giovedì 19 novembre 2020

IL CRISTIANESIMO SENZA GESÙGLI DÈI SALVATORI

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Capitolo II

GLI DÈI SALVATORI

Alla morte dell'imperatore Augusto nel 14 della nostra era, Roma aveva completato la conquista del mondo mediterraneo, era diventata la capitale di un vasto impero che comprendeva popoli eterogenei, dalla Spagna alla Siria. Contava una un milione di abitanti, [1] di cui una gran parte di immigrati originari dell'Est, attratti dalla capitale. Come oggi, questa immigrazione non era vista favorevolmente da tutti i cittadini, Giovenale lamenta: «L'Oronte si è riversato nel Tevere». [2]

Questi orientali avevano recato la loro lingua (il greco), i loro abbigliamenti e le loro usanze culinarie, e anche le loro religioni. 

Questo apporto religioso andò a capovolgere il clima spirituale del mondo romano. Arrivò il momento in cui il paganesimo greco-romano era in declino. Le popolazioni rurali potevano ancora credere nelle ninfe dei boschi e delle sorgenti, [3] ma le divinità maggiori avevano perso ogni credito. Cicerone assicurava che due àuguri non potevano guardarsi senza ridere (era lui stesso àugure), e Giovenale non tardò a constatare:  «Che esistano Mani e regni sotterranei, il Cocito e le nere rane delle acque dello Stige, o che una così infinita moltitudine di anime attraversi il guado su una sola barchetta, ormai non lo credono nemmeno i bambini». [4

La religione ufficiale non sopravvisse ai suoi riti, di cui il culto dell'imperatore divinizzato non avrebbe tardato a divenire l'elemento essenziale, ma questi riti non ricoprivano più una fede reale. L'inferno di Omero e di Virgilio, popolato da ombre lamentevoli, non poteva resistere alla concorrenza dei nuovi culti che insegnavano la grande novità dell'immortalità dell'anima: «L'insieme della religione eleusina, considerata nella sua concezione fondamentale del mistero della morte, così come le divinità che essa onorava, si accorda a malapena con la religione greco-germanica soprattutto come appariva nei poemi omerici; questa fede serena e fiduciosa in una vita postuma contrasta nettamente con la lugubre concezione omerica del dominio sotterraneo dell'Ade». [5

I nuovi culti importati dall'Oriente presentano tra loro delle differenze, ma una convergenza più forte grazie ad un sincretismo realizzato dopo le conquiste di Alessandro. La loro unità verte sui seguenti punti:

A — Il paganesimo era la religione degli dèi protettori delle città, non aveva più applicazione in un impero quasi universale: gli dèi divisi tra loro secondo i conflitti dei piccoli Stati dovevano far posto a divinità mondiali (nel senso antico), accogliendo le preghiere di tutti i popoli dell'impero.

B — Gli dèi del paganesimo erano i protettori delle città, non degli individui: il loro culto pubblico rimaneva estraneo a ciascun credente come individuo. 

I misteri ellenistici portarono una concezione tutta nuova delle relazioni umani con la divinità: ciascuno poteva pregare il suo dio salvatore con effusione, con amore, rivolgendosi a lui nel segreto del suo cuore, cosa che non sarebbe mai stata pensabile nei confronti di Giunone o di Cibele; la natura segreta del culto si aggiungeva a questa intimità: l'iniziato si sentiva un privilegiato, custode di un segreto prezioso.

C — Nel paganesimo, il fedele non giocava che un ruolo passivo. Nei nuovi culti, gli si imponeva una responsabilità personale per acquisire un merito: dei digiuni, delle mortificazioni gli erano prescritti, dei periodi di astinenza sessuale, un ascetismo. Giovenale, per esempio, ci parla così delle penitenze imposte dalla dea Iside ad una dei suoi fedeli: «E quella fanatica in pieno inverno scenderà al fiume e, rotta la crosta di ghiaccio, tre volte al mattino si tufferà nel Tevere, immergendo nella corrente, sia pur con timore, persino il capo. Poi, nuda, si trascinerà rabbrividendo sulle ginocchia insanguinate lungo tutto il campo di Tarquinio il Superbo. Se la candida Io lo ingiungerà, andrà sino ai confini dell'Egitto per attingere acqua nella calda Mèroe e poi aspergerla nel tempio d'Iside che sorge accanto al vecchio ovile. Parola della dea, tali reputa gli ordini: che cuore, che mente! gli dei conversano con lei la notte!». [6]

Vi si riconosce l'origine delle pratiche cristiane, l'ascetismo monastico, i digiuni, la penitenza dopo la confessione, il pellegrinaggio in terra santa, i fedeli che, ancora ai nostri giorni, salgono in ginocchio le scale di un santuario, e persino la mutilazione di Origene. In alcuni culti, si praticava la confessione pubblica, come si farà nel cristianesimo prima che il clero ne trasformasse a suo profitto la pratica primitiva. [7]

D. — Si trovano anche nei misteri i precedenti dell'estasi mistica. Anche se questo fenomeno ha basi fisiologiche, come dimostrano le espressioni di Teresa d'Avila, è in gran parte preparato da un ascetismo e un insegnamento religioso: solo un mistico cristiano crederà di incontrare Gesù, un musulmano o un buddista ciascuno una delle forme della sua propria divinità, senza mai alcuna confusione, essendo tutto prefabbricato da una preparazione rituale. [8]

La salvezza dell'anima. — Tutti i culti misterici insegnano la sopravvivenza dell'anima liberata dalla morte. Ma l'immortalità è offerta, in ogni culto, solo agli iniziati. Nulla di contaminato può entrare nel regno di Dio, questo è anche ciò che insegnerà il cristianesimo: [9] senza il battesimo, nessuna salvezza. Che importa che la maggior parte dell'umanità, i bambini morti troppo giovani, le vittime di catastrofi naturali siano così esclusi: il guardiano della porta del paradiso non può lasciar entrare se non coloro che mostrano il loro biglietto d'invito: «Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti». [10]

Questo particolarismo di tutti i culti è aggravato dal carattere unico nel tempo dell'offerta della salvezza: tranne che per coloro che ammettono la metempsicosi, tutto è giocato in una volta sola, e secondo la sola via stretta dell'iniziazione. Ancora quella sola via non è offerta che mediante l'intervento di un dio salvatore. 

Salvatori e misteri. — Il Salvatore non è mai il dio supremo; più spesso la salvezza si fa contro di lui: sebbene divenuto «Figlio di Dio» e seconda persona di una trinità, il salvatore Gesù dovrà sacrificarsi per placare l'ira del Padre... È Dio che si sacrifica per placare Dio, dirà Diderot. Non cerchiamo la logica in questo dramma. Il Salvatore sarà un'emanazione del Dio supremo, un dio di secondo rango: ma avrà sempre ricevuto per delega un potere particolare per aprire agli iniziati la porta dell'immortalità.

Che Gesù, da questo punto di vista, sia analogo alle divinità dell'ellenismo, è chiaro. Prosper Alfaric diceva giustamente: «Gesù è un mito analogo a Osiride, Adone, Attis, Mitra, Ermes o Apollo». [11]

Ma in tutti questi culti, bisogna guardarsi dal divulgare l'offerta di salvezza: tutto deve rimanere segreto. Soltanto agli iniziati sarà rivelato il «mistero». Anche qui, non cerchiamo di capire, Dio vuole selezionare i suoi eletti. Anche qui il cristianesimo non farà eccezione, esso costituirà un «mistero» fino al giorno in cui l'apostolo Paolo avrà ricevuto il permesso di rivelarlo. 

