domenica 22 novembre 2020

IL CRISTIANESIMO SENZA GESÙIL CAMMINO DI DAMASCO

 


Capitolo V

IL CAMMINO DI DAMASCO

La comunità essena fondata dal Maestro di Giustizia si rifugiò a Damasco, ad una data che non possiamo precisare. In quella città è entrata in contatto con i culti ellenistici, e da questi contatti è nato un riavvicinamento di idee, una sorta di sincretismo primitivo, che diventerà la religione cristiana. La base fondamentale di questa nuova tendenza sarà la rottura con l'esclusivismo ebraico e l'apertura della nuova religione a tutti i «Gentili»: «Vi è, nel fatto di separare ad uso dei proseliti la nuova fede dal legalismo ebraico, una causa di successo di una singolare fecondità... Dal momento in cui la fede abbandona il suolo ebraico, essa non lavora più in verità che per sé stessa, per sua propria fortuna di religione separata... Le rappresentazioni cosmologiche e metafisiche delle scuole, anche le loro opinioni in materia teologica — e certe «vite» più o meno leggendarie dei «maestri», in particolare di Pitagora e di Platone — avranno la loro influenza sulla dottrina cristiana». [1]

Guignebert non conosceva l'esistenza del Maestro di Giustizia, che va aggiunto ai maestri da lui citati. A Damasco non si tarderà a scoprire grandi analogie tra questo Maestro esseno, il cui ritorno nella gloria è atteso, con gli dèi salvatori dell'ellenismo e il personaggio divino della Gnosi.

Quella assimilazione non sarebbe stata possibile in un ambiente strettamente ebraico. Ma Gerusalemme non è più il centro dell'ebraismo, un'importante «diaspora» è disseminata in tutto l'impero romano. In quella diaspora gli ebrei e soprattutto gli Esseni apprenderanno a conoscere dèi come Attis venuto dalla Siria, Osiride e Iside venuti dall'Egitto, Mitra venuto dall'Iran, tutti semidèi dotati di vita terrena, morti per il riscatto delle anime e risorti. La resurrezione del Maestro di Giustizia sarà altrettanto attesa dai suoi fedeli: in cosa differisce dalle altre? Nel fatto che egli era ebreo, ma nella diaspora il particolarismo ebraico tenderà a svanire. Ci sarà infatti un conflitto ad Alessandria, ma per ragioni di concorrenza commerciale. Altrove il confronto sarà pacifico e gli accostamenti saranno inevitabili: sarà in particolare il caso di Antiochia, città vicino a Damasco.

Una grande convergenza di idee favoriva questi accostamenti: stessa credenza nell'immortalità dell'anima e nella decadenza di quest'anima che rendeva necessario l'intervento di un salvatore; stessa limitazione dei benefici di questo salvatore agli iniziati; stesso segreto custodito sull'iniziazione... Tutto era pronto per la fioritura di un nuovo culto, che riunisse i vantaggi dei culti più antichi. Mancava solo un uomo per realizzare quella sintesi e diffonderla: questi fu l'apostolo Paolo, ricevuto e iniziato nella comunità di Damasco.

Paolo di Tarso

Nessuno ha mai messo in dubbio l'esistenza di Paolo: innanzitutto perché ha lasciato degli scritti, delle epistole che, anche se rimaneggiate più tardi, conservano un'originalità di pensiero; una personalità; e soprattutto perché senza Paolo non ci sarebbe il cristianesimo. Il cristianesimo non viene da Gerusalemme, viene da Damasco e da Antiochia, e Paolo ne fu il primo predicatore.

Si vorrebbe essere ben documentati su questo personaggio, sfortunatamente le nostre fonti comportano gravi lacune e contengono una parte di leggenda.

