giovedì 26 novembre 2020

IL CRISTIANESIMO SENZA GESÙLA CROCIFISSIONE

 


Capitolo VIII

LA CROCIFISSIONE

Come potete negare che Gesù sia stato crocifisso? Mi domandano persone il cui subconscio è impregnato di racconti evangelici, abituate a vedere il crocifisso appeso alle pareti. 

Se la questione vertesse solo sulla plausibilità della condanna da parte di Ponzio Pilato di un qualche agitatore, direi che questo è possibilissimo: Pilato non era l'uomo esitante che ci mostrano i vangeli, e governare un paese come la Giudea non era un compito facile, ci voleva una mano ferma. Che i Romani siano stati talvolta indotti a ricorrere alla tortura della croce, è plausibile. Ma non è questo che mi si chiede di credere.

I racconti della passione non sono resoconti di fatti, come un notiziario sono orientati verso un obiettivo: dimostrare che i testi profetici dell'Antico Testamento sono stati ben realizzati, in maniera da poter concludere: «tutto è compiuto». [1] Perciò, si sono accumulate le improbabilità, persino le impossibilità, che renderanno incredibili i racconti. Ciò aveva già colpito i critici che credevano ancora che quei racconti fossero vicini ai fatti, capaci di appoggiarsi su testimonianze. Ma quando consideriamo che quei racconti sono stati scritti più di centoventi anni dopo i fatti che riportano, quanta fiducia si può riporre in quello che sono ritenuti riportare? Aggiungiamo che i quattro racconti sono ben lungi dal concordare tra loro, che esistono incresciose incompatibilità. 

Senza ripetere l'insieme di quella analisi, che è già stata fatta, [2] riassumerò almeno le argomentazioni che marciano contro la credibilità dei racconti evangelici. Le classificherò in quattro categorie:

 improbabilità storiche;

 improbabilità nella condanna;

 improbabilità nell'esecuzione;

 improbabilità nelle conseguenze, negli effetti.

Quello che vorremmo trovare nei racconti evangelici è un rapporto coerente, e non troviamo che una serie di allegorie. Non si può fare a meno di ricordare ciò che ne diceva Origene: «Ognuno che non sia ottuso può addurre innumerevoli fatti di questo genere, dove sono ricordate cose come se fossero accadute, ma non sono accadute in senso letterale». [3]

Mi sforzerò di non essere «ottuso».

1° — Improbabilità storiche

Plausibile in un altro periodo dell'occupazione romana, la crocifissione appare improbabile sotto il proconsolato di Ponzio Pilato. Tacito sottolinea che la Giudea è stata calma sotto Tiberio, ma soprattutto Flavio Giuseppe, pur notando alcuni piccoli incidenti repressi da Pilato, non menziona alcuna crocifissione. [4] Non avrebbe certamente mancato di rilevare un movimento politico che avrebbe portato ad una condanna a morte. Pilato non era un tenero, ma non vi è alcuna ragione di attribuirgli di più rispetto a quanto gli attribuisce il solo storico locale.

Non soltanto non abbiamo alcuna prova della realtà di una crocifissione ordinata da Ponzio Pilato, ma abbiamo una forte presunzione del contrario, di un certo valore poiché deriva dagli avversari del cristianesimo primitivo.

Si rileva in effetti nel Talmud il racconto seguente: «Alla fine egli fu messo sotto processo a Lidda come stregone e fautore di apostasia. Durante i quaranta giorni che precedettero l'esecuzione Gesù fu messo alla gogna e un araldo gridò ad alta voce: costui deve essere lapidato perché ha esercitato la magia e ha fuorviato Israele; chiunque sappia qualcosa per la sua giustificazione, si avvicini e faccia valere la sua testimonianza! Ma non si trovò nulla di simile, e così lo si appese il giorno della preparazione della Pasqua». [5]

Che questo racconto sia stato inventato, lo si vede proprio. Ma perché un ebreo si sia ridotto a immaginare il supplizio secondo la legge ebraica (lapidazione poi sospensione del corpo), ciò permette di pensare che non avesse alcuna conoscenza di una crocifissione secondo il modo romano. Come se quello che raccontano i vangeli, al tempo di Pilato avesse potuto passare inosservato! [6]

2° — Improbabilità nella condanna

Si è tentato molto spesso di dare al processo di Gesù qualche coerenza, ma invano.

A — In tutti i vangeli, ci sono mostrati i discepoli poco intelligenti, ma almeno fedeli. Ora fin dall'arresto di Gesù, li vediamo totalmente scombussolati da un evento che eppure era stato loro ben annunciato: Giuda tradisce, Pietro rinnega il suo maestro tre volte, gli altri si disperdono, tutti lo abbandonano: è plausibile? 

«Un buon generale a capo di molte decine di migliaia di uomini non ne fu mai tradito, e nemmeno, del resto, un capobanda malvagio alla testa di uomini ancor più malvagi... Gesù invece, tradito dai suoi sottoposti, non riuscì a farsi obbedire come un buon generale..., e neanche ad ispirare nelle vittime del suo inganno almeno quella simpatia che si può avere per un capobanda». [7]

B — Il processo davanti a Pilato sarebbe stato preceduto da una comparsa davanti al Sinedrio, ma qui le difficoltà abbondano:

 Il IV° vangelo ignora quella comparsa, e la sostituisce con una comparsa davanti al sommo sacerdote, di cui ignora perfino il nome; [8

 Tra gli ebrei non si teneva un processo durante la festa della Pasqua: ora questo giorno è dato a causa del simbolismo dell'agnello; «il costume ebraico non ammette un giudizio notturno»; [9

 Nemmeno ammette che la sentenza sia pronunciata il giorno stesso dell'interrogatorio, tanto meno in un giorno santo;

 Il caso non era di competenza del Sinedrio, che peraltro non avrebbe pronunciato alcun giudizio e lo avrebbe rinviato a Pilato;

 Infine, in che modo gli scrittori avrebbero saputo cosa si sarebbe potuto dire in una seduta notturna e segreta? «Questo processo non sembra essere altro che un artificio, introdotto goffamente, per spostare la responsabilità principale della messa a morte di Gesù sugli ebrei... La verosimiglianza resta invincibilmente contraria alla realtà del processo davanti al tribunale ebraico». [10

C — L'arresto da parte dei soldati romani è reso possibile dal tradimento di Giuda: ma Gesù ha fatto un'entrata solenne a Gerusalemme, ha cacciato i mercanti dal Tempio, si aggira tutti i giorni in città, perché era necessario tradirlo? Perché si ignorava dove dormiva? Ma perché era necessario arrestarlo di notte? Gesù dice con grande buon senso: «Ogni giorno ero seduto in mezzo a voi nel Tempio ad insegnare, e non mi avete preso». [11]

D — Gesù è in seguito condotto davanti a Pilato, per quale motivo? Il solo che si invoca è che egli avrebbe voluto farsi re degli ebrei: è un'assurdità: come avrebbe ricevuto l'unzione reale, quando il sommo sacerdote era contro di lui? «I capi dei sacerdoti, gli anziani e tutto il Sinedrio, cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per farlo morire, ma non ne trovavano». [12]

Per quanto sommaria sia stata la procedura, occorreva un capo d'accusa passibile della pena di morte.  

E — Pilato non è convinto della colpevolezza dell'imputato: «Non sono responsabile di questo sangue, vedetevela voi». [13] E se ne lava le mani in pubblico! Quale giudice oserebbe comportarsi così? Per di più, invocando un'usanza di cui nessuno ha mai sentito parlare, si offre di liberare, al posto di un innocente, un vero criminale. E come per caso questo criminale porta il nome proprio opportuno di «Barabba», vale a dire «figlio del Padre», è un sosia di Gesù! Siamo in piena aberrazione.

F — È per soddisfare la folla che Pilato capitola e pronuncia una condanna di morte. E ci viene detto che i governatori romani erano rigorosi! Ma la folla che reclama la morte è la stessa che acclamava Gesù al momento della sua entrata! La folla è mutevole, senza dubbio, ma cosa era cambiato? Lo scopo di questa commedia è di introdurre questa frase, che causerà tanto male: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». [14]

Curioso grido di folla, non è vero? Le nostre hanno piuttosto l'abitudine di urlare insulti.

3° — Improbabilità nell'esecuzione

Il supplizio della croce era sufficientemente conosciuto perché si sia potuto descriverlo senza avervi assistito. Ma fare questo racconto almeno 120 anni più tardi, quando nessuno dei sopravvissuti vi aveva assistito, ciò aveva del prodigioso. Infatti non vi erano che quattro donne, [15] tutti gli uomini erano fuggiti. Quando non si sa, si inventa, ed è facile vedere come questo racconto sia stato fabbricato e quali ne siano le fonti.

 In quale anno avrebbe avuto luogo questa esecuzione? Vi è una grande divergenza tra la cronologia dei sinottici e quella del IV° vangelo. [16] Inoltre, i dati dei sinottici non concordano con la marcia del sole. [17] Infine i testi lasciano un'incertezza dell'ordine di dieci anni. [18]

— Per mancanza di informazioni, tutti i dettagli della passione sono stati improntati alle profezie bibliche, ma questi scrittori dei vangeli non sono andati ciascuno separatamente ad attingerli dalla Bibbia, hanno ricopiato un resoconto già predisposto: «Hanno trovato al loro servizio un cantiere in buon ordine». [19]

Ecco alcuni esempi di questi prestiti:

— Gesù muore tra due ladri, il che è abbastanza sorprendente durante la Pasqua, ma è per realizzare la profezia molto approssimativa di Isaia: «Egli è stato annoverato fra gli empi». [20] Si sa perfino cosa si sono detti, e che uno di loro si sarebbe convertito. [21

 Come un Salmo l'aveva predetto, «Hanno forato le mie mani e i miei piedi», [22] si immagina che Gesù sarebbe stato inchiodato sulla croce. Ma Goguel ha dimostrato [23] che si trattava di un errore di traduzione in greco nella Settanta, dato che l'originale ebraico diceva: «Hanno legato le mie mani e i miei piedi». Infatti, i condannati erano legati sulla croce, ma non inchiodati: le mani sarebbero state strappate dal peso del corpo. Solo il IV° vangelo menziona i chiodi. 

 Gesù ha sete, voi pensate che sia normale nella sua situazione? No, è perché lo stesso Salmo aveva detto: «È arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata alla gola». [24]

Era necessario dimostrare che tutti i testi considerati profetici fossero stati realizzati, nel minimo dettaglio. È per questo che gli si dà da bere... dell'aceto, non per crudeltà, ma perché il Salmo aveva predetto: «Hanno messo fiele nel mio cibo, e mi hanno dato da bere aceto per dissetarmi». [25

Chi avrebbe pensato di portare dell'aceto in un luogo di supplizio, se ciò non fosse stato predetto? 

 Morendo Gesù deve pronunciare una frase storica, ricavata dalla Bibbia, ma non sanno quale questa sarà: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?» secondo Marco (15:34) e anche secondo Matteo che l'ha ricopiata (27:46), ma «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» secondo Luca (23:46), e soltanto secondo Giovanni, che non fa sforzo di immaginazione (19:30): «Tutto è compiuto». E ci viene detto che i vangeli canonici sarebbero stati armonizzati! [26]

 Tutto non è compiuto tuttavia, si sono dimenticate le profezie, allora se ne aggiungono: i soldati si dividono le vesti del torturato tirandole a sorte, conformemente al Salmo 22:19, e un soldato, senza spezzargli le gambe, trafigge il suo fianco con la sua lancia. [27]

Marco e Matteo, il secondo che espande sul primo, non possono rinunciare ad un piccolo effetto teatrale della loro immaginazione: benché questo supplizio non sia menzionato da nessuno, nonostante sia passato inosservato, questi due evangelisti vi aggiungono delle tombe che si aprono e dei morti che ne fuoriescono, un terremoto, il velo del Tempio che si squarcia, e le tenebre per tre ore in pieno giorno. [28] Di tutto ciò nessuno se ne è accorto!

Ma vi è di più grave, e alcuni autori si sono posti la domanda: «Gesù è veramente stato crocifisso?» [29] I dubbi provengono dalle seguenti ragioni: 

 Prima di tutto la lingua greca non ha una parola per indicare la croce e il supplizio della croce; si impiega una parola (stauros) che si riferisce a un palo. Ora la legge ebraica puniva i condannati con l'impiccagione, in ossequio dell'espressione: «Maledetto chi è appeso al legno». [30]

 Il Talmud riporta una versione secondo la quale Gesù sarebbe stato ucciso, secondo la legge ebraica, per lapidazione del suo cadavere appeso a un albero: anche se questo è stato immaginato per mancanza di informazioni migliori, ciò prova almeno che gli ebrei hanno ignorato la crocifissione;

 Fatto ancor più grave, gli Atti degli Apostoli, necessariamente successivi all'esecuzione e derivati da persone ben informate, scrivono ancora «appeso all'albero»;

 È ancora «appeso al legno» che dirà un'epistola attribuita all'apostolo Paolo (citando l'Ascensione di Isaia): «L'arconte di questo mondo stenderà la sua mano sul figlio di Dio, ed egli lo ucciderà e lo sospenderà al legno». [31]

Tenuto conto di queste contraddizioni, Georges Ory ha potuto porre la domanda: «Nulla permette di affermare che il legno dove sarebbe stato legato Gesù fosse una croce». Ma allora è tutto il racconto evangelico che crolla, così come il simbolismo della croce... E Loisy potrà concludere: «Se Gesù non è stato condannato a morte come Re dei Giudei... si può benissimo sostenere che egli non è esistito». [32] «Si potrebbe quasi dire che tutta la passione è stata costruita sul Salmo 22. I fatti sono descritti per il loro valore mistico, non soltanto secondo il loro sviluppo storico». [33]

Ma si può accordare il minimo valore a dei testi scritti più di centoventi anni dopo i fatti che raccontano? È come se oggi uno scrittore raccontasse episodi della guerra del 1870. Gli evangelisti non hanno nemmeno cercato di far credere che hanno raccontato una storia vera: hanno ammesso ingenuamente che hanno ricavato tutto dalle profezie, al fine di mostrare che esse sono state realizzate.

4° — Improbabilità successive

Anche se ammettiamo che l'esecuzione di Gesù abbia fatto meno rumore di quanto supponessero Marco e Matteo, certe ignoranze ulteriori sono estremamente sorprendenti:

A — Ireneo, scrivendo tra il 180 e il 200, racconta che il re Erode si sarebbe accordato con Ponzio Pilato per far condannare Gesù: questo è già abbastanza improbabile, ma situa il proconsolato di Pilato, non al tempo di Tiberio, ma al tempo dell'imperatore Claudio, ossia almeno vent'anni dopo. [34] Questo grande cacciatore di eresie conosceva molto male la storia romana recente.

B — Filone di Alessandria fu incaricato nel 40 di una missione presso l'imperatore Caligola, e racconta a lungo il fallimento di questa missione. [35] Egli rimprovera diversi crimini a Pilato, ma non menziona la morte di Gesù.

C — Luciano di Samosata, scrittore greco morto nel 192, è poco favorevole ai cristiani e si fa beffe di loro, soprattutto perché: «Essi adorano il loro sofista IMPALATO». [36]

Questo potrebbe applicarsi al supplizio ebraico (appeso al palo), ma certamente non ad una croce.

D — Celso conobbe e lesse i vangeli, ma non accorda loro alcun credito: «La verità è che tutti questi pretesi fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato senza pertanto riuscire a dare alle vostre menzogne una tinta di credibilità». [37]

Certo «egli è stato punito e ha sofferto ciò che si sa», [37] ma non ne sa lui stesso più nulla, e si fa beffe di questo dio che ha sete al punto da bere dell'aceto, e che presto, per uscire dalla sua tomba, avrà bisogno di un angelo per sollevare una pietra. Ma la cosa più sorprendente è che: «Da vivo, non riuscì a convincere nessuno, mentre ora che è morto chiunque voglia convince un mucchio di gente». [38]

E — Parlerò più tardi dell'apostolo Paolo, e della sua croce cosmica, della crocifissione celeste del Signore ad opera degli Arconti, divinità malvagie. Ma restiamo sulla terra: quattordici anni dopo l'inizio delle sue missioni, egli prenderà contatto con la comunità di Gerusalemme, che comprende gli antichi discepoli di Gesù. Costoro dovrebbero avere molte cose da raccontargli, per esempio che avevano vissuto con Gesù, che avevano ricevuto il suo insegnamento, che avevano disertato al momento del suo arresto ma avevano avuto conoscenza della sua esecuzione. Ebbene, no! Costoro non gli hanno insegnato NULLA. [39] Ecco cosa oltrepassa i limiti della verosimiglianza. Nulla, vi dico.

F — L'Apocalisse L'Apocalisse, attribuita a un Giovanni che non è l'apostolo né l'autore del IV° vangelo, è un'opera ebraica scritta intorno all'anno 69, come ha stabilito Renan, durante la guerra contro Roma, in un momento in cui la vittoria poteva ancora sembrare indecisa. Un autore cristiano vi ha aggiunto in seguito i primi tre capitoli, che non ci interessano qui. A partire dal capitolo 4, l'autore racconta una visione celeste che prevede l'imminente discesa di un Essere celeste che assicurerà il trionfo degli ebrei e la distruzione di Roma non senza orribili massacri, il tutto a testimonianza di uno spirito esaltato e persino delirante, che rivendica per gli ebrei il dominio del mondo. [40]

Ciò che ci interessa qui è la visione del capitolo 4. L'autore si dice trasportato nel cielo superiore, davanti al trono di Dio e al suo entourage, 24 troni secondari per 24 anziani, e 4 animali (i 4 evangelisti), tutti adorano: «Un agnello in piedi, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra» (5:6).

Questo agnello è evidentemente l'agnello pasquale, ma diventa qui il simbolo del Messia, che dominerà l'opera. Quella è dunque, nel 69, l'immagine che un ebreo si fa dell'agnello «immolato fin dalla fondazione del mondo» (13:8). Non si vede apparire da nessuna parte una croce né un crocifisso. 

Tutto accade ancora nel cielo. L'agnello (il cui segno è ovviamente l'Ariete) è nato dalla Vergine celeste, altra costellazione.

«Una donna rivestita del sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo» (12:1)... «Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto» (12:2)... «Ed ella partorì un figlio maschio, che deve governare tutte le nazioni con uno scettro di ferro, e il figlio di lei fu rapito presso Dio e il suo trono» (12:5).

Ma la Vergine e l'Agnello sono oggetto di persecuzioni da parte di un Drago rosso avente sette teste (12:4-5). Il Drago è a sua volta una costellazione, tutto questo è inscritto in una mappa del cielo (12:7). Non insisto sul seguito, che vedrà l'Agnello aprire il libro dei destini umani. 

Quello che va ricordato qui, è che nel 69 (dunque circa 35 anni dopo la crocifissione evangelica) l'autore ignora ancora la discesa del Messia: l'annuncia come imminente, ma l'Agnello non è ancora disceso sulla terra. L'autore ignora quindi totalmente, non soltanto i vangeli (che non sono ancora scritti), ma persino una vita terrena e la crocifissione che l'avrebbe terminata. Tutto questo racconto è basato su un episodio puramente celeste e astrologico, che è certamente stato utilizzato più tardi per scrivere la vita di Gesù, soprattutto nel IV°  vangelo, dove Gesù è più volte chiamato «l'Agnello di Dio». [41]

Da nessuna parte, in questo racconto dei destini del mondo, appare l'idea di una crocifissione: è addirittura, tra gli orrori di questo libro, l'unica che non è intravista.

Inoltre, l'esistenza di Gesù e la crocifissione resteranno ancora ignorati dall'autore cristiano che, intorno al 95, annuncerà a sette comunità dell'Asia Minore la venuta imminente del personaggio celeste che si prepara a discendere sulla terra. Alla comunità di Tiatira egli fa dire a questo «Figlio dell'uomo»: «Quello che possedete tenetelo saldo fino al mio ritorno», [42] a quella di Filadelfia; [43] e a quella di Laodicea: «Ecco, io sto alla porta e busso». [44] In che modo questo autore può fare ancora una simile promessa, senza rischiare che gli si obietti: ma lui è già venuto, lo si ha perfino crocifisso ? 

G — Durante i primi tre secoli, quando gli autori parlano di una croce, non si tratta chiaramente di uno strumento di supplizio, ma di un fenomeno cosmico. Questo è in particolare il caso dell'apostolo Paolo, come lo vedremo più avanti. Ma è anche il caso di altri «padri» della Chiesa: «Il Logos che abbraccia il mondo intero, la sua larghezza, la sua lunghezza, la sua altezza e la sua profondità... il Figlio di Dio è crocifisso in tutte le cose, egli le segna con la sua impronta a forma di croce». [45

«Dio ha aperto le sue mani sulla croce per abbracciare i limiti della creazione, ed è per questo che il monte Golgota è il polo del mondo». [46

H — Che dire di quello strano cristiano che, nella prima metà del III° secolo, rifiuta di credere alla crocifissione e alla morte di Gesù? Si chiama Minucio Felice, è uno scrittore romano, tra l'altro avvocato. Ha scritto un'opera,  intitolata Ottavio, il cui scopo, dice, è quello di lottare contro le superstizioni pagane e di convertire i suoi lettori alla «vera religione», cioè al cristianesimo. Compone quindi un'opera in forma di dialogo tra due pagani e lui stesso, che crede in un solo Dio e nell'immortalità dell'anima. Ma si rifiuta di credere in un dio mortale e crocifisso: «Quanto poi a ciò che voi attribuite alla nostra religione: il culto di un uomo crocifisso e la sua croce, siete lontanissimi dal vero... È da compassionare colui che ripone ogni propria speranza in un essere mortale...» (29:6). «Quanto alle croci, noi non le adoriamo» (29:2).

La cosa più sorprendente, in quella posizione, è probabilmente che proviene da un cristiano di Roma: è là che si ha umanizzato Gesù conferendogli una nascita e una morte, e nel III° secolo ancora Minucio Felice vuole attenersi al personaggio celeste dell'Evangelion, rifiuta ogni divinità ad un essere mortale, poiché tutto ciò che nasce deve morire (5:8). Si vede che, persino in una comunità familiare con l'idea di un salvatore che doveva morire per la salvezza delle anime, l'unanimità era ben lontana dall'essere realizzata.

I — Passiamo ora al silenzio degli altri autori, e in particolare degli storici, e veniamo ai dati dell'archeologia.

Durante le persecuzioni che infurieranno nel III° secolo, questi cristiani si rifugiarono nelle catacombe, e vi lasciarono numerose riproduzioni di simboli cristiani: vi si trova la colomba, la barca, il pesce (segno astrologico), il buon pastore, ma... non una croce! [47]

Ancora più dimostrativa sarà, per sette o otto secoli, l'assenza di qualsiasi immagine della croce di supplizio sugli altari. Il primo crocifisso nella chiesa di San Pietro a Roma non apparve che nel 706. [48] Soltanto nell'anno 800 Carlo Magno fece dono al Vescovo di Roma Leone III di una croce intarsiata di pietre preziose. L'usanza di adornare l'altare con una croce non si stabilirà che nel XII° secolo: si condurrà allora una croce portatile nelle processioni, e si diffonderà l'abitudine di collocarla sull'altare all'arrivo in chiesa. Forse questo è un ricordo del dono di Carlo Magno? Allo stesso tempo apparirà l'immagine del Cristo in croce sul portale di una chiesa. Infine è il concilio di Trento, nel XVI° secolo, che ordinerà di «conservare nelle chiese le immagini del Cristo e di conseguenza i crocifissi e le croci». [49]

Senza più insistere, non possiamo che invocare l'opinione di uno degli storici cattolici più rinomati, il cardinale Daniélou: «Può essere considerato certo che il segno della croce con cui si segnavano i primi cristiani designava per loro il nome del Signore, vale a dire il Verbo (Logos). Il segno della croce è apparso all'origine, non come un'allusione alla Passione, ma come una designazione della sua gloria divina». [50]

5° — La croce gnostica di Paolo

Il linguaggio mistico di Paolo non si lascia facilmente tradurre: intriso del «mistero» che intende rivelare, egli impiega il linguaggio dei misteri.

Una prima constatazione si impone: Paolo ignora tutto della passione di Gesù. Quando si recherà a Gerusalemme, gli apostoli non gli faranno apprendere nulla, nemmeno che essi hanno conosciuto un Gesù crocifisso. Egli non si recherà nemmeno sul luogo del supplizio, e non nominerà mai il Golgota.

Per contro, troviamo spesso nelle sue epistole un termine che è stato tradotto con «crocifisso», ma questa non è un'allusione al racconto evangelico: nell'impossibilità di conoscere il termine esatto impiegato da Paolo, dobbiamo tentare di comprendere quel che ha voluto dire. 

Il pensiero di Paolo è indiscutibilmente gnostico. Il mondo è per lui il campo di lotta del Bene e del Male, ed egli si riferisce agli Eoni gnostici, specialmente agli Arconti, che sono le divinità malvagie: sono gli Arconti (e non degli uomini) che hanno «crocifisso» il suo Cristo, non al tempo di Pilato, ma all'origine del mondo. È in questo senso che egli intende predicare solo «Gesù Cristo crocifisso». [51]

Se una vera e propria crocifissione sanguinosa avesse avuto luogo, Paolo non avrebbe potuto evitare di parlarcene: non che egli vi abbia assistito, ma avrebbe dovuto sentire questo racconto da parte dei membri della piccola comunità di Gerusalemme. Ma ciò che Paolo intende per «crocifissione» è il simbolismo della croce gnostica formata dai due assi del mondo. Ciò è accaduto nel cielo all'origine del mondo, ed è il Logos che ne è stato l'eroe.

Ecco, ad esempio, come un commentatore delle epistole riassume quella concezione: «Bisogna prendere la nostra parte, il Gesù Paolino non è quello dei vangeli... La teologia del sangue dell'Apocalisse e dell'epistola agli Ebrei escludono la crocifissione. Il Cristo paolino fu crocifisso nei cieli dagli arconti planetari... Il suo Cristo non è carnale e non è storicamente uomo... Paolo non ha alcuna conoscenza di una «vita di Gesù». Egli non lo considera un uomo normale che era vissuto in Palestina — non conosce né la sua famiglia, né i suoi discepoli, né la sua crocifissione, egli non ha sentito parlare né della sua dottrina né dei suoi miracoli; egli non indica nemmeno che fu crocifisso sulla terra e dagli uomini». [52]

La crocifissione è in Paolo uno dei temi dominanti, ma di quale crocifissione si tratta?

A — Essa ha avuto luogo all'origine del mondo, questo non è un fatto storico, è un evento cosmico. Si ha potuto dire: «Il Gesù paolino non è colui che è stato crocifisso, ma colui che resta crocifisso, il crocifisso permanente». [53]

B — Gli autori di quella crocifissione non sono né i Romani né le autorità ebraiche, ma gli Arconti planetari. Ancora si tratta da parte loro di un errore, infatti: «Noi predichiamo la Sapienza di Dio... che nessuno degli Arconti ha conosciuta, perché, se l'avessero conosciuta, non avrebbero messo a supplizio il Signore della gloria». [54]

La Sapienza, altro Eone gnostico.

C — Questo supplizio avrà valore di riscatto per gli iniziati che vi si assoceranno mediante un'operazione mistica: «Io sono stato crocifisso con Cristo. La croce per la quale il mondo è crocifisso a me come io sono crocifisso al mondo...». [55]

Siccome Paolo non è mai stato materialmente messo in croce, si vede che egli impiega un linguaggio simbolico, che non si riferisce ad alcuna croce reale.

6° — La Croce gloriosa

Daniélou ammetteva che, per i primi cristiani, la croce era il simbolo della «gloria divina», e non di un'esecuzione capitale.

Per parecchi secoli, in effetti, non vi era nessun crocifisso, ma soltanto una croce celeste, che proveniva da Platone. Giustino lo sapeva, quando scrisse: «Platone dice del Figlio di Dio che egli è stato steso nell'universo sotto la forma di una X... egli non aveva visto che questo segno era una croce». [56]

Platone l'aveva perfettamente visto, poiché è lui che ha creato questo simbolo. Una minuscola correzione al testo di Giustino per restare fedeli a Platone: è necessario sostituire il «Figlio di Dio» con il Logos.

Platone riteneva che il mondo fosse razionale, e che Dio lo avesse concepito secondo un piano precedente, chiamato «logos». Questo piano, secondo una geometria semplificata, comportava due assi, uno nord-sud, l'altro est-ovest, e questi due assi si incrociavano allo zenit. In questo punto culminante, in questa pietra angolare del mondo, questi due assi formavano una croce. È questo capolavoro della creazione che si rappresentò con una croce, simbolo glorioso.

Più tardi, quando si personificò il «Logos», la croce diventò il simbolo del Logos, di cui il prologo del IV° vangelo poteva dire: «Tutto è esistito per mezzo di lui, e senza di lui niente è esistito». [57]

Così la croce diventò il simbolo del creatore, di quello che si chiamerà ben più tardi il Grande architetto dell'universo.

Nella forma, quella croce non era verticale, ma rappresentata dalla lettera greca «X».

È quella croce che, per alcuni secoli, i cristiani hanno venerato, fierissimi di poter pregare il grande creatore. [58]

Fin dalle sciagure che risultarono dalle grandi invasioni, si preferì rivolgersi a un dio più vicino agli umani, e una rilettura dei vangeli portò alla luce il sacrificio del Salvatore Gesù.

Da tutto ciò si può concludere con Loisy: «I vangeli non raccontano la morte di Gesù..., esprimono il mito della salvezza realizzata per mezzo della morte, perpetuato in qualche modo nella cena cristiana, intensamente commemorato e rinnovato nella festa pasquale. Nessun dubbio che il mito cristiano sia apparentato ad altri miti di salvezza. Non è affatto un caso che la resurrezione del Cristo al terzo giorno dopo la sua morte si trova conforme al rituale delle feste di Adone. L'aneddoto di Barabba, la sepoltura da parte di Giuseppe d'Arimatea, la scoperta della tomba vuota sono finzioni apologetiche. Il dettaglio dei due ladri crocifissi con Gesù potrebbe essere dello stesso caso. E nulla impedisce che l'invenzione di questi dettagli sia stata facilitata o suggerita in una maniera o nell'altra dalle mitologie circostanti». [59]

Allora, mi domanderete voi, da dove viene la leggenda evangelica della passione di Gesù? Devo confessare che io non ne so nulla, ma sicuramente da Roma. Il supplizio della croce è un supplizio romano: si conserverà a lungo a Roma il ricordo delle fila di crocifissi dopo la disfatta di Spartaco. Il latino è l'unica lingua antica che ha inventato la parola «crocifisso».

I Romani sono crudeli, essi si divertivano ai giochi del circo. È a Roma che il culto di Attis ha preso quella forma selvaggia, dove i fedeli si mutilano, si lacerano a vicenda — cosa che non avrebbe potuto derivare dal culto agrario di Cibele. Tutte le influenze si incontrano a Roma, anche quelle delle mitologie barbare. Il supplizio della croce vi diventa uno spettacolo, riservato agli schiavi o ai nemici vinti: sappiamo da Cicerone che i cittadini romani ne sono esentati, ma lo praticano nei paesi dove sono inviati come governatori. 

Non dimentichiamo che è la cosiddetta comunità cristiana di Roma che rifiuterà come troppo mite il Cristo di Marcione, che esigerà un Gesù di carne, che soffre e muore di una morte atroce. Il primo racconto della passione di Gesù figura nel vangelo di Marco, scritto a Roma. 

7° — La leggenda del labarum

Mi prendo la libertà di anticipare il prossimo capitolo per distruggere una leggenda e riportare un utilizzo fallace della croce cristiana.

La leggenda riguarda l'imperatore Costantino, che divenne imperatore in seguito ad una vittoria riportata sui suoi rivali sul ponte Milvio nel 312 grazie alla croce cristiana impressa sul suo stendardo. È Eusebio di Cesarea che, per adulazione, ha fabbricato quella leggenda. La verità è tutt'altra.

Prima di diventare imperatore, Costantino aveva governato la Gallia, dove, per impressionare le popolazioni, egli si era presentato come una reincarnazione del dio Apollo, assimilato a un dio celtico, dio della folgore, il cui santuario era famoso in Gallia. [60] Aveva così preso come emblema quello di questo dio, vale a dire una «X».

Ma in latino la «X» è anche il numero 10. Siccome un indovino aveva annunciato a Costantino che sarebbe diventato imperatore e che avrebbe regnato trent'anni, lui aveva fatto figurare sul suo stendardo chiamato «labarum» il numero trenta, ossia XXX circondato da una ghirlanda.

Allorché discese in Italia per dare battaglia al suo avversario Massenzio, è il labarum con il numero 30 che figurava in testa alle sue truppe: «È il labarum celtico che condusse le truppe galliche e germaniche alla vittoria. L'interpretazione cristiana non doveva sopravvenire che più tardi, e senza dubbio a Roma». [61]

Ma Costantino, avendo compreso l'interesse che presentava per lui una conversione al cristianesimo, conservò il suo labarum come insegna, ed è così che un emblema celtico è divenuto cristiano. 


NOTE

[1] Giovanni 19:28.

[2] Si veda Charles Guignebert, Jésus, molto dettagliato.

[3] Si citano diverse traduzioni di questo testo. Ho ripreso qui quella che avevo dato nella mia Fable de Jésus-Christ (3° ed. pag. 53). Il significato rimane essenzialmente lo stesso: accusa di stregoneria, lapidazione e poi sospensione del corpo all'albero. 

[4] Al silenzio di Flavio Giuseppe va aggiunto quello di un altro storico ebreo dello stesso periodo: Giusto di Tiberiade. La sua opera è oggi perduta, ma sappiamo dal patriarca Fozio di Costantinopoli che egli si stupiva di non trovare in Giusto alcuna menzione di Gesù: «Egli non fa la minima menzione della nascita di Cristo né degli eventi che lo riguardano né dei miracoli che egli ha compiuto» (Fozio, Biblioteca 1:33, ed. Belles Lettres, volume I, n° 33, pag. 18), né di conseguenza della sua morte.

[7] Celso, Discorso vero contro i cristiani, 2:16.

[8] Il testo che recava Anna è stato corretto in Anna suocero di Caifa, ma il suocero non aveva alcuna funzione. 

[9] Charles Guignebert, Jésus, pag. 566.

[10] Charles Guignebert, Jésus, pag. 567-568.

[11] Matteo 26:55.

[12] Matteo 26:59-60.

[13] Matteo 27:24.

[14] Matteo 27:25.

[15] Giovanni 19:25, ma Matteo (27:26) dimentica la madre di Gesù.

[16] Charles Guignebert, Jésus, pag. 520-521.

[17] Si veda J. K. Watson, Le christianisme avant Jésus-Christ, pag. 114-115.

[18] Tra il 26 e il 36, date del governo di Pilato. «Ci si rassegna a dire che la crocifissione si colloca da qualche parte tra queste due date» (Guignebert, Jésus, pag. 521).

[19] Prosper Alfaric, Aux origines du christianisme, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, 1961.

[20] Isaia 53:9.

[21] Luca 23:39-43. Un vangelo apocrifo detto di Nicodemo conosce persino i nomi dei due ladri: Disma e Cista.

[22] Salmo 22:17.

[23] Goguel, Jésus de Nazareth, pag. 230.

[24] Salmo 22:16.

[25] Salmo 69:22.

[26] Si vorrebbe sapere in quale lingua il crocifisso avrebbe proferito queste parole: in ebraico o in aramaico? Guignebert si stupisce anche del fatto che il personaggio morente abbia potuto pronunciare «a gran voce», come dice Marco (15:34). Gli esegeti cattolici hanno cercato invano di spiegare queste differenze quanto alle ultime parole di Gesù: il redattore di Luca, che conosce i testi di Marco e di Matteo, avrebbe esitato a riprodurre l'espressione di Marco per paura che non fosse compresa? «Beato l'esegeta che sa accontentarsi di simili spiegazioni», scrive Guignebert (Jésus, pag. 595). E questo autore conclude: «Noi siamo, con l'Evangelista, fuori dal piano del reale», e questo non gli impedirà di credere nella realtà della crocifissione! 

[27] «Questo infatti avvenne perché si adempisse la scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Giovanni 19:36-37). Giovanni non cita nemmeno le sue fonti, che sono Esodo 12:46; Numeri 9:12; Salmo 34:21 e Zaccaria 12:10. Tutto ciò, beninteso, senza relazione con Gesù. 

[28] Marco 15:33-38; Matteo 27:51-54.

[29] Per la risposta negativa: Marc Stéphane, Bulletin du Cercle Ernest Renan, dicembre 1961, pag. 30; Georges Las Vergnas, Jésus-Christ a-t-il existé?

[30] Deuteronomio 21:22-23.

[31] Ascensione di Isaia 9:14, di E. Tisserand, ed. Letouzey, 1909.

[32] Alfred Loisy, Les évangiles canoniques, I, pag. 212.

[33] Alfred Loisy, Revue d'histoire et de littérature religieuses, 1922, pag. 434.

[34] Ireneo, Dimostrazione della predicazione apostolica, § 74. Tiberio ha regnato dal 13 al 37, Caligola dal 37 al 41 e Claudio dal 41 al 54. Pilato ha governato la Giudea dal 26 al 36, dunque solo sotto Tiberio.

[35] Filone, Ambasceria a Cesare (Gaio).

[36] Luciano, De morte Peregrini.

[37] Celso, Discorso vero contro i cristiani, 2:20 e 24.

[38] Celso, Discorso vero contro i cristiani, 2:26.

[39] Galati 2:6.

[40] Si veda Guy Fau, L'Apocalypse de Jean, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 36, 4° trimestre 1962.

[41] Giovanni 1:29 e 36... Nel rituale della messa cattolica, una preghiera è rivolta tre volte all'«Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo».

[42] Apocalisse 2:25.

[43] Apocalisse 3:11.

[44] Apocalisse 3:20.

[45] Ireneo, Epideixis.

[46] Cirillo di Gerusalemme.

[47] Si veda Les dossiers de l'Archéologie, n° 19: Catacombes juives et chrétiennes.

[48] Si veda Pierre Soisson, Signo te signo crucis, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 183, pag. 122 (3° trimestre 1993).

[49] Pierre Soisson, Signo te signo crucis.

[50] Jean Daniélou, Théologie du judeo-christianisme.

[51] Galati 3:1.

[52] J. K. Watson, Un grand hérétique du I° siècle: Paul de Tarse, in Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 183, 3° trimestre 1993.

[53] Georges Ory, Jésus a-t-il été crucifié? in Cahiers du Cercle Ernest Renan, 1955.

[54] 1 Corinzi 2:7-8.

[55] Galati 6:14.

[56] Giustino, Apologia.

[57] Giovanni 1:3.

[58] Io mi sono per lungo tempo domandato perché quella croce gloriosa non era stata rappresentata. Senza dubbio il suo segno astratto non aveva dovuto tentare gli artisti, ma questa assenza totale, pari a quella della croce di supplizio, poteva sorprendere. Ma essa è stata raffigurata, l'ho scoperto di recente. Questo segno, molto semplificato, probabilmente non è apparso degno di essere conservato, e molte delle sue rappresentazioni sono probabilmente scomparse: si tratta semplicemente di un cerchio, che rappresenta nel piano la sfera celeste, all'interno della quale due assi si intersecano. Difficilmente si poteva immaginare di meglio, ma quella figura parla da sola. L'ho trovata nei dipinti bizantini della Cappadocia, che risalgono al IV° secolo, e si può ovviamente sperare di trovarla solo in Oriente in ambiente gnostico. 

Si sono trovati anche in Oriente dei medaglioni pendenti che rappresentano la croce gnostica, ma senza personaggio (come si farà più tardi per la croce cristiana).

Infine, si noterà che la croce di supplizio non figura mai nelle antiche pitture bizantine: ci sono molte rappresentazioni di Gesù, ma mai in croce.  

[59] Alfred Loisy, La mission de Marduk, nella Revue d'histoire et de littérature religieuses, 1922, pag. 197.

[60] Questo santuario, situato a Gran (o Grand), nel dipartimento dei Vosgi, è attualmente oggetto di scavi che ne rivelano l'importanza.

[61] J. J. Hatt, Histoire de la Gaule romaine, ed. Payot, pag. 276-278.

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