Soltanto allora i cristiani sapranno e potranno dire pubblicamente che Gesù significa «salvatore», e dedicare molte chiese al «Salvatore». [12] Ma fino a quella rivelazione, essi dovevano tacere, come dirà Paolo: «Noi predichiamo la Sapienza divina nel MISTERO, quella che è stata nascosta... [13] Conformemente alla rivelazione del MISTERO che fu tenuto nascosto fin dai tempi più remoti, ma che ora è rivelato... [14] La chiesa di cui io sono diventato il ministro, secondo l'incarico che Dio mi ha dato per voi di predicare... il MISTERO che è stato nascosto agli spiriti del mondo e alle generazioni, ma che ora è stato rivelato ai suoi santi, a cui Dio ha voluto far conoscere quale sia la ricchezza della gloria di questo MISTERO... [15] A me è stata data questa grazia di annunciare alle nazioni le insondabili ricchezze di Cristo e di manifestare a tutti quale sia il piano seguito da Dio riguardo al MISTERO che è stato fin dalle più remote età nascosto in Dio, il creatore di tutte le cose». [16]  

 La stessa affermazione figurerà nel vangelo di Marco:

«A voi è dato il MISTERO del regno di Dio.

A coloro tuttavia che sono fuori, tutto succede per metafore, 

perché vedano con occhi vedenti eppure non sappiano, 

e odano con orecchie udenti eppure non capiscano». [17]

La parola greca «musterion» indica, in tutti questi culti, dapprima la cerimonia segreta di iniziazione, poi si estende all'insegnamento oggetto della rivelazione.

Ma non basta rilevare un'identità di vocabolario, occorre verificare a qual punto il cristianesimo, nella sua essenza, non farà che riprendere l'insegnamento dato ai fedeli di Attis, di Mitra o di Iside. Non si tratta di semplici analogie, ma dell'identità assoluta che verte sui punti essenziali: 

 i riti esteriori;

 la necessità di riscatto delle anime cadute; 

 la necessità dell'intervento di un Salvatore e di un'iniziazione riservata ad una minoranza; 

 la partecipazione degli iniziati al sacrificio del Salvatore per mezzo di un battesimo di rinascita;

 la comunione permanente con questo Signore risorto per mezzo della comunione rituale del pane e del vino;

 il tutto che si basa sulla resurrezione del dio sacrificato.

Ultimo venuto dai culti misterici, il cristianesimo ha ispirato ai suoi predecessori tutti questi elementi, senza i quali non sarebbe nulla.

Questo accostamento era stato percepito dai primi autori cristiani, come Giustino che assicurava che, quando si affermano la nascita verginale di Gesù, la sua crocifissione, la sua morte e la sua resurrezione, i suoi miracoli, non si fa che imitare quel che è raccontato di altre divinità: «Noi non facciamo che ciò che hanno fatto i Greci». [18]

1° — Riti esteriori

I primi cristiani di Roma avevano sotto gli occhi la festa annuale di Attis, dove si celebrava in una settimana santa la morte del dio e la sua resurrezione il terzo giorno. Quella festa, ufficializzata dall'imperatore Claudio, si svolgeva tra il 15 e il 25 marzo, i giorni più importanti essendo il «giorno del sangue», quando si piangeva la morte del dio, e il terzo giorno successivo, quando si celebrava la sua resurrezione. Questa settimana santa di Attis è servita da modello alla festa cristiana, che si svolgeva allora in primavera. Sant'Agostino non esiterà a dire: «Il dio dal berretto frigio era lui stesso cristiano». [19]

Il bel Adone, amante di Afrodite, aveva subito una morte insolita, ucciso da un cinghiale. Ma la protezione della dea gli valse, dopo una discesa agli inferi, di risorgere il terzo giorno: «Il bel Adone... vedeva celebrare a Roma le sue feste d'amore, di lutto e di speranza, triduo dove si commemoravano il suo matrimonio, la sua tragica morte e la sua resurrezione». [20]

«Il Cristo risorge come Adone, come Osiride, come Attis». [21]

Siamo meno informati su questo culto, [22] ma sappiamo che aveva un santuario nella grotta di Betlemme e vari luoghi di culto, tra cui uno presso al Vesuvio. [23] Al momento della sua resurrezione, lo si rappresentava con un ramo in mano, ma ignoriamo il simbolismo di questo ramo. 

A volte l'influenza dei misteri, senza vertere su un insieme così importante, si limitava ad un dettaglio caratteristico. È il caso, nel racconto della passione di Gesù, dell'episodio nel corso del quale i soldati, per derisione, rivestivano Gesù di un mantello scarlatto, collocandogli sulla sua testa una corona (non di spine ma di acanto) e facendogli tenere una canna a mo' di scettro. [24] Non si tratta di un ricordo autentico, ma della ripresa di un rito del culto del dio babilonese Marduc. [25] Erodoto riferisce quella cerimonia, che aveva luogo in cima ad una torre a più piani, dove si celebrava ogni anno la resurrezione del dio. [26] A differenza di Gesù, questo risorto si sarebbe mostrato ai sacerdoti e agli uomini.

2° — Riti di salvezza

L'idea di una decadenza dell'anima umana e della necessità di un riscatto è il fondamento di tutti i culti misterici, e anche della Bibbia. Le cause di questa decadenza sono diverse: nella Bibbia, si tratta della punizione, sulla sua discendenza innocente, della disobbedienza di una coppia non iniziata; nella Gnosi o nei culti ellenistici, è la creazione della materia che ha asservito l'anima. In tutti i casi, il ruolo del dio salvatore è di liberare le anime dalla loro decadenza, ma soltanto a favore degli iniziati.

Per beneficiare dell'aiuto del salvatore, l'anima deve essere stata purificata e istruita del suo destino: l'iniziazione comporterà quindi un rito di purificazione e un insegnamento segreto. Tutto il resto dell'umanità è condannato alla morte, a volte a un castigo eterno.  

La necessità della purificazione era conosciuta nell'ellenismo. Platone insegnava: «Chi giungerà all'Ade non iniziato e non partecipe dei Misteri giacerà sommerso nel fango, mentre colui che vi giungerà purificato e iniziato dimorerà con gli dèi». [27]

Ancora Platone è discreto sulla sorte dei «sommersi nel fango». Un testo di Sofocle era meno riservato: «O tre volte beati tra i mortali coloro che hanno contemplato questi misteri, allorché discenderanno nel regno dell'Ade, infatti solo essi possiedono la vita; per gli altri non vi sarà che sofferenza»

Sarà anche uno dei dogmi della Chiesa romana che i non battezzati non entreranno nel regno dei cieli: anche l'anima di un bimbo neonato rimane sporcata dalla maledizione iniziale della prima coppia e della sua discendenza. Per questo i papi, contrariamente all'usanza originaria di conferire il battesimo solo agli adulti, raccomanderanno di battezzare i neonati. Ciò non figura da nessuna parte nelle Scritture, poiché Gesù non battezzava e poiché non è detto da nessuna parte che i suoi discepoli erano stati battezzati, ma che un centurione — evidentemente non battezzato — potrà accedere alla dimora celeste in ragione della sua sola fede. [28] Ma il cristianesimo rimane l'erede dei misteri, e si mantiene tale anche nelle assurdità e nelle ingiustizie della limitazione della salvezza agli iniziati. 

