mercoledì 18 novembre 2020

IL CRISTIANESIMO SENZA GESÙSOPRAVVIVENZA DELL'ANIMA E IMMORTALITÀ

 

Capitolo I

SOPRAVVIVENZA DELL'ANIMA E IMMORTALITÀ

La credenza in una sopravvivenza dell'anima, dopo la morte del corpo, sotto diverse forme, è comune a tutte le religioni: è essa che le condiziona, le supporta. La promessa di una sopravvivenza è l'arma principale dei preti e delle chiese: senza di essa, a cosa servirebbero le loro predicazioni? L'uomo ha naturalmente paura della morte, aspira a non scomparire del tutto, e questa aspirazione è così potente da potersi riconciliare persino con la paura di una dannazione eterna, dalla quale si spera di fuggire. I preti giocano abilmente su questa paura della morte e dell'inferno, [1] promettono tutti una sopravvivenza.

Il cristianesimo non fa eccezione, su questo punto, alla regola generale: tra i dogmi che la Chiesa romana impone sotto pena d'eresia e di castighi eterni figura l'affermazione dell'esistenza di un'anima immortale che, separata dal corpo, sopravviverà in condizioni che ci si guarda dal precisare, fino alla resurrezione del corpo nel giorno del grande giudizio. 

Benché abbia fatto di questa distinzione tra l'anima e il corpo un adattamento personale, la Chiesa cristiana ha largamente beneficiato da questa credenza popolarizzata ben prima della sua nascita. Per molti secoli, i preti hanno giocato sulla doppia prospettiva, sia delle gioie, sia dei castighi, in un aldilà che si situa... in cielo. Senza questo insegnamento, l'esistenza stessa di un Dio avrebbe lasciato gli uomini indifferenti: Dio li interessa solo in relazione a sé stessi, come garanzia della loro sopravvivenza. La maggior parte delle religioni, ivi compreso il cristianesimo, promettono la salvezza dell'anima per l'intercessione di un Salvatore.

Trattando, in occasione della festa di Pasqua, della resurrezione, uno scrittore cattolico [2]  ricorda che «l'anima è una nozione pagana». Questo è ovvio: molti secoli prima del cristianesimo, le religioni e i filosofi hanno insegnato che l'uomo è composto da un corpo perituro e da un'anima immateriale, quindi eterna. Più di quattro secoli prima dell'era cristiana, il filosofo greco Platone aveva tentato nel suo dialogo il Fedone di dimostrare la sopravvivenza dell'anima, dottrina che aveva lui stesso ricevuto dai culti misterici.

È dunque necessario, nella ricerca delle origini del cristianesimo, indagare in che misura la nuova religione ha beneficiato di queste dottrine precedenti, e cosa vi ha portato di nuovo.

La preistoria. — L'idea che «qualcosa» sopravviva alla morte del corpo risale alla preistoria. Nonostante l'insufficienza delle nostre informazioni su questo periodo, che non ha lasciato alcuna traccia scritta e di cui non possiamo ricostruire, senza arbitrarietà, il pensiero e l'evoluzione, tutti gli studiosi concordano sul fatto che le pratiche funerarie degli ultimi periodi preistorici implicano una nozione della sopravvivenza: «Il fatto di seppellire un corpo costituisce una forte presunzione a favore di idee sulla continuazione di una vita oltre la morte apparente. — Se fosse stabilito che i defunti sono stati sepolti con i loro effetti personali, ciò lascerebbe pensare che li si equipaggiava per un mondo diverso, dove continuassero la loro attività». [3]

Tutto questo è necessariamente molto vago e difficile da interpretare: dobbiamo stare attenti a non trasporre le nostre idee in un tempo così diverso dal nostro. Tuttavia, la molteplicità delle sepolture in cui si scoprono tali elementi non può non suggerire che l'uomo preistorico si era fatto della morte un'idea che implicava una forma di sopravvivenza.

Si è supposto con verosimiglianza che quella idea sia stata suggerita dal sogno: l'uomo preistorico, come noi, doveva sognare, e vedere in sogno coloro che erano appena morti. Da lì sarebbe stato indotto a credere nella loro sopravvivenza. Ma poteva ancora immaginare questa sopravvivenza solo nella forma che conosceva, senza poter ancora essere in grado di formarsi la concezione astratta di un'anima immateriale: il defunto viveva come lui aveva vissuto, gli si portava del cibo.

