martedì 24 novembre 2020

IL CRISTIANESIMO SENZA GESÙI PRIMI CRISTIANI

 


Capitolo VI

I PRIMI CRISTIANI

Anche se furono necessariamente modesti, gli inizi del cristianesimo avrebbero dovuto lasciare dei ricordi, sia tra i primi scrittori cristiani che tra gli autori pagani o tra gli avversari. La prima osservazione da fare, però, è quella di un vuoto quasi totale: «Noi non possediamo alcuna attestazione ebraica del primo secolo che riguardi le comunità cristiane primitive... Celso, Porfirio, Giuliano non disponevano più di alcuna memoria storica dei fatti in sé... Ciò che ci sembra molto più grave per noi dell'ignoranza dei pagani e degli ebrei riguardo alla prima storia cristiana è quella degli stessi scrittori cristiani... Ci si rende conto che loro non sembrano sapere nulla di più rispetto a noi». [1]

Una cosa almeno sembra certa: tutte le prime comunità cristiane sono state povere e convertivano i loro membri tra i poveri. Tutti i testi concordano su questo punto: «Non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti, Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti». [2] Il Signore Gesù «si è fatto povero per voi, affinché, mediante la sua povertà, voi poteste diventare ricchi». [3] «Dio non ha forse scelto quelli che sono poveri secondo il mondo?» [4

L'autore cristiano dei primi capitoli dell'Apocalisse scrisse alla Chiesa di Smirne: «Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà». [5]

Quanto ai vangeli, essi sono pieni di imprecazioni contro i ricchi. Infine Celso raffigurerà questo quadro: «Egli (Gesù) raccolse intorno a sé dieci o undici sciagurati, i peggiori dei pubblicani e dei marinai, che costituiscono la clientela ordinaria dei ciarlatani e degli impostori». [6]

1° — L'origine del nome

Non si sa nemmeno da dove venga il nome di «crestiano», né cosa significhi. Oggi si fa volentieri derivare questo nome da «Cristo», ma questo è linguisticamente impossibile: Cristo avrebbe dato «cristiano», come è all'origine dei nostri nomi di Cristiano e di Cristina.

Gli Atti degli Apostoli dicono che è ad Antiochia che fu dato per la prima volta questo nome ai fedeli della nuova religione, [7] ed è molto plausibile: questa fu la prima comunità visitata da Paolo e Renan vi vide la culla del cristianesimo: «Il punto di partenza della chiesa dei Gentili, il focolaio primordiale delle missioni cristiane, fu proprio Antiochia. È là che per la prima volta si costituì una Chiesa cristiana sbarazzatasi dai legami con l'ebraismo; è là che si stabilì la grande propaganda dell'età apostolica». [8]

Anche gli storici cristiani convengono sull'importante ruolo che giocò questa città, la capitale della Siria, la meglio posizionata per essere il crogiolo dove si è formato il sincretismo cristiano: «Antiochia, città greca, universalista per natura, doveva necessariamente, esprimendo Gerusalemme come capitale della nuova fede, coinvolgerla nel senso in cui era essa stessa portata. Il fatto era di un'estrema importanza storica». [9

Ma questo non ci informa sul significato della parola.

Sembra che si siano confuse — forse grazie allo iotacismo [10] — due parole greche che non hanno alcuna relazione tra loro: la parola «christos», che significa «unto», e la parola «chrestos» che significa «il migliore» (è un superlativo). Alcuni non hanno mancato di approfittare di questa confusione, dato che i nuovi cristiani erano lusingati di definirsi i migliori.

L'equivoco si estenderà dal greco al latino. [11] Quando leggiamo in Svetonio [12] che l'imperatore Claudio cacciò gli ebrei da Roma a causa dei disturbi che essi provocarono sotto l'impulso di Cresto, non sappiamo se egli intendesse designare un oscuro agitatore che recava il nome comune di Cresto, o se avesse vagamente sentito parlare del Cristo o del Messia designato con questo nome... [13] In ogni caso, non si tratterebbe ancora che degli ebrei, e nulla permette di pensare che a quella data (nel 41) sia esistita una comunità cristiana a Roma. 

Gli autori latini non ne sapranno di più, e nel II° secolo Tertulliano si limita a ripetere: «Gesù è chiamato Cristo dalla parola «crisma» che è un'unzione poiché egli fu unto di Spirito Santo da Dio Padre». [14]

Fatte queste riserve, cerchiamo di riassumere ciò che sappiamo delle comunità cristiane primitive.