La questione non sembra mai essere stata risolta di sapere se il battesimo di purificazione fosse sufficiente a lavare via tutti i peccati, tutti i crimini, o se, come certi prodotti detergenti, lasciasse sussistere grandi macchie. Non è uno scherzo: si è a lungo dibattuto, nei primi secoli, di questo problema. Gli imperatori cristiani in particolare, felici di aver scoperto questa procedura di assoluzione, non si privarono del piacere di assassinare, ritardando il loro battesimo fino alla vigilia della loro morte: «L’esempio dell’imperatore Costantino ne è una prova abbastanza eloquente. Questo era il suo ragionamento: Il battesimo purifica ogni cosa; io posso dunque uccidere mia moglie, mio figlio e tutti i miei parenti; dopodiché mi farò battezzare, e salirò in cielo; e non mancò di farlo»

Non è sicuro che sia andato in cielo, ma è sicuro che non fu battezzato fino alla vigilia della sua morte. Cosicché il grande concilio di Nicea, dove furono fissati tanti dogmi importanti, fu presieduto da un non battezzato.

Suo figlio, formatosi ad una scuola così buona, seguì la lezione del padre. L'imperatore Giuliano riporta di lui questo proposito: «Chiunque sa di essere colpevole di stupro, omicidio, rapina, sacrilegio e di tutti i delitti più abominevoli, non appena io l’avrò lavato con quest’acqua, sarà pulito e puro». [29]

Si noterà che la quantità di acqua necessaria non è correlata alla importanza delle macchie da rimuovere. In origine si battezzava per immersione, e Giovanni il Battista nel Giordano. Ma si ammise in seguito la possibilità di battezzare in un catino, poi per semplice spruzzo di un aspersorio. Insomma nel battesimo ogni goccia conta, ma serve dell'acqua, non si può sostituire l'acqua con un altro liquido, ancor meno con della sabbia nel deserto. Allo stesso modo, per la comunione, occorre del vino; non si può trasformare il sidro o la birra nel sangue del Cristo. Tuttavia la Chiesa ammette il battesimo col sangue: il curato di Uruffe se ne è ricordato, quando sventrò la sua amante per battezzare il feto con il sangue della sua vittima.

L'uso di battezzare i bambini presenta un inconveniente: siccome non si può ricevere il battesimo che una sola volta, il cristiano è privato della purificazione per il resto della sua vita. Così si è inventata la confessione, che si può rinnovare tante volte quanto sarà necessario: «Non appena commesso un grave delitto, Luigi XI, la Brinvilliers si confessavano, e si confessavano spesso, come le persone golose si purgano per avere più appetito». [30]

Si discute così sul problema di sapere se l'assoluzione del prete cancelli ogni colpa, mediante la modesta penitenza inflitta, o se i grandi peccati richiedano una riparazione, ma: «Anche con il cielo c'è modo di trovare un accomodamento». [31

3° — Il battesimo di rinascita

Il rito del battesimo è comune a numerosi culti, ma non ha dappertutto la stessa natura. È necessario distinguere almeno due tipi:

A — Il battesimo di purificazione: è, diceva Voltaire, un'idea ispirata al bucato quella per cui l'acqua cancella la macchia del peccato su un'anima immortale. Questa sorta di battesimo era praticato nelle comunità essene, ed era quello che Giovanni il Battista distribuiva nel Giordano.

B — Il battesimo di rinascita che, trasformando l'individuo, equivaleva a una morte seguita da una rinascita: il battezzato diventa «rinato», e questo attributo diventerà un nome. Questo effetto innovatore costituisce una sopravvivenza di antichi culti dell'acqua. 

La differenza essenziale tra questi due tipi di battesimi è che il battesimo di «pentimento» o di purificazione può essere dato frequentemente, tutti i giorni tra gli Esseni, mentre il battesimo di rinascita non può essere dato che una sola volta. Quanto ai loro effetti, il primo cancella la macchia del peccato senza che il battezzato riceva una nuova virtù, mentre il seconda conferisce lo Spirito, fa partecipare l'iniziato al sacrificio del dio salvatore e lo introduce in una nuova comunità aprendogli le porte del regno celeste. Questo secondo battesimo è quello dei culti misterici. Tertulliano ce ne dà una conferma: «In certi misteri, per esempio quelli di Iside e di Mitra, i candidati diventano iniziati con il battesimo... Essi credono che il risultato di questo battesimo sia una rigenerazione e la remissione dei loro peccati». [32]

Che questo battesimo sia quello del cristianesimo primitivo, ne abbiamo la prova dai testi: 

— Nel IV° vangelo figura questo curioso insegnamento, dato a un certo Nicodemo, «maestro in Israele» : «Se uno non è nato d'acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio... Non ti meravigliare se ti ho detto: dovete rinascere dall'alto». [33]

— L'apostolo Paolo, a sua volta, dava questo significato al battesimo: «Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita». [34]

Si noterà, di passaggio, l'incoerenza che consiste nell'affermare, da una parte, la necessità di questo battesimo e, dall'altra, il fatto che Gesù non battezzava: [35] «Il battesimo non ha alcun posto nella tradizione sinottica... Nemmeno una volta si parla di un battesimo amministrato da Gesù o ordinato da lui». [36

Occorre ritenere che l'influenza fatta dai misteri non è stata assorbita che con un certo ritardo.

Questo potere attribuito all'acqua non è una novità: in tutti i culti primitivi, soprattutto  quelli che hanno un'origine agricola, l'acqua è dotata di un potere vivificante: non soltanto lava, ma porta la vita, il che è evidente su una terra arida. Così i culti più antichi hanno attribuito all'acqua un potere misterioso. [37] Il senso mistico del battesimo faceva parte dell'iniziazione, e restava coperto dal segreto. All'origine del cristianesimo, si imporrà al battezzato il giuramento di segretezza, con la garanzia dei testimoni. Cirillo d'Alessandria, nel suo scritto contro l'imperatore Giuliano, riconosce di conoscere questo segreto: «Parlerei del battesimo, se non temessi che il mio discorso pervenga a coloro che non sono iniziati». [38]  

4° — Comunione ed eucarestia

Il battesimo di rinascita, conferito una sola volta, non bastava a mantenere l'iniziato nella sua nuova religione, le ricadute restavano possibili: era quindi necessario istituire un rito di comunione permanente con il dio.

