sabato 21 novembre 2020

IL CRISTIANESIMO SENZA GESÙLE FONTI EBRAICHE

 ⟵


Capitolo IV

LE FONTI EBRAICHE

L'importanza delle fonti ebraiche, nel cristianesimo, non ha bisogno di essere dimostrata: secondo la stessa Chiesa romana, il cristianesimo sarebbe nato in Palestina, tutti i personaggi evangelici sono ebrei; nei testi cristiani, numerosi riferimenti sono fatti esplicitamente ai versi della Bibbia. 

Certo, dalle sue origini, il cristianesimo si è trovato conflitto con gli ebrei: Marcione voleva escludere gli ebrei dalla comunità cristiana di Roma, e nei vangeli gli ebrei sono ritenuti responsabili della morte di Gesù. [1] Si sa che, fino al XX° secolo, la Chiesa di Roma sarà largamente responsabile delle persecuzioni esercitate contro il «popolo deicida»; è soltanto nel Concilio Vaticano II che la Chiesa romana ha riconosciuto il suo errore e tentato una difficile riconciliazione. [2]

Ma questo odio secolare non è mai arrivato a negare che il cristianesimo derivi dal giudaismo: il «Nuovo Testamento», composto di scritti cristiani riconosciuti canonici, fa seguito all'Antico Testamento, costituito dai principali libri della Bibbia. Tutt'al più si ammette che all'alleanza conclusa con il popolo ebraico [3] si fosse sostituita una «nuova alleanza», [4] da cui gli ebrei erano esclusi.

È quindi importante ricercare ciò che, nel cristianesimo primitivo, deriva dal giudaismo, — e da quale giudaismo. In questa ricerca, non si dimenticheranno due constatazioni, apparentemente contraddittorie:

 quasi tutto ciò che ci insegnano i vangeli sulla vita e la morte di Gesù non deriva da testimonianze dirette, ma si basa su dei testi attinti dall'Antico Testamento, al punto che, se si volessero scartare quei riferimenti, il cristianesimo non avrebbe neppure esistenza; si è talvolta sopravvalutato questo apporto ebraico, facendone l'essenza stessa del cristianesimo; ma l'errore opposto, che consiste nel cercare di tagliare il cristianesimo dalle sue fonti ebraiche, porterebbe ad una totale incomprensione della religione cristiana;

 Ma gli ebrei non hanno mai riconosciuto il cristianesimo come una setta ebraica: una rottura totale si è verificata fin dalle origini, e non è mai stata riparata fino al Concilio Vaticano II. Soprattutto gli ebrei non hanno mai riconosciuto il Gesù evangelico, né come un personaggio divino, né come il Messia che aspettavano.

Di questa contraddizione e di questo antagonismo secolare si dovrà tentare di trovare la spiegazione.

1° — Il popolo della Bibbia

È banale qualificare gli ebrei come «popolo della Bibbia». Ma la stessa qualifica dovrebbe valere anche per il cristianesimo: è un fatto che il cristianesimo riconosce il carattere sacro e ispirato della Bibbia, lo accetta (anche nei suoi orrori), e insegna ancora secondo la Genesi un'origine del mondo ormai ampiamente superata dalle scoperte scientifiche. [5]

L'anti-giudaismo di certi autori cristiani non può nulla contro questo fatto: il cristianesimo non ha altra spiegazione da dare alla creazione, nessun testo da opporre al racconto biblico.

Si potrebbe quindi essere tentati di spiegare tutto dal giudaismo. Ma bisogna guardarsi dalle analogie ingannevoli.

Ad esempio, la festa della Pasqua ebraica che celebra il ricordo dell'uscita dall'Egitto sotto la guida di Mosè, non interessa più i cristiani; la festa cristiana di Pasqua, che vi è stata sostituita, celebra la resurrezione di Gesù, che gli ebrei non accettano: il rito è sopravvissuto, ma il dogma è cambiato. La Chiesa romana lascia fluttuare ogni anno la data di Pasqua, per fedeltà ad un antico calendario lunare in uso tra gli ebrei da 2000 anni, ma che i cristiani ignorano.

In secondo luogo, il pensiero ebraico era lontano dall'essere unificato. Vi erano a Gerusalemme delle «tendenze», delle scuole di pensiero diverse. [6] Sappiamo da Flavio Giuseppe che vi esistevano tre correnti principali:

 i Sadducei, partito aristocratico e conservatore, in seno al quale si sceglievano i sommi sacerdoti e il personale del Tempio;

 i Farisei, partito borghese riformatore che si ha definito: [7] «un'associazione che si vantava di conoscere più esattamente di chiunque altro la legge di Dio», pii e persino puritani, ma che riuniva l'élite intellettuale; 

— gli Esseni, di cui si è a lungo sottovalutata l'importanza, perché conducevano una vita segreta, ritirata dal mondo e dalla politica.