Con grande incertezza interpretativa, è possibile accettare che l'origine di una nozione di sopravvivenza provenga da quest'epoca lontana: gli «sciamani» e i sacerdoti elaboreranno su questo tema le basi di una magia per stabilire il loro potere.

L'antico Egitto. — Faremo un grande passo avanti con le più antiche credenze dell'antico Egitto, che hanno il vantaggio di aver lasciato dei testi, delle iscrizioni, che tradiscono un'evoluzione del concetto di sopravvivenza.

Trascurerò qui il problema, certo importante ma estraneo al mio proposito, relativo all'evoluzione sociale dell'idea di sopravvivenza: riservata dapprima al faraone, per il quale si costruivano gigantesche piramidi, l'immortalità si è progressivamente estesa ai grandi personaggi, poi al popolo intero: io prenderò la concezione egiziana nel suo ultimo stato.

I sacerdoti egiziani avevano elaborato un'intera teologia relativa all'aldilà, incentrata sul dio Osiride. L'uomo era composto da tre elementi:

 un corpo perituro, ma degno di rispetto, poiché ci si sforzava di prolungarne la conservazione mediante la pratica dell'imbalsamazione;

 un «duplicato», formato da una materia più sottile, più eterea, ma necessariamente ancora di essenza materiale: è lui che appariva nei fantasmi, che si allontanava dalla tomba e che aveva ancora bisogno dei vivi, ma sopravviveva alla morte del corpo;

 un'anima, la cui natura era piuttosto vaga, suscettibile di sofferenza o di gioia, ma così tenue da essere rappresentata da una fiamma, da una luce: è quest'anima che doveva subire il giudizio pronunciato da Osiride, che sarà ricompensata o sanzionata secondo quella che sarebbe stata la sua vita terrena. In questa sentenza, il morto poteva perorare la sua causa, e a questo scopo si deponeva nella sua tomba un libro, raccolta di preghiere ma anche di suppliche. Secondo il giudizio, l'anima andava in una dimora beata, di cui non si sapeva granché, se non che sarebbe stata eterna.

Si giungeva così ad una graduale rottura tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Tuttavia, secondo certi riti, si potevano ancora invocare le anime dei defunti, e quindi le si pregava per domandare il loro aiuto. Ci avviciniamo così alla concezione che sarà quella del cristianesimo, con una differenza importante, quella che derivava dal politeismo. 

Zoroastro. — La dottrina del grande filosofo che chiamiamo Zoroastro si basa su un tentativo di spiegazione dell'esistenza del male in questo mondo: siccome il male non può essere l'opera di un dio intelligente e buono, bisogna ammettere che il nostro mondo è l'oggetto di un conflitto permanente tra questo dio e un dio del male, poteri opposti.

Senza entrare nell'essenza di questa dottrina, faccio notare che, per la prima volta, appariva l'idea funesta di una caduta dell'anima, imprigionata dal dio del male nella materia. Ne consegue logicamente che il futuro dell'uomo consiste nella liberazione da questa prigione. Per questo, l'anima ha bisogno dell'aiuto di un «salvatore».

Avvolta in un linguaggio metafisico, questa dottrina può fare illusione. Ma l'idea del dualismo divino sarà modificata nella Bibbia e nel cristianesimo dall'antagonismo tra il dio creatore e l'angelo caduto per la sua rivolta, ma ancora potente, Lucifero. Si conserverà soprattutto la necessità dell'aiuto del salvatore, che si ritroverà nella maggior parte delle religioni successive, ivi compreso l'ebraismo (dove lo si chiamerà «messia») e il cristianesimo, dove sarà chiamato Gesù, poiché Gesù (dall'ebraico Jeshua) significa «colui che salva».