Ora questo rito esisteva da molto tempo, figurava nella religione di Zoroastro: «Zoroastro disse ai suoi discepoli: «Chi non mangerà il mio corpo e non berrà il mio sangue perché egli si unisca a me e io mi unisco a lui, costui non avrà la salvezza». [39]

Sappiamo anche che, nel culto di Attis, l'iniziato, dopo aver mangiato il contenuto del timpano (attributo di Cibele, prodotto a base di grano) e aver bevuto ciò che conteneva il cimbalo (attributo di Attis, senza dubbio del vino mescolato all'acqua), diceva: «Io sono diventato miste di Attis» e il sacerdote gli rispondeva: «O te felice, beato, che invece d'un mortale ora sarai un dio». [40]

Ma il rito ci è assai meglio conosciuto nel culto di Mitra, che fu un concorrente molto serio del cristianesimo. Oltre al sacrificio del toro, questo culto comportava un «sacramento» nel quale l'iniziato riceveva del pane e il contenuto di un calice sul quale si pronunciava una formula di consacrazione, [41] il tutto «in un pasto sacramentale dove riceveva la comunione sotto le specie del pane e del vino, simboli dei doni benefici di Mitra all'umanità. Questo sacramento era anche un ricordo dell'ultimo pasto consumato da Mitra sulla terra». [42]

Abbiamo là l'intero rito cristiano, con pure il ricordo dell'ultimo pasto di Mitra. Ma l'accostamento è ancora più impressionante, se consideriamo un testo, pubblicato da Cumont, [43] delle parole attribuite a Mitra: «Colui che non mangerà affatto il mio corpo e non berrà affatto il mio sangue per unirsi con me e io con lui non avrà affatto la salvezza». [44]

Questa analogia non era ignorata dall'apostolo Paolo, che metteva in guardia i cristiani contro il rischio di confusione: «Voi non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni, voi non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni». [45

Il Paolo che parla là è ovviamente diverso da quello che, d'altra parte, menziona i pasti comunitari dove ognuno porta la sua borsa, «e così uno ha fame, l'altro è ubriaco». [46] L'idea di bere il sangue resta inaccettabile in ambiente ebraico.

È quindi certo che il cristianesimo ha mutuato dai culti misterici l'istituzione dell'eucarestia, che risaliva molto indietro nel tempo, poiché era conosciuta da Zoroastro e figurava nell'antico culto egiziano di Osiride dove il sacerdote, consacrando il contenuto del calice, pronunciava la formula sacramentale: «Tu sei vino, tu non sei vino, ma le viscere di Osiride». [47]

E questa influenza sul cristianesimo deve essere tardiva, poiché la sua istituzione nel corso dell'ultima cena di Gesù viene ignorata da colui che doveva conoscerla meglio, il discepolo amato di Gesù al quale si attribuisce (a torto) il IV° vangelo. [48]

Ma incorporando questo sacramento, il cristianesimo vi aggiungerà un'ulteriore difficoltà con il dogma della transustanziazione. Negli altri culti, l'assimilazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue del dio non era che un simbolo. Al contrario, quando a Gesù si fa dire: «Questo È il mio corpo, questo vino È il mio sangue», la Chiesa romana insegna che si verifica allora — e ogni volta che un prete ripete questa formula alla messa — una vera e propria modificazione chimica della sostanza, cosicché il fedele mangerà realmente il corpo di Gesù e il prete berrà realmente il suo sangue. Questa assurdità è stata a lungo derisa da Voltaire, [49] ed è respinta dai protestanti. 

5° — Il ruolo del Salvatore

Nell'ammettere la necessità di un Salvatore, come interviene, qual è il suo ruolo? Un razionalista potrebbe pensare che essendo di natura divina, il Salvatore non avrebbe che da ordinare per essere obbedito, ma questo non è il modo di ragionare di un credente.

Dato che la paura della morte è la più forte tra gli uomini, il Salvatore deve dimostrare di essere più forte della morte. Per questo egli deve morire e risorgere: si deve supporre che questa sia un'esigenza del Dio supremo, che non si spiega.

Così tutti gli dèi salvatori muoiono: Osiride ucciso e smembrato, Attis di morte sanguinosa, ricordato il «giorno del sangue» della sua settimana santa, Adone ucciso da un cinghiale... Tutti che discendono agli inferi, e risorgono il terzo giorno.

Anche qui, il cristianesimo aggiungerà un'assurdità a quel vecchio credo: è per placare la sua collera che Dio il Padre, dopo aver tentato di distruggere tutta l'umanità con un diluvio, condannerà ad una morte umiliante il suo proprio Figlio. Assurdità aggravata dall'affermazione che questo sacrificio non servirà a granché, poiché non ne beneficerà che una piccola minoranza. Come dice Diderot: «Se esistono centomila dannati per un solo salvato, il demonio mantiene sempre il vantaggio senza aver abbandonato suo figlio alla morte»

Ma la morte e la resurrezione di Gesù pongono ben altri problemi, che esaminerò più avanti. Per il momento, Gesù non è ancora nato. 

Nel frattempo, ricorderò alcune particolarità di certi dèi salvatori.

Adone. — Si tratta dell'antico dio babilonese Tammuz, divinità della fertilità. La sua leggenda ci è riportata da Apollodoro, abbellita dai Greci. Egli presenta l'originalità di essere nato... da un albero. Adorato come dio salvatore, si celebrava la sua resurrezione in misteri che conosciamo molto poco.

Attis. — Associato al culto agrario di Cibele, egli è nato dalla vergine Nana, fu nel I° secolo della nostra era un serio concorrente per il cristianesimo nascente. Dopo la sua morte, sarà considerato una divinità agraria, ma sarà chiamato «Padre» e rappresentato con un berretto frigio mentre presiede alla marcia delle stelle. [50]

Dioniso o Bacco. — Oggi immaginiamo Bacco solo come il dio della vite e del vino. Ma i misteri di Dioniso sono molto antichi, sono evocati in una tragedia di Euripide Le Baccanti. [51] Le loro manifestazioni violente provocarono disordini a Roma sotto la Repubblica, [52] ma il culto fu tollerato sotto l'impero. A Pompei, dei dipinti ripercorrono scene di questo culto nella «villa dei misteri».

Figlio di Zeus e della principessa tebana Semele, ebbe una doppia nascita: nato prematuro, sarà conservato, alla morte di sua madre, nella coscia del padre divino fino alla sua seconda nascita nel tempo. Dopo la sua morte, Zeus lo eleverà al rango degli dèi. [53

La sua passione è stata paragonata a quella di Gesù, poiché si consegna volontariamente alla morte in sacrificio: «La Grecia prefigura con Dioniso il dio sacrificato perché egli si sacrifica, che il cristianesimo colloca al centro del mistero eucaristico». [54]

Già nella commedia di Euripide (V° secolo prima della nostra era), l'indovino Tiresia dice che, sebbene sia un dio, si offre ad altri dèi «in libagione» (di vino, evidentemente), e che così gli uomini gli devono la loro felicità. È forse a questa cerimonia che Paolo penserà scrivendo: «Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi». [55]

Iside. — Sposa del dio egizio Osiride, sarà associata al culto di questo dio dei morti, e finirà per soppiantare il suo sposo in una deviazione di questo culto in suolo greco.

