mercoledì 2 giugno 2021

IL MITO DI GESÙ (II)

 (segue da qui)


PREFAZIONE DELL'AUTORE.

L'esistenza storica di Gesù non ha bisogno di essere negata, perché a dire il vero non ha mai potuto essere affermata. Ciò che l'antichità cristiana afferma di Gesù è proprio una realtà nell'accezione generale del termine, ma non è una realtà storica nel senso moderno. Quando la cosiddetta scuola storica o critica, contrariamente ad ogni spirito critico, ha sostituito all'antica idea di realtà il senso che gli si presta oggi a questo termine, immaginandosi che così tutto sarebbe andato per il meglio, essa ha commesso una negligenza filosofica e un peccato di omissione. Come se avesse una benda sugli occhi, lo storicismo cristiano si è buttato a capofitto nell'affermazione della realtà storica di Gesù, senza nemmeno domandarsi se non si tratti  qui di una realtà del tutto diversa, per esempio di una realtà pragmatica o metafisica conforme all'ingenuo concetto di realtà che avevano gli antichi. La colpa iniziale è di non aver tenuto conto delle trasformazioni e dell'evoluzione della nostra idea di realtà. Certe cose che, per le concezioni antiche, erano perfettamente possibili, vale a dire che si trovavano entro i limiti della realtà, sono relegate al di fuori di questi limiti dalla nostra idea di realtà. 

H. RASCHKE.

Ho l'onore di presentare al lettore il mio Mito di Gesù sotto una forma completamente ringiovanita e rielaborata. Appena 25 pagine della vecchia edizione sono state conservate, tutto il resto è stato riveduto, corretto, sviluppato, adattato allo stato attuale della questione; allo stesso modo, la seconda parte del mio Mito di Gesù, apparsa nel 1911 e da tempo fuori stampa, è stata incorporata nella presente edizione, meno ciò che riguarda la polemica, quest'ultima avendo ora compiuto la sua funzione. 

Con i miei altri scritti intitolati: Il Vangelo di Marco testimone contro la Storicità di Gesù (1921), Gli Astri nella Poesia e nella Religione degli Antichi e dei primi Cristiani, un'introduzione alla mitologia astrale (1923), Lo Gnosticismo padre del Cristianesimo (1924) e La Leggenda di Pietro, quella nuova edizione del Mito di Gesù dà l'insieme dei risultati del mio lavoro sul problema di Gesù. Non si potrà quindi minimamente rimproverarmi di aver trattato questo soggetto alla leggera. Se alcuni, colpiti dai risultati nettamente negativi del mio lavoro, reclamano la controparte positiva dal punto di vista religioso, posso solo rinviarli alla mia opera: Come Dio si realizza nella Religione. Esame filosofico del fenomeno religioso (1906) così come al mio opuscolo: Religione libera. Per servire al progresso del sentimento religioso, pensieri dedicati a coloro che cercano Dio (1921). Io segnalo loro questi due scritti pur sapendo che i miei avversari teologi non si priveranno di avvalersi di nuovo di quella indicazione per rimproverarmi di non aver affrontato senza preconcetto il problema della storicità di Gesù, col pretesto che avrei un interesse filosofico e religioso a negarla. Risponderò solo che nella mia veste di filosofo il mio unico interesse è servire la verità, e il mio solo desiderio sarebbe di avere avversari altrettanto sinceri. 

È sufficiente purtroppo gettare un colpo d'occhio sulle controversie suscitate dal Mito di Gesù per rendersi conto che i miei avversari mancano, gli uni delle capacità richieste, gli altri di lealtà, ma il più delle volte di entrambe nello stesso tempo, e in ogni caso di sincerità. Nel mondo degli studiosi non si vede quasi mai una buona causa, o presunta tale, difesa con l'aiuto di mezzi così inadeguati, persino pietosi. Diviene sempre più evidente che gli avversari mancano totalmente di argomenti, e che anche degli eruditi rinomati hanno subito l'influenza dalla prospettiva teologica: quest'ultima ha così ben distorto loro la mente che non percepiscono più nemmeno le più semplici concatenazioni dei fatti. Attualmente i teologi fingono di credere che la questione del Mito di Gesù ha trovato la sua soluzione, e che essi stessi hanno trionfato nella controversia. È vero che grazie ai loro metodi tattici, all'influenza che esercitano sulla stampa, alla  stima in cui li tiene la gente, sono riusciti temporaneamente ad addormentare l'opinione pubblica e a disinteressarla al problema di Gesù, successo che è stato facilitato loro dalla guerra. Ma — non potrebbero illudersi a questo punto — tutto ciò non è sufficiente per insabbiare la questione.

