lunedì 1 marzo 2021

IL MITO DI GIUDATesi Mitica e Ipotesi Biografica

 (segue da qui)

VI. — TESI MITICA E IPOTESI BIOGRAFICA

Ma, si potrebbe chiedere, se accettiamo la storicità di Pietro e Paolo, nonostante tutte le falsificazioni dei loro documenti ed epistole, come negheremo la storicità di Gesù? Quella è una grande questione, da non trascurare per la questione fondamentale relativa alla storia del tradimento, sebbene quella storia sia uno degli indizi essenziali. È sufficiente notare a questo punto come la tesi mitica spieghi elementi nella narrativa evangelica che persino la scuola biografica, prendendosi infinite libertà con i testi e moltiplicando ipotesi senza garanzia documentale, trova imbarazzanti.

Il dottor Albert Schweitzer, ad esempio, segue il processo di disintegrazione critica più recente dei vangeli fino al punto in cui, come dichiara giustamente, l'attuale concezione «liberale» o biografica di Gesù è praticamente spazzata via, nella misura in cui è diventata un semplice tessuto di contraddizioni. Poi lui tenta di stabilire una nuova soluzione biografica, che sostituirà un resoconto credibile ad un resoconto incredibile del cambiamento della moltitudine contro Gesù quando Pilato cerca di salvarlo. Il dottor Schweitzer ha visto, con l'aiuto di Volkmar, che la storia del tradimento così com'è è un'invenzione inutile, ma aderisce all'Ingresso Trionfale, al Rifiuto, e alla Crocifissione; e la sua stessa tesi personale richiede un tradimento di qualche tipo. [1]

La storia evangelica del Rifiuto è davvero sorprendente. L'operatore di miracoli che qualche giorno prima era stato acclamato da tutta la popolazione come il figlio di Davide è accolto dalla stessa moltitudine con il ruggito di «Crocifiggilo» — questo come conseguenza delle improvvise cospirazioni segrete dei sacerdoti. Come afferma Schweitzer, un tale voltafaccia di un'intera popolazione in così poco tempo, senza nessun motivo, è incredibile.

Come lo spiega allora? Con la stupefacente proposizione [2] che ciò che fece Giuda non fu «tradire» Gesù nei termini della storia scritta ma fu comunicare ai sacerdoti quello che loro non sapevano, che Gesù aveva dichiarato privatamente di essere il Messia, e che fu per la diffusione di questa conoscenza tra la gente che furono indotti ad esecrare l'uomo che avevano acclamato. Affermare di essere il Messia, sostiene il dottor Schweitzer, equivaleva a commettere blasfemia. Dobbiamo rispondere prontamente ed energicamente che non era nessuna cosa del genere. Asserire che il popolo ebraico avesse aspettato da tempo collettivamente un Messia, e che allo stesso tempo ritenessero blasfemo chiunque rivendicasse di esserLo, equivale ad avanzare un puro controsenso. Bar Kochba non fu accusato di blasfemia quando fece la sua rivendicazione, sebbene fosse stato liberamente denunciato quando fallì. Il discorso di «falsi Cristi» nel Nuovo Testamento suggerisce la frequenza. Il Gesù evangelico, nelle presunte circostanze, non sarebbe stato esecrato a livello popolare; e la ricordata esecrazione, presa assieme alla storia dell'ingresso trionfale, è incredibile e incomprensibile. [3]

Se, inoltre, i sacerdoti procedettero con la popolazione come suggerisce Schweitzer, quel fatto doveva essere diventato noto ai Crististi, se il resto della storia fosse stata vera. Si presume che i discepoli avessero preso conoscenza dei processi nei quali non furono presenti: come mai allora avrebbero dovuto mancare di ascoltare cosa aveva fatto veramente Giuda? Né per i sacerdoti era necessario, come recita la storia, ricavare qualche informazione da Giuda per mettere in discussione Gesù quanto alle sue rivendicazioni messianiche. L'ingresso trionfale, come descritto nei sinottici, ha una natura distintamente messianica, sebbene Schweitzer non lo ammetta.  L'unica conclusione aperta allo studioso strettamente storico è che nessuno dei due episodi prese luogo; che non vi era stato nessun ingresso trionfale; e che la storia di Barabba, che Loisy ammette essere non-storica cosi com'è, punta a qualcosa di profondamente diverso dalla storia evangelica — un antico sacrificio annuale di Barabba, un sacrificio umano rituale del «Figlio del Padre», i cui dettagli relativi alla probabilità storica sono stati altrove esposti pienamente. [4]

