martedì 2 marzo 2021

IL MITO DI GESÙLa Posizione Neo-Unitariana

 (segue da qui)

PARTE II

IL MITO DI GESÙ

I. — LA POSIZIONE NEO-UNITARIANA

Naturalmente sarebbe ingiusto per la maggioranza attiva del clero del giorno supporre che loro eseguono o eseguirebbero il culto dopo aver realizzato che esso è storicamente irreale. Quando il vescovo Gore espone il Discorso della Montagna egli non dubita per un momento di star esponendo le parole realmente pronunciate da «Nostro Signore», che lui chiama così o credendolo Dio Incarnato oppure venerandolo come il più saggio e il più nobile di tutti gli esseri umani. E a quell'approccio il clero accademico deve conformarsi. Il decano Inge, che forse non è indiscreto designare come il più compiuto Sadduceo dell'epoca (sebbene un grande Scriba), riconosce chiaramente che, per gli obiettivi medi della Chiesa di Inghilterra, essa non ammetterebbe mai che il Gesù evangelico sia semplicemente un «Eroe del Culto», al pari di Adone o di Attis.

Infatti, qualunque possano essere i poteri dei religiosi sinceri come il professor Schmiedel nel modo ideale di adorazione, il contribuente britannico non acconsentirà mai a sostenere una Chiesa Cristiana di Stato i cui capi accreditati riconoscono che Gesù Cristo non è mai realmente esistito. I Decani e i capi devono trovare una soluzione più praticabile rispetto a quella, sia essa Unitariana o Trinitaria. Come sostiene un prode campione dell'ortodossia: «Il cristianesimo di Green è un semplice fantasma, e qualunque sia la sua validità speculativa, non ha nulla dell'efficacia di un vangelo». [1] Il campione stesso prende la via sicura di superare i dubbi a suon di retorica, per la quale c'è sempre un facile pubblico.

Green, infatti, era su questo punto il discepolo di Strauss, che in gioventù possedeva la certezza hegeliana di dire al mondo che i critici che supponevano di star distruggendo la «verità» della fede cristiana coll'esporre l'incredibilità della storia evangelica fossero «frivoli». Strauss era perfettamente serio. Egli non stava dicendo, come potrebbe dire un filosofo umorista, che fosse ridicolo aspettare di sbarazzarsi di un sistema ecclesiastico venerato e stabile semplicemente mostrando che le narrazioni evangeliche non sono più vere delle storie degli dèi di Omero ed Esiodo, o della religione di Iside e Osiride, visto che sacerdozi stipendiati non furono mai travolti da questa critica. Strauss non aveva nessun umorismo per queste questioni. Egli stava spiegando seriamente che, sebbene Gesù non fosse per niente come quello che dicevano i vangeli, c'è un senso filosofico per cui Dio si incarna nella razza umana, e per cui il sistema cristiano può essere riadattato abbastanza profondamente e proficuamente a quel punto di vista. 

A una mente non hegeliana, si potrebbe dire che il trattato conclusivo in cui Strauss elabora questa struttura astratta rappresenta la solenne «frivolezza» sollevata alle più alte vette di verbosità. Anche in Germania non contava praticamente per nulla contro il senso comune di veracità, sia per i credenti che per i non credenti; e nella sua vecchiaia, scrivendo il suo libro su 'La Vecchia Fede e la Nuova', Strauss era contento di ignorare la sua antica fantasia hegeliana. Gli adoratori dell'Ideale vi erano senza dubbio in Germania come altrove; ma la Cristologia in Germania come in Inghilterra ha continuato ad evolversi sulle vecchie linee — sempre mutevoli, cioè, nelle sue forme, ma sempre procedendo dal presupposto che da qualche parte sotto il tessuto di favole e di finzioni nei vangeli vi debba trovarsi una Personalità di qualche tipo, che insegnò Qualcosa, che in qualche modo dev'essere riesumata.