L'inferno secondo Omero. — Bisogna proprio convenire che il paganesimo greco-romano non ha fatto grandi sforzi per cercare di costruire una concezione logica e attraente della sopravvivenza. Nel pantheon, un solo dio è incaricato dell'impero dei morti, il suo regno è sotto la terra, vi si accede in barca e un cane ne sorveglia l'ingresso. Noi abbiamo grazie a Omero una rappresentazione dell'idea che ci si faceva del destino dei morti in questo regno dell'Ade! Omero vi fa discendere il suo eroe Ulisse, [4] vi trova solo «ombre». Ed ecco come gli appaiono quelle ombre: «Giovani spose e ragazzi e vecchi che molto avevano sofferto, e delicate vergini, nell’animo afflitte da recente dolore, e molti che il colpo avevano subito di bronzee lance, uomini uccisi in battaglia, con le armi sporche di sangue. Erano molti ad arrivare intorno alla fossa, di qua e di là, con grida sovrumane».

Quelle ombre, attratte dal sangue di un sacrificio, non sopravvivono che del ricordo della loro vita terrena. Tenendole distanti con la sua spada, Ulisse riesce a dialogare con alcuni di coloro che aveva conosciuto, l'indovino Tiresia, e soprattutto Achille, suo antico compagno dell'assedio di Troia. Ecco cosa gli confida quest'ultimo: «Vorrei essere un lavorante di campi e dipendere da un altro, da un diseredato che non abbia molti beni per vivere, piuttosto che essere il re di tutti i morti defunti». [5]

Più tardi Virgilio saprà solo riprendere la stessa immagine, quando farà discendere Enea nell'inferno pagano. [6] Ma l'élite intellettuale saprà elevarsi al di sopra di questa concezione pessimista, grazie a Platone e ai culti misterici. Nonostante Dante, Virgilio non è uno dei precursori del cristianesimo. 

Platone e il mondo ideale. — Il pensiero greco saprà elevarsi ad una concezione più elaborata dell'anima e della sopravvivenza, e questa concezione domina in gran parte l'opera di Platone. È tanto più importante interessarsene perché il cristianesimo, non avendo una filosofia propria, si ispirerà a quella del platonismo e la manterrà fin nell'opera di sant'Agostino.

La filosofia di Platone è esposta nei dialoghi in cui il personaggio centrale, un Socrate idealizzato, espone una metafisica seducente, in un linguaggio poetico che ha largamente contribuito al successo delle sue opere. Questa dottrina è una reazione contro il pessimismo di Eraclito di Efeso, che vedeva dovunque solo un mondo mutevole, dove tutto scorre, si evolve, ed è quindi condannato a perire. Questo accade, dice Platone, perché viviamo in un mondo di apparenze. Il mito della caverna, che appare ne La Repubblica, si può riassumere così: la nostra anima, imprigionata nel corpo materiale, non vede il mondo reale ma soltanto un riflesso dell'altro mondo, quello vero.  Noi siamo simili agli uomini incatenati in una caverna, le spalle rivolte all'ingresso: così vediamo solo le ombre sulla parete del fondo che ci sta di fronte, le ombre degli esseri che passano davanti all'ingresso. Alla morte, la nostra anima liberata potrà voltarsi e vedere il mondo reale, il mondo ideale (chiamato mondo delle Idee), dove troverà tutti i modelli del Bello, del Bene, del Giusto. Il mondo ideale, unica realtà permanente, sfugge al divenire di Eraclito.

Platone non ci dice perché la nostra anima subisce questa prigionia temporanea, ma non è importante, perché la nostra anima immateriale, come Platone ha imparato dai «misteri», è destinata ad emigrare in corpi successivi in vista della sua graduale purificazione, prima di raggiungere il mondo perfetto che è nel cielo. Non c'è affatto dannazione, perché nessuno fa il male volontariamente, solo l'ignoranza è la causa del male, e il perfezionamento graduale permetterà a tutte le anime di raggiungere la beatitudine, più o meno rapidamente a seconda del numero di esistenze successive, ma senza corruzione.