2° — La comunità di Gerusalemme

Sappiamo di essa solo dagli Atti degli Apostoli. La vediamo nell'attesa della Pentecoste. Si citano gli undici apostoli, e si elegge Mattia in sostituzione di Giuda; ma la scelta stessa dei dodici è controversa, e le liste sono variabili: «Più sorprendente è l'evidente ignoranza degli autori di queste liste sugli uomini di cui elencano i nomi... Pertanto non credo nella scelta degli apostoli da parte di Gesù». [15]

Soltanto tre nomi emergono: Giacomo, Cefa (Pietro) e un Giovanni: questi sono i soli che Paolo incontrerà quando verrà a Gerusalemme. [16] Si noterà anche la totale assenza di riferimenti a Maria.

In ogni caso, non è da questo minuscolo gruppo che il cristianesimo ha potuto provenire: chiaramente essi non fanno nulla, attendono la prossima riapparizione del Signore nella gloria, annunciata peraltro per «questa generazione»: [17] «I discepoli galilei di Gesù non sono stati dei missionari universali della fede in Gesù; non hanno fondato la chiesa cristiana, non sono stati realmente i garanti della leggenda evangelica». [18]

Sebbene questa prima parte degli Atti, che è più particolarmente dedicata all'apologia di Pietro, dia spesso a quest'ultimo il ruolo di protagonista, un'altra tradizione chiama Giacomo «fratello del Signore» capo della comunità di Gerusalemme. [19]  Il nome «fratello del Signore» non è l'indicazione di una parentela, ma si riferisce ad una leggenda. [20] Con l'eccezione di un riferimento a «Giacomo, fratello di Gesù detto il Cristo», che è solo un'interpolazione successiva, Flavio Giuseppe ignora totalmente la comunità di Gerusalemme: essa deve essere passata inosservata.

Gli Atti, per contro, ci raccontano come viveva questa piccola comunità. Sono ebrei pii: «Frequentavano il Tempio, Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone». [21]

Dovevano perfino rivendicare il loro status di ebrei, perché Paolo sarà obbligato a rispondere: «Sono essi Ebrei? Lo sono anch'io. Sono essi Israeliti? Lo sono anch'io...». [22] «Noi, di nascita Giudei e non peccatori fra i Gentili». [23]

Ma ecco la cosa più caratteristica: prendevano i loro pasti in comune. Questo è quanto sappiamo anche della comunità di Corinto [24] e di quella di Bitinia, secondo Plinio il Giovane. Ma questa era anche la regola degli Esseni.

Ora ecco cosa ci indirizza ancora di più verso l'Essenismo. Tra gli Esseni, il membro della comunità doveva rinunciare a tutti i suoi beni. Ecco un curioso episodio che figura negli Atti: una coppia che ha venduto una proprietà che le apparteneva restituì alla comunità solo una parte del prezzo di vendita e conservò il resto. Questa infrazione alla regola meritava una sanzione: per i rimproveri che rivolge loro Pietro, tutti e due sono colpiti dalla morte; l'una dopo l'altro cadono e muoiono. [25] Si può ritenere eccessivo il castigo, ma forse non ebbe luogo realmente. Ciò che importa, è che in nessun'altra setta questo semplice fatto avrebbe meritato una punizione, tanto meno la pena di morte. Siamo quindi indotti a credere che la comunità di Gerusalemme fosse una comunità essena distinta da quella di Qumran.

Che ne è stato di quella piccola comunità? Quantunque pacifica, sembra che sia stata perseguitata per qualche motivo. Giacomo fu ucciso nel 41 per ordine di Erode Agrippa, anche Cefa (Pietro) fu probabilmente ucciso (lo dirò più avanti); nel 62 un altro Giacomo, fratello del primo, sarà lapidato. [26] Giovanni, l'unico sopravvissuto delle «colonne», dovrà rifugiarsi a Patmos. È quindi probabile che la comunità si disperse e scomparve: «Se il cristianesimo li avesse ascoltati, sarebbe rimasta una piccola setta ebraica». [27]

3° — La comunità di Antiochia

Questa è probabilmente la prima comunità esterna, la prima visitata da Paolo alla sua uscita da Damasco, quella dove convertì il suo discepolo Barnaba. Renan scriveva: «È là che si stabilì la grande propaganda dell'età apostolica, è là che si formò definitivamente san Paolo». [28]

Sfortunatamente gli Atti degli Apostoli, nostra sola fonte, sono molto laconici su questa città: vi erano «profeti e maestri», [29] la comunità presentava più convertiti che ebrei di origine. È là l'origine del conflitto che oppose Paolo a Cefa: «Prima che fossero venuti alcuni da parte di Giacomo, egli mangiava con persone non giudaiche; ma quando quelli furono arrivati, cominciò a ritirarsi e a separarsi per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei si misero a simulare con lui». [30]

Tutto questo è molto confuso, ma sembra che la comunità si sia divisa in giudeo-cristiani da un lato e in ellenisti dall'altro: «La comunità che gli ellenisti hanno fondato, per dissenso, per eresia, di fronte alla sinagoga della capitale siriana, è stata così la vera culla del cristianesimo. È riuscita, senza saperlo, e sotto la pressione inconscia dell'ambiente religioso in cui si è insediata, in una o due operazioni di sincretismo che hanno infuso alla fragile speranza portata dalla Palestina una forza di vita e una capacità di influenza dove si trovava racchiusa tutta la fortuna del cristianesimo». [31]

Quello che possiamo aggiungere oggi è che questo dio Cristo, di cui Paolo aveva rivelato il nome fino ad allora nascosto di Gesù, era quello di cui lo stesso Paolo aveva appena ricevuto la rivelazione a Damasco. 