Queste sono:

 Gli Atti degli Apostoli, opera complessa, contenente degli elementi contraddittori: «L'esposizione pseudo-storica degli Atti è, in tutta evidenza, per noi impossibile da delineare... Possiamo ritenere che gli Atti siano stati composti secondo fonti dalla distanza più o meno grande dagli eventi che pretendono di riportare». [2]

 Le epistole almeno quelle che si possono attribuire a Paolo con abbastanza probabilità, ma da dove provengono queste epistole? La loro analisi ha dato luogo a numerose opere, [3] senza che il problema sia stato completamente chiarito. Queste epistole sono sconosciute fino a quando Marcione le rivela a Roma intorno al 140, probabilmente già rimaneggiate in un senso gnostico, poi ancora di più in senso opposto; ci si può domandare cosa rimanga del vero Paolo nei testi che ci sono pervenuti. [4]

È quindi con prudenza che si cercherà in questi documenti discutibili delle vestigia autentiche, che non permettono di ricostruire una biografia coerente del personaggio. 

Chi è Paolo? — Egli è dato come originario di Tarso in Cilicia, e il suo nome sarebbe stato Saul (Saulos), ma l'avrebbe cambiato per quello di Paolo (Paulos, piccolo). È possibile, ma non sappiamo nulla delle origini della sua famiglia.

Il nome di Saul implicherebbe che sia stato un ebreo: lo ammetto, anche se ha scritto che era «sconosciuto di faccia alle chiese della Giudea» [5] e che si era «fatto Giudeo con i Giudei». [6] La sua conversione a Damasco in una comunità essena presuppone che sia stato ebreo, e questo è egualmente necessario perché egli sia stato l'allievo di Gamaliele. [7]

Ciò che è impossibile, per contro, è che sia stato cittadino romano per nascita, come affermerà nel suo processo. [8] I Romani non erano prodighi di questo titolo, che conferiva grandi privilegi: in Oriente, a quel tempo, un solo uomo, a nostra conoscenza, aveva ricevuto il titolo di cittadino romano: il padre di Erode, per aver salvato la vita di Giulio Cesare. Non vediamo nulla che giustifichi lo stesso favore per il padre sconosciuto di Paolo. [9]

Gli Atti gli fanno dire che esercitava il mestiere di fabbricatore di tende, [10] che non era circonciso, [11] e che era colpito da una «spina nelle sue carni», [12] di tale natura che lo fece disprezzare. [13] André Ragot, che era medico, crede che sarebbe stato epilettico.

Tutto questo è plausibile, e non vediamo perché lo si sarebbe inventato. Il resto è molto meno accettabile, e presuppone almeno una profonda rielaborazione: avrebbe «perseguitato la chiesa di Dio», [14] «entrando di casa in casa  e, trascinando via uomini e donne, li metteva in prigione». [15] In quale veste? E quale era quella Chiesa di Dio che avrebbe perseguitato? Lui dice «quella setta», senza nominarla, ma nulla permette di pensare che la comunità di Gerusalemme sia stata perseguitata. Si tratterrebbe degli Esseni? Ma Flavio Giuseppe dice che essi vivevano liberamente a Gerusalemme prima della guerra contro Roma. Tutta questa storia è assolutamente impossibile: «Nel suo desiderio di ingrandire il suo personaggio e di garantirsi un bel effetto di contrasto tra il Persecutore e il Convertito, lo scrittore ha oltrepassato la misura; e ha perseverato fino al ridicolo nella sua esagerazione e anche nella sua incoerenza quando ci ha mostrato Saulo spirante ancora minacce e omicidi contro i discepoli del Signore». [16]

L'incoerenza supera ancora ogni limite quando ci viene detto che Saul avrebbe ricevuto dal Sinedrio la missione di andare a perseguitare la «setta» fino alla sinagoga di Damasco e di portarli in catene fino a Gerusalemme. Il Sinedrio non aveva alcun diritto di perseguitare in Siria, tanto meno poteva delegare un tale potere. Bisognava trovare un pretesto per inviare Saul a Damasco, ma si sarebbe potuto trovare di meglio di questa missione impossibile.