Tutto questo è bello, ma su cosa si basa questa costruzione? Platone si è sforzato di dimostrare l'immortalità dell'anima nel dialogo intitolato Fedone. Ma lui stesso non ci credeva, poiché fa concludere a Socrate: «Affermare, comunque, che le cose siano proprio come io le ho esposte, non è concesso a uomo di buon senso. Ma che tali siano, press'a poco, le condizioni delle anime nostre e tali le dimore, mi sembra cosa molto probabile in cui val bene il rischio di CREDERE: e il rischio in tal caso è BELLO». [7]

È già, per mancanza di prove, una scommessa analoga a quella di Pascal. Ma questo non equivale a prendere i nostri sogni per delle verità? Nel mondo ideale in cui figurano i modelli di tutte le cose, Platone riconosceva che aveva difficoltà ad accogliere le Idee dello sporco e dei peli. Diremmo piuttosto che non si vede la possibilità di scoprirvi le «idee» dei crimini, dei massacri, del cannibalismo, della tubercolosi o dell'AIDS... Il suo discepolo Aristotele si è affrettato a relegare il mondo delle Idee tra le favole. [8]

La Chiesa insegna ancora alcune idee tratte dal mondo immaginario di Platone, come quella degli angeli con le loro ali, o ancora quella del paradiso dove le anime disincarnate (dunque senza corde vocali) cantano eternamente le lodi del Signore. Nessuno ha mai portato la minima prova a sostegno di queste belle immagini. Il filosofo inglese Berkeley si è spinto fino a negare l'esistenza della materia, ritenendo che l'unica realtà è solo lo spirito; [9] i suoi avversari vollero convincerlo del suo errore a colpi di bastone. Il romanziere inglese Charles Morgan ha immaginato una nuova presentazione del mito della caverna, [10] pur ammettendo di esserne convinto alla lettura del Fedone, ma molto meno riflettendovi.

Tutto questo non è altro che la formulazione di un desiderio, come l'esposizione del paradiso o del regno di Dio nel catechismo. È vero che la Chiesa vi aggiunge l'Inferno.

La metempsicosi. — Platone completava la sua costruzione immaginaria del mondo ideale ammettendo una antica dottrina, forse derivata dal buddhismo, secondo la quale una stessa anima avrebbe successivamente abitato più corpi diversi e avrebbe così vissuto una successione di vite terrene, per purificarsi con prove graduali. Questo risponde all'obiezione fatta al cristianesimo sull'assurdità di condannare per l'eternità il peccatore colpevole di una colpa temporale. In Grecia, la dottrina della migrazione delle anime era stata ripresa da Pitagora, che credeva di aver riconosciuto nell'abbaiare di un cane la voce di uno dei suoi amici defunti: una spiegazione molto debole di cui se la rideva già Senofane. Platone si era sforzato di stabilire meglio questa dottrina dimostrandola con l'esistenza delle reminiscenze: anche se perdiamo ad ogni nascita il ricordo delle nostre vite passate, il nostro subconscio ne ha conservato una vaga memoria, che è possibile ricordare. Nel Menone, Socrate si sforza di far così riportare alla memoria di uno schiavo ignorante la dimostrazione della duplicazione dell'area di un quadrato.

Sfortunatamente smascheriamo troppo facilmente il trucco: per il modo insidioso in cui pone le sue domande, Socrate detta implicitamente le risposte. È come nel gioco della trasmissione del pensiero, le risposte sono dettate dal modo di porre le domande. Non si può quindi concludere, come Socrate, che «se non le ha acquisite nella presente vita, non è evidente che lo schiavo le apprese in un altro tempo». E ancor meno che «Se, dunque, sempre la verità degli esseri è nella nostra anima, l'anima dovrà essere immortale». [11]

I vangeli non fanno che sfiorare quella teoria, senza negarla: durante la trasfigurazione di Gesù, i discepoli vedono Elia ridisceso dal cielo, e Gesù spiega loro che in effetti «Elia è già venuto». Allora i discepoli compresero (erano particolarmente svegli quel giorno) «che egli parlava di Giovanni il Battista». [12] Si deve concludere che Giovanni il Battista sarebbe Elia risorto ? I teologi cattolici rispondono che non si deve generalizzare il caso di Elia, che non è morto ma è stato sollevato in cielo su un carro. [13]

Dopo un grande successo nell'antichità, la dottrina della trasmigrazione delle anime era caduta in declino, almeno in Occidente, quando fu ripresa nel XIX° secolo sotto il nome di «spiritismo».  Il suo sommo sacerdote sosteneva di essere la reincarnazione di un bardo bretone di nome Allan Kardec, di cui aveva ripreso il nome. [14] Nel suo Libro degli Spiriti, egli riportava l'insegnamento che affermava di aver ricevuto dalle anime disincarnate. Questa teoria presenta il vantaggio di ridurre il numero di anime in servizio dall'origine dell'umanità, poiché sono sempre le stesse che rinascono. Purtroppo l'insegnamento ricevuto in queste rivelazioni è solo una serie di deludenti banalità, che non portano nulla di originale o di nuovo.