Ma Alfaric ha fatto questa dimostrazione logica: il cristianesimo non poteva derivare:

 né dai Sadducei, perché costoro non credevano nell'immortalità dell'anima e negavano la resurrezione;

 né dai Farisei, perché, anche se questo partito è stato ingiustamente disprezzato, basta leggere i vangeli per constatare che i Farisei sono trattati da nemici, colpiti da tutti i rimproveri e persino da insulti. [8] Anche se non meritavano di essere trattati da «razza di vipere» [9] o da «sepolcri imbiancati», [10] è evidente che un profondo abisso separa la nuova religione dai Farisei;

— Logicamente, quindi, era necessario cercare tra gli Esseni l'origine ebraica del cristianesimo.

La scoperta nel 1947 dei Rotoli del Mar Morto è venuta a completare le nostre informazioni sugli Esseni, e a dimostrare che Alfaric aveva visto giusto: è nell'essenismo che si deve cercare l'origine ebraica del cristianesimo.

Aggiungiamo che al tempo della guerra contro i Romani, un partito di «resistenza» apparirà, quello degli «zeloti», combattenti irreducibili per l'indipendenza.

2° — Gli Esseni

Gli Esseni non erano ignorati dagli autori antichi, e noi abbiamo informazioni su di loro che, sebbene insufficienti, sono state a torto trascurate. I manoscritti del Mar Morto, che ci hanno portato molte nuove informazioni, sono stati a volte presi a torto come rappresentanti di tutto l'Essenismo, mentre riguardavano solo la comunità di Damasco, che era una sorta di convento, — come se si volesse giudicare tutto il cristianesimo secondo la regola di san Benedetto. Vi erano Esseni che non vivevano in comunità. 

Prevediamo innanzitutto un'obiezione, basata sul fatto che gli Esseni sarebbero totalmente assenti dai vangeli: la parola «esseno», il cui significato è oscuro, designa dall'esterno una corrente che, di per sé, non si è mai designata così; la parola «esseno» è tanto assente dai manoscritti del Mar Morto quanto lo è dai testi cristiani. Si è presa l'abitudine, a causa di Flavio Giuseppe, di chiamarli così. Loro stessi si chiamavano solo con termini come i santi, la santa comunità.

I - Documenti antichi. — Questi sono principalmente:

A — Due note di Filone di Alessandria, dove è detto che gli «Esseni» (questa parola significa «santi») sono in numero di 4000; essi fuggirono dalle città a causa delle turpitudini e dell'empietà che vi erano praticate e abitarono nei villaggi dove lavoravano la terra ed esercitavano mestieri utili; non accumulavano, non diventavano proprietari di vaste tenute, ma si accontentavano di ciò che era necessario per la vita; non possedevano armi, non vi erano schiavi tra loro ma tutti erano uguali, si aiutavano a vicenda, tutti i beni erano comuni a quelli che abitavano assieme, prendevano i loro pasti in comune e conducevano una vita felice e perfetta. 

Si noterà questo dettaglio, che non osservavano il Sabato ebraico, ma consideravano sacro il settimo giorno (domenica).

B — Un lungo studio che figurava nella Guerra Giudaica di Flavio Giuseppe [11], che contiene la maggior parte delle informazioni antiche; Giuseppe è ben informato, poiché racconta nella sua Autobiografia di aver soggiornato tra gli Esseni in gioventù. Ci dice:

— che gli Esseni non hanno una sola città, ma formano in ogni città una «colonia» dove vivono insieme in perfetta uguaglianza e nel disprezzo delle ricchezze;

 che non disprezzano né il matrimonio né la generazione, ma mettono in guardia contro la dissolutezza delle donne: accolgono i figli degli altri per istruirli;

 che tutti abbandonano i loro beni alla comunità, come fratelli; che la disciplina è assicurata tra loro dagli «Anziani» (sarà così nelle prime comunità cristiane) e da un giuramento di fedeltà alla setta;

 che prima di essere ammesso nella setta, il proselita deve subire un anno di prova, poi due anni di iniziazione nel corso dei quali partecipa ai bagni di purificazione;

— che credono nell'immortalità dell'anima e ad una beata sopravvivenza in un mondo celeste.

C — Un'altra nota di Flavio Giuseppe [12] che riprende l'essenziale della precedente con alcune leggere differenze.

D — Un testo di Plinio il Vecchio [13] che descrive soprattutto la comunità del mar Morto, ovvero del convento, il che spiega l'ammirazione di Plinio per questo popolo «eterno e nel quale non nasce nessuno», il rinnovamento essendo assicurato dalla folla delle adesioni.

II — Testi di Qumran. — I manoscritti trovati nel 1947 nelle grotte di Qumran provengono dalla comunità essena i cui resti sono stati recuperati, sulla riva del mar Morto. Essi confermano in gran parte le informazioni antiche, e possediamo attualmente abbastanza informazioni sugli Esseni, principalmente sulla loro morale, che è passata in gran parte nei nostri vangeli. [14]

Questa scoperta ci ha rivelato inoltre:

 l'esistenza di un personaggio misterioso, chiamato «Maestro di Giustizia», che è una «prefigurazione» del Gesù evangelico;

— l'esistenza di una setta dissidente dell'Essenismo, rifugiata a Damasco, dove sarà accolto l'apostolo Paolo.