La via per Damasco. — Nel deserto della Siria Paolo è colpito da un'insolazione: una luce lo abbaglia, egli cade a terra e sente una voce. [17] I suoi compagni hanno visto la luce, ma non hanno sentito una voce. Non è scritto da nessuna parte che abbia avuto una «visione», come dirà più tardi, egli ha solamente sentito una voce, e la versione che darà più tardi non riporta che un fenomeno soggettivo: «Quando piacque a Dio di rivelare suo figlio IN ME». [18]

Sulla natura di questa malattia, che comportò una cecità per tre giorni, si possono avanzare diverse spiegazioni mediche. L'essenziale è che i suoi compagni lo portarono a Damasco, nella «casa di Giuda che è nella strada detta Diritta».  [19]

Paolo a Damasco. — Sappiamo oggi dai manoscritti di Qumran che la «casa di Giuda» era la sede della comunità essena. Là Paolo è ricevuto da un Anziano, capo della comunità, che si chiamava Anania. Costui pone le sue mani sulla testa di Paolo, che ritrova la vista, lo fa mangiare e curare; ma farà una cosa più sorprendente: lo battezzerà. [20]  

Vi abbiamo un riassunto della conversione di Paolo nella comunità di Damasco. Ma il battesimo è certamente stato preceduto da un insegnamento, da un'iniziazione. Dopodiché Paolo guarito abbandona Damasco e andrà a predicare nelle sinagoghe che «Gesù è il Figlio di Dio». [21]

Questa espressione, certamente aggiunta, è lontana dal definire con esattezza l'insegnamento di Paolo, come risulta dalle epistole. Ma prima di parlare di questo insegnamento, una questione preliminare non è risolta: a quale titolo Paolo intraprende le sue missioni? Egli menziona un'ispirazione personale, ma è difficile immaginare che abbia potuto prendere questa iniziativa senza l'accordo della comunità di Damasco. Tuttavia non appare da nessuna parte che questa comunità abbia inviato dei missionari a predicare la sua dottrina: gli Esseni praticavano piuttosto il segreto della loro iniziazione. L'impulso iniziale di Paolo resta dunque per noi un enigma, soprattutto se si tiene conto dell'ampiezza dei suoi viaggi. Gli Atti ci presentano la sua ascesa come una sorta di miracolo, un intervento dello Spirito Santo. [22] Ma essi sorvolano sull'intervallo di 14 anni che separa la venuta di Paolo ad Antiochia dal suo incontro con Pietro e i delegati di Gerusalemme. [23] Ora è là che si situa la grande novità dell'apertura della «nuova alleanza» ai Gentili, che proviene certamente da Damasco.

È quindi impossibile distinguere chiaramente ciò che, nell'insegnamento di Paolo, proviene da quello che ha ricevuto a Damasco, quello che egli vi ha aggiunto di sua stessa ispirazione, e ciò che sarà modificato nel testo iniziale delle sue epistole. Si deve tuttavia studiare il suo contributo, perfino se si rischia così di attribuirgli delle idee che non provengono direttamente da lui.

Il Cristo di Paolo. — Chi è il personaggio che Paolo, recentemente convertitosi a Damasco, avrebbe insegnato nelle sinagoghe, poi nelle comunità da lui fondate? Questo non è evidentemente il Gesù dei vangeli, che resta da inventare. Questo non è per nulla affatto neppure il «Cristo» nato a Damasco dalla fusione dei ricordi del Maestro di Giustizia, il cui ritorno si fa attendere, con gli dèi Salvatori o gli Eoni gnostici, benché egli attinga da tutto ciò. È un Cristo da cui Paolo ha ricevuto la rivelazione: «Il vangelo da me annunciato non è dell'uomo, perché non è dall'uomo che l'ho ricevuto, ma per una rivelazione». [24]

Questo non è per nulla affatto vero, noi abbiamo visto che lui ha ricevuto a Damasco l'essenziale della dottrina che andrà a insegnare. Ma egli vi aggiungerà la sua rivelazione personale, come Renan aveva già dovuto convenire: «Per Paolo, Gesù non è un uomo che ha vissuto e insegnato, è un essere del tutto divino». [25]

Questo essere divino, lui lo chiamerà «Cristo». Ma nelle sue epistole, non parlerà mai di un uomo chiamato Gesù, lui ignora Maria e Giuseppe, i miracoli, i discorsi, la passione stessa di Gesù: «Non nomina mai Pilato, né Caifa, né il Sinedrio, né Erode, né le sante donne. Non fa allusione alla Passione che in una maniera generica, come di un rito di sacrificio conosciuto che egli non descrive». [26]

