c. 8), BRUNO BAUER (Christus und die Caesaren, 1897, 268 ss.) e l'opera Antiqua mater di EDWIN JOHNSON, pubblicata senza indicazione dell'autore nel 1887, ne hanno contestato l'autenticità in tutto o in parte. Solo la teologia storicista liberale difende la sua autenticità, perché intende approfittarne per la storicità di Gesù. 

[24] 17:7.

[25] 12:1.

[26] 2:36; confronta 4:10.

[27] 3:13 ss.

[28] L. c. 17.

[29] L. c. 15; confronta 2:33, 5:32.

[30] SMITH, Ecce Deus, 1911, pag. 88.

[31] 10:37.

[32] Luca 24:36 ss.

[33] Atti 1:3.

[34] 20:9.

[35] 28:8 ss.

[36] 17:21 ss.

[37] 27:33, 35.

[38] Colossesi 4:14.

[39] Filippesi 3:2.

[40] 2 Corinzi 2:4.

[41] Galati 1:6.

[42] Confronta STECK, Der Galaterbrief, nach seiner Echtheit untersucht, 1888.

[43] 10; 15:17.

[44] Prot. Monatshefte, 15° anno, 1911, fasc. 7, pag. 283 s.

[45] 8:1.

[46] Paulus, 25, 55.

[47] Zum Problem Paulus und Jesus in Ztschr. f. neutestamentl. Wissenschaften, 1912, 328.

[48] L. c. 23 ss.

[49] 2:15.

[50] 9:1.

[51] 15:8 s.

[52] L. c. fasc. 1, pag. 149, nota. Confronta HAUSRATH, Jesus I, pag. 268.

[53] Confronta HOLTZMANN, Handcommentar 1 358.

[54] Si veda la mia opera: Die Entstehung des Christentums aus dem Gnostizismus, 1924, pag. 243 ss.

[55] Galati 2:5 s.

[56] 16:3.

[57] 21:17 ss.

[58] Galati 5:1 ss.

[59] Confronta pure 17:31.

[60] 13:38.

[61] 13:43.

[62] 13:48.

[63] 14:22; confronta 13:8.

[64] Confronta pure 20:24.

[65] 18:12; 21:21.

[66] 13:26.

[67] 13:20 s.

[68] Antichità 18:3, 1 e 6:14, 9.

[69] 23:32 s.

[70] 4:24-28.

[71] 14:15.

[72] 16:31 ss.

[73] 17:3. 

[74] 17:18.

[75] 17:23 ss.

[76] 19:4 ss.

[77] 20:21.

[78] 23:6.

[79] 24:16, 22.

[80] 26:6.

[81] 24:24 s.

[82] GIUSEPPE, Antichità 20:7, 2.

[83] 24:20, 22 s.

[84] 28:23.

[85] 6:9 ss.

[86] 28:31.

[87] L. c. 159 s.

[88] L. c. 185.

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