Il contributo esseno appare così uno dei più importanti nelle origini cristiane, sia per la formazione religiosa di Paolo che per il ruolo del Maestro di Giustizia come uno dei componenti del mito di Gesù. 

III — La morale essena. — Dall'insieme dei testi emerge una morale che ha ispirato in larga misura la morale cristiana. 

A — Gli Esseni condannavano ogni pratica di commercio, ogni fonte di guadagno speculativo, sostenevano il lavoro manuale e praticavano essi stessi il lavoro agricolo o l'artigianato. Si ritroverà nei vangeli questa lode della povera gente, e Gesù caccerà i mercanti dal Tempio e sarà dato come carpentiere. 

B — Essi elevano la povertà a virtù e condannano la ricchezza, soprattutto quella dei sacerdoti. È una massima essena quella dei vangeli: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli». [15]

La Chiesa romana è molto cambiata sotto questo aspetto, possiede immense ricchezze e stringe alleanza con i possessori. Ma Francesco d'Assisi non aveva torto, quando dichiarava di trovare nei vangeli la sua regola di povertà.

La condanna delle ricchezze era così radicale tra gli Esseni che nessuno di loro aveva il diritto di possedere perfino il proprio vestito, tutto apparteneva alla comunità. Questo è ciò che è stato ripreso nel vangelo di Matteo: «Non prendete né oro, né argento, né moneta nelle vostre cinture». [16]

Gli Esseni praticavano tra loro l'uguaglianza totale: questa è una caratteristica unica nel mondo antico, dove la schiavitù era un'istituzione di Stato. Perfino Seneca, che tratta lo schiavo da «fratello», [17] possedeva lui stesso molti schiavi.

Su questo punto, la morale essena non è passata nei vangeli, dove non figura alcuna condanna della schiavitù. Si vede quale sia l'illusione di quelli che vogliono fare di Gesù un rivoluzionario sociale. L'unica frase dove figura lo schiavo è: «Lo schiavo disobbediente riceverà molte percosse». [18

L'apostolo Paolo stesso raccomanderà allo schiavo di non cercare di migliorare la sua sorte, che è stata voluta da Dio, ma di cercarvi di meritare in anticipo una ricompensa nella vita futura: «Ciascuno rimanga nella condizione nella quale è stato chiamato. Sei tu stato chiamato quando eri schiavo? Non ti affliggere, se però puoi divenire libero, è meglio che lo fai». [19]

Non si può negare, tuttavia, che le prime comunità cristiane furono composte da una grande maggioranza di poveri, e che gli schiavi vi furono accolti da fratelli.

C — Gli Esseni non condannano il matrimonio: solo quelli che vivevano rinchiusi non avevano mogli; gli altri vivevano nel matrimonio e avevano figli. Ma si vede apparire nella morale essena una nuova idea: l'elogio della castità. Questo è totalmente estraneo alla morale ebraica, che esorta alla generazione, e il cui ideale resta quello della moglie feconda. Ciò è anche estraneo alla concezione pagana. L'ideale della castità emerge in gran parte dai testi cristiani: Gesù ci viene presentato come casto, anche se vive con donne o addirittura con delle prostitute. La regola della castità sarà imposta nei conventi, e persino raccomandata da Paolo, che tollera il matrimonio solo come soluzione di ripiego: «Se non riescono a contenersi, si sposino; perché è meglio sposarsi che ardere». [20]

D — Gli Esseni si disinteressavano della vita pubblica e dedicavano tutta la loro cura alla vita dell'anima. È una massima essena quella che figura in Matteo (sempre lui): «Non fatevi tesori sulla terra, ma fatevi tesori in cielo». [21]

In questa prospettiva, gli Esseni sostenevano l'astensione da qualsiasi partecipazione alla politica. Ammettevano che ogni potere è voluto da Dio, perché è sempre per la volontà di Dio che il potere spetta ad un uomo. È quindi necessario dargli gli onori che gli sono dovuti. Si farà dire anche a Gesù: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare». [22]

Ma questo omaggio non deve distogliere il credente dal suo dovere essenziale, che è la salvezza della sua anima. 