Non soltanto lui ignora tutto ciò che racconteranno i vangeli, ma non cerca nemmeno di imparare da ciò. Egli predica un «mistero» che ha ricevuto in missione di rivelare, ma questa rivelazione non comporta alcuna vita terrena di alcun Cristo. Quando al termine di quattordici anni [27] andrà infine a prendere contatto con le «colonne» della comunità di Gerusalemme, vi troverà Giacomo, Cefa (Pietro) e un Giovanni, ma costoro non gli hanno insegnato nulla. [28] Come?! Nemmeno che essi avrebbero avuto il privilegio di aver conosciuto un Gesù e ricevuto il suo insegnamento? Lui, che non ha conosciuto Gesù, si proclama loro eguale. [29] Quando Pietro lo incontrerà ad Antiochia, lui gli resisterà in faccia. [30]

Si dirà che egli parla della crocifissione, che non vuole conoscere che un Cristo crocifisso. [31] Ma la crocifissione che egli conosce, è un fatto puramente simbolico, i cui autori sono gli Arconti gnostici, essa non ha avuto luogo a Gerusalemme, ma nel cielo. Tutt'al più si potrebbe immaginare qualche ricordo della possibile crocifissione del Maestro di Giustizia, cento anni prima: nulla permette di pensare che egli abbia fatto allusione a quel fatto lontano. Il Cristo di Paolo non è stato crocifisso ad una data storica, è il crocifisso permanente.

Il Cristo di Paolo si presenta come segue:

A — È un essere puramente divino, immateriale. Mai vi si fa allusione ad una vita terrena, ad un'incarnazione. È, come gli dei salvatori dell'ellenismo, o come il Cristo gnostico, un essere celeste che ha preso, per essere visibile sulla terra, un'apparenza, una «rassomiglianza di carne di peccato». [32] O ancora, vi sono due tipi di uomini: «Il primo uomo, tratto dalla terra, è terrestre; il secondo uomo è dal cielo... (ma) la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né la corruzione può ereditare l'incorruttibilità». [33

B — Il Cristo paolino rimane uno degli dèi salvatori, e come tale deve manifestarsi sulla terra e subirvi un sacrificio per la salvezza delle anime. Questo sacrificio, Paolo lo descrive con una parola, che noi traduciamo con «crocifissione»: «Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce». [34]

Ma questa croce non è lo strumento di supplizio romano, essa è simbolica, come quella dell'agnello messo in croce su due legni; [35] non ha avuto luogo ad una data nel tempo, essa è permanente: «Il Gesù paolino non è quello che è stato crocifisso, è colui che resta crocifisso, il crocifisso permanente». [36]

C — Quali sono gli autori di questa crocifissione simbolica? Nessuna autorità terrena, né i Romani né gli ebrei, ma gli «Arconti», divinità malvagie della Gnosi. Non sono i «capi di questo secolo» coloro che hanno crocifisso il «signore della gloria», [37] ma le potenze del Male. E quella crocifissione ha avuto luogo fin dall'origine del mondo. Si è notato con ragione che questo testo è puramente gnostico. [38

D — Tuttavia, per quanto simbolica possa essere, la crocifissione deve restare una realtà, per essere fruttuosa agli iniziati.

«Paolo ha bisogno, per il suo sistema della redenzione, che Gesù sia veramente «a somiglianza d'uomo», allo stesso modo in cui egli è veramente «in forma di Dio». Paolo afferma quindi in parecchi punti l'umanità di Gesù. Se si esaminano questi punti, si vede che fanno parte integrante di una teologia. Non hanno nulla in comune con le testimonianze accettabili in materia storica». [39]

Ciò che assicura Paolo non differisce da quanto si legge nell'Ascensione di Isaia, [40] opera di ispirazione gnostica: «L'Arconte di questo mondo stenderà la sua mano sul Figlio di Dio, e lo ucciderà, e lo sospenderà al legno». [41

E — Quella morte deve essere seguita da una resurrezione, in assenza della quale il sacrificio del dio salvatore rimarrebbe senza valore: «Se Cristo non è risorto, allora la nostra fede è vana». [42] Su quella resurrezione, Paolo resta molto discreto, egli non dà alcuna precisazione, ma ignora totalmente che una resurrezione abbia potuto aver luogo a Gerusalemme. 