Le manifestazioni esterne del culto di Iside sono riportate nel romanzo di Apuleio Le metamorfosi (o L'asino d'oro), ma le cerimonie segrete non possono che essere immaginate. Vi si celebrava la resurrezione di Osiride, di cui Iside aveva riunito le membra sparse. Iside aveva templi a Roma e in tutto l'impero, ma questo culto sarà di fatto limitato alle donne; quello di Mitra era esclusivamente maschile. In letteratura, gli amanti delle fedeli di Iside si lamentavano dei periodi di astinenza sessuale che impone la dea. [56]

Ciò che ci interessa di più del culto di Iside è che prefigura il culto di Maria nel cristianesimo. Iside, vergine e madre, è rappresentata vestita di un mantello costellato e mentre tiene il bambino Horus nelle sue braccia, e il culto cristiano di Maria, sconosciuto alle origini, sarà modellato su quello di Iside: «Le preghiere che erano rivolte a Iside sono dello stesso tipo di quelle che milioni di cattolici romani impiegano ancora oggi nelle loro preghiere alla Beata Vergine, a tal punto le stesse che l'immagine di Iside, rivestita del manto celeste azzurro, che appare sulla volta stellata, con il dio-bambino al braccio, è conservata in innumerevoli immagini della Madonna». [57

Vi è però una differenza tra Iside e Maria: quale che sia il punto elevato della sua ascensione nella gerarchia celeste, Maria resta un agente di intercessione, trasmette le preghiere; Iside è una dea, che agisce col suo proprio potere, anche se deve ottenere il consenso di Osiride. Apuleio, che fu iniziato ai misteri di Iside, ma che non può rivelarcene la sostanza, ci riporta comunque una parte della sua iniziazione: «Raggiunsi i confini della morte, varcai le soglie di Proserpina rivissi tutti gli stadi dell'essere, vidi nella notte il soie brillare di candida luce, giunsi al cospetto degli dei inferni e di quelli del cielo, li adorai da vicino...». [58]

Ecco il modello di preghiera a Iside che ci dà: «O santa e sempiterna Salvatrice del genere umano, prodiga dispensatrice di grazie in favore dei mortali, tu offri la tenerezza soave di una madre ai poveri che soffrono. Non passa giorno, non una notte, non un istante per quanto breve che tu non largisca i tuoi doni, non protegga in terra e in mare i mortali... A un tuo cenno soffiano i venti, le nubi si gonfiano le sementi germogliano, i germogli crescono... custodirò per sempre nel profondo del mio cuore e dei miei pensieri il tuo volto divino, il tuo santissimo nume». [59]

Nondimeno, benché abbia ricevuto l'iniziazione completa, dovrà ancora ricevere l'iniziazione complementare al culto di Osiride, associato a quello della sua sposa. E il grande dio gli fa buona accoglienza: «Mi apparve in sogno, non sotto altre spoglie ma nel suo vero aspetto e si degnò di rivolgermi la sua veneranda parola». [60]

Non si dimenticherà che Apuleio scrisse verso la metà del II° secolo della nostra era, ignorando totalmente l'esistenza stessa del cristianesimo.

Cambiate, nella sua preghiera, il nome di Iside in Maria, tutto rimarrà valido, e soprattutto quella nozione della «tenerezza soave di una madre».

Mitra. — Le analogie tra il culto di Mitra e quello di Gesù sono così manifeste che avevano colpito Giustino [61] e Tertulliano, [62] che un papa assicurerà che si tratta dello stesso dio, [63] e che Renan ha scritto: «Se il cristianesimo fosse stato arrestato nella sua crescita da qualche malattia mortale, il mondo sarebbe stato  mitraista». [64]

Divinità solare di origine iraniana, Mitra nacque il 25 dicembre, al solstizio d'inverno. È per rivaleggiare la sua festa che si riporterà al 25 dicembre la natività di Gesù, festeggiata dapprima in primavera. Nacque in una grotta. Come Gesù, egli non è associato a nessuna divinità femminile e il suo culto è esente da ogni elemento sessuale. La sua lotta contro il toro simboleggia la sua lotta contro il Male. Prima della sua morte dà un ultimo banchetto ai suoi discepoli, dove condivide il pane e il vino, e i suoi fedeli continueranno a ricevere la comunione con il pane e il vino, ciò che assicura loro la vita eterna.

Dopo la sua morte e la sua resurrezione, egli salì in cielo su un carro (come Elia). Il suo culto, diffuso dalle legioni romane, ebbe una grande espansione. Il tempio centrale era a Roma, ma se ne conoscono altri in Germania, a Londra, in Romania, in Spagna.

L'iniziazione comportava sette gradi, di cui il più elevato era quello di «Padre» (papa). Gli iniziati si chiamavano tra di loro «fratelli» e sostenevano l'uguaglianza sociale. Come anche nel cristianesimo, le donne erano escluse dal culto e considerate esseri inferiori.

L'apogeo del culto di Mitra fu raggiunto con la conversione dell'imperatore Giuliano, ma la conversione di Costantino al cristianesimo gli sarà fatale. [65] Esisteva un vangelo di Mitra, che raccontava la sua vita terrena, le sue lotte, l'ultimo pasto preso con i suoi discepoli, la sua morte e la sua resurrezione, ma quest'opera è andata perduta. Degli autori antichi ne parlano e vi trovano grandi somiglianze con i vangeli cristiani. [66] Forse è una delle fonti dei nostri vangeli? 

Serapide. — Va segnalato infine il culto di Serapide, perché non è un culto originale, ma già un sincretismo che prefigura quello che sarà realizzato nel cristianesimo: derivato dal dio egizio Osiride, Serapide si era annesso Dioniso e il suo simbolismo del vino, era assimilato al sole, e guariva i malati come farà Asclepio.

Analogie e sincretismo. — Ci fu un tempo alle origini in cui tutti questi dèi salvatori andavano abbastanza d'accordo tra loro: le analogie del loro culto favorivano le assimilazioni. Apuleio si fece successivamente iniziare al culto di Iside poi a quello di Osiride, che ne costituiva un complemento, e non sembra che la pluralità delle iniziazioni sia stata condannata.

Minucio Felice, un singolare cristiano del III° secolo che ignorava l'esistenza e la morte di Gesù, riteneva che importasse poco che i fedeli ignoravano il nome del dio che pregavano: «Ascolta, diceva loro, il popolo: quando alzano le mani verso il cielo, non dicono altro che “Dio”, “Dio è grande”, “Dio è vero” e “Se piacerà a Dio”. È questo il linguaggio spontaneo del popolo o la professione di fede in un Cristiano?» [67]

Le analogie tra il cristianesimo nascente e i culti pagani avevano colpito gli autori cristiani del II° secolo:

Lo stesso imperatore Adriano ne era confuso, e scriveva al prefetto Serviano parlando di Alessandria: «Laggiù gli adoratori di Serapide sono cristiani, e quelli che si dicono vescovi di Cristo sono devoti di Serapide». [68]

Giustino ne ricaverà un argomento nella sua Apologia del cristianesimo: «Quando noi diciamo che il Logos, che è il primogenito di Dio, Gesù Cristo il nostro Maestro, è stato generato senza connubio, e che è stato crocifisso ed è morto e, risorto, è salito al cielo, non portiamo alcuna novità rispetto a quelli che, presso di voi, sono chiamati figli di Zeus... Se poi diciamo che è stato generato da una vergine, anche questo sia per voi un elemento comune con Perseo. Quando affermiamo che egli ha risanato zoppi e paralitici ed infelici dalla nascita, e che ha resuscitato dei morti, anche in queste affermazioni appariremo concordare con le azioni che la tradizione attribuisce ad Asclepio». [69]

Tertulliano ha potuto scrivere che «il dio dal berretto frigio (Attis) era egli stesso cristiano», poiché anche lui risorgeva il terzo giorno.

Quelle confusioni diventeranno ovviamente impossibili quando i progressi del cristianesimo lo porranno in contrasto ai culti ellenistici e persecutore del paganesimo.