Ciò che, oltre al pregiudizio religioso secolare, avvantaggerà sempre la parte avversa, è l'inerzia delle masse, la loro riluttanza ad abbandonare i metodi abituali del pensiero che sono stati inculcati loro fin dalla loro infanzia, e a sostituirli con metodi più complicati che impongono all'intelligenza un lavoro inconsueto. Chi dunque, tra il pubblico, conosce effettivamente i vangeli? Chi, quindi, ha più che una vaga nozione di ciò che contiene il Nuovo Testamento, più che lontani ricordi risalenti all'istruzione religiosa o al catechismo, rievocati qua e là da qualche richiamo frammentario dovuto all'ascolto casuale di qualche sermone? Agli occhi di quasi tutti, Gesù è semplicemente l'uomo ideale di cui ciascuno si fa un'immagine a modo suo, prestandogli tratti attinte da fonti del tutto diverse dai documenti. Pochissimi sono, al di fuori degli eruditi specializzati nella materia, coloro che hanno idea della complessità dei problemi che pone la lettura delle Scritture. In tali condizioni gli avversari hanno buon gioco nel far passare il loro punto di vista come il solo ammissibile e ragionevole. Quel che dice Steudel è giustissimo: «Quando si può raggiungere una verità solo dopo essersi fatta luce attraverso le fitte boscaglie e la  vegetazione lussureggiante di idee fabbricate da una forma di pensiero che ci è del tutto estranea, e dopo aver assimilato gli elementi di una sfera di civiltà da tempo scomparsa, quella verità diventa difficilmente popolare, soprattutto se le si deve sacrificare pregiudizi inveterati che vi stanno a cuore, e che la collettività ha coltivato con cura per secoli. Tale è il caso del problema di Gesù, che da una ventina d'anni è divenuto di attualità».

Comunque, pur inveendo contro il Mito di Gesù e trattando sdegnosamente la presente opera, i teologi hanno giudicato prudente cambiare da cima a fondo i metodi del loro studio della vita di Gesù; si sono messi in cerca di nuovi argomenti a favore della sua storicità, e affermazioni più ponderate hanno presso il posto delle vecchie declamazioni entusiaste che dedicavano al loro eroe. Già alcuni teologi si gettano tra le braccia di un Rudolph Steiner, chiedendogli di fornire per chiaroveggenza le prove dell'esistenza di Gesù e sostituendo al Gesù storico della presunta teologia critica il Cristo cosmico degli antroposofi. È in ogni caso certo che la confidenza cieca con la quale si credeva un tempo alla storicità di Gesù è profondamente scossa, e che non rinascerà mai. Il teologo Albert Schweitzer riconosce che «il fondamento storico del cristianesimo, come è stato posto dalla teologia razionalista, liberale e moderna, non esiste più». [1] Il terreno scivola via sotto il culto esaltato che il popolo consacra a Gesù, e la teologia liberale non si ispira più a nessuna idea propria avente qualche valore religioso, essa non vegeta più che grazie all'inerzia e alla mancanza di riflessione dei suoi aderenti. 

Se ci si domanda come si spiega la genesi del cristianesimo in assenza del Gesù storico, si troverò la risposta a quella domanda nella mia opera intitolata Lo Gnosticismo Padre del Cristianesimo. [2] Esso dimostra che il problema può essere risolto altrettanto bene e perfino meglio se si scarta l'ipotesi dell'esistenza storica di Gesù. Ancora una volta si dimostra così il famoso principio scientifico che vieta di moltiplicare inutilmente le ipotesi. Il Gesù storico fa assolutamente la funzione di una quinta ruota, quella ipotesi non spiega nulla, essa non fa altro che accumulare difficoltà in modo intollerabile.

Nel frattempo, il problema della storicità di Gesù è entrato in una nuova fase grazie all'opera del teologo Hermann Raschke intitolata Il laboratorio di Marco evangelista. [3] L'autore sembra aver finalmente trovato la soluzione del problema delle origini del più antico dei vangeli: egli mostra che è l'opera di uno gnostico della scuola di Marcione in opposizione alla Chiesa ufficiale, a meno che non sia il famoso Vangelo di Marcione stesso; una nuova luce illumina gli episodi che lo costituiscono e la cui origine, come dimostra l'autore, deve essere ricondotta a giochi di parole in lingua siriaca. I punti che avevo dovuto lasciare in sospeso nella spiegazione che, con l'aiuto dell'Antico Testamento e dei dati dell'astronomia, avevo tentato io stesso del racconto marciano, ricevono così una soluzione più precisa. Diventa sempre più evidente che questo vangelo, lungi dall'essere l'opera di un contenuto ingenuo, è il risultato complesso di tendenze e di prospettive molteplici, combinate nella maniera più artificiale. Cosa di più istruttivo della dimostrazione fatta da Raschke della differenza fondamentale che esiste tra l'antica idea di realtà e quella che la nostra epoca deve al suo spirito storico, differenza sulla quale io stesso ho insistito tante volte. Quando ci si è ben resi conto di quella differenza, si resiste assai meno di quanto si credesse di doverlo fare in passato all'affermazione della natura mitica del Cristo. In ogni caso, nessuno potrà fare all'opera citata l'accusa facile e presuntuosa di dilettantismo, e si può sperare che essa contribuisca in larga misura a scuotere l'opinione generalmente accettata che crede di poter decidere il problema della storicità di Gesù collocandosi semplicemente dal punto di vista del presunto buon senso, e perfino di una mente rudimentale o di un fanatico esaltato.

Carlsruhe, maggio 1924. 

ARTHUR DREWS.

NOTE

[1] Geschichte der Leben-Jesuforschung, 1913, 2° edizione, pag. 632.

[2] Die Entstehung des Christentums aus dem Gnostizismus, 1924.

[3] Die Werkstatt des Markusevangelisten, 1924.

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