Ma il Cristo di Paolo restava un essere celeste, al quale Paolo non prestava ancora una vita terrena.

È infine ad Antiochia che fu risolto il grande dibattito sull'accoglienza, nella nuova alleanza, dei non circoncisi, dei non ebrei. Da allora, l'influenza ebraica nel cristianesimo diminuirà nel numero e nella dottrina fino alla rottura totale, proposta da Marcione, e consacrata nel vangelo di Matteo.

4° — Le fondazioni di Paolo

Ci si è sforzato di ricostruire gli itinerari e le fondazioni di comunità di Paolo nel corso dei suoi viaggi, il che comporta una certa incertezza e non porta ad alcuna informazione a parte qualche nome geografico.

È certo che lo zelo apostolico di Paolo fu importante ed efficace. Ma è impossibile sapere se, in ciascuna delle «chiese» a lui attribuite, esistesse in anticipo un piccolo nucleo, di origine essena o gnostica, o di altra origine, o perfino l'importanza della «diaspora» ebraica al di fuori delle grandi città come Antiochia o Alessandria.

Sembra che le comunità di Laodicea, Colosse e Ierapoli non siano state fondate da Paolo, ma da un certo Epafra. [32] Per contro Corinto sembra aver sempre goduto di una sorta di preferenza, il che porterebbe a pensare che si trattasse proprio di una fondazione personale. [33]

Quel che complica il problema è che più tardi delle comunità di origine modesta cercheranno di dotarsi di un patrono più famoso: sarà il caso di Roma, ma anche di altre città. Ad esempio, il viaggio di Giacomo in Spagna e la fondazione di Compostela costituiscono pura leggenda, così come lo sbarco delle sante donne in Provenza.

Inoltre, durante le persecuzioni del III° secolo, si immaginarono gli inizi del cristianesimo sul modello di quei tempi travagliati, e molti martiri del calendario cristiano non appartengono che all'immaginazione: nel secolo degli Antonini, quelle persecuzioni sono totalmente inverosimili.

Per ritornare a Paolo, è ad Efeso che incontrò le maggiori difficoltà, [34] si scontrò con l'opposizione degli adoratori della grande Artemide, il cui tempio era famoso, [35] ma anche con quella degli ebrei che restavano fedeli alla circoncisione. Gli Atti degli Apostoli sicuramente esagerano il suo successo, [36] poiché alla fine la folla si sollevò contro di lui, e per salvarlo il tribuno dovette farlo arrestare e incatenare. [37] Questa fu la fine delle sue predicazioni, poiché le autorità di Efeso lo mandarono a Gerusalemme, dove resterà due anni in prigione prima di comparire davanti al procuratore Festo.

5° — Le comunità dell'Apocalisse

La cosiddetta Apocalisse di Giovanni è, a partire dal suo capitolo 4, un'opera ebraica, scritta durante la guerra contro Roma prima della disfatta dell'anno [38] Ma più tardi un autore cristiano ebbe l'idea di inviare quest'opera stravagante ad alcune comunità cristiane, aggiungendovi i primi tre capitoli. Quelle comunità esistevano dunque, ma la maggior parte di esse non figurano tra le fondazioni di Paolo, e si ignora la loro origine.

In questi tre capitoli scritti da un certo Giovanni (che non è lo stesso autore del IV° vangelo), si identificano alcuni dettagli originali. L'autore si dice ispirato da Gesù Cristo, che descrive così: «Primogenito dai morti e il Principe dei re della terra... uno simile a un Figlio d'uomo, vestito d'una veste lunga fino ai piedi e cinto d'una cintura d'oro al petto. Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come bianca lana, come neve, e i suoi occhi somigliavano ad una fiamma di fuoco. I suoi piedi erano simili a bronzo lucente, come se fossero stati arroventati in una fornace e la sua voce era come il fragore di molte acque». [39]

Questa immagine, ben lontana dal Gesù evangelico, sembra derivare da Ezechiele. [40]

Le sette chiese destinatarie di questo messaggio sono: Efeso (già visitata da Paolo), Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea, tutte in Asia proconsolare. Per ciascuna, molte allusioni ci sfuggono, ma quattro sono interessanti: 

