domenica 7 marzo 2021

IL MITO DELL'INSEGNAMENTOIl Silenzio delle Epistole

 (segue da qui)

PARTE III

IL MITO DELL'INSEGNAMENTO

I. — IL SILENZIO DELLE EPISTOLE

Quando, lasciando i Vangeli e gli Atti, leggiamo in modo del tutto indipendente i libri rimanenti del Nuovo Testamento (una cosa mai fatta dagli ortodossi, e mai con la dovuta riflessione da parte della scuola biografica) ci ritroviamo in presenza di un culto che si basava su due credi principali: la predizione nell'Antico Testamento della venuta del Cristo, e l'effetto del suo sacrificio di sangue nel procurare salvezza e vita eterna per e attraverso gli ebrei.

Questa è la sostanza delle Epistole agli Ebrei e ai Romani, delle epistole «petrine», e del libro dell'Apocalisse. Quei documenti sono nel complesso specificamente giudeo-cristiani; e quando troviamo nell'Apocalisse, innanzitutto, una serie di attacchi (2:2, 9; 3:9) che possono essere razionalmente interpretati soltanto come diretti contro missionari paolinizzanti o gentilizzanti e i loro convertiti in Asia Minore; e, successivamente, quando troviamo una serie di passi (7:1-8; 21:10-14) che sottolineano la salvezza di israeliti scelti o (16:1-4) asceti maschi «segnati», intervallati da uno o due passi (7:9-17; 14:6-7) che estendono la salvezza a tutte le nazioni, e che rendono inutile così l'isolamento, noi ci rendiamo conto che, proprio come nei vangeli troviamo un vangelo giudaizzante di salvezza rivestito di propaganda gentile, vi è stata qualche manipolazione gentilizzante qui. I passi 7:9-17, e 14:6-7, sono chiare interpolazioni sul testo precedente, e incerte su quello.

Quando diciamo «sul testo precedente», noi non stiamo garantendo che ci fosse stato un documento unitario. [1] Più l'Apocalisse viene esaminata rigorosamente più emerge chiaramente il fatto che anche il materiale giudaico che, per quanto riguarda l'evoluzione cristiana, è primario, non è che un adattamento a scopi giudaizzanti di una quantità di materiale più antico, in parte rintracciabile chiaramente a fonti babilonesi. L'astrologia babilonese e il mito del sole e la tradizione degli angeli sono chiaramente presenti nel materiale che è passato, fino a circa un secolo fa, per misticismo divinamente ispirato intorno alla Vergine Maria e a suo figlio Gesù. Ma per lo scopo limitato della presente inchiesta è sufficiente notare che l'«Apocalisse» era un testo giudaico, manipolato prima da giudeocristiani, e parzialmente manipolato dopo di loro da cristiani gentilizzanti. Se i suoi «Dodici Apostoli» sono cristiani, essi sono innanzitutto giudeo-cristiani, ed è una ragionevole ipotesi il fatto che l'intera costruzione sia derivata parzialmente dalla dottrina escatologica esposta nei «Testamenti dei Dodici Patriarchi» un secolo prima dell'era cristiana.

La base è quindi giudaica; e l'Epistola di Giacomo, un documento visibilmente giudaico con alcune interpolazioni gesuane (come «Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria»), non viene nemmeno sfiorata dalle dottrine del sacrificio di sangue e della salvezza per fede, l'ultima delle quali viene respinta esplicitamente. Da qui accadde che Lutero la definì «un'epistola di paglia».  Nelle epistole «paoline» abbiamo la propaganda gentilizzante esibita in conflitto con la propaganda giudaizzante. Al di là se autentiche oppure inventate per affrontare una situazione reale, esse dimostrano un acuto conflitto tra un Cristismo ebraico, che insiste sulla Legge mosaica in materia di circoncisione, e un movimento innovatore che protesta che la circoncisione non ha nulla a che fare con il vangelo di Cristo. 

Ma in un unico grande aspetto negativo tutti quanti quei documenti giudaizzanti e gentilizzanti concordano: essi non mostrano nessuna conoscenza della «personalità» del Gesù evangelico, o del variegato corpo di insegnamenti che i vangeli pongono sulle labbra di Gesù. Essi non menzionano nemmeno una volta il titolo «Figlio dell'uomo», che è usato decine di volte nei vangeli, sebbene solo una volta negli Atti. Non c'è motivo di supporre che gli scrittori avessero mai sentito parlare di Gesù come colui che è descritto così, al di là se da sé stesso oppure da altri. 