Se il potere si rivela crudele, persecutore, cosa fare contro il tiranno? La dottrina essena insegna la rassegnazione: bisogna soffrire con pazienza, anche il martirio, Dio saprà ricompensare i suoi: «A nessuno restituirò la ricompensa del male». [23]

Si ritroverò la stessa istruzione in Matteo: «Chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale... Ma io vi dico: non contrastate il malvagio... Se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra». [24]

E — Nella pratica del culto si legge:

 la condanna dei sacrifici pagani; 

 la concezione di una preghiera intima: «il tributo delle labbra nel rispetto della legge sarà come un gradito odore di giustizia»; [25]

 il battesimo di purificazione dato al termine di un anno di prova. Va notato che il battesimo è ancora sconosciuto in tutti gli altri ambienti ebraici, ad eccezione del battesimo praticato da Giovanni il Battista, che si è potuto considerare un discepolo di Qumran;

 la confessione pubblica imposta al momento dell'iniziazione: è là l'origine certa della confessione cristiana, che si praticava pubblicamente alle origini. Il Manuale di Disciplina esseno aggiungeva che quella confessione era valida solo mediante una sincera conversione del cuore: «Nell’umiltà della sua anima verso tutti gli statuti di Dio è purificata la sua carne». [26]

F — Ma vi è di più di queste analogie: almeno due testi, messi in Matteo in bocca a Gesù, sono copie letterali di scritti esseni:

a) Nelle sue istruzioni per le missioni, Gesù insegna ai suoi futuri discepoli a non portare né argento, né un sacco per il viaggio, né una seconda tunica: «l'operaio è degno del suo salario» e lo troverà nell'ospitalità che gli offrirà nella sua casa ogni uomo che ne sia degno. [27] Questa concezione dell'ospitalità assicurata non corrisponde a nessun costume antico, ma si spiega nell'Essenismo dove il delegato veniva ricevuto di comunità in comunità, perfino tra i privati.

b) C'è qualcosa di molto più importante: i frammenti rinvenuti nelle grotte di Qumran hanno confermato l'origine essena di opere intitolate «testamenti», in particolare di un testamento dei dodici patriarchi, di cui abbiamo una traduzione ma la cui origine era incerta. Ora il famoso «discorso della montagna» inserito in Matteo e detto delle beatitudini [28] è una riproduzione a volte letterale del testamento esseno. [29

IV — Il Maestro di Giustizia. — La scoperta più inaspettata, nei manoscritti del mar Morto, fu la rivelazione di un personaggio enigmatico, il cui nome è restato segreto e chiamato «Maestro di Giustizia». [30]

Si tratta di un sacerdote ebreo, entrato in conflitto con l'alto clero, che fondò una comunità dissidente e guadagnò i suoi discepoli sulle rive del lago di Tiberiade. Perseguitato, fu condannato a morte. Il commentario di Abacuc, che faceva parte dei manoscritti di Qumran, spiega che l'ingresso a Gerusalemme dell'esercito di Pompeo, il giorno stesso della festa dell'espiazione, sarebbe stata la punizione inflitta da Dio per l'omicidio così commesso. Dato che l'esercito di Pompeo era entrato a Gerusalemme nell'anno 63 della nostra era, la morte del Maestro di Giustizia deve situarsi poco prima di quella data. Questo ci riporta ai tempi della rivolta dei Maccabei, del re Alessandro Ianneo o Ircano II, dove ebbero luogo delle esecuzioni. Alessandro Ianneo, combinando le funzioni di re e di sommo sacerdote, ciò che gli rimproverarono gli Esseni, ha lasciato il ricordo di un sovrano crudele. Nel corso dei disordini sollevati contro di lui, avrebbe fatto crocifiggere 600 ebrei e massacrare sotto i loro occhi le loro mogli e i loro figli. [31]

È la prima menzione nella storia del supplizio della croce: è attribuita ad un ebreo. Si è dunque cercato di identificare, tra le vittime, il Maestro esseno, ma nessuna identificazione è certa. [32] L'uccisione del Maestro di Giustizia non è dubbia, si vorrebbe sapere se sarebbe stato crocifisso, ma il termine che designa la sua uccisione è dubbio, dato che la lingua ebraica non aveva un termine per indicarre il supplizio della croce. [33]

L'importanza di questo personaggio appare quando si scopre:

— che è il fondatore della «comunità della nuova alleanza», da cui è probabilmente sorto il cristianesimo primitivo;

 che è stato deificato dai suoi discepoli, che attendevano la sua gloriosa risurrezione «alla fine dei tempi»...

Si è dunque potuto vedere in lui una «stupefacente prefigurazione» del Gesù evangelico: «Il Maestro galileo (Gesù), così come ce lo presentano gli scritti del Nuovo Testamento, appare per molti versi come una stupefacente reincarnazione del Maestro di Giustizia. Come quest'ultimo egli predicò la penitenza, la povertà, l'umiltà, l'amore del prossimo, la castità. Come lui prescrisse di osservare la Legge di Mosè, tutta la Legge, ma la Legge completa, perfetta grazie alle sue stesse rivelazioni. Come lui egli fu l'Eletto e il Messia di Dio, il Messia redentore del mondo. Come lui ha affrontato l'ostilità dei sacerdoti del partito dei Sadducei. Come lui salì al cielo presso Dio. Come lui, alla fine dei tempi, egli sarà il giudice sovrano». [34]

Gli autori cristiani hanno addirittura ammesso che l'origine essena del cristianesimo è ormai dimostrata: «Facendoci conoscere l'ambiente immediato dove è nato il cristianesimo, le scoperte di Qumran risolvono un numero considerevole di problemi che l'esegesi non arrivava a risolvere... Si può quindi dire che questa scoperta è la più sensazionale che sia mai stata fatta». [35]

Ancora Daniélou, che credeva all'esistenza reale di Gesù, non poteva immaginare che la passione e la crocifissione del Maestro di Giustizia avrebbero potuto servire da modello per gli scrittori dei vangeli.