La moda del professor Albert Schweitzer in Inghilterra illustra la procedura. Per un periodo quell'entusiasta dotato e versatile era in grande favore per aver mostrato che il tentativo «liberale» o neo-unitariano di esporre un Gesù storico era collassato, e che i proponenti della tesi mitica, i cui libri (quando non tedeschi) egli falsificò assurdamente senza averli letti, stavano parlando di mere assurdità. Allora, piuttosto rapidamente, ci si rese conto che questa critica distruttiva dei critici contava piuttosto contro che per la fede, e ci fu una reazione. Il defunto professor Sanday aveva tenuto un corso di lezioni in memoria di Schweitzer a Oxford e a Cambridge nel 1907, causando, ci viene detto, «un furore tra gli uomini più giovani». Loro dovevano aver supposto, con il venerabile conferenziere, che accumulare le Vite Neo-Unitariane di Gesù doveva in qualche modo restaurare o rafforzare la fede che fu trasmessa ai santi. Quando il libro in questione fu tradotto (1910) sotto il titolo 'La Ricerca del Gesù Storico' e pubblicato con una prefazione del professor F. C. Burkitt, si scoprì che le persone più entusiaste erano i sostenitori della tesi mitica;  al che il professor Sanday spiegò pateticamente nel Hibbert Journal (1911) che egli era stato troppo frettoloso nel supportarlo. 

Lo era sicuramente stato. La concezione di Schweitzer su Gesù, sebbene eloquentemente assertiva della storicità di Qualcuno, che o insegnò oppure credette Qualcosa, è molto più distruttiva della credibilità dei vangeli come ricordi di quanto lo siano le divergenti ricostruzioni biografiche delle scuole Neo-Unitariane da Renan in poi. Le sue affermazioni sono semplicemente deduzioni raggiunte da lui con ipotesi emotive che non hanno maggiore giustificazione scientifica di quelle di Renan. [2] E quello sembra essere il motivo per cui, a dispetto della triste defezione del professor Sanday, egli possiede ancora un seguito religioso.

È stato uno di quei seguaci a tradurre nel 1913 un suo lavoro precedente, di cui il titolo tedesco era stato 'Il mistero della Messianicità e la Passione: Una Bozza della Vita di Gesù', ma che nella versione inglese [3] appare come 'Il Mistero del Regno di Dio', con il sottotitolo 'Il segreto della Messianicità e della Passione di Gesù'. Il «valore» religioso di questo trattato sembra ritenuto risiedere nella sua fervida convinzione che, qualunque cosa Gesù possa aver detto o fatto o pensato, raggiunse davvero una finale convinzione sulla sua Messianicità, al punto che essa fu «futuristica» — cioè, realizzabile soltanto attraverso la morte. Questa dottrina — qui stabilita molto più senza riserve che nella RICERCA — è sufficiente a certe menti religiose per conservare per loro, dopo tutto, un Fondatore reale, un Gesù che predisse la sua Chiesa, e che perciò può essere adorato adeguatamente, qualunque cosa possa accadere al credo della Nascita Verginale e dei Miracoli e della Resurrezione. In una maniera sufficientemente diversa da quella di Strauss, Schweitzer ha salvato ostentatamente il dogma del Sacrificio Divino per almeno alcuni scopi ecclesiastici, e un Giuda per giunta!