Ciò che ci insegna, per contro, è la sua concezione del Cristo risorto: «Egli è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura, poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui». [43

— Questo testo è di Paolo? Sarebbe notevolmente in anticipo rispetto al IV° vangelo, con l'assimilazione al Logos, che è anche il primogenito della creazione. Ma Paolo non dice che il Logos si sarebbe fatto carne.

F — Infine, il sacrificio del Cristo è fruttuoso e comunicabile agli iniziati, che si assimileranno a lui. Ecco perché Paolo potrà dire: 

«Io sono crocifisso con il Cristo...»

«La croce... per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo». [44]

Aggiungiamo che tutto questo, Paolo lo rivela come un mistero, nascosto fin dall'origine, ma che ha ricevuto per missione di divulgare perché questo mistero è diventato la base della nuova fede.

Paolo e Gesù. — Si trova a volte, nelle epistole paoline, il nome di Gesù. È impossibile sapere se si tratta di una correzione successiva da parte di uno scriba, oppure se questo nome è nell'originale, che non abbiamo. Ma, se fosse nell'originale, cosa significherebbe per PAOLO il nome di Gesù ?

Non vi è là alcuna allusione al Gesù evangelico, di cui egli non ha nemmeno ricevuto la rivelazione dalle colonne della comunità di Gerusalemme, che non gli hanno insegnato nulla. Il suo Gesù resta puramente celeste.

Ma Gesù è il nome del dio salvatore, è questo nome, precedentemente tenuto segreto a causa del suo potere, che ad essere rivelato con il mistero. Da qui una assimilazione tra il Cristo e Gesù, che diventano un unico personaggio celeste.

Si può dunque ammettere che l'espressione Gesù Cristo, quando figura in un'epistola di Paolo, è proprio ciò che ha scritto l'autore. Ma non si può vedervi pertanto l'assimilazione al Cristo di un Gesù che era vissuto. 

Resta tuttavia una contraddizione: in due dei sinottici, vediamo che Gesù proibisce ai suoi discepoli di dire che egli è il Cristo. [45] Il mistero non sarebbe ancora stato rivelato? Questa è una delle tante contraddizioni che si trovano nei nostri vangeli, e che provengono da una pluralità di fonti non riconciliate.

I viaggi di Paolo. — Non appena uscito dalla comunità essena di Damasco, Paolo si lancia nella sua carriera di predicatore del vangelo. Comincia da Antiochia, importante città della Siria dove la comunità ebraica era composta in maggioranza da pagani convertiti. [46] Vi ritornerà, poiché vi affronterà Cefa (Pietro) più di quattordici anni dopo l'inizio delle sue missioni. Percorre in seguito tutto il mondo orientale, e ciò «senza prendere consiglio con carne e sangue, senza salire a Gerusalemme da quelli che erano stati apostoli prima di lui». [47] Questa è proprio la prova che ha ricevuto a Damasco una buona iniziazione. Visita numerose colonie, fonda comunità cristiane, e mantiene con loro e con altre una corrispondenza probabilmente superiore alla dozzina di epistole che ci sono pervenute. [48]

Non ebbe dappertutto lo stesso successo: nella stessa Damasco, dove ritornò, si dovette calarlo in una cesta da una finestra lungo le mura per evitare che venisse preso dalle guardie del re Areta. [49] Ad Atene, i suoi ascoltatori si fecero beffe di lui quando parlò loro della resurrezione. Non è meno vero che Paolo è l'autentico fondatore del cristianesimo: non appare da nessuna parte che la comunità di Gerusalemme abbia fatto dei tentativi di propaganda esterna. 

Si ammette, sulla base dell'epistola ai Galati [50] che un'intesa occorse tra Cefa (Pietro) e lui, Pietro riservandosi la predicazione agli ebrei e Paolo la conversione dei «Gentili», cioè di tutti i non ebrei (spartizione che ricorda il paté di allodola, metà allodola e metà cavallo); questa trattativa amichevole sembra corrispondere ai fatti, è per mezzo di Paolo che il cristianesimo si è diffuso in Oriente, poi a Roma per via dell'immigrazione nella capitale.