È quindi importante confrontare con i testi cristiani gli inni, attribuiti al Maestro di Giustizia, che descrivono le sue sofferenze e le sue speranze. [36]

Si sono perfino trovati frammenti delle espressioni con le quali il Maestro annunciava la sua intenzione di fondare «sulla roccia» la «Congregazione di verità» che sarà la sua chiesa. Questo potrebbe essere all'origine della tardiva interpolazione in Matteo sulla fondazione della Chiesa: «Su questa pietra edificherò la mia chiesa». [37]

V — La fuga a Damasco. — Infine si è trovato a Qumran il testo di un'opera già conosciuta, ma che non si sapeva né datare né attribuire, e che presenta un notevole interesse per le origini cristiane. Questo testo è chiamato Scritto della nuova alleanza nel paese di Damasco. Racconta la fuga, provocata dalle persecuzioni, della setta essena fondata dal Maestro della Giustizia, a Damasco. Ma mi riservo di parlare più avanti della setta di Damasco.

Dall'insieme di questi testi risulta in maniera incontestabile che il cristianesimo deriva in parte dall'Essenismo, dal quale ha mutuato non soltanto interi testi e una nuova morale, ma anche un'immagine vissuta del suo capo sulla quale sarà modellato il personaggio di Gesù. [38]

Ma resta ancora da parlare del ruolo degli Esseni nella questione del Messia.

3° — Il Messia

Gli ebrei della Palestina non hanno mai accettato l'occupazione della Giudea dai Romani. Questo conflitto, dapprima latente, si sarebbe concluso con una guerra atroce, nel quale la sconfitta ebraica era facilmente prevedibile. Ma a Gerusalemme una vasta corrente contava sull'assistenza divina per assicurare il loro trionfo. Le profezie sembravano infatti promettere loro questo trionfo: Dio doveva inviare loro un Messia che li avrebbe liberati dal giogo romano. Queste profezie, tratte da testi dell'Antico Testamento, sono interpretazioni molto libere di testi che non dicevano nulla di ciò che gli si fa loro dire, per esempio: «Il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo. Il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno». [39]

«I re saranno i tuoi precettori e le loro regine saranno le tue balie. Essi si inchineranno davanti a te con la faccia a terra, lambiranno la polvere dei tuoi piedi». [40]

Queste farneticazioni hanno a tal punto galvanizzato l'immaginazione degli ebrei che erano arrivati a credere che il Messia inviato dal cielo non soltanto li avrebbe liberati dall'occupazione romana, ma avrebbe anche dato loro, al posto di Roma, l'impero del mondo. Scatenarono una guerra che durò tre anni (67-70). Nel 69, nel corso dei combattimenti, un'opera ebraica annunciò il trionfo, la rovina della grande Babilonia (Roma seduta su sette colli): l'Apocalisse. [41]

È nel corso di questa guerra che si sviluppò il partito degli zeloti, combattenti della resistenza, famosi per i loro attentati. Un testo di Flavio Giuseppe permette di pensare che alcuni Esseni, pacifici per dottrina, avrebbero partecipato a questa guerra santa. I nostri vangeli conservano alcuni ricordi degli zeloti: Gesù è dotato di un discepolo chiamato Simone lo zelota, e non si potrebbero attribuire ad un'altra fonte certi passi che contrastano con l'immagine di Gesù come portatore di pace: «Io sono venuto a gettare fuoco sulla terra e quanto desidero che fosse già acceso». [42]

«E quei miei nemici che non volevano che io regnassi su di loro, conduceteli qui e scannateli in mia presenza». [43]

La fine del conflitto era ben lontana dall'auspicata vittoria: nel 70 Gerusalemme fu presa e saccheggiata, il Tempio fu distrutto e la maggior parte dei sopravvissuti fu ridotta in schiavitù. Come conciliare questa amara sconfitta con le profezie?

Tuttavia, anche dopo la sconfitta, non c'è dubbio che il Gesù dei vangeli sia stato considerato il Messia: «Noi abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)»[44]

«La donna gli disse: Io so che il Messia (che è chiamato Cristo) deve venire, Gesù le disse: Sono io, che ti parlo». [45]

Gli ebrei si sono sempre rifiutati di accettare quella identificazione, e avevano buone ragioni per farlo: Il Gesù evangelico non rispondeva ai segni dai quali si doveva riconoscere il Messia: 

 egli doveva essere «cristo», vale a dire unto, e non vediamo da nessuna parte che Gesù ha ricevuto questa unzione;

 doveva essere un discendente di Davide: ma le due genealogie che si sforzano di dimostrare questa discendenza [46] sono inconciliabili e peraltro vane perché conducono solo a Giuseppe; [47]

 si sarebbe dovuto chiamare Emmanuele; [48

 Infine e soprattutto, non ha liberato la Giudea dall'occupazione romana, ma l'ha condotta al disastro.