 La messa in guardia contro i Nicolaiti, discepoli dello gnostico Nicola (che negava la venuta di Gesù nella carne); 

 il riferimento per Pergamo al personaggio biblico di Balaam, citato anche in due epistole dubbie del Nuovo Testamento; [41

 la curiosa condanna a Tiatira di una donna paragonata a Gezebele che, definendosi una profetessa, corrompeva gli «schiavi»: non sembra che alle donne fosse permesso predicare nelle sinagoghe della diaspora, ma forse questo era permesso in Oriente?

 il rimprovero fatto alla chiesa di Filadelfia per aver ammesso nella sinagoga di Satana «alcuni che si dicono Giudei e non lo sono», il che sembra condannare i convertiti. [42]

Se, secondo la maggioranza dei commentatori, si datano intorno all'anno 95 i tre capitoli aggiunti all'opera ebraica, si constata che a quella data nessuna di quelle comunità cosiddette «cristiane» aveva ancora conoscenza della vita terrena di un Gesù, e nemmeno di un «Messia» di cui si annunciasse loro la prossima venuta. Si trattava anche di comunità cristiane, o soltanto di comunità essene? A Filadelfia non si aveva nemmeno sentito parlare della «nuova alleanza», né dell'apertura di questa alleanza ai non-ebrei. Infine da nessuna parte si segnala il passaggio dell'apostolo Paolo. Ciò produce molte incertezze sulla natura, la composizione e l'origine di tali comunità, esse sono probabilmente assai poco numerose. La cosa più curiosa è vedere che il messaggio rivolto a Efeso non menziona più che altrove il soggiorno dell'apostolo Paolo, attestato dagli Atti.

Anche tenendo conto della lentezza delle comunicazioni e delle distanze, l'ignoranza dell'autore dei tre capitoli iniziali appare così sorprendente che ci farebbe dubitare dell'antichità della diffusione del cristianesimo primitivo. Tutti questi piccoli gruppi, tranne quello di Efeso, sono scomparsi senza lasciare altra traccia. Ma quale singolare idea di rivolgere a quelle «chiese» che avevano probabilmente accolto gli esuli ebrei dopo la presa di Gerusalemme, questo testo di una visione sul trionfo del Messia e sulla distruzione di Roma?

6° — La comunità di Bitinia

Quando Plinio il Giovane governava, in veste di «legato» dell'imperatore Traiano, la provincia di Bitinia, egli riferiva spesso all'imperatore da funzionario prudente. Intorno all'anno 112 della nostra era, gli chiese istruzioni sulla politica da osservare nei confronti dei «cristiani», che non considera gente pericolosa. Questa lettera è famosa. [43

Egli segnala «il numero delle persone di ogni età, di ogni livello sociale, di entrambi i sessi che sono o saranno in pericolo, non solo nelle città, ma per i villaggi e le campagne dove si è diffuso il contagio di questa superstizione».

Sembra che quella stima sia stata ampiamente esagerata, il che può mettere in dubbio la lettera nel suo complesso. Ma il resto sembra accettabile:

 i cristiani si riuniscono in un giorno fisso, prima dell'alba, e cantano tra loro un inno al Cristo come a un dio (Christo quasi deo);

 giurano di non commettere né furto, né rapina, né brigantaggio, né adulterio, di non mancare alla parola data, di non negare una deposizione richiesta in tribunale;

 si incontrano di nuovo per prendere in comune il loro cibo comune e innocente;

 infine, se alcuni accettano di rinnegare il Cristo, è impossibile ottenerlo dai veri cristiani.

Vi si riconoscono gli elementi esteriori caratteristici di una comunità essena: preghiera del mattino, pasti comuni e soprattutto il giuramento. Plinio non sa nulla di questo culto, che si rivolge a Cristo come a un dio: nessuna menzione di un'esistenza terrena né di una resurrezione di questo personaggio divino. Egli sa soltanto che da questo Cristo deriva il nome «christiani», da cui si farà derivare «cristiano». Una comunità di Bitinia, di origine essena, quindi, adorava un Cristo, e attendeva probabilmente il suo ritorno nella gloria. 