La fine di Paolo. — Gli Atti degli Apostoli ci informano che dopo un soggiorno sfortunato a Efeso, Paolo si recò finalmente a Gerusalemme, per incontrarvi le «colonne» di quella comunità che aveva totalmente trascurato prima. Sembra aver previsto che questo viaggio sarebbe andato male per lui. [51]

Arrestato e condotto davanti al governatore Festo e poi davanti al re Agrippa, non si sa di cosa fu incolpato. Il racconto degli Atti è incoerente: un solo fatto sembra accettabile: Paolo si appellò all'imperatore, il governatore lo inviò a Roma. [52] Si trattava quindi di una questione rilevante dell'imperatore, e non si può fare a meno di pensare che Paolo avesse davvero invocato lo status di cittadino romano, poiché questo crimine era rilevante per l'imperatore e poteva comportare la pena di morte. Dopo una traversata movimentata, Paolo arrivò a Roma... e la biografia si arresta là. Guignebert ha scritto: «La mia convinzione — non si può granché parlare di qualcos'altro — è che l'Apostolo sia stato ucciso al termine del suo processo». [53]

Due leggende avrebbero corso sulla fine di Paolo: una lo mandava a morire in Spagna, l'altra lo faceva perire a Roma con Pietro, ma la venuta di Pietro a Roma non è stabilita, e nessuna persecuzione sanguinosa è plausibile in quel periodo.

Intorno al 380 un'iscrizione di papa Damasio indicherà che gli apostoli Pietro e Paolo avrebbero «abitato» alla catacomba di San Sebastiano, ma «abitato» deve essere considerato come un riferimento alla loro tomba. Durante un viaggio a Roma, Lutero aveva potuto constatare, in occasione di un viaggio a Roma, che perfino il papa e i cardinali non sapevano dove si trovassero i corpi dei due apostoli. La Chiesa di Roma ha cercato di dotarsi di fondatori illustri, ma non è mai riuscita a provarlo.

Il paolinismo. — Quel che ne sia della sua fine, Paolo di Tarso ha svolto un ruolo principale nelle origini cristiane, ma questo ruolo non ha cessato di essere discusso, fin dalle origini.

Guignebert ha scritto: «Paolo non ha creduto di predicare una nuova religione, egli ha soltanto preteso di dare l'autentica interpretazione dell'antica legge ebraica». [54]

È certo che Paolo non ha rinnegato l'ebraismo, ma con la comunità di Damasco egli fonda una nuova alleanza [55] aperta ai Gentili, e proprio questo equivale a rinnegare la Bibbia. E il cristianesimo è una religione talmente nuova che, per molti secoli, perseguiterà gli ebrei. Perfino oggi, una grande falla sussiste tra le idee e i riti; il Messia ancora atteso dagli ebrei resta quello dell'Antico Testamento, non quello di Paolo.

Questa nuova religione, che gli deve la sua diffusione, non ha tardato a separarsi da lui: è contro il paolinismo che la comunità di Roma tenterà di legarsi a Pietro.

Soprattutto, la religione romana differisce dalla concezione paolina sul personaggio centrale del Cristo: quella di Paolo resta conforme alla Gnosi e agli dèi salvatori dell'ellenismo; ma quando si vorrà umanizzare Gesù al punto di prestargli una nascita (anche se miracolosa), si volgono le spalle al Cristo celeste e si darà un significato diverso della crocifissione facendo di un evento cosmico un dramma umano.

La Chiesa non ha totalmente rinnegato il suo debito verso Paolo, ma ha preso grandi distanze da lui, lo venera ancora, ma dimentica il suo insegnamento, ha falsificato le sue epistole. E cosa c'è di più convincente che confrontare la dottrina sociale della Chiesa romana con ciò che preconizzava l'apostolo dei Gentili: «Non c'è più giudeo né greco, non c'è più schiavo né libero, non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». [56]

NOTE

[1] Charles Guignebert, Le Christ, pag. 155 e 160.