Dopo la sconfitta diventò evidente a tutti che le profezie erano false, o erano state male interpretate. Si scoprì allora che gli Esseni avevano in anticipo una concezione molto diversa del Messia. Mettendo l'accento su altri testi, avevano concepito l'immagine di un Messia umile e umiliato. Si trova tutto ciò che si vuole nell'Antico Testamento. Come non meditare sul seguente testo, considerato anche profetico:

2 «[...] Egli non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi,

né aspetto tale da piacerci.

3 Disprezzato e abbandonato dagli uomini, 

uomo di dolore, familiare con la sofferenza,

pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia,

era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna.

4 Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava,

erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato;

ma noi lo ritenevamo colpito,

percosso da Dio e umiliato!

5 Egli è stato trafitto per i nostri delitti,

schiacciato per le nostre iniquità.

Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;

per le sue piaghe noi siamo stati guariti. [...]

7 Maltrattato, si lasciò umiliare

e non aprì la bocca.

Come l'agnello condotto al mattatoio,

come la pecora muta davanti a chi la tosa,

egli non aprì la bocca.

8 Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;

chi si affligge per la sua sorte?

Fu eliminato dalla terra dei viventi,

per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte». [49]

Il testo figura tra i manoscritti trovati a Qumran, e questa è proprio l'immagine che gli Esseni si facevano del Messia. Si noterà «il castigo che ci dà salvezza». È evidentemente questa concezione del Messia che è passata al cristianesimo: nuova prova dell'origine essena del cristianesimo primitivo.

Vi si constata la principale opposizione tra l'ebraismo classico della Bibbia e l'Essenismo. Il biblico Jahvè è un dio geloso, orgoglioso, feroce, che distrugge l'umanità col diluvio, ordina massacri, è un dio guerriero, e il suo Messia è a sua immagine. Il dio e il Messia esseni sono miti, pacifici. È comprensibile che il Maestro di Giustizia abbia ritenuto necessario rompere la prima alleanza e concluderne una nuova. 

4° — La nuova alleanza

Sappiamo che la comunità essena di Damasco aveva preso il titolo di comunità della nuova alleanza. Ma sappiamo poche cose di questa comunità dopo il suo insediamento a Damasco. Possiamo almeno cercare di comprenderla? 

In origine, gli Esseni sono degli ebrei pii, assidui lettori della Bibbia. Essi fanno quindi parte del «popolo della Bibbia» beneficiario dell'alleanza conclusa con Jahvé. Ma immaginiamo la loro reazione, dopo che il loro venerato capo era stato messo a morte: come mai una cosa del genere era possibile, permessa da Jahvé? 

Meditando sugli eventi, non ci misero molto a capire che i Maccabei avevano infranto l'alleanza. Avevano violato la regola della separazione del potere regale dal potere sacerdotale, si erano resi colpevoli di crimini efferati contro i trecento ebrei crocifissi da Alessandro Ianneo, anche se il Maestro di Giustizia non ne faceva parte, e l'uccisione del loro Maestro, tutto deponeva contro il mantenimento di un'antica alleanza. Non era la comunità di Damasco ad aver deviato, ad aver rotto l'alleanza, ma erano le autorità criminali di Gerusalemme. L'idea di una nuova alleanza ne conseguiva logicamente. 

È stato lo stesso Maestro di Giustizia a comprendere questa necessità e a dare il suo nome alla comunità di Damasco? È possibile. Altrimenti, i suoi successori non mancheranno di esservi indotti a farlo.

Rappresentiamoci in effetti quella piccola comunità ebraica, probabilmente poco numerosa, in paese pagano. Come sopravvivrà? Composta da celibi, può sopravvivere solo tramite proselitismo, come Plinio il Vecchio aveva già notato per la comunità di Qumran. Ma quale proselitismo in un paese dove gli ebrei erano certamente una piccola minoranza? Fu necessario accettare l'idea di convertire tra i pagani, e questa sarà la grande innovazione della nuova alleanza: essa non sarà più riservata al popolo ebraico, essa sarà aperta a tutti gli uomini che desidereranno aderire e ricevere l'iniziazione.

Questi nuovi iniziati, derivati dall'ambiente pagano, quali potevano essere? Normalmente dei giovani in cerca di una divinità, probabilmente già istruiti nella dottrina gnostica. Tra la morte del Maestro di Giustizia e la venuta di Paolo a Damasco, sono trascorsi quasi cento anni. Tre o quattro generazioni sono succedute a Damasco  ai primi profughi, c'è da aspettarsi che Paolo sia stato accolto in una comunità a maggioranza non ebraica, costituita da convertiti di origine pagana. Veneravano senza dubbio il ricordo del Maestro di Giustizia, ma dato che è morto da un secolo, è naturale che non sia più per loro che un personaggio quasi leggendario. Si aspetta il suo ritorno nella gloria, ma questo ritorno tarda, e la speranza svanisce. Inoltre, essi hanno avuto conoscenza, nel loro ambiente d'origine, dei culti degli dèi salvatori, e probabilmente anche di un personaggio celeste appartenente agli Eoni gnostici che deve, a sua volta, discendere sulla terra. Tutto ciò non è destinato a confondersi in qualche modo ?