7° — La comunità di Roma

Andrebbe notato che tutte le comunità sopra menzionate si trovano in Oriente (ad eccezione di Corinto). Delle leggende riguardano la comunità di Roma, ma in realtà si ignora quando e come fu fondata. Le sue origini sono oscure. In seguito, i cristiani di Roma avranno sempre la nostalgia di appartenere ad un culto nato in Oriente, e si sforzeranno di magnificare l'origine della chiesa situata nella capitale del mondo. Due leggende devono essere respinte:

 quella delle «torce viventi» che, al tempo di Nerone, sarebbero state erette come punizione dell'incendio di Roma, attribuito ai cristiani: questo testo, inserito negli Annali di Tacito (15:44), è un falso, probabilmente risalente al XV° secolo. [44] Questa accusa contro i cristiani e questa crudele esecuzione sono ignorate da tutti gli autori, sia latini che cristiani, e persino da Eusebio di Cesarea nel IV° secolo. Per di più, la cosa è impossibile di per sé: un corpo in fiamme emana del fumo, ma nessuna luce, nessuna illuminazione;

— quella della venuta a Roma dell'apostolo Pietro, che sarebbe stato fondatore della Chiesa: gli Atti degli Apostoli, di cui una metà è dedicata a Pietro, non lo fanno venire a Roma, ci dicono soltanto che Cefa (Pietro) fu arrestato e imprigionato per ordine del re Erode (Antipa), che era sorvegliato nella sua prigione da sentinelle, ma che un angelo venne a liberarlo. E allora «egli uscì e si recò in un altro luogo». [45] Nessuno sa che ne è stato di lui, e l'autore degli Atti lo ignora. Non si può sfuggire all'impressione che Pietro fosse stato condannato e probabilmente ucciso. Se fosse andato a Roma, l'autore degli Atti non avrebbe mancato di dirlo.

È dopo la rottura con Marcione e il paolinismo che la comunità di Roma ebbe l'idea di riallacciarsi a Pietro contro Paolo. La prima menzione della venuta di Pietro a Roma figura in una lettera di Dionigi, vescovo di Corinto, nel 170. Oggi anche gli storici protestanti respingono questa leggenda: «È evidente che la leggenda si è mescolata alla storia. Non sono stati né san Pietro né san Paolo che hanno fondato la Chiesa a Roma, ma semplici credenti. Si può esser certi che i 25 anni di presenza di san Pietro a Roma non sono un fatto storico». [46]

Da secoli si è discusso sull'ubicazione della tomba di Pietro. Lutero ha constatato che a Roma «il papa e i cardinali sanno benissimo che non lo sanno». Intorno al 1950, il papa Pio XII organizzò degli scavi per ritrovare la tomba di Pietro, ma: «La scoperta che Pio XII ha propagandato per la chiusura dell'anno santo è quella della fossa piuttosto che della tomba». [47]

Inoltre, nulla fa pensare che siano esistiti cristiani a Roma nel primo secolo. Non è impossibile, ma, se è esistita, questa primitiva comunità cristiana (o essena?) non ha lasciato traccia. [48]

Si invocherà evidentemente l'epistola di Paolo ai Romani, che si conclude con dei saluti a vari personaggi, altrimenti totalmente sconosciuti. [49] L'epistola ai Romani, tra tutte quelle attribuite a Paolo, è quella che è stata più rielaborata, ma soffre di una grave obiezione: quando Marcione la rivelò a Roma nel 140, vi era totalmente sconosciuta. Non è impossibile, inoltre, che l'epistola sia stata indirizzata a «Romani» diversi da quelli della capitale (ve ne erano dovunque). Infine, come mai Paolo, che vi è venuto solo alla fine della sua vita, avrebbe conosciuto così tanti membri della comunità romana? In ogni caso, anche supponendo l'esistenza delle persone salutate da Paolo, non saremmo meglio informati sulla comunità romana. 

Allorché inventò nel IV° secolo una storia della Chiesa, il famoso bugiardo che fu Eusebio di Cesarea immaginò tutta una lista dei primi vescovi di Roma (vale a dire, secondo la Chiesa, dei primi papi succeduti a san Pietro). Ma ha tratto questa lista da Ireneo, che li dà solo come «Anziani» (presbiteri). Le prime comunità cristiane, come le comunità essene da cui derivano, erano dirette dagli Anziani. È ben più tardi che i vescovi (episcopoi, sorveglianti) si attribuirono il potere. [50] È Eusebio che ha trasformato questi Anziani in vescovi, [51] nell'ordine inverso a quello dato da Ireneo. [52] Si noterà che tutti questi nomi, tranne quello di Pio, sono greci.

Alcuni di questi personaggi possono essere esistiti, ma non come vescovi. È il caso di un certo Clemente, ipotetico autore di un'epistola ai Corinzi, nella quale non invoca alcun titolo. Il primo vescovo di Roma conosciuto con certezza fu Vittore (189-199): egli fissò nel 198 la data di Pasqua, non senza un primo conflitto con le chiese d'Oriente.

Non si parla ancora del primato romano, che sarà invocato solo nel IV° secolo, e sempre contestato da Costantinopoli. È per stabilire questo primato che si fabbricherà la famosa interpolazione nel vangelo di Matteo (e in esso solo, come se gli altri avessero potuto ignorare un fatto così importante) sulla fondazione della chiesa. [53] Ancora nel III° secolo, Cipriano, vescovo di Cartagine, contesterà questo testo, invocando l'uguaglianza di tutti gli apostoli e dei loro successori. [54

Ma prima di allora, a metà del II° secolo, la comunità di Roma era entrata nella storia per un evento grave: una rottura tra i suoi membri, che è importante riportare.

8° — Marcione e Valentino a Roma

Nell'anno 140, la comunità di Roma ricevette l'adesione di due stranieri che avrebbero svolto, nella sua evoluzione, un ruolo importante. 

Il primo, Marcione, sarà descritto da Couchoud come uno dei «grandi geni religiosi dell'umanità». [55] Questo è molto eccessivo, infatti Marcione non è l'autore delle opere che rivelerà a Roma, ne è solo il diffusore, il vero genio figura nelle opere che porta. Marcione è un greco nato a Sinope (sul Mar Nero, patria di Diogene). Egli è nato nel cristianesimo, ma non si accontenta della vaga dottrina che gli si ha insegnata. È navigatore, capitano di nave, e nel corso dei suoi viaggi ha conosciuto le epistole dell'apostolo Paolo. Colto da ammirazione, li ha ricopiati, — probabilmente non senza alterarli in qualche modo. Sono dieci epistole di Paolo, totalmente sconosciute in Occidente, che egli rivelerà a Roma: «La prima edizione di san Paolo fu un evento significativo nella storia del cristianesimo. Le lettere che erano state indirizzate dall'apostolo ad una sola chiesa per una sola lettura divennero il tesoro comune delle chiese che vi potevano attingere senza limiti la dottrina più elevata, la più inesauribile». [56]

Ma Marcione è uno gnostico, egli non ha trovato in Paolo la menzione di un uomo chiamato Gesù, che Paolo non ha conosciuto, ma soltanto quella di un Cristo celeste. Se necessario, egli ha «corretto» in Paolo ciò che non concordava con quella concezione. È improbabile che sia Paolo stesso ad aver scritto la frase: «Se egli fosse divenuto uomo, egli avrebbe cessato di essere Dio».

Accanto a queste epistole, Marcione rivelerà un altro tesoro, che si chiama Evangelion, il primo vangelo conosciuto, che servirà, non fosse altro che per opposizione, alla stesura dei nostri sinottici. Questo vangelo, non è Marcione che lo ha scritto, egli lo ha conosciuto a Sinope. Il testo ne è perduto; ovviamente si pensa che la Chiesa non ha conservato un tale documento. Ma grazie alle numerose citazioni che ne faranno gli autori cristiani — e soprattutto Tertulliano —per tentare di confutarlo, Couchoud ha potuto farne una ricostruzione, almeno per l'essenziale.  

Analizzerò quella ricostruzione, ma prima di tutto è importante sottolineare che il personaggio chiamato Gesù Cristo in quest'opera non è un uomo: è un inviato celeste, apparso già adulto a Cafarnao e non è che una sorta di fantasma, un'apparizione. I cristiani di Roma, che non possiedono ancora alcun documento (nemmeno l'epistola di Paolo ai Romani), accetteranno Marcione e il suo Evangelion

Molto meglio, allo stesso tempo, ricevettero un altro gnostico che viene da Alessandria, e che porta, a sua volta, un vangelo, chiamato «vangelo di verità». È un'opera della stessa ispirazione di quella di Marcione, e Valentino è ben conosciuto per essere stato a lungo combattuto da Ireneo. [57] Anche lui insegna un Cristo celeste, immateriale. I Romani ammettono ancora tutto ciò, e si assicura addirittura che Valentino fu quasi eletto vescovo (uno dei supervisori della comunità).

Marcione aveva un'altra particolarità: egli era violentemente anti-ebraico. Avrebbe voluto separare il cristianesimo dalle sue fonti ebraiche, cosa che ovviamente non era possibile, vista l'importanza dei nuovi cristiani di origine ebraica e soprattutto dei testi dell'Antico Testamento usati in particolare dagli Esseni: «Marcione era obbligato ad usare i nomi di Cristo, di Figlio dell'uomo, che venivano dalla Bibbia, ad accettare Gesù e Gesù crocifisso come si era dedotto dalla profezia di Isaia e dal Salmo 22... Egli aveva ricevuto una figura di Gesù lentamente formata, da Daniele a san Paolo, attraverso le Scritture». [58]

Per di più, l'anti-giudaismo di Marcione non si concilia bene con la sua ammirazione per Paolo, che era probabilmente ebreo, in ogni caso intriso di giudaismo.

Per noi, Marcione resta soprattutto colui che ha portato il primo vangelo. Vediamo quindi come si presenta quell'opera.