Degli dèi mortali? — Ci si potrebbe stupire oggi del fatto che tutti questi dèi salvatori siano stati soggetti alla morte: in quanto dèi non erano forse immortali? Ciò è comunque conforme a tutte le mitologie, e specialmente alla mitologia greca, dove si distinguono i grandi dèi immortali, [70] e i semidèi, nati da un dio e da una donna mortale.

I semidèi devono morire: Ercole, figlio di Zeus e di Alcmena, Castore e Polluce, nati da Zeus e da Leda, subiranno la morte. È dopo la loro morte che potranno essere divinizzati, trasformati in costellazioni.

Gli dèi salvatori sono più spesso i semidèi: Attis, Adone, Dioniso erano nati da un mortale. Questo è anche il caso di Gesù, nato da una vergine fecondata da un dio.

L'importante non è d'altronde che muoiano, ma che risorgano, per dimostrare la loro vittoria sulla morte.

Il Salvatore ebreo. — Il dottor Couchoud, medico e amico di Anatole France, ha fatto una scoperta importantissima nella ricerca delle origini cristiane: il personaggio che si chiamerà Gesù Cristo non proviene dalla divinizzazione di un uomo che era esistito, ma in questo personaggio duplice il dio Cristo ha preceduto da lontano nel tempo l'umanizzazione raccontata nei nostri vangeli. Gesù Cristo non è un uomo divinizzato, concezione inammissibile in ambiente ebraico, ma un dio dotato più tardi di una vita terrena, un «dio fatto uomo». [71]

Questo dio precedente figura tra gli dèi «salvatori», come ha dimostrato Alfaric, ma possiede alcuni tratti propri. 

A — Egli non è il salvatore di tutti gli uomini, ma solamente del popolo ebraico, ha fatto alleanza con questo popolo. Come tale, egli porterà agli ebrei non solo la salvezza per la sopravvivenza dell'anima (ammessa dai farisei e dagli Esseni), ma soprattutto la salvezza terrena liberando il suo popolo dal giogo romano. A questo titolo egli sarà assimilato al Messia, che si è creduto di poter ricavare da alcuni testi biblici: lo ritroveremo più avanti.

B — Non ha un nome, o più esattamente il suo nome resta nascosto, poiché questo nome ha un potere terribile. Questo nome resterà segreto fino a quando l'apostolo Paolo non lo rivelerà, secondo la missione che si attribuirà di rivelare questo mistero «nascosto da secoli». [72] Ma questo nome non poteva che essere Gesù, dapprima perché Gesù significa «salvatore», ma anche perché è lo stesso nome di Giosuè, colui che aprì agli ebrei la terra promessa. [73]

Anche quando sarà rivelato, questo nome conserverà tutto il suo potere: «il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra». [74]

C — Tuttavia, siccome si doveva chiamarlo, anche nell'ignoranza del suo nome nascosto, lo si chiama «Cristo», dal greco «christos» che significa «unto». Perché questa parola?

L'olio svolgeva un ruolo sacramentale tra gli ebrei, che lo utilizzavano nella consacrazione dei re e nell'attribuzione della funzione dei sacerdoti. Ma non era evidentemente possibile procedere all'unzione materiale di un personaggio celeste. Per analogia si ammise così che questo personaggio divino fosse «unto» per natura, il più sacro di tutti gli «unti».

Curiosamente, quando si attribuisce questo nome al Gesù terreno, nessuno sembra essersi sognato di conferirgli un'unzione. Cosicché egli sarà chiamato «cristo» senza aver ricevuto l'olio. 

Una curiosa questione di linguistica si pone a proposito di questo nome: esso si avvicina al greco «chrestos», che è un semplice aggettivo che significa «buonissimo». La pronuncia antica ci è sconosciuta, ma si può ammettere che la «e» si pronunciasse già come una «i». [75] La tentazione fu senza dubbio forte di applicare questo aggettivo al dio unto? Non era egli anche il dio «buonissimo»? [76]

Ritroveremo il Cristo tra gli Eoni gnostici. 

D — Infine un altro appellativo del dio nascosto può sembrarci sorprendente: a volte è chiamato «figlio dell'uomo», il che sembra contraddittorio per un dio. 

Ma quella espressione proviene semplicemente da Daniele, in cui costituisce una semplice ridondanza per dire «un uomo». Daniele non lo applica a un dio, egli racconta che nella sua visione gli è apparso un essere che aveva l'apparenza di un uomo: «Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno COME un figlio d'uomo». [77]

Dato che il sogno di Daniele era considerato profetico, si conserverà quella espressione, che sarà in gran parte consacrata dall'uso: essa figura nell'Apocalisse, [78] nel libro di Enoc, [79] e forse anche tra gli Esseni. [80]

E — L'idea di un salvatore ebreo sorprenderà probabilmente chi ha familiarità con il monoteismo intransigente degli ebrei, ma questo monoteismo è di origine molto più tardiva: gli ebrei, come tutti i popoli antichi, hanno iniziato coll'essere politeisti:

a) La prova ne è nella Bibbia stessa, dove la Genesi riporta, dalla sua prima pagina, due tradizioni opposte relative alla creazione del mondo: l'una riferisce questa creazione a «Elohim», che è un plurale, l'altra a Jahvé. Dato che l'editore non aveva osato scegliere tra queste due versioni, le ha riprodotte una al seguito dell'altra. Più avanti si trova la forma Jahvé-Elohim, ma gli si fa dire: «Ecco, l'uomo è divenuto come uno di noi, perché conosce il bene e il male» (Genesi 3:22) cosa che può intendersi solo a proposito di una pluralità di dèi.

b) In tutta l'antichità, gli dèi non sono mai concepiti all'origine se non come protettori ciascuno di un popolo, di una città. Jahvé è il protettore del popolo ebraico, ma questo implica la molteplicità e la rivalità degli dèi, come nell'Iliade. Nella leggenda di Sansone, Jahvé protegge Sansone contro il dio filisteo Dagon... Renan ritiene che il nome di Israele stabiliva un legame tra le molte tribù nomadi il cui nome contiene il nome del dio «El», [81] cosa che non implica un monoteismo, ma soltanto una parentela... ipotetica. 

c) Nella storia, la concezione di un dio unico e universale appare solo in Egitto, con il faraone Amenofi IV, che rinnegò il culto di Amon per installare quello del disco solare chiamato Aton. Ora il regno di Amenofi-Akhénaton è sostanzialmente contemporaneo all'epoca in cui Mosè avrebbe fatto uscire gli ebrei dall'Egitto.  Da qui la tesi di Freud secondo la quale Mosè sarebbe stato iniziato in Egitto in un tempio di Aton. [82] Questa tesi suggestiva, che fa di Mosè un egiziano, mi sembra che si scontri con una difficoltà: come ammettere che gli ebrei avrebbero seguito uno straniero nel deserto? Tuttavia Renan osserva che «Mosè» è un nome egiziano, ma ammette che l'esistenza stessa di Mosè resta dubbia.

d) In ogni caso, anche se Mosè avesse tentato di imporre agli ebrei il culto di un dio universale, egli avrebbe fallito, poiché vediamo che, appena Mosè è assente, gli ebrei ritornano al culto di altri idoli, come il vitello d'oro: questa non è la prova di una concezione molto intellettuale della divinità. 

e) Anche se si limita l'esclusività del dio Jahvè al solo protettore del popolo ebraico, questa concezione non esclude una certa infiltrazione di personaggi quasi divini derivati dall'ellenismo: la visione di Daniele poggia sull'apparizione di un personaggio che ha un'apparenza di uomo, ma tuttavia venuto dal cielo come annunciatore, e al quale Daniele attribuisce «dominio, gloria e regno su tutti i popoli, nazioni e lingue... Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà mai distrutto». [83] Allo stesso modo nel capitolo 4 dell'Apocalisse, opera ebraica, ci viene mostrato nel cielo il trono divino circondato da un gran numero di creature celesti, e l'eroe di quest'opera, colui che discenderà dal cielo per distruggere l'umanità, è un'emanazione del Dio unico, molto vicina a quello che sarà più tardi il «Figlio di Dio».