Probabilmente non interferirà con il limitato successo aperto a una tale prestazione il fatto che il dottor Schweitzer ha esposto il suo caso così a buon mercato nella misura in cui egli provò che Giuda doveva aver fatto qualcosa alquanto diverso da ciò che i vangeli dicono che fece. I vangeli sono per il teorico una massa di testi che non producono nessuna totalità di senso storico, ma capaci di fornire una selezione che, con  trattamento sufficientemente immaginativo, porterà almeno una tesi. Il teorico rivale Wrede, professore a Breslau (ora deceduto), aveva fortemente argomentato che l'elemento messianico nei vangeli è post mortem; che Gesù era semplicemente un Maestro Morale o Predicatore, un ardente Riformatore che non si era considerato un Messia; e che il culto messianico di Gesù fu istituito solo dopo la sua morte, assieme alla storia della sua resurrezione. Schweitzer al contrario vede in Gesù, principalmente, un credente nell'imminente fine del mondo, che predica un «etica provvisoria», e che doveva aver detto ai suoi discepoli di essere il Messia, perché altrimenti i suoi discepoli non avrebbero mai potuto avere l'idea di renderlo tale. 

Analogie irriverenti si suggeriscono; ma non è necessario applicarle. I cristiani che non possono assimilare il sistema ortodosso senza dubbio sceglieranno, in base al loro temperamento, tra il Maestro che trasmise il Discorso della Montagna, miracolosamente preservato da analfabeti senza il soccorso di cronisti, e il Gesù che, sapendo che era vicina la fine del mondo, fornì soltanto un'«etica provvisoria», in attesa della materializzazione del Regno di Dio, in cui egli doveva apparire come il Messia ucciso e risorto.

Il lettore di mentalità aperta percepirà che quelle costruzioni rivali dal materiale evangelico, ciascuna che ignora la maggior parte del caso dell'altra, sono il lavoro di energici studiosi ostinati che applicano, come direbbe Arnold, il piano tedesco di esposizione di una tesi con «vigore e rigore» e a qualunque costo per i dati. Il lettore inglese può trovare un esempio interessante del tipo e del processo nel lavoro del compianto signor Clutton-Brock su l''Amleto di Shakespeare', in cui si presenta un Amleto concepito in maniera intuitiva che è  «espresso» e tuttavia «non espresso» nel testo; che soffre di un «Inconscio» che si prende cura della sua coscienza; e che muore lasciando Orazio a comunicare fatti freudiani che il drammaturgo non comunica.

Arnold, a sua volta, aveva visualizzato il Gesù evangelico con la stessa amabile arbitrarietà, alla sua personale maniera. Tutte le critiche del Quarto Vangelo in quanto non-storico egli le getta da parte nella sua maniera molto pontificale. Egli sentiva di conoscere meglio. Per lui, alcuni testi esibiscono Gesù, non naturalmente come un dio, ma come l'incarnazione di «dolce ragionevolezza». Tutti i numerosi testi che non fanno questo, di conseguenza, sono tranquillamente messi fuori conto, o attribuiti ai discepoli i quali, poveri uomini, non compresero quel che fu detto loro, sebbene doveva essere grazie a loro che qualunque cosa disse Gesù era stato preservato, se ci fosse stata qualche verità nella storia totale.

È questo gioco perpetuo di capriccio soggettivo a fronte di di un grande problema storico che ha indotto studiosi lungimiranti ad affrontarlo fedelmente nello spirito della scienza storica, trattando i documenti come gli storici onesti cercano di trattare tutti i documenti, cercando lealmente di trovare un vero materiale storico se ce ne sia qualcuno, e disposti ad ammettere dove sia mancante. 

Va notato a questo punto, comunque, che la frase «Tratta la Bibbia come qualsiasi altro libro» che a volte è utilizzata a questo proposito, è adatta ad essere fuorviante. Il problema storico coinvolto sta di per sé; [4] poiché non c'è nessun parallelo nella storiografia (tranne nell'Antico Testamento) ad una serie di documenti come i vangeli, chiaramente una stratificazione di redazioni, realizzate con vari scopi «tendenziali». Dimostrare che Licurgo è una figura non storica, come è stato fatto da studiosi moderni, è una questione relativamente semplice, richiedendo soltanto il riconoscimento di certe chiare discrepanze nei documenti, e, allo stesso tempo, della normale propensione di tutti gli antichi fabbricatori di storie a ipotizzare un Fondatore preminente per ogni Stato o istituzione. Ma per afferrare il problema della fondazione del cristianesimo è necessaria un'ampia indagine sulla materia in oggetto di quel che si potrebbero definire le scienze «umane», che spesso sono note soltanto superficialmente agli studiosi documentari che trattano il Nuovo Testamento. 

Quelle scienze sono: (1) Antropologia,  come è concepita in Inghilterra: cioè, in sintesi, la conoscenza dell'intera vita culturale, comprese le idee e pratiche religiose, di selvaggi o «primitivi» e barbari; (2) Mitologia, come esaminata e raccolta dagli specialisti in quel dipartimento; e (3) la Ierologia, o la scienza dello sviluppo, della costruzione e dell'evoluzione delle Religioni in generale — il campo che è ancora comunemente descritto col nome goffo e sgrammaticato di Religione Comparata. Quelle scienze essenzialmente moderne non sono studiate di regola dagli studiosi specialisti del Nuovo Testamento; e quando uno specialista in quelle scienze entra in contatto con il problema del Nuovo Testamento, come nel caso di uno dei più grandi tra loro, Sir J. G. Frazer, lo si trova riluttante ad applicare ad esso uno dei riconosciuti principi fondamentali della propria scienza. 

Colui che affronterebbe criticamente il problema del Nuovo Testamento, allora, deve avere una visione generale del processo di sviluppo e costruzione delle religioni antiche in generale, in modo che possa vedere nel culto di Cristo (indipendentemente dai documenti) un corpo di fenomeni ampiamente analoghi a quelli del culti di Krishna e Buddha, di Adone e Attis, di Iside e Osiride, di Jahvè, di Zeus, di Apollo, di Atena, di Dioniso, di Serapide e Mitra. Non finché non abbia considerato come tutti questi culti giunsero a nascere e a fiorire egli sarà ragionevolmente titolato a pervenire a conclusioni relative alla necessità di «Personalità» come fondatori di qualche culto. 

È un problema con due lati — quello dei credi e rituali, radicati nel folclore, e quello del processo economico che costruisce un culto popolare per lo status di un sistema di templi e sacerdozi che ricavano entrate. Nel culto di Jahvé, il sacerdozio, per il riconoscimento degli studiosi competenti, è una corporazione in cerca di entrate dal momento dell'estinzione dei santuari locali fino all'ultima permanenza del tempio di Gerusalemme come la dimora dei vero dio della pioggia. Eppure la questione è sollevata ancora abbastanza comunemente senza nemmeno procedere preliminarmente a chiedersi se alcuni dei nomi di Dio citati, che riscossero così a lungo, e di cui alcuni ancora riscuotono, la fede adorante di milioni di esseri umani, possano concepibilmente stare per una qualsiasi Personalità originaria.

Un problema così vitale come quello dell'origine del credo cristiano e della Chiesa deve essere affrontato con la massima attenzione a tutti i fenomeni dell'evoluzione religiosa. Presupposizioni relative alla funzione di Personalità nella fondazione di credi non hanno diritto maggiore all'autorità rispetto a credi ereditati nell'ispirazione divina di libri sacri. Il compito dev'essere affrontato nello spirito della scienza induttiva, se proprio dobbiamo raggiungere conclusioni paragonabili per solidità a quelle delle scienze riconosciute, in contrasto a cui la massa di teologia e di pseudo-sociologia teologica non è che un gioco di pregiudizio soggettivo.

Ma non si manchi di riconoscere che da cattedre di teologia, in Germania e in Olanda se non in Inghilterra, sono arrivati rinforzi potenti al movimento della critica radicale. Il professor Van den Bergh van Eysinga, richiamando l'attenzione alla parte giocata da studiosi olandesi nella preparazione e a favore della tesi mitica, pure lui stesso spassionatamente confuta tremendamente l'argomento irrilevante per cui ci doveva essere stata una eccezionale Personalità come il primo fattore nella creazione del cristianesimo. [5] E mentre i restanti accoliti inglesi del dottor Schweitzer stanno ancora bruciando incenso al suo nome, gli esperti tedeschi lo stanno sorpassando, respingendo il suo compromesso in quanto insostenibile.

Più e più volte, gli studiosi ufficiali sono venuti ad avvistare vere conclusioni critiche che la loro «eterna metà» li ha trattenuti dall'accettare. Così il professor Blass, nella sua lezione su 'Die Entstehung und der Charakter unserer Evangelien' (1907, pag. 22), improvvisamente osserva che «in base al metodo di Harnack il Rinnegamento di Pietro — in tutti i vangeli — deve essere giustificato per cattiveria verso Pietro», e che lo stesso ragionamento si applica alla storia della follia della madre di Giacomo e Giovanni. È davvero una conclusione profonda, sebbene né Harnack né Blass la accetteranno; e altri studiosi, così sfidati, fanno il passo da cui rifuggono.

Questo libro era stato completato quando fu disponibile la monografia del professor Rudolf Bultmann, ora dell'Università di Marburg, su 'Jesus' (1926), scritta per una serie popolare tedesca su 'Gli immortali'. Per scopi popolari è «abbellito da tagli» (alla fine); ma nella prefazione l'eminente studioso rivela senza batter ciglio il suo punto di vista critico: 

«Non vi si troverà (es fehlen) nelle pagine seguenti generalizzazioni (sämtliche Wendungen) sui temi di Gesù come Grande Uomo, Genio o Eroe: non appare né come demoniaco né come affascinante; le sue parole non sono esposte in quanto profonde, la sua fede non è esposta in quanto irresistibile (gewaltig), la sua natura non è esposta in quanto puerile. Ma neppure c'è qualcosa sul valore eterno della sua missione, sulla sua rivelazione degli abissi senza tempo dell'anima umana, o su qualcosa di quel genere: l'occhio è solo diretto a ciò che aveva voluto, e a ciò che di lì a poco il Presente può diventare come risultato della sua esistenza storica».

«Anche per questa ragione è escluso l'interesse della Personalità di Gesù. Non che io faccio un merito di una mancanza. Poiché in verità io sono dell'opinione che non possiamo apprendere di più (so gut wie nichts mehr) della vita e della personalità di Gesù, perché le fonti cristiane non si sono interessate loro stesse su ciò [6] se non in maniera molto frammentaria, e sotto una proliferazione di leggenda. Quel che è stato scritto durante centocinquant'anni sulla vita di Gesù, sulla la sua personalità, sul suo sviluppo interiore, e così via,  — nella misura in cui non è investigazione critica — è fantastico e romantico».

«Si riceve una forte impressione del genere quando, per esempio, si legge il testo brillantemente scritto Geshichte der Leben-Jesu Forschung (seconda edizione 1913) del dottor Albert Schweitzer, oppure quando si constatano i  giudizi diversi dei ricercatori sulla coscienza messianica di Gesù. Ci si ricordi di quanto grandemente divergano i giudizi sul fatto se Gesù si fosse ritenuto o meno il Messia, e, se sì, in quale senso, e in quale momento, e così via. Quando ricorderemo, inoltre, che non era davvero cosa da poco ritenersi il Messia, che piuttosto colui che si considerava così doveva essere stato pertanto assolutamente propenso (bestimmt) nella sua intera natura, dobbiamo confessare questo: quando il dubbio domina su un punto del genere, significa che non conosciamo proprio un bel nulla della personalità in questione. Personalmente io sono dell'opinione che Gesù non si ritenesse il Messia; ma io non pretendo da me stesso che per quel motivo possiedo un'idea più chiara della sua personalità». 

È una delle ironie del dibattito che il dottor Bultmann, che pure abbandona molti elementi dell'Insegnamento, pensa ancora di avere un'audizione di Gesù come Maestro; ma il suo rifiuto della fasulla predicazione circa la Personalità di Gesù è nondimeno un rimprovero illuminante ai tradizionalisti che la vendono così a buon mercato, e costituisce una preparazione per lo studio oggettivo del teorema più radicale secondo cui la figura del Gesù evangelico è semplicemente mitica.

È importante rendersi conto che è sul Gesù evangelico che si rivolge il dibattito, non su una questione relativa a se «ci fosse stato qualcuno». Se  fosse sostenuto che dietro la struttura composita dei vangeli vi possa essere deposto un oscuro episodio storico che abbia influenzato parzialmente quella struttura, non ci sarebbe potuto essere alcuno scrupolo critico. L'investigazione è cominciata, per il presente scrittore, con un tentativo per trovare un episodio del genere, il punto di partenza essendo il talmudico Gesù «Ben Pandira» o «Ben Satda» o «Ben Stada». E anche se quell'indizio non può essere ricondotto a nessuna decisione, è ancora impossibile escluderlo dall'insieme delle possibilità. Ma quello che non si può fare è trovare nella figura elusiva del Gesù talmudico la presunta «Personalità» per mezzo dell'argomento a priori.  Quell'argomento circolare è scientificamente inaffidabile, in quanto elude tutti i fatti relativi alla formazione del culto nell'assenza di ogni ombra di pretesa di un Maestro dalla personalità carismatica. La Personalità dei vangeli è dimostrabilmente una costruzione letteraria.

L'unica chiara apertura nei documenti per una tesi di una manifestazione personale si verifica rispetto ad una circostanza mai affrontata criticamente dalla scuola biografica, vale a dire, lo sfondo galileo. Nei vangeli quello sfondo non è costruito a nessuno scopo. Il Cristo emerge, opera, e in qualche maniera trionfa in Galilea; poi fallisce e se ne va a morire a Gerusalemme; dove, nondimeno, gli si fa parlare di tornare sulla scena della Galilea. Eppure nemmeno l'apparato soprannaturale viene utilizzato per farglielo fare; e non c'è infine nessuna ragione per credere che ci fosse mai stato qualche «cristianesimo» galileo. Questo è ammesso espressamente  dalla difesa. Ecco allora un motivo per ipotizzare che «qualcosa» abbastanza estraneo alla storia evangelica era accaduto in Galilea che motivò la sfilata evangelica di quella località; e una ipotesi provvisoria a tal riguardo è presentata nell'Epilogo al presente lavoro. Ma, una volta per tutte, questa non è una dimostrazione dell'ipotesi di un Personalità al di sopra della norma corrispondente al Gesù evangelico. Quello, noi vedremo, resta una finzione, un Mito.

NOTE

[1] Professor David Smith, D.D., di Londonderry, The Historic Jesus, n. d. , pag. 19. La protesta del dotto. Smith sembrerebbe puntare anche contro il dottor C. G. Montefiore, il quale, senza dichiarare di cercare un “vangelo”, sembra sostenere che la figura di Gesù è reale al di là se i detti messi sulle sue labbra siano genuini o meno.

[2] Il reverendo dottor Vacher Burch è nei suoi diritti (anche se li supera nella sua terminologia) quando si lamenta nel suo Jesus Christ and His Revelation (1927, pag. 17) che il dottor Schweitzer “ricostruì Gesù nei termini dell'apocalittica ebraica. Egli era un talmudista più erudito della maggior parte degli scrittori che aveva analizzato”.

[3] Tradotto, con un'Introduzione, dal signor Walter Lowrie.

[4] Il dottor Edward Greenly mi ha detto che il Maha-pari-nibbana Sutta, unico in questo senso tra i Pittaka buddisti, è un documento palesemente composito. Racconta gli ultimi giorni del Beato.

[5] La littérature chrétienne primitive, Parigi, 1926 : Avant-propos.

[6] corsivo nostro.

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