Maeterlink ha osservato, nel suo libro La mort, che non valeva la pena di aver varcato le porte dell'aldilà e di conoscere i segreti dell'universo per insegnarci solo cose infantili. Ma vi è di più grave, il libro di Allan Kardec ci mette in guardia dagli spiriti burloni che prendono i nomi di personaggi illustri per divertirci con i racconti. È impossibile dare un qualunque credito a queste farneticazioni, ed è desolante leggere che un grande filosofo, Henri Bergson, ne ha fatto la base della sua teoria della «metafisica sperimentale». [15

La tesi fu ripresa, con ancor più ridicolo, dallo scrittore inglese Aldous Huxley, molto più ispirato che nel suo libro Il mondo nuovo. In un libro meno famoso, Il tempo si deve fermare, raccontava la storia di un'anima, liberata dalla morte del suo portatore temporaneo, alla ricerca di tutti gli accoppiamenti umani per inserirsi prima delle sue rivali nel corpo di un feto. È scoraggiante vedere un uomo, che era stato così intelligente, abbandonarsi a tali buffonate.

Lo spiritismo oggi è quasi abbandonato. Ora si trova di fronte ad una grande obiezione: contrariamente a quanto credeva Bergson, [16] è nel cervello che i ricordi sono immagazzinati: la memoria è a base chimica. Un'anima disincarnata sarebbe privata della memoria e non potrebbe quindi conservare la sua personalità. Oggi sappiamo che il bambino alla sua nascita reca con sé una struttura cerebrale che gli permetterà di acquisire ricordi, — tranne che per reprimere, secondo Freud, quelli della prima infanzia, — ma questa struttura è ancora vuota di ogni contenuto, questo viene acquisito nel corso della vita.

Per di più, i trucchi dei medium sono tutti stati smascherati. Non è quindi permesso a nessuno di pretendere di poter comunicare con gli spiriti disincarnati. 

Tuttavia, la Chiesa, prudente, non ha mai condannato questa possibilità: non ha forse canonizzato Giovanna d'Arco? [17]

E non ha forse ammesso, nonostante le proteste di Lutero, la possibilità di intervenire a favore delle anime del Purgatorio facendo dire delle messe (a pagamento) per abbreviare il loro tempo di penitenza?

Veduta d'insieme. — La rapida panoramica che precede ha permesso di vedere lo sviluppo in Oriente, poi la diffusione in Occidente, grazie all'espansione dei culti misterici, di una teoria generale che assicurava che l'uomo è un essere duplice, composto da un corpo materiale, quindi perituro, e da un'anima immateriale, quindi indistruttibile. Il cristianesimo non ha mancato di adottare una dottrina così favorevole ai suoi interessi, e di farne il dogma essenziale della sua propaganda: se l'anima non fosse immortale, a cosa servirebbe la religione?

È  tuttavia significativo che dopo Platone, nessuno più ha cercato di sostenere questa dottrina con un tentativo di dimostrazione. L'immortalità dell'anima, insegnata dalla Chiesa dopo Platone, resta una bella speranza, un oggetto di fede, a dispetto delle argomentazioni che il progresso della scienza non cessa mai di opporle.

Ma la seducente prospettiva di una vita eterna, basata sull'insegnamento cattolico, avrebbe dominato il pensiero europeo per molti secoli. Servirà a giustificare, con la paura dell'inferno, gli orrori dell'Inquisizione, i massacri delle Crociate.  Nel XVII° secolo abuserà ancora di Cartesio: dopo aver dichiarato il suo celebre: «Io penso, dunque sono», che non è che una banalità, egli crede di poter trarre questa conclusione: «Da tutto questo conclusi che ero una sostanza la cui essenza o natura non consiste in altro se non nel pensare... L'anima grazie alla quale io sono quello che sono, è del tutto distinta dal corpo». [18]

Questo è proprio ciò che avrebbe dovuto dimostrare: applicato ad un oggetto non materiale, il concetto di «sostanza» è privo di senso, e ancor più «l'essenza di una sostanza». Mai si è costatata l'esistenza di un pensiero senza corpo. Bisognerà attendere Voltaire per veder mettere in dubbio l'esistenza stessa di un'anima autonoma: «Chiamiamo anima ciò che anima. Non ne sappiamo molto di più... Se un tulipano potesse parlare, e ti dicesse: «Io e la mia vegetazione siamo due esseri evidentemente uniti insieme», non rideresti del tulipano?... Nessuno sa che cosa sia l’essere chiamato SPIRITO, al quale anche voi conferite il nome materiale di spirito che significa VENTO. Tutti i primi Padri della Chiesa hanno creduto l’anima corporea». [19]

Ancora Voltaire non parlava delle controversie sull'esistenza di un'anima nelle donne (ci è voluto un consiglio per farla ammettere), né della disastrosa negazione di un'anima negli animali, che spinse Cartesio (ancora lui) a proporre quella teoria degli animali-macchine, contraria alla più semplice osservazione, e che ha suscitato tante reazioni giustificate, [20] ma dovette cedere davanti a così tante prove dell'origine animale dell'uomo.

Lo stesso Bergson doveva constatare il fallimento di tutti i tentativi di dare una definizione dell'anima: «Si può, con Platone, porre a priori una definizione dell'anima che la rende non scomponibile perché è semplice, incorruttibile perché è indivisibile, immortale in virtù della sua essenza... Cosa rispondere a colui che contesterà l'esistenza dell'anima così definita?... La concezione platonica non ha fatto progredire di un passo la nostra conoscenza dell'anima, nonostante duemila anni di meditazione su di essa». [21]

La parola «anima» è ora bandita dal vocabolario filosofico. Ma le religioni persistono a insegnarci come salvare quest'anima che non esiste. 


NOTE

[1] Si veda Jean Delumeau, La peur in Occident, ed. Fayard, 1978.

[2] Paul Fabre, Le réalisme inouï de Pâques, in Le Monde del 19-20 aprile 1992.

[3] André Leroi-Gourhan, Les religions de la préhistoire, ed. PUF, 1983.

[4] Omero, L'Odissea, canti 10:530 e 11:39-44.

[5] Omero, L'Odissea 11:489-491.

[6] Virgilio, L'Eneide 6:268 e seguenti.

[7] Platone, Fedone 63.

[8] Per la critica della dottrina di Platone, si veda André Bonnard, Civilisation grecque, ed. Clairefontaine, Lausanne, 1959, volume III; J. F. Revel, Histoire de la philosophie occidentale, volume I, Stock, 1968, pag. 115, e Guy Fau, Les raisons de l'athéisme, pag. 117-120. 

[9] Berkeley, Dialogues d'Hylas et de Philonoüs, Classiques Hatier, n° 342.

[10] Charles Morgan, Sparkenbroke, Stock, 1941.

[11] Platone, Fedone 21.

[12] Matteo 17:10-13.

[13] 2 Re 2:1.

[14] Il suo vero nome era Hippolyte Rivail, nato a Lione il 3 ottobre 1804, morto il 31 marzo 1869. Fu membro di diverse accademie tra cui l'Accademia reale di Arras. Di educazione protestante (alla scuola di Yverdon in Svizzera), si dedica a partire dal 1840 alla ricerca di una nuova religione universale. 

[15] Henri Bergson, Les deux sources de la morale et de la religion, Félix Alcan, 1932, 2° parte.

[16] Henri Bergson, Matière et mémoire, Félix Alcan, 1914.

[17] Il papa Giovanni XXIII ha però soppresso dalla lista dei santi le due «voci» di Giovanna d'Arco dalla con la motivazione che quei santi non erano mai esistiti. Ma allora Giovanna è stato giustamente condannato come eretica per aver preteso di ricevere le sue ispirazioni dal cielo senza passare per la Chiesa?  

[18] Cartesio, Discorso sul metodo, 4° parte. 

[19] Voltaire, Dizionario filosofico, V° Anima.

[20] Si veda in particolare La Fontaine, Discours à madame de la Sablière; Maeterlink, Où va l'âme des fourmis après leur mort? (Vie des fourmis).

[21] Henri Bergson, Les deux sources de la morale et de la religion, pag. 282.

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