Il Figlio di Dio. — L'idea che un solo dio possa avere un figlio è comunemente accettata nel cristianesimo, dal momento che al Concilio di Nicea Gesù è diventato Figlio del Padre nella Trinità divina; è un'invenzione dei monaci bizantini, è tuttavia difficile da conciliare con il monoteismo. Il Corano ritiene che attribuire un figlio ad Allah sia una bestemmia, e gli ebrei non l'hanno mai ammesso.

Tuttavia l'espressione «figlio di Dio» è abbastanza frequente, anche nella Bibbia, se la prendiamo in senso figurato: in un certo senso, tutti gli ebrei possono essere chiamati figli di Dio, e questo nome è ripreso nei vangeli senza che vi si associ una filiazione reale: «Beati coloro che si adoperano per la pace, perché essi saranno chiamati figli di Dio». [84]

Faremo un passo in più con la nozione dell'adozione. Quell'idea figura negli Atti degli Apostoli [85] con riferimento al Salmo 2: «Tu sei mio Figlio, oggi io ti ho generato». [86]

Quell'idea che Gesù avrebbe potuto essere adottato al suo battesimo, che ebbe dei seguaci alle origini cristiane, sarà evidentemente abbandonata, quando si doterà Gesù di un'autentica nascita carnale, e ancor più quando diventerà la seconda persona della Trinità. Allora il verso iniziale di Matteo che descrive l'adozione (3:17) sarà sostituito da un riferimento ad Isaia: «Ecco il mio Figlio, in cui mi compiaccio». [87]

Cosa che permetterà anche ai discepoli di dirgli: «Tu sei veramente il Figlio di Dio». [88]

L'espressione «Figlio di Dio» è comune nei vangeli. [89] Ma quando la si trova in un testo precedente, è impossibile sapere se non sia stata introdotta in una successiva rielaborazione. Ricordiamo semplicemente il rimprovero che Celso faceva ai cristiani del suo tempo, di aver «alterato a loro piacere tre, quattro volte e anche più il testo primitivo del vangelo», [90] per confutare ciò che si opponeva a loro.

Si deve concludere che quella espressione è sempre di dubbia origine. Ben più, potrà talvolta provenire dalla Gnosi, e questo è il caso per l'introduzione del IV° Vangelo, dove essa si applica al Logos, prima emanazione del Dio supremo: «In principio era il Logos, il Logos era in Dio e il Logos era Dio». [91]

Perdiamo il senso reale di questo testo traducendo «Logos» con «Verbo» o con «parola», il che cancella qualsiasi designazione di un essere celeste, primo creato nell'universo, e non ci permette più di comprendere l'origine gnostica del prologo del vangelo attribuito a Giovanni. Ritroviamo il Logos nel capitolo seguente. 

Conclusione

I debiti del cristianesimo ai culti misterici sono molto importanti. Il cristianesimo, venendo in gran parte dopo gli altri dèi salvatori, dovrà solo plagiare un insieme elaborato da parecchi secoli.

Guignebert, che tuttavia credeva all'esistenza reale e alla crocifissione di Gesù, doveva convenire che il cristianesimo doveva la maggior parte dei suoi dogmi e del suo successo ai contributi dei culti di salvezza: «Sul suolo ellenistico fiorivano in quel tempo religioni ben attrezzate, che pretendevano di rivelare agli uomini la via per la quale, al di là delle loro miserie terrene, avrebbero raggiunto una vita eternamente beata. Per farsi posto tra loro, il cristianesimo, ancora agli inizi, molto flessibile perché molto informe... si troverà spinto ad assomigliare a loro, ad offrirsi, a sua volta, come una religione di salvezza». [92]

Se noi constatiamo l'importanza di queste influenze, non vediamo bene come si sia fatta l'amalgamazione.

Non sembra che queste influenze siano state fatte sulla piccola comunità di Gerusalemme, in un ambiente ebraico: «Il primo gruppo di discepoli non cerca né di promuovere una nuova religione né di darsi un'organizzazione di conquista». [93]

È dunque sul versante del paolinismo, intriso di ellenismo, che si dovrà rivolgere la nostra ricerca. Eppure non vi troveremo un dio salvatore paragonabile a Mitra, ma sappiamo che il nome di Gesù indica esso stesso un Salvatore. Nell'esaminare altre fonti, se vi trovassimo un salvatore Cristo ?

NOTE

[1] Jérôme Carcopino, La vie quotidienne à Rome à l'apogée de l'empire, ed. Hachette, 1969.

[2] Egli discerne bene la provenienza dell'invasione, la Siria.

[3] Si veda Guy Fau, Le milieu religieux romain au temps des Césars, in Cahiers du Cercle Ernest Renan.

[4] Giovenale, Satire 2:149-152.

[5] Si veda E. O. Briem, Les sociétés secrètes de mystères, ed. Payot, 1941, pag. 233.

[6] Giovenale, Satire 6:522-531.

[7] Interpolazione in Giovanni 20:23, successiva alla metà del III° secolo, come la missione di Pietro in Matteo

[8] Si veda Bastide, Les problèmes de la vie mystique, ed. Armand Colin, n° 136 (1931).

[9] Matteo 18:3.

[10] Matteo 22:14.

[11] Prosper Alfaric, Les origines sociales du christianisme, ed. rationalistes. 

[12] Ad Aix-en-Provence, la cattedrale dedicata al santo Salvatore comprende un antico tempio pagano trasformato in battistero cristiano.

[13] 1 Corinzi 2:7.

[14] Romani 16:25.

[15] Colossesi 1:25-27.

[16] Efesini 3:8-9.

[17] Marco 4:11-12.

[18] Citato da Prosper Alfaric in A l'école de la raison, ed. rationalistes, pag. 126. Si veda Guy Fau, La fable de Jésus-Christ, 3° ed., pag. 150.

[19] Si veda E. O. Briem, Les sociètes secrètes de mystèries, pag. 300.

[20] Franz Cumont, Religions orientales, ed. Gauthier, 1963, pag. 101.

[21] Citato da W. Atallah nel suo Adonis, pag. 268.

[22] Si veda W. Atallah, Adonis, ed. Klongksieck, 1966.

[23] A Boscoreale, presso Pompei (Atallah, Adonis, pag. 274).

[24] Matteo 27:27-30; Marco 15:16-19; Giovanni 19:2-3.

[25] «Il sommo sacerdote spoglia il monarca delle sue insegne reali, lo scettro, la corona e le armi... Lo colpisce sulla guancia, gli tira le orecchie e gli fa recitare in gincchio una confessione» (Briem, Les sociètes secrètes de mystèries, pag. 133).

[26] E. O. Briem, Les sociètes secrètes de mystèries, pag. 135-139).