Le epistole petrine, lo sappiamo, sono considerate generalmente false dagli studiosi critici; e la seconda  nemmeno dell'autore della prima; dato che la prima è datata comunemente nel 112-140 E.C., e la seconda intorno al 175. Quanto all'autenticità delle epistole paoline vi è un dibattito interminabile. Ma resta il fatto eccezionale, al di là se autentiche o meno, esse tacciono su qualsiasi vita umana, o caratteristica, o insegnamento di Gesù. Anche quando sono esposte dottrine corrispondenti ad alcune presenti nel Discorso della Montagna, nulla è detto della loro derivazione dai vangeli. Così l'esortazione alla fine del dodicesimo capitolo di Romani, di cui alcune parti sono quasi identiche ai passi nel Discorso della Montagna, è esposta senza alcun suggerimento che Gesù avesse insegnato così. Proprio dove noi dovremmo aspettarci che l'epistola si sarebbe soffermata sul suo insegnamento in quanto proveniente dalle sue labbra, egli non è né nominato né sottinteso. Il testo paolino che rivendica la parola del Signore per il principio che coloro che predicano il Vangelo dovrebbero vivere del vangelo è palesemente posteriore, derivando da un'interpolazione evangelica. Supporre che sia originale equivale a derivare la più cinica di tutte le deduzioni possibili.

È possibile che si verifichi un'eccezione (1) nel passo in 1 Pietro 2:21-23, dove ai destinatari viene detto che Cristo «ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, affinché seguitate le sue orme. Egli non commise alcun peccato e non fu trovato alcun inganno nella sua bocca. Oltraggiato, non rispondeva con oltraggi; soffrendo, non minacciava, ma rimise sé stesso [2] nelle mani di colui che giudica giustamente»; e ancora (2) nell'allusione di Paolo alla «mansuetudine e mitezza di Cristo» in Seconda Corinzi 10:1. Ma tutto ciò è comprensibile come una tradizione separata dai vangeli e antecedente ad essi. Ciò implica, in effetti, un'ignoranza totale della grande quantità di attacchi veementi agli scribi e farisei da parte del Gesù evangelico — un aspetto molto più prominente, per il lettore critico, di qualsiasi mostra di mansuetudine e di mitezza. Questo è preteso in effetti dal Maestro di per sé in un unico testo (Matteo 11:29); ma la stessa natura della pretesa ha indotto molti esegeti a dubitare della sua autenticità.

Per inciso, dobbiamo notare che quei passi nelle epistole non offrono alcun accenno al tradimento di Giuda. Inoltre, lo scrittore petrino continua a dire che Gesù «portò [3] i nostri peccati nel suo corpo sul legno» — un'antica concezione del sacrificio umano, senza nessuna menzione della croce. [4] Non siamo nell'atmosfera dei vangeli; e di certo non in quella di alcun Insegnamento. Ci viene detto semplicemente che cosa Gesù non fece.

Si potrebbe sostenere che in un documento come la Prima Epistola di Pietro, composta con una propensione al lato ebraico ed esplicitamente rivolta ai giudeocristiani, sebbene non anti-paolina, sarebbe naturale sopprimere il fatto che il Gesù evangelico aveva detto molte cose virulente contro i farisei. Ma perché gli scrittori di epistole avrebbero dovuto invariabilmente astenersi dal citare le parole del Maestro se esse fossero state in circolazione? Il primo riferimento a questo corso di cose è quello che incontriamo nell''Insegnamento dei Dodici Apostoli', dopo che ha subito una rielaborazione cristiana. Mentre gli studiosi cristiani hanno creduto che le epistole fossero state tutte scritte prima della composizione dei vangeli, il problema non poteva sollevarsi, sebbene dal punto di vista ortodosso si debba ritenere che gli apostoli avessero saputo cosa insegnò Gesù. Ma quando gli studiosi critici sono costretti ad assegnare date posteriori a molte se non alla maggior parte delle Epistole, la domanda diventa pressante. Il presupposto costante degli avversari della tesi mitica è che un grande Maestro, una grande Personalità, doveva aver operato per ottenere l'attenzione degli uomini all'insegnamento cristiano. In punto di fatto, osserviamo che la propaganda viene portata avanti fin nel secondo secolo senza un segno di qualsiasi conoscenza della Personalità di un Maestro di sorta, o di qualsiasi interesse in lui.