Se si cerca di capire come hanno potuto fondersi, nelle origini cristiane, le fonti ebraiche e le fonti pagane o gnostiche, è logicamente in quella comunità di Damasco, tra i convertiti non ebrei, che si troverà la migliore spiegazione.

Ciò appare tanto più probabile in quanto la comunità essena di Damasco non ha mai partecipato alla fede in un Messia trionfante. È presso di essa che si è formata, a partire dai testi biblici studiati e meditati a volontà, la nozione di un Messia umile, umiliato, ricavata da Isaia e dal Salmo 22. Questo nuovo Messia coincide troppo con quello che si sa del Maestro di Giustizia perché non si possa fare il confronto. Si leggano gli inni attribuiti al Maestro di Giustizia, e l'identità si imporrà: [50]

«Mi hai posto come un oggetto di vergogna e di irrisione per i traditori,

segreto di verità e di intelligenza per quanti camminano sulla via giusta.

Fui fatto segno alle offese degli empi,

oggetto di diffamazione sulle labbra dei violenti» (Inno B). 


«Fui, infatti, legato con corde che non si possono spezzare

e con catene che non si possono infrangere.

Un muro fortificato...

Ma tu, mio Dio, hai aperto il mio orecchio 

all'istruzione di coloro che insegnano la giustizia con...

Seppi che c'è speranza

per coloro che... abbandonano il peccato» (Inno J).


«Ti ringrazio, Adonai,

perché mi hai sostenuto con la tua forza,

e il tuo spirito santo ha effuso su di me

affinché io non vacilli,

mi hai irrobustito di fronte alle guerre dell'empietà,

e in tutte le loro rovine

non hai permesso che io mi perdessi d'animo davanti al tuo Patto,

bensì hai fatto di me una torre solida, un muro elevato,

hai stabilito su di una roccia il mio edificio

e fondamenta eterne per la mia fondazione» (Inno L).


«Non si è aperta tra le acque una fontana per me

ma un luogo d'esilio tra i malanni,

il mio cuore conosce le piaghe, 

e io fui come un uomo abbandonato

nel dolore e nella tristezza della mia anima,

non ho più alcun vigore...

Il mio piede è stato intrappolato nel ceppo, 

e le mie ginocchia tremano come acqua,

non è possibile avanzare di un passo,

e non c'è rumore al passo dei miei piedi,

in catene che fanno inciampare...

Avevi fortificato la lingua nella mia bocca

essa non si ritrasse, e nulla poté far tacere la mia voce...» (Inno O). 

Questa è l'immagine che si insegnerà a Paolo quando egli sarà iniziato a Damasco. Due idee essenziali, logicamente incluse nella concezione della nuova alleanza, si ritroveranno nelle epistole di Paolo: 

— quella, fondamentale, di una nuova alleanza aperta ai «Gentili», di cui Paolo si farà l'apostolo; da qui il suo conflitto e la sua rottura con la comunità di Gerusalemme, rigida nel suo giudaismo esclusivo;

 e quella di un Messia compatibile con il ricordo del Maestro di Giustizia, che non ha mai aspirato a vedere gli ebrei accedere all'impero del mondo al posto di Roma, di un Messia più spirituale, più mistico del personaggio dell'Apocalisse, erede degli dèi salvatori, che non aspira al potere temporale, ma soltanto alla vita eterna grazie alla salvezza aperta per suo merito.

È Paolo che sarà il vero fondatore del cristianesimo, e vi porterà la sua foga, la sua ispirazione personale, ma l'essenza della sua dottrina, è a Damasco che l'avrà attinta. 

Si possono quindi porre due domande:

a) Questo nuovo Messia, come designarlo? Paolo proclama di non voler conoscere che il Cristo, il suo Cristo celeste, di cui ha avuto la rivelazione a Damasco. È possibile immaginare che, nella comunità di Damasco, si sia già identificato il ricordo del Maestro di Giustizia con il Cristo gnostico ? Oppure è stato Paolo a fare quella identificazione? Non importa, e non abbiamo i mezzi per scoprirlo;

b) Il nome del Maestro di Giustizia era tenuto segreto a causa del suo potere. Ma questo era anche il caso del Cristo gnostico. Era un mistero, nascosto da secoli, e Paolo si proclamerà il rivelatore di questo segreto: il nome nascosto non poteva che essere Gesù, che significa Salvatore. Anche in questo caso, è Paolo che fu l'autore di questa rivelazione, o gli è stata ispirata a Damasco? Qui tenderei ad attribuire l'invenzione a Paolo. In ogni caso è lui che, per primo, ha chiamato il suo personaggio Gesù Cristo, per mezzo della fusione tra la concezione del Cristo celeste e quella di un dio salvatore. Allo stesso tempo, dato che il Cristo esseno era anche il Messia, si otterrà l'uguaglianza: 

Cristo = Messia = Gesù, da cui Gesù Cristo.