[27] Platone, Fedone.

[28] Voltaire, Dizionario filosofico, v° Battesimo.

[29] Imperatore Giuliano, Satira dei Cesari; Voltaire, Dizionario filosofico, v° Battesimo.

[30] Voltaire, Dizionario filosofico, v° Confessione.

[31] Molière, Tartufo, Atto 4, scena 5.

[32] Tertulliano, Il battesimo 5.

[33] Giovanni 3:5-7.

[34] Romani 6:3-4. Forse non è il vero Paolo ad aver scritto ciò, una successiva armonizzazione di questo passo è probabile. 

[35] Giovanni 4:2. Si veda Charles Guignebert, Jésus, pag. 187.

[36] Charles Guignebert, Le Christ, pag. 86-87. — L'istruzione data dopo la risurrezione nel solo Matteo (28:19): «Battezzate tutte le nazioni» non è che un'interpolazione successiva, se non altro per la sua formula trinitaria. Come ammettere che gli altri tre vangeli abbiano potuto ignorare questa istruzione, se fosse necessaria per la salvezza? 

[37] Si veda J. K. Watson, Le christianisme avant Jésus-Christ, che dedica un capitolo ai culti dell'acqua (pag. 27 e seguenti).

[38] Riportato da Voltaire, Dizionario filosofico, v° Battesimo.

[39] Citato da J. K. Watson, Le christianisme avant Jésus-Christ, pag. 75.

[40] Ippolito, citato da E. O. Briem, Les sociétés secrètes de mystères, pag. 307.

[41] Si veda Martin Vermasseren, Mithra, ce dieu mystérieux, ed. Sequoia, Paris-Bruxelles, 1960, e l'articolo di Robert van Assche, Mithra et le Christ, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 76, giugno 1972.

[42] Giustino, Apologia 1:46, 4.

[43] Riportato da Vermasseren, Mithra, ce dieu mystérieux, pag. 86.

[44] Da confrontare col vangelo di Giovanni (6:53): «Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita».

[45] 1 Corinzi 10:21.

[46] 1 Corinzi 11:21.

[47] Secondo Wesely, citato da Charles Guignebert nel suo Christ, pag. 173, e  da Prosper Alfaric, Les origines sociales du christianisme, pag. 210.

[48] L'istituzione vi figura ben prima, al momento della moltiplicazione dei pani (Giovanni 6:32-35).

[49] Voltaire, Dizionario filosofico, v° Transustanziazione.

[50] Per questa ragione, ho proposto di attribuire ad Attis il «quadrato magico», anteriore al cristianesimo, ma ripreso dai cristiani. Sator designa il Padre (colui che dà il seme), e opera rotas, la rotazione stellare. 

[51] Si veda Etienne Weil-Reynal, Les Bacchantes d'Euripide, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 97, dicembre 1976.

[52] Tito Livio, Storia di Roma 39:8 (caso dei baccanali).

[53] Si veda H. Jeanmarie, Dionysos, ed. Payot, 1951.

[54] Citato da Ernest Kahane, Dionysos mis à mort, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 105.

[55] Filippesi 2:17.

[56] Si veda Guy Fau, L'émancipation fèminine à Rome, ed. Les Belles Lettres, 1978, capitolo 4.

[57] E. O. Briem, Les sociétés secrètes de mystères, pag. 159.

[58] Apuleio, Le metamorfosi 11:23.

[59] Apuleio, Le metamorfosi 11:25.

[60] Apuleio, Le metamorfosi 11:30.

[61] Giustino, Apologia 1:66.

[62] Tertulliano, De praescriptione hereticorum, 40.

[63] Paolo III, frase riportata dall'ambasciatore di Spagna Mendoza; si veda Guy Fau, La fable de Jésus-Christ, 3° ed., pag. 17-18. 

[64] Ernest Renan, Marc-Aurèle et la fin du monde antique, Calmann-Lévy, opere complete, 1947-1961, pag. 579. Non condivido questa opinione, perché il culto di Mitra era riservato agli uomini, e le donne svolgono sempre un ruolo importante in materia religiosa. 

[65] Su Mitra, si veda sopra la nota 41.

[66] Porfirio, De abstinentia 4:16; Girolamo, Adversus Joviniem 2:14; Giustino e Tertulliano, note di cui sopra 61 e 62. 

[67] Minucio Felice, Ottavio 10, ed. Belles Lettres.

[68] Citato da J. K. Watson, Le christianisme avant Jésus-Christ, pag. 255.

[69] Giustino, Apologia 21-22.

[70] Essi potevano avere una nascita: Zeus è nato a Creta, Afrodite nacque dal mare, ecc.

[71] Si veda Paul-Louis Couchoud, Jésus, le dieu fait homme, ed. Gallimard, così come Le dieu Jésus, id., 1951.

[72] Epistola agli Efesini 3:9.

[73] Giosué e Gesù sono traduzioni dello stesso nome ebraico «Jeshua». L'assimilazione è stata fatta con l'attribuzione a Gesù del testo dell'Esodo riguardante Giosuè: «Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te...  Egli non ti abbandonerà, perché il mio Nome è in lui» (Esodo 23:20-21). Anche tradotto in greco, questo nome era comune tra gli ebrei (Si veda Guy Fau, Douze Jésus devant l'histoire, con un tredicesimo in aggiunta, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, n. 80, aprile 1973). Ma non si dimentichi mai che «Gesù è colui che salva» (1° Epistola ai Tessalonicesi 1:9-10).

[74] Epistola ai Filippesi 2:9-10.

[75] Si è chiamata questa deformazione «iotacismo», esiste nel greco moderno.

[76] Georges Ory suggeriva che il «Buonissimo» potrebbe aver preceduto l'unto, l'analogia della pronuncia avendo suggerito la connessione (Georges Ory, Le Christ et Jésus, ed. du Pavillon 1968, pag. 29). Ma è altamente improbabile che tutti gli scrittori, che conoscevano bene la lingua greca, abbiano commesso la stessa confusione. 

[77] Daniele 7:13.

[78] «Come mi fui voltato, vidi sette candelabri d'oro e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un Figlio d'uomo» (Apocalisse 1:12-13). 

[79] «Questi è il Figlio dell'Uomo, per il quale fu fatta la Giustizia e col quale è stata fatta la Giustizia» (Enoc 46:3).

[80] Il loro maestro, il cui nome doveva restare nascosto, era designato con l'espressione «Maestro di Giustizia», molto probabilmente secondo il libro di Enoc. 

[81] Ernest Renan, Histoire du peuple d'Israël, volume I, pag. 94.

[82] Sigmund Freud, Moïse et le monothéisme.

[83] Daniele 7:14.

[84] Matteo 5:9.

[85] Atti 13:33.

[86] Salmo 2:7.

[87] Isaia 42:1.

[88] Matteo 14:33.

[89] Matteo 4:3 e 6; 8:29; 14:33; 16:16; 26:63; 27:40, 43 e 54; Marco 3:11; 5:7; 15:39; Luca 1:35; 4:3; 9 e 41; 8:28; 22:70, ecc.

[90] Celso, Discorso vero contro i cristiani, traduzione di Louis Rougier, 2:21.

[91] Giovanni 1:1.

[92] Charles Guignebert, Le Christ, pag. 9.

[93] Charles Guignebert, Le Christ, pag. 118.

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