Il silenzio è così completo che mai una volta in tutta quanta la letteratura epistolare, o nell'Apocalisse, troviamo applicato a Gesù o dei termini descrittivi evangelici Nazareno o Nazirita, [5] oppure la descrizione «di Nazaret» — una cosa abitualmente ignorata o inosservata dagli scrittori cristiani, ma stranissima davvero se dobbiamo supporre che il Gesù evangelico fosse stato descritto comunemente così. Altrettanto degno di nota è l'assenza di menzione dei genitori attribuiti a lui nei vangeli.

Campioni della scuola biografica, come il defunto dottor Conybeare, hanno insistito sul fatto che i nomi di quei genitori erano noti fin dall'inizio. Per questo non esiste nessun sostegno documentario in Marco, rivendicato dall'assertore come la narrativa principale. Giuseppe non è vi mai menzionato, e Maria è nominata solo in passi che lasciano indecifrabile la sua relazione con Gesù. Se non fosse per la deludente menzione di «Fratelli del Signore» in Prima Corinzi 9:5, e per la frase «nato da donna» in Galati 4:4, non c'è nelle Epistole nessun suggerimento che il Cristo avesse avuto un familiare o parente terreno. Il loro totale distacco è distante da ogni concezione del genere. Come nell'Epistola agli Ebrei, egli è presentato come il Figlio di Dio, come «nostro Signore», come «il Signore della gloria». Il passo in Seconda Corinzi 5:16: «se anche abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora però non lo conosciamo più così» non dà maggior aiuto alla tesi biografica. Se proprio Gesù «soffrì», dovette essere «nella carne»; ma l'autore non andrà oltre. Il passo è volutamente vago; e T. S. Green lo traduce «se anche noi siamo venuti a conoscere Cristo quanto alla carne», [6] riconoscendo la sua natura equivoca. Il suo scrittore non può aver avuto nessuna certezza su un reale Gesù umano. 

Quando allora notiamo che lo scrittore o gli scrittori delle Epistole di Giovanni si lamentano amaramente degli eretici che negano che Cristo sia venuto «nella carne», diventa doppiamente sorprendente il fatto che non si fa nessun tentativo per provare la sua parentela terrena. Per gli studiosi critici, le epistole giovannee sono posteriori. Il professor Schmiedel, che data il Quarto Vangelo dopo il 132 E.C., pone la prima Epistola tra quello e l'anno 140; [7] in equilibrio tra le opinioni che la seconda e la terza epistola siano più tarde, [8] oppure più antiche, [9] della prima. Non esiste certamente nessuna traccia esterna di alcuna di loro fino a dopo il 140. E ancora, posteriori come sono, esse non danno a Gesù né una abitazione locale né una parentela terrena, o neppure un seguito di Dodici Discepoli.

Perfino negli Atti, dove (salvo in 10:38 — un passo redatto) Gesù è «il nazirita» (Nazoraios, reso erroneamente «di Nazaret»  in A. V. e in R. V.) e da Pietro lo si fa chiamare «un uomo», come sarebbe stato conveniente a Gerusalemme, egli è «uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni», non è mai «un uomo che vi conquistò col suo Insegnamento». «Questo Gesù Dio l'ha resuscitato e noi tutti ne siamo testimoni». Quello è il vangelo. Perfino nella finzione deliberata non c'è nessun suggerimento di una Personalità manifestatasi in un Insegnamento ricordato. 

Infine, al di fuori dei vangeli il Nuovo Testamento non ha nulla da dire di un Gesù Maestro, e nulla di una personalità riconosciuta come umana, se non nell'unica sua presentazione come un sofferente che non oppone resistenza — la concezione richiesta dalla dottrina secondo cui lui era il profetico «Servo sofferente» che diventò il sacrificio salvifico; e in realtà data nel capitolo «messianico» di Isaia (53:7) su cui fu fondata la tesi cristiana: la materia stessa del mito.

NOTE

[1] Quanto a questo problema, si veda il paragrafo relativo ne La littérature Chrétienne primitive del professore Van Eysinga, 1926.

[2] παρεδίδου“consegnò” — il verbo così stesso utilizzato nei passi resi come se parlassero di tradimento.

[3] Si veda a margine della R.V.

[4] Confronta Atti 5:30; 10:39; 13:29.

[5] Nazoraios o Nazaraios nell'originale greco.

[6] Sharpe traduce: “Anche se una volta riconoscevamo un Cristo secondo la carne, ora non lo riconosciamo più così”.

[7] Encyc. Biblica, col. 2558. 

[8] Id., col. 2561.

[9] The Johannine Writings, traduzione inglese 1908, pag. 215-217. 

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