 Ritornando, comunque, alla storia di Giuda, e limitandoci a quella, troveremo nella tesi mitica una soluzione di tutte le anomalie che abbiamo appena esaminato. Interpretata come un'invenzione gentile per screditare i  giudeocristiani e i Dodici, è facilmente comprensibile. Un'ipotesi probabile è che, in una forma successiva del dramma misterico che si può vedere [5] sottostante ai capitoli evangelici del tragico finale, vi figurasse un traditore che tradizionalmente riceveva il prezzo del sangue, dato che la vittima sacrificale veniva sempre «comprata con un prezzo». Naturalmente il traditore avrebbe potuto essere chiamato proprio Judaios, «un Giudeo»; sebbene sia possibile che la storia veterotestamentaria del tradimento di Giuseppe da parte di Giuda e dei suoi dieci fratelli avrebbe potuto suggerire il nome di Giuda. In ogni caso, il traditore, nel dramma misterico, avrebbe probabilmente portato una borsa per ricevere i suoi trenta sicli, che, lo si ricordi, era il prezzo consueto di uno schiavo. Fare di un Giuda il traditore, e renderlo uno dei Dodici, sarebbe stato un modo semplice, per i cristiani gentili, per scagliare nuovo odio sulla parte giudaica.

Il Nome Iscariota. — L'enigma, infatti, non è letto completamente fino a quando non apprendiamo come mai il marchiato discepolo venne ad essere etichettato Giuda Iscariota. La maggior parte degli studiosi sembra essere soddisfatta dal fatto che il greco Ἰσκαριώθ, o Ὶούδας ὁ Ὶσκαριώτης, Giuda l'Iscariota, sta per un aramaico Giuda Ish-Kerioth, 'l'uomo di Kerioth', o Karioth, un piccolo villaggio di Giudea.  Ma questo sarebbe un modo anormale di nominare qualcuno, non applicato a nessun altro apostolo; Wellhausen lo ha persino dichiarato filologicamente impossibile; e ci sono state altre speculazioni. L'abile filologo Dalman, nel suo trattato 'Le Parole di Gesù', [6] pensa che «c'è ogni probabilità che Ἰσκαριώθ, senza l'articolo, fosse la lettura originale da cui sorse per incomprensione tanto Ὶσκαριώτης quanto Σκαριωθ e Σκαριώτης». Il professor Blass, d'altra parte, pensa che in Luca (6:16; 22:3) Giuda fosse chiamato in origine Skarioth, come nel Codex D in 6:16; mentre ancora un altro filologo, Schulthess, ritiene che «Iskariota» nella traduzione siriana significhi soltanto Sicarius = brigante. [7]

«È una congettura plausibilissima», sintetizza Dalman, «che Ἰσκαριώθ fosse già incomprensibile all'evangelista». Se è così, potrebbe essere proprio altrettanto incomprensibile per noi. Nelle circostanze, comunque, un interesse particolare riveste la tesi del professor W. B. Smith, il quale, dopo un esame dei commentatori filologici, sostiene che «noi dobbiamo respingere in quanto impossibile l'interpretazione accettata 'Uomo di Karioth', e allo stesso tempo l'idea che il termine sia assolutamente gentile». Le conclusioni del professor Smith sono (1) che il siriaco Skariot sia un epiteto equivalente al verbo ebraico sikkarti = Io consegnerò; (2) che il presunto soprannome sia quindi, come ipotizzò Wellhausen, semplicemente un epiteto dispregiativo; e (3) che, dato che «Giuda» era probabilmente considerato equivalente a Ioudaios (Judaeus), il significato rimanente sia proprio «il Giudeo Traditore». [8]

Se dovesse essere stabilita la tesi molto interessante che Skariot era solo un epiteto che vuol dire «traditore», il problema è sostanzialmente risolto nei termini della tesi mitica. Giuda è una volta per tutte non semplicemente una persona non-storica ma un funzionario tradizionale, la persona che nel dramma misterico recitava la parte del «consegnatore» della vittima divina, per praenomen.

E così ci sbarazziamo di «questa straordinaria condotta di Giuda», che ha così sconcertato persino Milman, con  rumoroso divertimento di Carlyle. La spiegazione razionale dell'intero mistero è proprio che esso non accadde mai — la risposta che ha eliminato così tanti misteri fasulli nella storia naturale e nella fisica. E uno potrebbe supporre, come anzidetto, che nessuno se non gli immutabili zeloti del credo storico sarebbero così felici di eliminare il problema della «straordinaria condotta di Gesù», che nei vangeli non fa alcun tentativo di trattenere il discepolo dal commettere tradimento. Gli si fa dire al ladro penitente, che si riconosce degno di morte per i suoi crimini: «Questo giorno tu sarai con me in paradiso» — un altra negazione della sequela evangelica, e della dottrina cristiana in generale. Il discepolo errante e penitente è apparentemente abbandonato alla perdizione.

Lo studioso storico, ovviamente, non può accreditare la storia del ladro penitente più di quella del tradimento di Giuda. Anche questa è una delle mille invenzioni che costituiscono la narrativa evangelica. Si verifica solo in Luca, che per sua stessa ammissione è compilato a partire da molti vangeli e, così com'è, contiene sicuramente una moltitudine di aggiunte posteriori. In Marco i due ladri sono crocifissi con Gesù — come molte delle antiche versioni lo presentavano, seguendo l'indizio testuale indicato in Luca (22:37) — al fine di adempiere la scrittura che diceva «E fu annoverato tra i malfattori». Ora sappiamo che in certi antichi sacrifici umani la vittima speciale era collocata tra altre due. Ma in Marco «anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano»; e in Matteo è lo stesso. La storia di Luca è un'invenzione teologica successiva.

 Ideali in Competizione. — L'ideale cristiano soffre così evidentemente delle strane incongruenze tra la narrativa evangelica e la dottrina che possiamo comprendere facilmente la dichiarazione dell'esimio professor Schmiedel secondo cui non avrebbe fatto alcuna differenza alla sua coscienza religiosa, come cristiano, se si dimostrasse che Gesù fosse una figura interamente non-storica. Questa è in effetti la posizione assunta da Strauss nella sua prefazione originale del 1835. «L'autore», scrive, «è consapevole che l'essenza della fede cristiana è perfettamente indipendente dalla sua critica. La nascita soprannaturale di Cristo, la sua resurrezione e ascensione, rimangono verità eterne, qualunque dubbio si possa gettare sulla loro realtà come fatti storici......Una dissertazione al termine del suo lavoro», aggiunge, «mostrerà che il significato dogmatico della vita di Gesù rimane inviolato». 

E, a mia conoscenza, ci sono chierici colti e stimati in questo paese che reggono tranquillamente un tale punto di vista, che ha ricevuto una certa rilevanza filosofica ad opera di T. H. Green. Alcuni, con lui, fanno risalire il loro ideale al quarto vangelo, certamente non storico. Procedono, suppongo, a trovare i «valori» dei vangeli nel loro insegnamento etico — separando, naturalmente, i documenti grossolanamente immorali della salvezza per fede, e della dannazione per l'incredulità, dall'etica umanista del Discorso della Montagna. E quando procediamo a sottolineare che il Discorso della Montagna è altrettanto non-storico come le narrative; che per l'ammissione di studiosi competenti non può essere stato un Discorso pronunciato; che è dimostrabilmente una compilazione letteraria; che ogni elemento in esso, fino alla forma delle Beatitudini, è pre-cristiano; proprio come le espressioni «il Figlio dell'Uomo» e «il Figlio di Dio» sono pre-cristiane; e che il «meglio» in teoria dell'etica idealista, la non-resistenza ai nemici e l'amore per i nemici, è antico tanto quanto l'età dei Maccabei — quando segnaliamo tutto questo, i coltivatori dell'ideale, si presume, replicheranno tranquillamente, con il dottor Montefiore, che ciò non importa per loro; che la figura ideale e l'insegnamento ideale sono «valori» e sono come tali, per loro, del tutto sufficienti.

Così sia, per loro. Dopo che una gran parte del mondo ha vissuto religiosamente per quasi duemila anni su una fede in una tesi impossibile dell'universo, associata ad una storia impossibile dell'origine dell'istituzione del suo credo, il sistema potrebbe ben continuare a sussistere per un po' grazie a ministri volenterosi che conoscono la sua irrealtà storica. Così i culti di Brahma e Bel e Amon ed Osiride e Zeus e Apollo perdurarono per molti secoli ad opera di sacerdoti ugualmente illuminati e forse benevoli, che predicavano ad una moltitudine irragionevole, e utilizzavano templi grandi e magnifici che nessun uomo sano di mente avrebbe cercato di rovinare. 

Ma, dopo tutto, i credi visionari col tempo si estinguono, e i templi cessano di funzionare, prima dell'«inimmaginabile tocco del tempo». Nuove realtà, nuove visioni della realtà passata, generano nuova azione; e la trasmutazione è nei termini della quantità di cognizione e di comprensione, e di energia per il cambiamento, dell'insieme dei nuovi spiriti che subentrano sulla scena. Sempre i credi e i templi stanno decadendo o impercettibilmente oppure rapidamente; ed è in virtù del senso di realtà prevalente nel tempo presente che essi reggono o svaniscono. Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!

Infatti c'è un altro ideale ora corrente tra gli uomini. L'ideale di coloro che, cessando di credere nella realtà della storia di Gesù, si aggrappano ad essa come ad un simbolo o un compendio, potrebbe essere definito un ideale di Bontà e di Bellezza Morale distaccato dall'ideale della Verità. Ma vi rimane per il resto di noi l'ideale della Verità, come l'unica sicurezza per una bontà e una bellezza che possano durare. Bellezza e bontà, invero, devono essere realizzate non sotto il concetto principale di verità, dato che sono innanzitutto percepibili e desiderabili in sé e per sé; ma altrettanto poco si devono cercare o trovare per via di una negazione della verità.  La bontà divorziata dalla verità è in sé una concezione zoppicante, un pessimismo morale; e una bellezza morale a sua volta così divorziata si trova proprio nello stesso caso.

I devoti ben intenzionati dell'Ideale cristiano sono sotto un fardello di cui non possono sbarazzarsi, il fardello dell'errore morale e del carattere immorale ovunque invischiato nella dottrina in cui trovano bellezza. Poiché l'ideale intuitivo della bontà deve essere purificato solo mediante la lealtà allo spirito di verità. È nell'ultimo e più sistematicamente fittizio dei quattro vangeli che noi leggiamo l'oracolo che condanna sé stesso e tutti coloro che pensano di manipolare essenzialmente la verità negli interessi del benessere umano: «La Verità vi farà liberi». Quell'oracolo è servito per un'epoca che ha pensato di trovare la verità per mezzo dell'autorità e non per mezzo della ricerca. La nuova epoca cerca la verità trascurando oracoli e cercandola per mezzo dei poteri liberati della mente umana. E se i livelli della vita mentale devono elevarsi e non cadere, è la verità così ricercata e così trovata che prevarrà. 

Infatti c'è qualcosa di essenzialmente demoralizzante nel moderno approccio ufficiale di continua riverenza nei confronti di documenti che perfino sotto un'esposizione ufficiale sono rivelati progressivamente un tessuto di interpolazioni, fatto da uomini sprovvisti del senso di veridicità letteraria. Burkitt ha confessato [9] molto candidamente, eppure stranamente,  che «la pietà letteraria è una qualità — non andrò al punto di definirla una virtù assoluta — che difficilmente fa la sua comparsa nella cristianità prima del 150 E.C. Invero, non ce n'è molta da trovare perfino allora». Per «pietà letteraria» leggi «veridicità letteraria o storica», e allora sorge la domanda sul perché il dottor Burkitt non considera tale qualità una virtù assoluta. Non è che vedrà nel suo contrario un vizio? Per studiosi attenti egli sta ammettendo che i compilatori e gli interpolatori dei vangeli erano uomini non veritieri. Se la nostra evoluzione letteraria ed accademica deve concludersi in un consenso che in un tale stato di cose non ci sia nulla di male, quest'ultimo stato del cristianesimo sarà davvero peggiore del primo. Accusato di irrazionalità, difficilmente può trarne profitto facendo luce su una vasta appropriazione morale. La rovina etica del Nuovo Testamento risiede nel fatto che congiunge per sempre una dottrina dell'amore ad una propaganda di odio, dal suo primo libro all'ultimo, rivelando così nella dottrina dell'amore una nuova forma di «Fariseismo». Se a quella crepa interiore vi si deve aggiungere la pretesa di edificare fede e speranza su un processo di frode, davvero non vi resterà lasciata una pietra su un'altra.

NOTE

[1] Il dottor J. Warschauer, che nella sua Historical Life of Christ (dedicata al dottor Schweitzer) segue il dottor Schweitzer in questo come in altri punti, scrive (pag. 297) che la domanda Cosa fu che Giuda tradì? è stata “quasi mai posta altrettanto seriamente”. Nella misura in cui questo suggerisce che la domanda “Cosa c'era da tradire?” non è stata quasi mai posta, va notato che il dottor Schweitzer, che aveva posto la domanda nella forma prima citata, procedeva dalla sfida di Volkmar; che la questione fu sollevata, come notata sopra, da due scrittori inglesi, come pure dallo studioso francese Derenbourg, negli anni sessanta; di nuovo, da Cox, nel 1895; di nuovo, molto decisamente, dal professor Cheyne nell'Encyclopaedia Biblica; e dal signor P. C. Sense nel 1901. Inoltre, la non storicità della storia del tradimento fu affermata (oltre che dalla propaganda generale della tesi mitica) da G. Marquardt nel 1900, nella sua monografia Der Verrat des Judas Ischarioth: eine Sage; di nuovo da Karl Kautsky nel 1908 nel suo Der Ursprung des Christenthums (pag. 588); di nuovo dallo studioso ebreo Louis Germain Lévy, nel settimanale francese Les droits de l'homme, 23 aprile 1911, in un saggio intitolato Que Judas le Traitre n'a jamais existé; di nuovo dal dottor G. Schläger, nella tedesca Zeitschrift für die Neutestamentliche Wissenschaft, nel 1914, in un abile articolo su Die Ungeschichtlichkeit des Verraters Judas, con nuovi argomenti; e di nuovo, nello stesso periodico nel 1916, in un articolo molto dotto del signor Platts, che pone la domanda “Perché la comunità cristiana primitiva dava peso alla tradizione delle storie di Giuda?”. Si aggiunga che, come notato sopra, il problema è stato ultimamente sollevato dal dottor Jacks nel Hibbert Journal, e che è stato ripetutamente sollevato dal presente scrittore negli ultimi trentacinque anni, e i fatti sono ampiamente in vista. L'apatia degli esegeti di professione sull'argomento, per cui il dottor Warschauer esulta, rientra nel modo ordinario del silenzio ufficiale inglese. Ma il dottor Warschauer, del resto, sembra aver approfittato poco come chiunque altro dalla lunga discussione. 

[2] Cosa che, come abbiamo visto, il signor Middleton Murry sviluppa in un'accusa che Gesù avesse una «intesa segreta» con Giuda. 

[3] Confronta le opinioni di Wellhausen, come citato dal dottor Montefiore nel suo Commentario sui Sinottici, 1, 356. 

[4] Si veda Pagan Christs, 2° edizione, pag. 146, 162, 182, 185, 186, 199; The Historical Jesus, pag. 170 seq.; e The Jesus Problem, pag. 31-39.

[5] Si veda di seguito, Parte 2, sezione 3. 

[6] Traduzione inglese 1902, 1, 51.

[7] Klausner, come citato, pag. 285 nota.

[8] Ecce Deus, 1912, pag. 303—317.

[9] The Gospel History and its Transmission, 3° edizione, pag. 15.

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