[2] Charles Guignebert, Le Christ, pag. 48.

[3] Bisognerebbe citare un'intera biblioteca, Si veda Georges Ory, Le Christ et Jésus, ed. Pavillon, pag. 66, e Charles Guignebert, Le Christ, pag. 201 e seguenti.

[4] «Le interpolazioni cattoliche nelle lettere di Paolo sono certe ed evidenti; mascherano in maniera stravagante l'aspetto del paolinismo» (Georges Ory, Les interpolations du N. T., in Cahier du Cercle Ernest Renan, 1960). 

[5] Galati 1:22.

[6] 1 Corinzi 9:20.

[7] Atti 22:3.

[8] Atti 10.

[9] Il signor Amable Audin, curatore del museo gallo-tomano di Lione, mi aveva obiettato che la cosa sarebbe stata possibile, se il padre di Paolo fosse stato centurione per 20 anni nell'esercito romano. Questo è vero, ma non si è mai sollevato questo servizio. 

[10] Atti 18:3.

[11] Atti 15:5.

[12] 2 Corinzi 12:7.

[13] Galati 4:14.

[14] 1 Corinzi 15:9; Galati 1:13.

[15] Atti 8:3 e 22:4.

[16] Charles Guignebert, Le Christ, pag. 248.

[17] Atti 9:3-4.

[18] Alfred Loisy, L'épître aux Galates 1:16.

[19] Atti 9.

[20] Per immersione: Atti 9:18.

[21] Atti 9:20. A quel tempo non esisteva ancora un battesimo cristiano, ma soltanto un battesimo di purificazione esseno. 

[22] Si veda negli Atti il capitolo 11, particolarmente confuso. 

[23] E anche più di 14 anni: Paolo parla di 14 anni per la sua salita a Gerusalemme (Galati 2:1), ma il suo dibattito con Pietro ad Antiochia è ancora posteriore (Galati 2:11).

[24] Galati 1:11-12.

[25] Ernest Renan, Saint Paul, capitolo 10.

[26] Georges Ory, Jésus a-t-il été crucifié? in Cahiers du Cercle Ernest Renan, 1955.

[27] Galati 2:1. — La menzione di un primo soggiorno al termine di tre anni «per fare conoscenza» è un'ovvia interpolazione, destinata a mascherare il lungo intervallo di ignoranza. Non è successo nulla in questo incontro immaginario. 

[28] Galati 2:6.

[29] 2 Corinzi 11:22-23.

[30] Galati 2:11.

[31] 1 Corinzi 1:23 e 2:2.

[32] Romani 8:3.

[33] 1 Corinzi 15:47-50.

[34] Filippesi 2:7-8.

[35] Riferimento alla Pasqua ebraica.

[36] Georges Ory, Jésus a-t-il été crucifié? in Cahiers du Cercle Ernest Renan, 2° trimestre, 1955.

[37] 1 Corinzi 2:8.

[38] J. K. Watson, Le christianisme avant Jésus, pag. 181.

[39] Paul-Louis Couchoud, Le mystère de Jésus, pag. 116.

[40] Si veda L'ascension d'Isaïe, testo e traduzione dal cardinale Tisserand, ed. Letouzet et Abé, 1909.

[41] Riferimento a Deuteronomio 21:23: «È maledetto da Dio colui che è appeso al legno»

[42] 1 Corinzi 15:14.

[43] Colossesi 1:15-16.

[44] Galati 6:14; Efesini 3:9.

[45] Matteo 16:20; Marco 8:29.

[46] Galati 2:11-13.

[47] Galati 1:16-17.

[48] Per non parlare di quelle che si devono rifiutare in quanto non autentiche. 

[49] 2 Corinzi 11:32-33 e Atti 9:25.

[50] Galati 2:7-8.

[51] Atti 20:23-24 e 37.

[52] Atti 25:21.

[53] Charles Guignebert, Le Christ, pag. 321.

[54] Charles Guignebert, Le Christ, pag. 327.

[55] 2 Corinzi 3:6 e 14.

[56] Galati 3:28.

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