In ogni caso, tutto era almeno in germe nella conversione di Paolo a Damasco. Il cristianesimo deriva proprio dall'Essenismo, come aveva compreso Alfaric, ma da un Essenismo intriso di paganesimo e aperto ad una nuova alleanza che accoglieva i gentili. 


NOTE

[1] Matteo 27:25.

[2] Actes du Concile, ed. Cerf.

[3] Esodo 24:7-8; 34:10.

[4] 1 Corinzi 11:25; 2 Corinzi 3:6 e 14; Galati 3:15-17.

[5] Si veda su questo punto G. Fau, Les raisons de l'athéisme, ed. Cercle Ernest Renan, pag. 185-205.

[6] Si veda Guignebert, Le monde juif vers le temps de Jésus, Albin-Michel, pag. 210 e seguenti.

[7] Lagrange, citato da Guignebert, Le monde juif vers le temps de Jésus, pag. 213.

[8] Matteo 3:7; 5:20; 9:34; 12:14; 16:11-12; 19:3; 21:44-45; 22:15-35; Marco 7:5-13; 8:15; 12:13; Luca 7:30; 11:53-54; 12:1; 16:14.

[9] Matteo 3:7; 12:34 e 23:33.

[10] Matteo 23:27.

[11] Flavio Giuseppe, Guerra Giudaica, libro 2, capitolo 8.

[12] Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, libro 18, capitolo 1.

[13] Plinio il Vecchio, Storia naturale 5:17-4.

[14] Tutti questi testi sono tradotti nell'opera di Dupont-Sommer, Les écrits esséniens, ed. Payot.

La rivista Archeologia ha dedicato un numero speciale (dossier 189, gennaio 1994) ai Manoscritti del Mar Morto. Questo studio, ben documentato, sostiene che «I manoscritti di Qumran hanno portato una soluzione a molti problemi che l'esegesi non poteva risolvere, e in particolare alla questione dei rapporti tra Essenismo e cristianesimo. Essi mostrano come la Chiesa primitiva sia radicata, in misura tale che nessuno avrebbe potuto sospettare, nella setta essena» (pag. 60).

[15] Matteo 19:24.

[16] Matteo 10:9.

[17] Seneca, Lettere a Lucilio, libro 5:47, 1.

[18] Luca 12:47.

[19] 1 Corinzi 7:20-21.

[20] 1 Corinzi 7:9.

[21] Matteo 6:20-21.

[22] Matteo 22:21.

[23] Manuale di disciplina 10:17.

[24] Matteo 5:22 e 39. Ma vi sono anche istruzioni opposte di un'altra provenienza (Matteo 10:34 e Luca 19:27; 22:36).

[25] Manuale di disciplina 9:3-5.

[26] Manuale di disciplina 3:4-9.

[27] Matteo 10:9-13.

[28] Matteo 5:1 e seguenti.

[29] Si veda Guy Fau, La fable de Jésus-Christ, 3° ed., pag. 209.

[30] Probabilmente in riferimento al «Figlio dell'uomo che possiede la giustizia e con cui la Giustizia abita» del Libro di Enoc, opera di ispirazione essena. 

[31] Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche 13, 14:2.

[32] Il sommo sacerdote Onia, assassinato nel 170 A.E.C., è da escludere, per via della grande discrepanza temporale. 

[33] André Ragot credeva alla possibilità di una crocifissione, si veda Messie essénien et Messie crétien, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, 1963. Lo stesso André Dupont-Sommer e Philonenko.

[34] André Dupont-Sommer, Aperçus préliminaires sur les manuscrits de la mer Morte, pag. 121. 

[35] Jean Daniélou, Les manuscrits de la mer Morte et les origines du christianisme, pag. 123.

[36] Testi tradotti in André Dupont-Sommer, Les écrits esséniens, Payot.

[37] Matteo 16:18.

[38] Non si può evidentemente identificare Gesù col Maestro che è morto circa cento anni prima. Ma il ricordo del Maestro ha potuto servire da modello. 

[39] Daniele 7:27.

[40] Deutero-Isaia 49:23.

[41] Si veda Guy Fau, L'Apocalypse, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° ? ?.

[42] Luca 12:49.

[43] Luca 19:27.

[44] Giovanni 1:41.

[45] Giovanni 4:25-26.

[46] Matteo 1:1-16 e Luca 3:23-38.

[47] La menzione «ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe» è evidentemente un'interpolazione successiva, ma è sufficiente a far scartare la discendenza regale.  

[48] Isaia 7:14. Il nome di Emmanuele figura nel prologo di Matteo (1:23).

[49] Isaia 53:2-5 e 7-8.

[50] Estratti degli inni tradotti in André Dupont-Sommer, Les écrits esséniens, éd. Payot.

Nessun commento: