martedì 24 novembre 2020

IL CRISTIANESIMO SENZA GESÙI VANGELI CANONICI

 


Capitolo VII

I VANGELI CANONICI

Eccomi pervenuto ad un momento che i miei lettori dovevano attendere con impazienza: la stesura dei nostri vangeli canonici. Non potevo parlarne prima che esistevano. Mi occuperò dapprima solo dei primi tre, detti «sinottici» perché presentano tra loro concordanze sufficienti perché si possano confrontarli in dettaglio. Il IV° vangelo pone problemi propri, che esaminerò più avanti.

Per secoli, sulla fede della Chiesa, si è creduto che i vangeli fossero stati scritti dagli autori ai quali sono attribuiti, cioè dai contemporanei dei fatti che riportano. Si deve rinunciare a quell'illusione:

 I vangeli sono molto più successivi di quanto si pensi, io dimostrerò che nessuno di essi è anteriore al 150;

 Di conseguenza, essi non derivano da contemporanei dei fatti che riportano, ma da autori che, centoventi anni più tardi, non avevano alcuna possibilità di essere stati testimoni diretti o addirittura di aver raccolto delle testimonianze dirette;

— La stesura dei vangeli si inserisce in un momento ben preciso dell'evoluzione del cristianesimo, quando la rottura con Marcione e gli Gnostici obbligherà la Chiesa a fabbricare dei testi da opporre a quelli che possedevano i suoi avversari; in quella fabbricazione, rinnegando le sue umili origini, la comunità di Roma provò il bisogno di dotarsi di un'origine gloriosa collegandosi al personaggio idealizzato dell'apostolo Pietro;

 Infine la stesura iniziale dei sinottici ha subito numerose alterazioni successive.

In queste condizioni, non si deve associare ai vangeli l'importanza che si è loro attribuita: essi non riportano dei fatti, essi costruiscono un personaggio di Gesù come lo si poteva immaginare a metà del II° secolo, — e ancora senza le aggiunte successive che ne modificano il senso. Il personaggio di Gesù che ci è così mostrato è pieno di contraddizioni; questo è un essere composito, non un uomo che era vissuto: «Conviene prendere i vangeli per quello che sono: opere ausiliarie e secondarie. Se li si slegasse dalla teologia di Paolo, essi perderebbero ogni significato profondo». [1

Non intendo ripetere qui per intero un'analisi che ho già fatto, [2] al seguito di numerosi autori le cui opere sarebbero sufficienti a riempire una biblioteca. Riporterò solamente la conclusione dell'ultimo studio apparso alla fine del 1993: «I nostri vangeli sono costituiti da elementi aggiunti gli uni agli altri per un lungo periodo. Essi sono all'origine, dicono gli esegeti cattolici, una «polvere di frammenti». [3]

Mi occuperò qui solo delle questioni che si collegano al mio argomento.

1° — Datazione dei vangeli

La Chiesa sola persiste ancora nel far risalire i sinottici a metà del I° secolo. Nessuno può più sostenerlo, ma l'influenza dell'insegnamento religioso fa ancora esitare alcuni critici a ritardarli largamente nel tempo.

Tuttavia mi sembra dimostrabile, come Voltaire sapeva già, che nessuno di loro può essere anteriore al 150: «È una verità assodata... che nessuno dei primi Padri della Chiesa, fino ad Ireneo incluso, citi alcun passo dei quattro Vangeli che conosciamo... ma che riportano diversi passi che si trovano solo nei Vangeli apocrifi rigettati dal canone». [4]

A — Non cerchiamo un riferimento ai vangeli tra gli autori non cristiani: non ne esistono, nemmeno tra gli autori cristiani: le prime menzioni sono quelle di Giustino intorno al 160 e di Ireneo intorno al 180.

B — La Chiesa si sforza di dimostrare il contrario datando al I° secolo alcuni minuscoli frammenti di pergamena contenenti due righe che si avvicinano ad un verso evangelico; ma spiegherò come, supponendoli databili, questi frammenti non potrebbero contenere che una delle espressioni ricavate dalle raccolte precedenti da cui gli stessi evangelisti le hanno prese.

C — Quando Marcione fu espulso da Roma, continuò a predicare la sua dottrina gnostica. Apprese allora l'esistenza di nuovi vangeli che si opponevano ai suoi, e replicò che si trattava di due vangeli «posti per frode sotto i nomi di apostoli o di personaggi dell'età apostolica». Ciò è riportato da Tertulliano, che non oppone alcuna argomentazione contraria. Ciò non può situarsi che dopo la rottura nel 144.

D — Intorno all'anno 160 Giustino, autore cristiano, rivolge all'imperatore Antonino un'Apologia del cristianesimo, che ci è pervenuta. In quel tentativo di difesa, Giustino non cita nessuno dei vangeli.

Ciò che egli cita abbondantemente sono delle parole attribuite al Signore, e che figuravano in una delle raccolte di detti utilizzati più tardi dall'autore di Matteo. [5] È evidente che, se Giustino avesse conosciuto il vangelo di Matteo, lo avrebbe citato alla lettera, mentre le sue citazioni, se concordano quanto alla sostanza, sono riprodotte sotto una forma diversa.

Ecco alcuni esempi: [6]

GIUSTINO

Matteo

Chi prende in moglie una donna ripudiata da un altro uomo, commette adulterio (15:3).

Ma io vi dico: chiunque manda via sua moglie, salvo che per motivo di fornicazione, la fa diventare adultera e chiunque sposa colei che è mandata via commette adulterio (5:32).

A chi ti percuote una guancia, offri anche l'altra, e non impedire chi ti toglie la tunica o il mantello (16:2).

Se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra: e a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello (5:39-40).

Non giurate affatto; ma il vostro sì sia sì e il no, no; tutto ciò che è in più, viene dal maligno (16:5).

Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. Non giurare neppure per il tuo capo, poiché tu non puoi far diventare un solo capello bianco o nero. Ma il vostro parlare sia: Sì, sì; no, no; poiché il di più viene dal maligno (5:34-37).

Infatti chi ascolta me, e fa quanto io dico, ascolta colui che mi ha mandato (16:10).

Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà paragonato a un uomo avveduto che ha costruito la sua casa sopra la roccia (7:24).

Molti infatti verranno nel mio nome, vestiti di fuori di pelli di pecora, mentre dentro sono lupi rapaci: dalle loro opere li riconoscerete. Ogni albero che non produce buoni frutti viene tagliato e gettato nel fuoco (16:13).

Guardatevi dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Li riconoscerete dai loro frutti. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così, ogni albero buono fa frutti buoni, ma l'albero cattivo fa frutti cattivi... Ogni albero che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco (7:15-17, 19).

Dopo averlo crocifisso, muovevano le labbra e scuotevano il capo dicendo: Egli che ha resuscitato i morti, liberi sé stesso (38:8).

E quelli che passavano di là, lo ingiuriavano, scotendo il capo e dicendo: Tu che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi giù dalla croce. Così pure, i capi dei sacerdoti con gli scribi e gli anziani, beffandosi, dicevano: Ha salvato altri e non può salvare se stesso (27:39-42).

Infatti il Cristo ha detto: «Se non sarete rigenerati, mai entrerete nel regno dei cieli» (61:4).

In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli (18:3).


A queste differenze di stile vanno aggiunte le discordanze sugli elementi di base, che provano che Giustino, nella sua Apologia, ignorava il testo di Matteo: egli fa nascere Gesù in una grotta (e non in una «casa», Matteo 2:11), ignora i magi, fa discendere Maria dal re Davide (e non Giuseppe come Matteo 1:16), conosce la crocifissione solo attraverso un apocrifo, gli Atti di Pilato, e riconosce lui stesso di non aver consultato che i Memorabilia degli Apostoli, scritto oggi perduto.

E — Il vangelo attribuito a Marco contiene una prova interna che stabilisce che è posteriore al 135. Nel II° secolo, al tempo dell'imperatore Adriano, un'ultima ondata della resistenza ebraica tentò di impadronirsi con la forza di Gerusalemme, questa rivolta essendo nota dal nome del suo capo Bar-Kochba (figlio della Stella). Egli fu schiacciato, e Adriano osò fare ciò che Tito non aveva fatto nel 70: Gerusalemme fu sbattezzata e diventò Aelia Capitolina e una statua di Giove fu eretta sul luogo sacro del Tempio. Il vangelo di Marco contiene un riferimento a questo evento tramite un riferimento ad un precedente simile del tempo di Antioco Epifane, riprendendo alla lettera ciò che aveva allora detto il profeta Daniele: 

«Quando vedrete l'abominio della desolazione 

stare là dove non conviene, 

chi legge capisca,...». [7]

L'ultima riga è abbastanza esplicita perché un lettore istruito facesse il collegamento tra Daniele e la disfatta di Bar-Kochba nel 135.

F — Sappiamo che è dopo la rottura del 144 che i nostri sinottici furono scritti per fabbricare delle armi contro l'Evangelion rivelato da Marcione (e secondariamente contro quelli di Valentino e di Basilide). A questo scopo, si riprenderanno dall'Evangelion numerosi passi, ma capovolgendoli, e talvolta in modo maldestro:

 Nell'Evangelion, il Gesù celeste diceva: «Io non sono venuto per realizzare la Legge ma per abolirla. Non buttano vino nuovo in otri vecchi»

Nel vangelo detto di Luca, che è Marcione capovolto, si legge: «Io non sono venuto per abolire la Legge ma per realizzarla... Nessuno mette del vino nuovo in otri vecchi». [8

Ciò non ha più senso.

Nell'Evangelion, Gesù, per precisare che non aveva nascita, non aveva famiglia, diceva: «Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?» 

Nel vangelo di Luca gli si fa pronunciare la stessa frase, [9] ma contro la sua stessa madre e coloro che sono dati come suoi fratelli: non soltanto questo non significa più nulla, ma ciò sembra odioso.

Mi pare quindi ben stabilito che non si possono datare i sinottici prima del 150, né dopo il 180 quando Ireneo li menziona espressamente. Nell'ordine, Marco è certamente il più antico, poiché ignora ancora la nascita di Gesù, e lo fa discendere dal cielo da adulto, come nell'Evangelion. Matteo passa così al secondo posto, e Luca non è che un rimaneggiamento dell'Evangelion, ma che conosce i due precedenti. 

2° — Fonti dei sinottici

Bisogna ammettere che non conosciamo tutte le fonti dei vangeli, poiché numerosi testi sono andati perduti o sono stati distrutti. Tra quello che possiamo sapere, vanno rilevate le seguenti fonti:

A — Una gran parte dei racconti dei sinottici sono tratti dall'Antico Testamento: questo non è il racconto di fatti reali, ma un tentativo di dimostrazione del fatto che le profezie bibliche sono state realizzate.

B — Gli autori dei sinottici hanno largamente ricopiato estratti dell'Evangelion, talvolta capovolgendoli maldestramente, come ho già detto.

C — Alcuni testi sono di origine essena, come il discorso sulla montagna o le istruzioni per il viaggio.

D — Tutti gli autori ammettono che prima della stesura dei sinottici vi sono circolate delle raccolte di «logia», vale a dire delle parole attribuite al Signore, e che ciascuno degli scrittori le ha utilizzate a suo piacimento, distribuendole in tempi o luoghi diversi [10] o modificandole nella forma: è una di quelle raccolte che Giustino aveva sotto i suoi occhi, ma certamente ne sono esistite parecchie, e il vangelo secondo Tommaso è composto quasi interamente da tali parole. La provenienza di quei detti è diversa, si può perfino trovare che provengono da maestri farisei. A volte, al contrario, questi «logia» tendono a correggere un testo più antico: «È stato detto... ma io vi dico...», senza che si possa sapere quale predicatore abbia emesso quella correzione. Nel loro insieme, quei detti assemblati spiegano l'unità di fondo dell'insegnamento prestato a Gesù.

Bultmann, che ha a lungo studiato il problema dei «logia» [11] conclude che: 

 «Sia Matteo che Luca hanno modificato il modello, è Matteo che l'ha trasformato di più...».

 La maggior parte dei detti ripresi nei «logia» provengono dal giudaismo: «La prima osservazione fondamentale è che un bene ebraico è stato ripreso dalla tradizione cristiana e messo in bocca a Gesù. L'attività cristiana si osserva innanzitutto nella stesura del dato».

Ma si noterà che Bultmann non conosceva ancora le fonti essene, che lui attribuisce alla «comunità ellenistica».

E — Numerosi esegeti hanno supposto che prima del vangelo di Marco, il primo per data dei canonici, sarebbe esistito un Marco precedente (in tedesco: «Ur-Marcus»), da cui è stato ricavato il Marco attuale. È possibile, ma non abbiamo mai trovato traccia di un tale scritto. In ogni modo, quella ipotesi serve soprattutto a spiegare da dove proverrebbe l'arrangiamento che compone il racconto della passione e della morte di Gesù, che il vangelo attribuito a Marco è il primo a presentarci in dettaglio. Questo racconto è tratto in ampissima misura dalle citazioni dell'Antico Testamento, ma un tale arrangiamento presuppone che qualcuno l'abbia coordinato.

Allo stesso modo una parte del vangelo attribuito a Matteo avrebbe potuto venire dal vangelo degli Ebrei, di cui non abbiamo che dei frammenti. Papia, vescovo di Frigia intorno al 150, cita testi attribuiti a Marco e a Matteo, molto diversi dai testi che troviamo nei sinottici.

 Matteo e Luca hanno attinto largamente da Marco, spesso trasponendo l'episodio citato in altre circostanze di tempo e di luogo... Il discorso delle beatitudini è dato da Matteo su una montagna (5:1), e da Luca mentre Gesù discende su un luogo pianeggiante (6:17), ben accorciato.

G — Bisogna ammettere che i racconti dei miracoli sono stati fabbricati a scopo dimostrativo, senza avere una fonte autentica. Tutt'al più si può segnalare che questi miracoli non hanno nulla di originale, guarigioni di malati, di un paralitico che porta il suo letto, tutti i taumaturghi sono ritenuti aver fatto gli stessi miracoli. Solo le resurrezioni dei morti, raccontate malissimo, sono delle esagerazioni improbabili. [12]

H — Infine, a titolo di pura ipotesi, non è escluso che alcuni episodi della biografia di Gesù siano stati ispirati dai ricordi della vita del Maestro di Giustizia esseno, come il racconto del reclutamento dei discepoli sulle rive del lago di Tiberiade.

3° — Selezione dei canonici

Si conoscono le parole di Diderot: «Nei primi secoli, esistevano sessanta Vangeli reputati autentici quasi allo stesso modo. Ne sono stati rigettati cinquantasei per puerilità e stoltezza. Non rimane proprio nulla di tutto ciò in quelli che sono stati conservati?» [13]

Noi conosciamo oggi l'esistenza di circa 70 vangeli, tra i quali la Chiesa ne ha conservati solo quattro. Questo, ci dice Ireneo, perché vi sono quattro punti cardinali. Ma la scelta dei quattro non si è fatta secondo un esame critico. Voltaire lo spiega piacevolmente: «Nel supplemento del concilio di Nicea si riferisce che, siccome i Padri avevano grandi difficoltà a distinguere quali fossero i libri crifi o apocrifi dell’Antico e del Nuovo Testamento, li posero alla rinfusa su un altare; e i libri da rifiutare caddero a terra. È un peccato che, ai nostri giorni, questa bella ricetta sia andata perduta». [14

In realtà, non si ha aspettato Nicea per fare questa selezione, il cosiddetto canone di Muratori fu stabilito intorno all'anno 200. Ma la scelta si è fatta secondo le concezioni di quell'epoca: così tutti i libri di origine o di ispirazione gnostica sono stati respinti, e l'Apocalisse ammessa... con riluttanza. 

Vi sono certamente un sacco di puerilità nei cosiddetti vangeli apocrifi, respinti dalla Chiesa, non soltanto quelli dell'infanzia, ma anche gli altri. Non vi si apprende in definitiva granché di più rispetto ai quattro trattenuti nel canone. Ma l'esistenza degli altri ci invita alla prudenza quanto all'ammissione che è stata fatta.

4° — Natura dei vangeli

Si è creduto a lungo che i vangeli potessero essere considerati degli scritti storici. Nulla è più falso.

Renan si è lasciato ingannare, ma ci si è resi conto dopo di lui che i vangeli non cercavano di raccontare dei fatti veri, essi hanno per scopo di dimostrare la divinità del personaggio di Gesù.

«Quella che si definisce comunemente storia evangelica è molto meno la storia di Gesù che il poema della redenzione del Cristo» (Loisy).

«I cristiani non si sono mai posti dal punto di vista della storia critica. In nessun momento i cristiani si sono rappresentati Gesù come un semplice essere umano. Sempre la teologia si è immischiata nella loro visione di Gesù, a tal punto che ci si può domandare se non abbia fatto la visione tutt'intera». [15]

Il titolo del vangelo di Marco è di per sé significativo: «Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio, come è scritto nel profeta Isaia». Si vuole dimostrare che le profezie bibliche sono state realizzate, e per questo si immaginano fatti ricavati da queste profezie. 

Celso, che ha assistito alla fabbricazione, ha ben rilevato: «La verità è che tutti questi presunti fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato senza neppure riuscire a calare un velo di plausibilità sulle vostre menzogne». [16]

5° — Il Gesù dei sinottici

Senza parlare ancora dei problemi propri del IV° vangelo, tutti gli esegeti che si sono sbarazzati dell'insegnamento della Chiesa convengono oggi che è impossibile, secondo le informazioni tratte dai sinottici, di scrivere una vita di Gesù: le contraddizioni vi abbondano, le incertezze ancora di più. Perfino abbandonando, come Renan, i miracoli, è impossibile ricostruire un personaggio coerente. 

Non intendo ripetere qui quella dimostrazione, che esigerebbe un libro intero, e che è già stata fatta. Basta rileggere il Jésus di Guignebert per constatare che la critica ha totalmente distrutto ogni credibilità.

Perché? Quando si sono scritti i sinottici, tra il 150 e il 170, non si disponeva più di alcuna tradizione orale, supponendo che vi siano stati all'origine dei testimoni oculari. Si disponeva inoltre soltanto di fonti riguardanti un personaggio divino venuto sulla terra come una specie di fantasma, niente che permetta di scrivere una biografia. Ci si è allora rassegnati a cercare nella Bibbia le profezie riguardanti il Messia, e ad applicarle ad un uomo, o più esattamente a un Dio divenuto uomo, ma le concezioni sul Messia, come abbiamo visto, erano contraddittorie.

Guignebert pensava che almeno un fatto restasse al riparo da ogni incertezza: la crocifissione, supplizio infamante. Cosa che aveva condotto Couchoud a riassumere ironicamente il libro di Guignebert nel modo seguente: «Qualcuno, di cui perfino il nome è incerto, ha insegnato qualcosa a proposito del regno di Dio, ed è morto, non si sa perché su una croce».

E Loisy conclude: «La leggenda di Gesù, nel suo insieme, non è una scelta di ricordi storici, è come una riduzione del mito cristologico elaborato sui testi dell'Antico Testamento per la soddisfazione della fede in Gesù». [17]

Per tentare di convincere coloro che vorrebbero ancora credere nel Gesù evangelico, vado a mettere in evidenza le principali incertezze riguardanti questo personaggio.

Luogo di nascita. — Per soddisfare una profezia, [18] si fa nascere Gesù a Betlemme, e per quello si invoca un trasloco dei suoi genitori in occasione del censimento imposto da Roma nell'anno 6 della nostra era: i Romani non erano così folli da obbligare tutti gli abitanti a farsi censire nel loro luogo di nascita, come noi essi censivano sul luogo di residenza. Giuseppe e Maria risiedevano allora a Nazaret ? È possibile, ma non si sa nemmeno se questa città esistesse già, sembra piuttosto che si sia confusa con la setta dei Nazareni. Il vangelo apocrifo di Giacomo fa nascere Gesù a Gerusalemme. Guignebert conclude: «Se è molto certo che Gesù non è nato a Betlemme, come dicono Matteo e Luca, non è provato che egli sia nato a Nazaret come lo pensano Marco e Giovanni». [19]

Data di nascita. — Matteo, che segue i testi ebraici, fa nascere Gesù al tempo di re Erode, dunque prima, nel 4 A.E.C. Il prologo di Luca situa la nascita a Betlemme nel 6 E.C.... Ecco uno scarto di almeno undici anni! D'altro canto Luca situa la nascita di Gesù nel 15° anno del regno di Tiberio (quindi nel 29-30), e ci dice che aveva allora circa 30 anni: è impossibile se egli è nato nel 6-7 E.C.. Il vangelo di Giovanni gli dà 46 anni alla sua morte (2:20-21), e più oltre un ebreo gli dice: «Non hai ancora cinquant'anni» (8:57). È da saggi concludere che ad una quindicina d'anni dopo, nessuno sapeva in quale anno egli sarebbe venuto al mondo.

Il quindicesimo anno di Tiberio non fornisce nemmeno un punto di riferimento: nell'Evangelion, esso corrispondeva alla prima manifestazione di Gesù, ora non conduce più che al deserto (Luca 3:2).

La natività. — Siccome il Messia ebraico doveva discendere da Davide, ci si è sforzato di collegare Gesù alla discendenza di Davide. Sfortunatamente le due liste genealogiche, in Matteo e in Luca, formate da nomi sconosciuti, non corrispondono, e non sono mai state ammesse dagli ebrei. Per di più esse non conducono che a Giuseppe, che è solo il padre apparente di Gesù.

Dal lato materno, si approfittò di un errore di traduzione di Isaia in greco [20] per immaginare che una ragazza vergine ha potuto concepire un figlio dello Spirito Santo. L'idea non è nuova, Ercole era proprio figlio di Giove che aveva preso le sembianze del marito Anfitrione, e Alessandro Magno passava per essere il figlio di Amon a scapito di suo padre Filippo. Ma nel paese ebraico, quella filiazione divina non poteva mancare di fare scandalo. In ambiente pagano, si poteva ancora fare di Perseo il figlio della vergine Danae fecondata da Zeus, di Attis il figlio della vergine Nana che lo avrebbe concepito mangiando un melograno (o una mela?), di Pitagora il figlio di una vergine, ecc... La partenogenesi non disturbava i Greci, ignoranti della necessità del cromosoma maschile nella fecondazione per avere un figlio, ma gli ebrei avevano un profondo rispetto per la filiazione naturale.

Quella versione per Gesù è tardiva, poiché Paolo diceva ancora «nato da donna» [21] e non da una vergine.

La Chiesa farà di meglio proclamando Maria eterna vergine, anche dopo il parto. Ciò sarebbe contrario, non soltanto alle realtà della fisiologia, ma anche ai sinottici che sembrano dotare proprio Maria di alcuni altri figli, fratelli di Gesù, «una buona mezza dozzina di bambini», diceva Guignebert. [22]

Quello che va trattenuto da queste fantasie è che gli evangelisti raccontavano non importa cosa perché loro non ne sapevano nulla.

Ma siccome questo racconto non sembrava abbastanza miracoloso, vi hanno aggiunto degli episodi aggiuntivi, attinti dall'Antico Testamento. Ci saranno anche degli pseudo-storici che scriveranno la storia di Francia secondo le previsioni di Nostradamus. Per quello che ci interessa, ecco gli esempi principali:

— La stella (Matteo 2:9-10) viene da Numeri 24:17. È un peccato che nessuno di coloro che hanno professato di osservare il cielo l'abbia vista; 

— I re magi erano predetti da Isaia 60:6; [23]

 La fuga in Egitto (Matteo 2:14) era predetta da Osea 11:1;

 Il massacro degli innocenti, sconosciuto a Flavio Giuseppe, è stato ispirato da Geremia 31:15, riprodotto letteralmente in Matteo 2:18;

 Giuseppe e la sacra famiglia vengono ad abitare a Nazaret (Matteo 2:23), perché sarebbe definito «nazareno» in Giudici 13:5 e 16:17, ma questo è inesatto: quei testi non si riferiscono ad una città, ma ad un bambino che «sarà dal seno materno un nazireo di Dio» (dall'ebraico nazir, consacrato a Dio). Nazaret non è citata da nessuna parte nell'Antico Testamento.

L'uomo. — I vangeli, e per una buona ragione, sono muti sul fisico di Gesù. Ciò ha permesso ai commentatori di farne, sia un uomo «senza bellezza» [24] o addirittura brutto, [25] sia al contrario «il più bello dei figli degli uomini». [26]

Stesse contraddizioni quanto al carattere. A volte vediamo Gesù sopportare tutto senza lamentarsi, consigliando di porgere la guancia sinistra dopo aver ricevuto un colpo sulla destra, a volte anche si proclama il portatore di pace, [27] ma lo si vede anche adirarsi, contro Pietro chiamandolo Satana, [28] o contro i Farisei o i mercanti del Tempio. Ma più ancora si riportano queste parole: «Io non sono venuto a portare pace sulla terra, ma la spada», [29] e consiglia di vendere il suo mantello per comprare una spada, [30] o infine, ciò che i credenti trascurano troppo facilmente: «E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e scannateli davanti a me». [31]

Lo si proclama casto, eppure vive con donne tra le quali figura una prostituta, che lo mantengono con la loro borsa. [32] Gesù prosseneta, questo sarebbe piuttosto originale!

Dimenticando che egli non è più il fantasma dell'Evangelion, lo si fa camminare sull'acqua... Gli scrittori dei vangeli non ne sapevano nulla, ma avevano l'arte di inventare.

L'insegnamento. — Nessuno ha mai raccolto la sfida di Steudel, che domandava che gli venisse portato un detto di cui non si sarebbe potuto dimostrare che esistesse già prima del tempo nel quale si fissò l'insegnamento di Gesù. [33] Detto altrimenti, l'insegnamento prestato a Gesù, nel corso della sua breve vita pubblica non conterrebbe nulla di nuovo. Hillel, che fu presidente del Sinedrio, un fariseo, aveva scritto: «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te: questa è tutta la Torà». Il comandamento: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» figura nel Levitico. [34]

La scommessa di Steudel reggerebbe ancora di più, ora che abbiamo scoperto l'utilizzo frequente, nei sinottici, di testi di origine essena. Si può perfino assicurare che la moralità dei vangeli è in ritardo rispetto a quella di un Seneca, che applicava allo schiavo l'appellativo di «fratello». [35] Certamente gli schiavi erano ben accolti nelle comunità cristiane, e si raccomandava di trattarli con umanità. Ma non una parola nei vangeli sul problema della schiavitù, che era uno dei problemi sociali dell'epoca. La rivolta di Spartaco, e la schiera di schiavi crocifissi alle porte di Roma, avevano indotto i Romani a riflettere: un'ampia corrente di emancipazione degli schiavi si sviluppava nella classe agiata, e l'imperatore Augusto aveva dovuto addirittura intervenire per limitarne il numero. Nei culti misterici si sviluppava l'idea che lo schiavo è l'uguale di un uomo libero. Solo il cristianesimo, per mezzo della penna di san Paolo, ordinava allo schiavo di rimanere nel suo stato: «Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare, ma anche se puoi diventare libero, profitta piuttosto della tua condizione». [36]

Questa rassegnazione alla sofferenza varrà una ricompensa... nella vita futura. La stessa istruzione è data ai poveri: che non si ribellino, ma che «approfittino» del loro stato per meritare il cielo. Questa sarà ancora per molto la dottrina della Chiesa. [37] Ma nei vangeli vi era una ragione migliore per predicare le rassegnazione: la fine del mondo era per «questa generazione», a che pro rivoltarsi per così poco tempo? Che si pensi piuttosto a procurarsi la propria salvezza.

Si potrebbe pensare che il cristianesimo riflettesse un aspetto di questo problema sociale. Alfaric ha scritto un libro su Les origines sociales du christianisme, [38] ma non è riuscito a far sì che il Gesù che è presentato in questi libri sia un rivoluzionario. Molti credenti vorrebbero poter trovare nei vangeli l'immagine di un riformatore. Ma l'unica parola che vi si trova sul problema della schiavitù è: «Lo schiavo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse». [39]

È vero che la moralità dei vangeli è severa per i ricchi, loro avranno più difficoltà ad entrare nel regno di Dio, ma i poveri aspettano la vita futura: nell'attesa, ognuno deve restare nello stato che Dio ha voluto che fosse. Voler riformare la società equivale ad andare contro la volontà dello Spirito Santo, che ha voluto la schiavitù. [40]

In assenza di innovazione sociale, i vangeli recano almeno qualcosa di nuovo in materia religiosa? Si può dubitarne: «L'essenza dell'insegnamento di Gesù, almeno nella sua sostanza, se non nella sua messa in opera, non sembra molto diversa dall'essenza del giudaismo farisaico». [41]

Si dovrebbe aggiungere oggi: né dall'essenza dell'Essenismo, in particolare quanto alla concezione di un Messia umiliato. I teologi non mancheranno di sostenere che la grande rivelazione del cristianesimo è la divisione di Dio in tre persone, cosa che gli ebrei non ammettono. Ma la Trinità sarà un'invenzione del Concilio di Nicea nel 325.

Alla lettura dei vangeli, sembra che il grande tema dell'insegnamento prestato a Gesù sia il suo annuncio del regno [42] di Dio. Ma dove ne è la definizione? È un mistero: «Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, perché guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano, perché non si convertano e non venga loro perdonato». [43]

Siccome io sono uno della gente di fuori, io non comprendo. Ma è chiaro che i discepoli non sembrano aver capito di più, poiché non hanno rivelato il «mistero» che gli si stava svelando loro. Bisogna proprio ammettere che questa volontà di non convertire è contraria alla missione di predicazione che sarà data ai discepoli e a quella che praticava Paolo.

Una spiegazione tuttavia potrebbe essere suggerita. È annunciato inoltre che: «Non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute... Alcuni di coloro che sono qui presenti non gusteranno la morte, finché non abbiano visto il regno di Dio venuto con potenza». [44]

Era forse inutile spiegare e convertire, se la fine del mondo era per «questa generazione». Ma siccome non è venuta, continuiamo a domandarci quale sia il regno di Dio.

In modo più generale, si potrà mantenere questa conclusione: «L'autentico insegnamento di Gesù a loro (i discepoli) non è affatto sopravvissuto: il profeta non ha né previsto né voluto ciò che ha sostituito il futuro prossimo che egli credeva di preparare». [45

6° — Alterazioni e interpolazioni

Noi non possediamo ovviamente le edizioni originali dei vangeli, non possediamo che copie delle copie. Sarebbe vano sperare che questi testi non abbiano subito alcuna alterazione da 18 secoli.  

Alcuni non sono che correzioni dei copisti, si può sperare che non alterino troppo il senso del testo. 

Ma molto più gravi sono le modifiche, che possono essere di tre tipi:

A — Vi sono dapprima le «correzioni» che, dall'origine, i copisti hanno creduto di poter apportare. Ireneo denunciava già: «coloro che si credono più abili degli apostoli e non temono di correggerli». [46]

Si ammette comunemente che una certa «armonizzazione» sarebbe stata fatta da un certo Taziano nel III° secolo. Ma fino a che punto? Il solo fatto di sostituire «Gesù» o «il Cristo» con Gesù Cristo può falsificare il senso, o impedirci di conoscere la provenienza di un verso.

B — La correzione può modificare un testo preesistente, facendogli dire altra cosa da ciò che era scritto. Queste correzioni, sappiamo da Celso che sono cominciate dall'inizio.

A titolo di esempio, si può citare il capovolgimento completo dell'espressione «Io non sono venuto per realizzare la legge ma per abolirla», che figurava nell'Evangelion, nel suo contrario: «Io non sono venuto per abolire la legge ma per realizzarla». [47]

Tali alterazioni sono difficilmente reperibili, quando non abbiamo entrambi i testi. Ma si possono a volte smascherarle in caso di contraddizione. Ad esempio, quando leggiamo: «Gesù non battezzava» [48] e ciò è confermato dall'assenza di qualsiasi menzione di un battesimo nell'insieme dei vangeli, possiamo considerare con certezza un'alterazione tardiva la missione affidata ai discepoli dopo la resurrezione: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo». [49] Ciò è ancora più certo, se sappiamo che la menzione della Trinità non può essere anteriore all'adozione di questo dogma al Concilio di Nicea nel 325.

C — L'interpolazione consiste nell'inserire una frase o una sezione aggiuntiva inserendola all'interno del testo originale. L'interpolazione è difficile da smascherare, quando è stata fatta nei testi sinottici, ma il caso è raro; in generale non si è modificato che uno solo, più spesso quello di Matteo, e l'interpolazione si smaschera dalla mancanza di concordanza del nuovo testo con il contesto, o meglio ancora con la dimostrazione di una impossibilità storica.

Mi limiterò qui a riprendere una dimostrazione fatta nel mio Puzzle des évangiles, che verte sul famoso testo relativo all'istituzione della Chiesa. [50]

 questa interpolazione non figura che in Matteo (16:18-19), ed è impensabile che gli altri discepoli abbiano potuto ignorare questa importante disposizione;

 più improbabile ancora che una tale missione sia affidata a Pietro, e che Marco, dato come discepolo di Pietro, non ne abbia avuto conoscenza; al momento della stesura del testo, l'espressione non avrebbe avuto alcun senso: «su questa pietra edificherò la mia chiesa» non ha senso che dopo la fondazione della Chiesa; in origine, poteva significare solo «io edificherò la mia assemblea» (dal significato della parola ecclesia), il che non avrebbe avuto alcun senso;

 questa espressione tende a giustificare il primato della Chiesa di Roma sulle altre comunità; ma il primato è un'invenzione tardiva dei vescovi romani, in origine tutti i vescovi, successori degli apostoli, erano uguali: questo è ciò che opporrà ancora nel III° secolo Cipriano, vescovo di Cartagine, alle pretese romane;

 i vescovi orientali hanno sempre rifiutato di accettare questa espressione, è quindi perché non la leggevano nel testo originale;

 l'espressione conferisce un'autorità speciale a Pietro, ma il primato di Pietro non sarà che un'invenzione tardiva: negli Atti, è Giacomo ad essere il capo della piccola comunità di Gerusalemme, Pietro non è che uno dei membri che Paolo contraddirà faccia a faccia ad Antiochia. La missione di Pietro, che tende a favorire la supremazia romana, supporrebbe che Pietro sia venuto a Roma, il che è lontano dall'essere dimostrato o perfino verosimile, poiché gli Atti ignorano questo viaggio;

 Infine l'interpolazione comporta la creazione del sacramento della penitenza e del potere di remissione dei peccati da parte del clero, mentre all'origine la confessione cristiana era pubblica.

Ma nel III° secolo Tertulliano rimprovera al vescovo romano Callisto (217-222) di attribuirsi il diritto di rimettere i peccati: egli quindi non leggeva ancora l'interpolazione. 

A tutti questi argomenti si aggiunge la dimostrazione [51] che risulta dal semplice confronto dei testi:

Marco

8:27-30

Matteo 

16:13-20

Luca

9:18-21

[...] Egli domandò ai suoi discepoli:

Chi dice la gente che io sia?

[...] Egli domandò ai suoi discepoli:

Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?

[...] Egli pose loro questa domanda:

 

Chi sono io secondo la gente?

Essi risposero: Alcuni, Giovanni il Battista, altri, Elia, e altri, uno dei profeti.

Essi risposero: Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri, Elia, altri, Geremia o uno dei profeti.

Essi risposero: Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto.

Ma egli replicò: E voi chi dite che io sia? Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo.

Disse loro: Voi chi dite che io sia? Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.

 

 

E Gesù: Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.

 

E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.

Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno.


I danni di Taziano. — Gli attacchi più gravi al testo iniziale dei vangeli derivano probabilmente da un cristiano, discepolo di Giustino, che si accinse, verso la fine del II° secolo, a rivedere e ad armonizzare i vangeli. Sfortunatamente non sappiamo in quale misura li avrebbe modificati. 

Taziano era anche l'autore di un'opera intitolata Diatessaron, oggi perduta. Grazie ad alcune citazioni, e soprattutto ad un certo Teodoreto che l'aveva letta nel V° secolo, sappiamo che Taziano era ostile a tutto ciò che presentava Gesù come «nato dalla carne», e che avrebbe cancellato in particolare, nei vangeli, le genealogie di Gesù. Siccome quelle vi figurano ancora, bisogna ritenere che qualcuno le abbia rimesse. L'opera di Taziano fu ampiamente diffusa in Oriente, ma ebbe meno successo in Occidente, il che è logico perché egli era ostile alla tesi romana dell'umanizzazione di Gesù.

Essendo l'opera perduta, non possiamo saperne di più, ma quello che sappiamo è già abbastanza inquietante, poiché Taziano si sarebbe così accinto ad armonizzare i quattro vangeli, tra i quali vedeva delle contraddizioni. Siccome numerose contraddizioni sono ancora apparenti nei nostri testi attuali, si deve ritenere che il lavoro di Taziano fosse incompleto, o che si sarebbero reinseriti in seguito i passi che egli aveva soppresso... o alcuni di loro per sostituirli con una nuova versione!

In ogni caso, il testo, modificato o meno da Taziano, sarà ancora soggetto agli adattamenti apportati dopo le decisioni del Concilio di Nicea nel IV° secolo. Quanta fiducia si può accordare oggi a dei testi così rimaneggiati ? [52]

7° — Il Gesù del quarto vangelo

Il quarto vangelo differisce profondamente dai tre sinottici. Scritto per ultimo, esso conosce i tre precedenti, e si sforza di conciliarli con la tesi gnostica, ma invano. È stato scritto in Oriente, in un ambiente diverso da quello di Roma, dove la Gnosi restava ancora in favore, e probabilmente anche il marcionismo.

I vangeli attribuiti a Matteo e a Luca avevano per scopo di conferire a Gesù una autentica umanità, di farne un uomo reale contro il fantasma dell'Evangelion. Ma questa tesi, di origine romana, ebbe probabilmente difficoltà a farsi ammettere in Oriente. Il quarto vangelo ebbe per primo obiettivo di conciliare quelle opposte dottrine.

Per questo, doveva dapprima far rivivere la tesi gnostica. In un certo senso, Loisy aveva ragione a dire: «Dal 1903 il quarto vangelo è stato dichiarato sprovvisto di qualsiasi valore storico. Senza essere pura allegoria, tutto il libro è simbolico»

«L'autore non ha mai conosciuto altro che un Cristo liturgico, oggetto del culto cristiano... Da questi frammenti di biografia divina, non emerge alcuna impressione di realtà». [53]

Va da sé che scritto dopo il 180, il quarto vangelo non sarebbe potuto essere dell'apostolo Giovanni, al quale lo si attribuisce. La prova migliore della falsità della dichiarazione finale, [54] secondo la quale il discepolo amato avrebbe firmato lo scritto assicurando che «la testimonianza è vera», [55] è che questo vangelo ignora totalmente il racconto della Cena nel corso della quale il discepolo avrebbe appoggiato la sua testa sulla spalla del suo maestro: egli non ha dunque assistito all'istituzione dell'eucarestia, e osa dire che la sua testimonianza è vera?

La principale originalità del quarto vangelo è nella sua prima frase: «In principio era il Logos, il Logos era in Dio, il Logos era Dio». 

La nostra traduzione della parola Logos con «Verbo» non permette di comprendere la portata di questa affermazione. Perciò, è necessario conservare la parola greca e ricordare l'intera teoria del Logos.

Il Logos. — Siamo evidentemente in piena teoria gnostica, e il Logos è dato come un autentico figlio di Dio. Ma, prima di essere una specie di semidio, il Logos non aveva che il senso iniziale del termine greco, la «parola». Il potere della parola è ben noto nella Bibbia: alla creazione del mondo, bastò a Jahvè dire: «Sia la luce e la luce fu». [56] È  Platone che gli diede un significato diverso.

Platone concepì il nostro mondo materiale come un riflesso del mondo spirituale delle Idee. Il dio creatore del mondo è concepito come uno spirito superiore che, prima di creare il mondo materiale, ha dovuto pensarlo. Proprio come un architetto, prima di costruire una casa, deve pianificarla, Dio ha concepito il piano del mondo, e quel piano doveva essere razionale. Platone chiama «Logos» quel piano razionale che è all'origine del mondo. Questo è ancora il significato del termine «logos» nella concezione di Eraclito di Efeso, ma senza il riferimento ad un Dio: il mondo, per Eraclito, è razionale di per sé.

Allora intervenne un filosofo ebreo di Alessandria, nel I° secolo della nostra era, fervente ammiratore di Platone. Riprendendo l'idea del Logos primogenito della creazione, Filone immaginò di farne un personaggio reale: questo principio razionale non suscitava sufficientemente l'immaginazione, egli lo personificò e il Logos di Platone diventò con lui il Figlio di Dio, e l'intermediario tra l'essere supremo e i suoi sudditi. Si ritorna così al personaggio della Gnosi, ma la tesi porta alla conseguenza che il Gesù del quarto vangelo esisteva fin dall'origine del mondo: «Filone, distinguendo Dio e il Logos, volle separare il loro culto e mostrare la loro gerarchia». [57]

Ma il quarto vangelo, per far ammettere la sua tesi e per tentare una conciliazione con i Romani, deve aggiungere una piccola frase inaspettata: «E il Logos si fece carne» (1:14).

Con questa riserva, il Logos del quarto vangelo diventa quasi uguale a Dio:

«Egli era in principio presso Dio:

tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (1:2-3).

Ed ecco una piccola frase che modificherà l'intero personaggio. Infatti, vi saranno due Gesù diversi: il Logos che rimarrà dominante, ma anche l'essere di carne, che sarà più del fantasma di Marcione, ma allo stesso tempo il creatore del mondo. Pretendere di conciliare questi due personaggi non poteva che condurre ad una totale incoerenza. La conciliazione non fu ammessa da nessuno, — e tanto più che, per completare la sua conciliazione, l'autore del quarto vangelo farà pure duplicare questo personaggio — l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (1:29) — e il Messia atteso di Israele, di cui parlano la Legge di Mosè e i profeti (1:45). — Ciò è fin troppo alla volta, e questo tentativo di fusione finirà per fallire. Il quarto vangelo resta il meno letto, il meno conosciuto dai cattolici, ma sarà accolto dai suoi avversari: nel Medioevo è l'unico che ammetteranno i Catari. Le contraddizioni, con i sinottici ma anche all'interno del vangelo stesso, appariranno:

a) Senza spiegarci come il Logos si è fatto carne, il quarto vangelo evita completamente la natività: non c'è più una nascita a Betlemme, non c'è più una vergine Maria, Gesù appare tutto adulto, come nell'Evangelion o in Marco. Si può difficilmente ammettere che l'autore abbia ignorato i due prologhi di Matteo e di Luca: se non ne parla, è perché li respinge, li rinnega;

b) Gesù resta il dio salvatore: «Infatti Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (3:17); [58]

c) Contrariamente all'attitudine di segretezza che ha osservato nei sinottici, egli non esita qui a proclamarsi dio: «Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo» (8:42)... «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo» (8:23);

d) Il quarto vangelo ignora tutto ciò che, nei sinottici, sarebbe contrario al personaggio divino: nessun battesimo nel Giordano, dato che il Logos non poteva essere battezzato da un inferiore, e d'altronde egli non battezza; nessuna tentazione nel deserto, e nella passione nessuna più agonia al Getsemani;

e) L'istituzione dell'eucarestia non avviene al momento della Cena, ma molto prima, alla moltiplicazione dei pani (6:1-13);

f) Aggiungiamo che i sinottici riducono ad un anno la durata della vita pubblica di Gesù, mentre il IV° vangelo la allunga fino a tre anni, poiché Gesù celebra tre volte la Pasqua (2:13; 5:1 e 6:4).

Si noterà infine che il quarto vangelo si guarda dal prendere partito nel conflitto con gli ebrei. Ignora la maledizione degli ebrei in occasione della liberazione di Barabba (18:40). Gesù vi proclama di non aver appreso le Scritture ebraiche (7:16), ma egli le conosce e le cita, e non esita a dire «La salvezza viene dai Giudei» (4:22), e nel racconto della condanna, l'autore evita la comparsa davanti al Sinedrio. Sembra quindi che l'autore del quarto vangelo abbia voluto restare favorevole agli ebrei: [59] ultimo tentativo di conciliazione senza risultato?

In ogni caso, e per concludere, se si avverte che l'autore del IV° vangelo aveva una cultura filosofica superiore a quella degli autori dei sinottici, l'analisi della sua opera dimostra che non ne sapeva più degli altri — e chiaramente di meno, benché sia loro posteriore — sul suo Logos incarnato rispetto agli autori dei sinottici.

Siccome d'altro canto gli si prestano delle sembianze umane, è comprensibile che il quarto vangelo sia stato considerato composto da due stesure contradditorie: «Il quarto vangelo è stato scritto in uno spirito marcionita, poi è stato completato in uno spirito cattolico». [60]

La leggenda di Natale. — Anche se ancora influenzata dalla Chiesa, e poco incline ad entrare in conflitto con le tesi romane, la storia ufficiale è obbligata oggi a convenire che la festa della natività del 25 dicembre, e la leggenda che la circonda, risalgono solo alla metà del IV° secolo. È intorno al 354 che il papa Libero istituì a Roma la festa della Natività, e ci volle qualche tempo per popolarizzarla. 

In precedenza, si festeggiava solo l'Epifania il 6 gennaio. L'Epifania è la festa dell'Apparizione, quella di Gesù sulla terra, della sua discesa dal cielo già adulto, come nell'Evangelion e nel vangelo di Marco. Gesù non aveva nascita.

Due considerazioni indussero alla creazione di una festa della natività. Da una parte, i prologhi di Matteo e di Luca raccontavano la nascita verginale, e siccome questi prologhi risalgono al III° secolo, era del tutto naturale celebrare questo evento. In secondo luogo, si celebrava a Roma il 25 dicembre la natività di Mitra: Mitra, dio solare, nasceva logicamente al solstizio d'inverno, quando il sole comincia a crescere (non era allora a 2 o 3 giorni di distanza). Sull'immagine di Mitra, l'imperatore Aureliano, tra il 270 e il 275, aveva istituito a Roma il culto del Sole (Sol invictus). Fedele al suo metodo, la Chiesa cristiana si accinse ad accaparrare per sostituzione la data del 25 dicembre. Ciò non si verificò senza riluttanza, poiché i racconti evangelici davano piuttosto l'impressione di una natività in primavera. La decisione di Libero, di trasferire la natività dal 6 gennaio al 25 dicembre non si impose che difficilmente in Oriente, ma fu approvata dal Concilio di Calcedonia (nel 451), che riconobbe a Gesù la doppia natura, divina e umana, e permetteva dunque di celebrare la seconda. 

Così per diversi secoli i primi cristiani hanno ignorato la festa della natività di Gesù. Alcune chiese di Oriente si rifiutarono persino di accettarla fino al Medioevo.

Beninteso, non si aveva alcuna base per costruire un racconto della natività. Si improntò dunque a Mitra il racconto della Cena, il battesimo e l'eucarestia, ma la stessa natività di Mitra era abbastanza vaga. Il racconto evangelico, immaginando il trasferimento a Betlemme in occasione del grande censimento, condusse all'idea che Maria e Giuseppe non potessero più trovare posto negli alberghi, e si immaginò che dovessero accontentarsi di un posto nella vicina stalla. Ma a Betlemme vi era una grotta, dove si celebrava il culto di Adone: ci si accaparrerà pure la grotta, e la stalla divenne una caverna. I vangeli apocrifi dell'infanzia vi aggiunsero alcuni dettagli, come l'asino e il bue. [61]

Tutto quello che vi racconto qui non è scaturito della mia immaginazione: ne troverete l'esatta conferma in un articolo della rivista Archeologia, il cui autore si domanda se tutto questo immaginario «non maschererebbe realtà molto più antiche derivate dal paganesimo che il potere religioso e politico (i due essendo allora confusi) vollero assimilare... per facilitare la conversione delle popolazioni alla nuova religione». [62]

La verità cammina lentamente, ma progredisce. Si ammette ora che festeggiando il Natale il 25 dicembre, si festeggia la nascita del Sole e la natività del dio Mitra, il tutto arrangiato con salsa del IV° secolo. [63


NOTE

[1] Paul-Louis Couchoud, Le mystère de Jésus, pag. 99.

[2] Si veda Guy Fau, Le puzzle des évangiles, ed. rationalistes.

[3] J. K. Watson, Un grand héretique du I° siècle: Paul de Tarse, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 183, 3° trimestre 1993.

[4] Voltaire, Dizionario filosofico, v° Vangeli.

[5] Si veda Guy Fau, Justin et les évangiles, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 91 di luglio 1975, che cita numerosi altri esempi.

[6] Si noterà che Matteo ricamava spesso sul testo che aveva sotto gli occhi. 

[7] Marco 13:14, per riferimento a Daniele riprodotto in Matteo 24:15-16.

[8] Matteo 5:17; Luca 5:37.

[9] Luca 8:21. 

[10] Si veda Charles Guignebert, Le Christ, pag. 23-25. — Questa è anche l'opinione di un eminente teologo protestante, Bultmann: «Non si è mai assolutamente certi», scrive Bultmann, «che Gesù abbia davvero pronunciato le parole raccontate dal più antico strato [redazionale]. È anche possibile che all'origine di questo strato si trovi già un processo storico molto complicato, che non siamo più in grado di riconoscere».

[11] Rudolf Bultmann, L'histoire de la tradition synoptique, ed. Seuil 1971. Bultmann è morto nell'agosto 1976.

[12] Così la resurrezione di Lazzaro in Giovanni 11:40-44, non è che la realizzazione della formula finale dell'episodio in Luca del povero Lazzaro e del ricco nell'Ade: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno resuscitasse dai morti saranno persuasi» (Luca 16:31).

[13] Diderot, Additions aux pensées philosophiques, 64.

[14] Voltaire, Dizionario filosofico, v° Concilio.

[15] Paul-Louis Couchoud, Le mystère de Jésus, pag. 32.

[16] Celso, Discorso vero contro i cristiani, 2:20.

[17] Alfred Loisy, Le problème des origines chrétiennes, appendice all'opera: Le mandéisme et les origines chrétiennes.

[18] Michea 5:1, citato in Matteo 2:5-6.

[19] Charles Guignebert, Jésus, pag. 111.

[20] Isaia (7:14) aveva scritto: «La almà concepirà e partorirà un figlio». Gilbert Brunet ha dimostrato che si trattava di una prostituta sacra. Ma nella versione greca, si ha tradotto con parthenos (vergine). Da questo equivoco è nato uno dei dogmi più assurdi del cristianesimo (si veda Gilbert Brunet, La vierge d'Isaïe, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 86, maggio 1974). 

[21] Galati 4:4. Si veda anche Romani 1:3: «nato dal seme di Davide secondo la carne».

[22] Charles Guignebert, Jésus, pag. 148.

[23] Sulla leggenda dei re magi, si veda Robert Van Assche, Histoire de la fête de l'Epiphanie, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 87, ottobre 1974.

[24] Giustino, Dialogo con Trifone, 88:8.

[25] Tertulliano: «non era dotato di una particolare dignità umana» (De carne Christi, 9) e  Origene: «non aveva bellezza né apparenza», per riferimento a Isaia 53:2. 

[26] Del Salmo 45:3.

[27] Giovanni 14:27.

[28] Matteo 16:23 e Marco 8:33.

[29] Matteo 10:34.

[30] Luca 22:36.

[31] Luca 19:27.

[32] Luca 8:1-3.

[33] Charles Guignebert, Jésus, pag. 31, si veda pag. 488-496.

[34] Levitico 19:18.

[35] Seneca, Lettere a Lucilio, libro 5, 47, 1 e 10.

[36] 1 Corinzi 7:20-21.

[37] Anche il papa Leone XIII, reputato liberale, nella famosa enciclica Rerum novarum, chiedeva al datore di lavoro solo di dare al lavoratore una remunerazione che gli permettesse di vivere in modo sobrio e onesto. 

[38] Editions rationalistes.

[39] Luca 12:47.

[40] Si veda Bousset: «Ciò equivarrebbe a condannare lo Spirito Santo che ordina agli schiavi, per bocca di san Paolo, di rimanere nel loro stato e non obbliga i loro padroni a liberarli» (5° avertissement aux Protestants sur les lettres du ministre Jussieu).

[41] Charles Guignebert, Jésus, pag. 490.

[42] Io traduco regnum con «reame» (si veda Cesare, ad fines regni sui, «ai confini del suo reame», Guerra Gallica 1:26) poiché si tratta del reame celeste, «regno» evoca piuttosto un regno terreno. 

[43] Marco 4:10-12.

[44] Marco 13:30 e 9:1.

[45] Charles Guignebert, Jésus, pag. 490.

[46] Ireneo, Adversus haereses 4:2, 1. 

[47] Matteo 5:17.

[48] Giovanni 4.2.

[49] Matteo 28:19.

[50] Guy Fau, Le puzzle des évangiles, ed. rationalistes, 1970, pag. 164.

[51] Questa dimostrazione è stata fatta almeno dal XVI° secolo dai Protestanti che la rifiutano completamente: essi non riconoscono il primato del vescovo di Roma né la remissione dei peccati. 

[52] Alcuni ammettono addirittura che l'opera di Taziano non sarebbe consistita solo nell'armonizzare i vangeli, ma nel fonderli in uno solo, eliminando così le contraddizioni. Ma non è rimasto molto dopo questa soppressione, e quale avrebbe potuto essere il criterio che permetteva di scegliere? 

[53] Alfred Loisy, Le quatrième évangile, 2° ed., pag. 56-57.

[54] «Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti» (Giovanni 21:24).

[55] Perché dire ciò, se non è precisamente per accreditare una menzogna ? 

[56] Genesi 1:3.

[57] Emile Bréhier, Les idées philosophiques et religieuses de Philon d'Alexandrie, ed. Vrin, Parigi, pag. 160.

[58] Il giudizio con le trombe di Matteo 24:31 è dunque negato.

[59] Cosa che non gli impedisce di dire «Voi avete per padre il diavolo».

[60] Henri Delafosse (Joseph Turmel), Le quatrième évangile, pag. 121.

[61] L'asino fa parte dell'intera leggenda della sacra famiglia, è su questo asino che Maria fuggirà in Egitto. A quel tempo, i poveri non viaggiavano altrimenti. Non vi vedò là un'allusione a L'asino d'oro, il romanzo mistico di Apuleio. 

[62] Les origines de Noël, rivista Archeologia, n° 285, dicembre 1992.

[63] Noël significa «nuovo, novità», come lo sanno gli occitani presso cui si scrive nouvé, senza relazione col latino natalis (dies). 

Nessun commento: