martedì 17 novembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAAPPENDICE 4: Esame di diversi passi dell'Epistola agli Ebrei


APPENDICE 4

Esame di diversi passi dell'Epistola agli Ebrei

Si è visto nel corpo della presente opera (pag. 89-93) iin che modo l'Epistola agli Ebrei raffiguri Gesù come successore del personaggio biblico di Melchisedec e, d'altra parte, come non menzioni la crocifissione. Come è stato detto, si troverà qui l'esame di varie allusioni alla carriera terrena di Gesù che si è creduto di poter rilevare nell'Epistola agli Ebrei, così come alcuni giudizi di Loisy, Goguel e Guignebert sul valore storico di quell'opera.

Il Figlio, che insegna nel nome di Dio.

L'inizio dell'Epistola agli Ebrei (1:1-2:4) ci presenta «il Figlio» come lo strumento e il portavoce di Dio. «Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo..., dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso alla destra della maestà nell'alto dei cieli (1:1-3)... E come scamperemo noi se trascuriamo una così grande salvezza? Questa, dopo essere stata annunciata prima dal Signore, ci è stata poi confermata da quelli che lo avevano udito, mentre Dio stesso aggiungeva la sua testimonianza alla loro con segni e prodigi...» (2:3-4).

Loisy, contestando il «miticista» Couchoud, riteneva che, in questo testo, «l'iniziativa della predicazione cristiana è rapportata espressamente a Gesù». [1] Ma nei capitoli 1 e 2, «il Figlio» di Dio non è nominato, neppure nell'Ascensione di Isaia propriamente detta. Non si tratta di una predicazione condotta sulla terra da un uomo, ma degli ascolti di un essere divino, di cui certi ispirati sono stati privilegiati «in questi ultimi tempi». Inoltre, due versi più oltre (2:6), è menzionato «qualcuno che ha reso in un passo della scrittura questa testimonianza»: segue la citazione del Salmo 8:5: «Che cos'è l'uomo perché tu ti ricordi di lui o il figlio dell'uomo perché tu ti curi di lui?» Le due «testimonianze» sono presentate come se si confermano l'un l'altra: quella che è menzionata seconda non  esprime che una concezione religiosa; nulla indica che la prima corrisponda ad un fatto recente.

La partecipazione di Gesù Cristo alla carne degli uomini.

Nel 1935, in un'opera in cui si spingeva molto lontano sul cammino della critica, Remarques sur la littérature épistolaire du Nouveau Testament, Loisy pensava nondimeno che l'autore dell'Epistola agli Ebrei avesse avuto la nozione di un Gesù di carne. Egli citava 2:14: «Poiché dunque i figli», —secondo il contesto, dice Loisy, si tratta di uomini salvati dal Cristo, «partecipano del sangue e della carne, egli pure, in qualche modo, vi ha partecipato, per distruggere, con la sua morte, colui che aveva il potere sulla morte, cioè il diavolo». E Loisy commentava così: «Per morire, il Figlio di Dio ha dovuto prendere la carne e il sangue che lo hanno reso fratello degli uomini. L'avverbio: «in qualche modo» non potrebbe distruggere l'affermazione principale; così pure leggiamo un po' più avanti (2:17) che il Cristo ha dovuto in tutto rassomigliare ai suoi fratelli». «In qualche modo» non segna una differenza nella partecipazione fisica alla natura umana, ma nel modo, poiché l'umanità del Cristo non è derivata dalla generazione... Che l'Incarnazione si sia realizzata mediante il compimento del ministero, come sembra averla intesa lo gnostico...». [2]

Tuttavia Turmel, di cui Loisy aveva accettato la traduzione: «in qualche modo» dava al termine il suo pieno significato: esso «non esprime che una somiglianza approssimativa» nella partecipazione del Cristo al sangue e alla carne degli uomini (2:14); e allo stesso modo la sua somiglianza «in tutto» ai suoi fratelli (2:17) può essere a sua volta «in qualche modo». [3]

Noi ritroviamo qui il dibattito che abbiamo già riscontrato, a proposito delle Epistole paoline, riguardo la maniera con cui i primi autori cristiani hanno concepito l'incarnazione del Figlio di Dio; ma, anche se si pensasse, come Loisy, che l'avverbio «in qualche modo» non esclude, per l'autore dell'Epistola agli Ebrei, la credenza in una incarnazione reale, resterebbe da determinare, come è stato detto, se egli la leghi a dei fatti storici recenti. [4

Allo stesso modo l'Epistola agli Ebrei ci presenta un Dio fatto uomo già prossimo all'umanità: «Egli doveva diventare simile ai suoi fratelli in ogni cosa, per essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per compiere l'espiazione dei peccati del popolo. Infatti, poiché egli stesso ha sofferto la tentazione, può venire in aiuto di quelli che sono tentati» (2:17-18). [5]

Natura e significato del sacrificio di Gesù Cristo.

Il sacrificio offerto da Gesù Cristo è quello del suo stesso sangue; egli è al contempo il sommo sacerdote e la vittima; secondo una concezione ebraica, il sangue che versa è quello della nuova alleanza contratta con Dio; l'Epistola ricorda che «quasi tutte le cose, secondo la legge, infatti, vengono purificate con il sangue e senza spargimento di sangue non esiste perdono. Era dunque necessario che i simboli delle realtà celesti fossero purificati con tali mezzi; le realtà celesti poi dovevano esserlo con sacrifici superiori a questi». Ma il sacrificio di Gesù è stato operato una volta per tutte e non si fa più tutti gli anni, come quello che è celebrato nel culto israelita (8:8-13; 9:15, 18-21; 10:1, 5-10).

Tuttavia, ancora una volta, per questo sacrificio unico e definitivo, non è data alcuna indicazione del periodo nell'Epistola agli Ebrei.

Circostanze e luogo del sacrificio.

Due passi dell'Epistola hanno sembrato poter essere collegati ai racconti evangelici.

«Il Cristo», si legge in 5:7-8, «nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà. Benché fosse Figlio, imparò l'ubbidienza dalle cose che soffrì...».

«I corpi degli animali», è detto in 13:11-14, «il cui sangue è portato dal sommo sacerdote nel santuario per il peccato, sono bruciati fuori del campo. Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, ha sofferto fuori dalla porta. Usciamo dunque fuori del campo per andare a lui portando il suo obbrobrio. Infatti noi non abbiamo qui una città permanente, ma cerchiamo quella che è da venire».

Riguardo al primo passo, Loisy scriveva nel 1938: «È sfuggito a Couchoud che la preghiera attribuita al Cristo, in corrispondenza col Salmo 22, è detta realizzata «nei giorni della sua carne», cosa che non può intendersi che della sua esistenza terrena, considerata come una sorta di intermezzo tra la sua preesistenza precedente in Dio e la sua reintegrazione successiva presso Dio». [6]

Ma precedentemente, malgrado la presenza delle parole: «nei giorni della sua carne», Loisy non si era accontentato di vedere una semplice «corrispondenza» tra il Salmo 22 ed Ebrei 5:7. «La preghiera, le sofferenze e l'inaugurazione di Gesù come pontefice eterno», scriveva nel 1922, «non sono la preghiera del Getsemani, la passione e la resurrezione che raccontano i nostri evangelisti, ma un'interpretazione diretta delle Scritture, in particolare del Salmo 22, di cui si può dire che il nostro autore traspone in storia tutti i dati». [7] E manteneva quella opinione nel 1933. [8]

Toccando il secondo passo, Loisy, nel 1938, respingeva l'interpretazione che Couchoud aveva dato all'espressione: «Gesù... ha sofferto fuori dalla porta». Couchoud, basandosi sull'ultima frase: «Noi non abbiamo qui una città permanente» dava a: «fuori dalla porta» il significato di: «fuori dal mondo», nel cielo. [9] Loisy afferma che «quella indicazione deve rappresentare in senso letterale il luogo della passione, altrimenti... il discorso non ha più senso... Fuori dalla porta significa fuori dalla città, e l'autore indica, come luogo conosciuto, la località del Calvario». [10]

Ma Loisy, nel 1935, aveva stabilito in termini molto più sfumati la distinzione tra i due passi quanto al loro significato per testimoniare una tradizione. «Tale riferimento, che allude al luogo dove il Cristo ha subito la morte (13:12), si presenta da adempimento della profezia, e quest'altro, dove si è pensato di riconoscere la preghiera del Getsemani (5:7-10), sembrerebbe non avervi alcun rapporto». [11] Ma l'espressione stessa: «si presenta da adempimento della profezia», non tende a suggerire — quali che siano le intenzioni del critico, — che, come la preghiera di Ebrei 5:7, a riguardo del Salmo 22, la passione di Gesù «fuori dalla porta» sia stata «presentata» sulla base delle Scritture? [12]

L'Epistola agli Ebrei e i racconti evangelici.

In parecchie delle opere che hanno preceduto Histoire et mythe, Loisy ha espresso giudizi generali piuttosto negativi sul valore storico dell'Epistola agli Ebrei. Scriveva nel 1933: «L'autore si trova, nei confronti della tradizione evangelica, nelle stesse condizioni del teorico della salvezza nelle Epistole di Paolo, pressappoco indifferente alle circostanze reali della vita e della morte di Gesù, e anteriore... alla cristallizzazione definitiva delle profezie in una tradizione apparentemente storica». [13] O ancora: «La libertà della gnosi primitiva e l'indipendenza nei riguardi di ciò che si chiama comunemente tradizione evangelica risultano soprattutto dal parallelo stabilito in Ebrei 7, tra Melchisedec e Gesù...». [14] Scriveva lo stesso nel 1935: «L'autore non mira a quella che chiamiamo tradizione evangelica e non ne dipende. Storicamente, corrisponderebbe all'età in cui la tradizione, utilizzando i testi dell'Antico Testamento, si elabora e si fissa». [15

Quanto a Goguel, egli dichiara senza dubbio che «l'autore dell'epistola insiste su certi dettagli, che dimostrano che una storia di Gesù e, in particolare, della sua morte è il fondamento della sua teologia», omettendo tuttavia di dire che da questi «dettagli» è assente la crocifissione, ma riconosce d'altra parte: «Il Cristo dell'Epistola agli Ebrei sembra essere un essere celeste piuttosto che un uomo che ha prodotto su coloro che l'hanno conosciuto una profonda impressione. La sua storia è presentata in termini astratti, che si associano al tipo tradizionale del Messia e sono ispirati all'Antico Testamento, in particolare ai Salmi; ciò che è detto della sua morte sembra svincolato da ogni contingenza storica». [16]

Infine non ci si stupirà del giudizio generale di Guignebert sull'Epistola agli Ebrei: «Con della buona volontà, si perviene a scoprirvi alcune allusioni ad un personaggio reale, ma i sostenitori della tesi mitica potrebbero usarle senza troppe difficoltà a loro vantaggio, poiché ci mettono di fronte ad una dottrina teologica..., e non ad una tradizione storica». [17

NOTE

[1] LOISY, Histoire et mythe, pag. 104. — Si veda GOGUEL, Jésus, pag. 94.

[2] LOISY, Remarques, pag. 110.

[3] DELAFOSSE (TURMEL), L'Epitre aux Hébreux, op. cit., pag. 119. La parola greca tradotta con «in qualche modo» è paraplèsios.

[4] Si veda più sopra, pag. 262.

[5] Si veda 4:15: stessi termini, con un'aggiunta: «lui è stato provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (sottolineato da LOISY, Remarques, pag. 110. Tuttavia il capitolo 4 di Ebrei non è considerato primitivo da Alfaric.

[6] LOISY, Histoire et mythe, pag. 103-104.

[7] LOISY, Les livres du Nouveau Testament, 1922, pag. 183.

[8] LOISY, La naissance du christianisme (1933), pag. 29, nota 5, e 328.

[9] COUCHOUD, Jésus, le Dieu fait homme, pag. 145.

[10] LOISY, Histoire et mythe, pag. 103. — Lo stesso GOGUEL, Jésus, pag. 94, ha scritto: «È in ragione della sua portata allegorica che questo dettaglio (fuori dalla porta) è rilevato, ma non si può ammettere che sia una creazione allegorica, poiché, allora, non sarebbe isolato».

[11] LOISY, Remarques..., pag. 104-105 (si veda sopra, pag. 310).

[12] LOISY non ha indicato di quale profezia si tratta: le Bibbie dai paralleli, di fronte ad Ebrei 13:11-12, rinviano al Libro del Levitico 4:12, 21, e 16:27, prescrivendo che il toro espiatorio, dopo il suo sacrificio, sarà bruciato fuori dal campo.

[13] LOISY, La naissance du christianisme, pag. 328. 

[14] LOISY, La naissance du christianisme, pag. 30, nota 1. 

[15] LOISY, Remarques..., op. cit., pag. 104-105.

[16] GOGUEL, Jésus, pag. 94: apprezzamento tanto più significativo dal momento che GOGUEL data l'Epistola agli Ebrei tra l'80 e il 90 (La naissance du christianisme, pag. 372, nota 1).

[17] GUIGNEBERT, Jésus, pag. 27. — Guignebert ritiene che quella dottrina teologica è «stabilita nella linea di Paolo», cosa che altri critici contestano.

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