9° — L'Evangelion

L'opera si chiama «evangelion», che significa «buona notizia». Questo titolo sarà ripreso nelle opere successive destinate a contraddire il racconto iniziale. La buona notizia è quella dell'apertura della salvezza. Questa è già la formula che impiegava Paolo per qualificare il suo insegnamento. [59]

Ecco l'essenziale: [60]

L'Evangelion cominciava con queste parole: «Nel quindicesimo anno del regno di Tiberio Cesare, al tempo del governatore Ponzio Pilato, Gesù Cristo, Figlio di Dio discese dal cielo e apparve a Cafarnao, città di Galilea. Egli insegnava nella sinagoga»

Ecco una data precisa, ma non corrisponde che ad un fenomeno non verificabile, la discesa e l'apparizione di un Essere celeste. Qui il personaggio appare adulto. Ma egli ha solamente preso una «rassomiglianza» d'uomo. Paolo diceva: «Egli svuotò se stesso, prendendo la forma di schiavo». [61] Perché egli si manifesta in ambiente ebraico? Per dire loro: «Credete che io sono venuto per realizzare la Legge o i Profeti? Io sono venuto per abolirli, non per realizzarli». [62]

Più volte, egli insisterà sul fatto che non è nato, che non ha avuto nascita terrena. [63] Quando gli si parla della sua famiglia, risponde: «Chi è per me la madre e chi sono per me i fratelli? Coloro che ascoltano le mie parole e le compiono».

Per il suo insegnamento, egli riprende in gran parte la morale essena, e in particolare il «discorso della montagna» che sarà di nuovo inserito in Matteo. Egli chiarisce che non è venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori, poiché i sani non hanno bisogno di un medico, ma i malati. Egli abolisce il sabato, e lo viola lui stesso, infatti «il Figlio dell'uomo è padrone del sabato»

Gli si prestano alcuni miracoli, gli stessi che saranno ripresi negli scritti canonici (tranne la resurrezione di Lazzaro), calma una tempesta per dimostrare che egli è padrone degli elementi.

Sarebbe interessante avere la fine dell'Evangelion, per leggervi il racconto della passione e della crocifissione. Couchoud dice solamente che questo racconto vi era piuttosto breve. Vi si leggeva un breve racconto dell'Ultima Cena con la formula «questo pane è il mio corpo... Questo calice è la mia alleanza nel mio sangue versato per voi», ma senza istituzione di un sacramento. Infine Pilato lo condanna a morte, ma un essere celeste non può morire; è quindi soltanto un sostituto, il Cristo ebreo, che è crocifisso, quello che aveva sollevato una sedizione contro i Romani. Ma il Cristo celeste appare più tardi ai discepoli spaventati: è il personaggio celeste, con una apparenza di corpo, ma che rassomiglia agli angeli. Non vi è quindi resurrezione del crocifisso.

Così com'è, con le sue imperfezioni e i suoi schizzi, questo racconto di una vita terrena del Cristo Gesù avrà una grande importanza poiché, per reazione, susciterà i racconti che costituiranno i nostri vangeli canonici: «Questo libro ha fissato il destino. Nel ribollimento delle correnti contrarie, il nocchiero Marcione ha dato il colpo di barra decisivo. Ha rimesso il cristianesimo sulla via del paolinismo, che era quella del grande futuro. E ha fornito il modello letterario a cui dovevano ispirarsi, ciascuna per correggerlo alla sua maniera, le grandi chiese che resistettero alla sua teologia». [64]


NOTE

[1] Charles Guignebert, Le Christ, pag. 16-18.

[2] 1 Corinzi 1:26-27.

[3] 2 Corinzi 8:9.

[4] Epistola detta di Giacomo 2:5.

[5] Apocalisse 2:9.

[6] Celso, Discorso vero contro i cristiani, prefazione. Ma Celso ne parla solo secondo i vangeli, egli non ha alcuna conoscenza diretta delle origini cristiane. 

[7] Atti 11:26.

[8] Ernest Renan, Les apôtres.

[9] Daniel-Rops, L'Eglise des apôtres et des martyrs, capitolo 1.

[10] La vocale «e» si pronunciava «i», come nel greco moderno?

[11] Intorno al 190, Giustino riterrà ancora che a causa del loro nome i cristiani sono i migliori degli uomini (Apologia 1:4).

[12] Svetonio, Claudio 25:4.

[13] Un Chrestus figura nella corrispondenza di Cicerone (Corresp., ed. Belles Lettres, volume III, pag. 236); nel 222, Ulpiano, prefetto del pretorio, avrà per collaboratore un Chrestus; dei vescovi hanno portato questo nome, ecc. 

[14] Tertulliano, Il battesimo, 6.

[15] Charles Guignebert, Le Christ, pag. 68-69.

[16] Quando incontrerà ad Antiochia i delegati di Gerusalemme, Paolo li chiamerà «alcuni da parte di Giacomo» (Galati 2:12), non i seguaci di Pietro. 

[17] Matteo 23:36.

[18] Alfred Loisy, Les origines du Nouveau Testament, pag. 154.

[19] Atti 12:17.

[20] Secondo il Vangelo degli Ebrei, Giacomo, dopo aver bevuto dal calice del Signore, aveva fatto giuramento di non mangiare più pane finché non avesse visto il Signore risorgere dai morti. Il Signore gli apparve e gli disse: «Portate la tavola e il cibo» e poi: «Fratello mio, mangia il tuo pane, poiché il figlio dell’uomo è risorto dai morti». (In Girolamo, De viris illustr., 2). Nel Vangelo di Giovanni (20:17), Gesù risorto chiama tutti i discepoli «miei fratelli». Secondo il Salmo 22, il giusto torturato disse a Dio: «Io annuncerò il tuo nome ai miei fratelli».

[21] 2 Corinzi 11:22.

[23] Galati 2:15.

[24] 1 Corinzi 11:20-21.

[25] Atti 5:1-10.

[26] Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche 22:197, 199-203.

[27] Daniel-Rops, L'Eglise des apôtres et des martyrs, capitolo I.

[28] Ernest Renan, Les apôtres.

[29] Atti 13:1.

[30] Galati 2:11-13.

[31] Charles Guignebert, Le Christ, pag. 200.

[32] Colossesi 1:7 e 4:12.

[33] Egli ha soggiornato a Corinto, sotto il proconsolato di Gallione, fratello di Seneca, il che, secondo un'iscrizione di Delfi, collocherebbe questo soggiorno alla fine del regno di Claudio nel 51 o 52. 

[34] 1 Corinzi 15:32: «Io ho combattuto contro le fiere a Efeso».

[35] Atti 19:34-35.

[36] Atti 19:10-12.

[37] Atti 21:35.

[38] Si veda Guy Fau, L'Apocalypse de Jean, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, 4° trimestre 1962.

[39] Apocalisse 1:5 e 1:13-15.

[40] Ezechiele 1:24 e 43:2.

[41] 2° di Pietro 2:15 e Giuda 11.

[42] Apocalisse 3:9.

[43] La sua autenticità è talvolta contestata, ma era conosciuta da Tertulliano. 

[44] Si veda Guy Fau, La fable de Jésus-Christ, 3° ed., pag. 41-43.

[45] Atti 12:6-17.

[46] Gorce, Histoire des religions, ed. Quillet, III, 262.

[47] Roger Peyrefitte, Les clés de saint Pierre, ed. Flammarion 1955.

[48] Si può invocare una epistola di Clemente ai Corinzi, e la parentela possibile di Pio I° con Ermas, autore del Pastore. Questo è davvero vago. 

[49] Romani 16:1-6.

[50] Alle origini vi erano parecchi «sorveglianti» in ciascuna comunità. Per esempio: «A tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, AI VESVOVI e ai diaconi» (Filippesi 1:1). Intorno al 250 ancora Cipriano insisteva sulla necessità di non avere che un solo vescovo per chiesa (Epistola 41:1).

[51] Si veda Guy Fau, Eusèbe de Césarée et son Histoire de l'Eglise, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 94, marzo 1976.

[52] Ireneo diede a Vittore, vescovo di Roma, i nomi dei «presbiteri» che, prima di Sotero, governavano la Chiesa di Roma: Aniceto, Pio, Igino, Telesforo e Sisto. Eusebio aggiunge Lino, Cleto o Anacleto, Clemente, Evaristo e Alessandro secondo un elenco molto ipotetico di un certo Egesippo. 

[53] Matteo 16:18-19. Sulla prova di quella interpolazione (ammessa dai Protestanti), si veda Guy Fau, Le puzzle des évangiles, pag. 164.

[54] Cipriano sarà, per questo fatto, radiato dalla lista dei santi dal papa Giovanni 23. 

[55] Paul-Louis Couchoud, Jésus, le dieu fait homme, pag. 147.

[56] Paul-Louis Couchoud, Jésus, le dieu fait homme, pag. 154.

[57] Si veda Sagnard, La gnose valentinienne et Irénée, ed. Vrin.

[58] Paul-Louis Couchoud, Jésus, le dieu fait homme.

[59] Romani 2:16 e 16:25; Galati 1:7.

[60] Secondo Paul-Louis Couchoud.

[61] Filippesi 2:7. Si veda anche Romani 6:16-17.

[62] Questa espressione sarà capovolta negli scritti canonici, ma è attestata per l'Evangelion da Tertulliano e da altri commentatori. 

[63] «Ipse contestatur se non esse natum», scrisse Tertulliano.

[64] Paul-Louis Couchoud, Jésus, le dieu fait homme, pag. 199.

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