lunedì 16 novembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAAPPENDICE 3: Esame di diversi passi dell'Apocalisse



APPENDICE 3

Esame di diversi passi dell'Apocalisse

Analisi sommaria dell'Apocalisse

Per facilitare l'apprezzamento dei passi dell'Apocalisse esaminati, sia nel corpo dell'opera che nella presente Appendice, daremo innanzitutto qui di seguito una breve analisi dell'insieme dell'opera, conservando principalmente, come è stato detto (pag. 76), ciò che riguarda Gesù Cristo. [1]

«Rivelazione di Gesù Cristo... per render noto le cose che devono presto accadere... che egli manifestò inviando il suo angelo al suo servo Giovanni»: i versi 1-2 del capitolo 1 ci fanno conoscere in questi termini il soggetto e l'autore dell'opera.

Comincia con il discorso di Giovanni alle sette Chiese dell'Asia Minore, alle quali il libro è destinato (1:4-8). La dedica è fatta «da parte di Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue,... Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà; anche quelli che lo trafissero e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto».

Segue una visione che forma l'introduzione: Giovanni, nell'isola di Patmos, scorge «uno simile a figlio di uomo, in mezzo a sette candelabri d'oro... Egli pose la sua mano destra su di me, dicendo: Non temere, io sono il primo e l'ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli. Tengo le chiavi della morte e della dimora dei morti...» (1:9-20). Le lettere per le sette chiese, dettate a Giovanni dal Signore Gesù, costituiscono i capitoli 2 e 3.

Poi cominciano le rivelazioni sul futuro. Sono inaugurate da una visione del trono della maestà divina; colui che vi era assiso aveva l'aspetto di una pietra preziosa; era circondato da ventiquattro vegliardi e, presso il trono, da quattro esseri viventi, simili ad un leone, ad un vitello, ad un uomo e ad un'aquila (capitolo 4).

Nel capitolo 5, Giovanni scorge presso il trono «un agnello che sembrava essere stato immolato». L'Agnello si avvicina al trono e prende dalla mano destra di colui che vi era assiso un libro sigillato con sette sigilli. Questo è il libro che contiene il futuro. I ventiquattro vegliardi e i quattro esseri viventi dicono all'Agnello: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni nazione» (verso 9). È così che il veggente fa comprendere che l'agnello è Gesù.

I primi sei sigilli sono rotti (capitolo 6): è la rivelazione delle calamità che travolgeranno il mondo. Nel capitolo 7, gli angeli segnano col sigillo di Dio i servi di Dio, affinché siano preservati dai castighi divini; e questi eletti «gridavano a gran voce: La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello». E uno dei vegliardi spiega a Giovanni: «Non avranno più fame, né avranno più sete... L'agnello che sta presso il trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita»

Il settimo sigillo è aperto. I sette angeli che stanno davanti a Dio ricevono ciascuno una tromba. I primi sei angeli suonano in successione la tromba, dando il segnale delle catastrofi (capitoli 8 e 9).

Prima del suono della settima tromba, un angelo discende dal cielo, tiene nella sua mano un piccolo libro aperto. Una voce dal cielo ordina a Giovanni di prendere il piccolo libro e di ingoiarlo: come gli è annunciato, «in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l'ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l'amarezza». E profetizza, all'ordine che gli è dato (capitolo 10). La rivelazione, enunciata nel capitolo 11, riguarda, come si vedrà, la sorte di Gerusalemme.

«Mi fu data una canna... e mi fu detto: Misura il tempio di Dio... Ma l'atrio che è fuori... non lo misurare, perché è stato dato in balìa dei pagani, i quali calpesteranno la città santa per quarantadue mesi» (11:1-2).

«Io concederò ai miei due testimoni di profetizzare... Essi hanno il potere di chiudere il cielo affinché non cada pioggia, durante i giorni della loro profezia. Hanno pure il potere di mutare l'acqua in sangue e di percuotere la terra con qualsiasi flagello, quante volte vorranno» (11:3-6).

«Quando avranno finito la loro testimonianza, la bestia che sale dall'abisso farà loro la guerra, li vincerà e li ucciderà» (11:7). «E i loro cadaveri saranno nel luogo della grande città, che è chiamata in un senso spirituale, Sodoma e l'Egitto, là dove il loro Signore è stato crocifisso» (11:8). «Gli uomini tra... le nazioni vedranno i loro cadaveri per tre giorni e mezzo, e non permetteranno che i loro cadaveri siano messi in un sepolcro. E ... gli abitanti della terra si rallegreranno ... perché questi due profeti hanno tormentato gli abitanti della terra» (11:9).

«Ma dopo tre giorni e mezzo uno spirito di vita procedente da Dio entrò in loro; essi si alzarono in piedi e grande spavento cadde su quelli che li videro. Ed essi udirono una voce potente che dal cielo diceva loro: Salite quassù. Essi salirono al cielo in una nube e i loro nemici li videro. In quell'ora ci fu un gran terremoto e la decima parte della città crollò...» (11:11-13).

Poi «il settimo angelo suonò la tromba e nel cielo si alzarono voci potenti, che dicevano: Il regno del mondo è passato al nostro Signore e al suo Cristo ed egli regnerà nei secoli dei secoli... Allora si aprì il tempio di Dio che è in cielo e apparve nel tempio l'arca dell'alleanza...» (11:15-19).

Il capitolo 12 fa apparire Gesù sotto un'altra forma, senza nominarla: Egli nasce nel dolore da una donna celeste, vestita di sole, la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo. Un «dragone si pose davanti alla donna che stava per partorire, per divorarne il figlio, non appena l'avesse partorito. Ed ella partorì un figlio maschio, il quale deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro; e il figlio di lei fu rapito vicino a Dio e al suo trono. Ma la donna fuggì nel deserto...» (12:1-6).

Un grande combattimento si svolge tra il dragone e l'angelo Michele: il dragone è precipitato sulla terra. Una voce forte dice nel cielo: «Ora è venuta la salvezza e la potenza, il regno del nostro Dio, e il potere del suo Cristo, perché è stato gettato giù l'accusatore dei nostri fratelli... Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell'agnello, e con la parola della loro testimonianza...» (12:7-12). 

Ma il dragone inseguì sulla terra la donna che aveva partorito il figlio maschio; la terra salvò la donna inghiottendo il fiume che, dalle sue fauci, il dragone aveva lanciato contro di lei. «Allora il dragone s'infuriò contro la donna e andò a far guerra a quelli che restano della discendenza di lei che osservano i comandamenti di Dio e custodiscono la testimonianza di Gesù. E si fermò sulla riva del mare» (12:13-18).

Allora (capitolo 13) il profeta vede salire dal mare una bestia mostruosa, generalmente considerata il simbolo della blasfemia contro Dio. «E l'adoreranno tutti gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti nel libro della vita dell'agnello che è stato immolato dalla fondazione del mondo» (13:8). Poi il profeta vede «un'altra bestia, che saliva dalla terra», che «operava grandi prodigi» e che è considerato in generale simbolo delle false profezie o di un uomo, falso profeta o anticristo (13:11-18). [2]

Tutt'altra visione nel capitolo 14: «Guardai e vidi l'agnello che stava in piedi sul monte Sion e con lui erano centoquarantaquattromila persone che avevano il suo nome e il nome di suo Padre scritto sulla fronte... Essi sono quelli che non si sono contaminati con donne, poiché sono vergini. Essi sono quelli che seguono l'agnello dovunque vada» (14:1-5).

Poi Giovanni scorge tre angeli che proclamano i giudizi di Dio (14:6-13), poi due angeli, che tengono le falci, che fanno, uno la messe, l'altro la vendemmia (14:14-20). Arrivano in seguito altri sette angeli «che recavano sette flagelli, gli ultimi, perché con essi si compie l'ira di Dio» (15:1). Essi ricevono da uno dei quattro esseri viventi che circondano il trono di Dio «sette coppe d'oro piene dell'ira di Dio», che riversano sui vari elementi del mondo, la terra, il mare, il sole...,  gesto che, ogni volta, provoca una catastrofe (capitolo 15 e 16).

Il veggente scorge allora «una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna...La donna era ammantata di porpora... Teneva in mano una coppa d'oro, colma... delle immondezze della sua prostituzione. Sulla fronte aveva scritto un nome... Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra. E vidi che quella donna era ebbra del sangue dei santi e del sangue dei testimoni di Gesù» (17:3-6). Un angelo spiega al veggente «il mistero della donna e della bestia che la porta» (17:7-18). «La bestia che hai visto... salirà dall'abisso, ma per andare in perdizione. E gli abitanti della terra, i cui nomi non sono scritti nel libro della vita, dalla fondazione del mondo, stupiranno al vedere che la bestia era e non è più, ma riapparirà» (17:8). Quanto alla donna, «simboleggia la città grande, che regna su tutti i re della terra» (17:18). La donna rappresenta quindi Roma, la nuova Babilonia, la nemica degli ebrei e dei cristiani, e la bestia sulla quale è assisa e che si identifica con la bestia venuta dal mare, [3] è l'Impero romano. «Le dieci corna che hai viste sono dieci re... che consegnano... il loro potere alla bestia. Essi combatteranno contro l'agnello, ma l'agnello li vincerà, perché è il Signore dei signori e il Re dei re, e vinceranno anche quelli che sono con lui, i chiamati, gli eletti e i fedeli» (17:12-14). Il verso 16 del capitolo 17 annuncia, e il capitolo 18 riprende e sviluppa il tema dell'incendio della nuova Babilonia. 

La disfatta della bestia è l'opera di un essere divino, montato su un cavallo bianco e «avvolto in un mantello intriso di sangue; ... Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le nazioni. Egli le governerà con scettro di ferro; ... un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori». Queste indicazioni, di cui una ricorda il bambino nato dalla donna nel cielo, [4] e l'altra, l'agnello, [5] mostrano che si tratta di Gesù Cristo, strumento di Dio: egli fa la guerra contro la bestia, che è presa, e, con essa, anche l'altra bestia, salita dalla terra, il falso profeta: [6] «tutti e due furono gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo» (19:11-21).

L'inizio del capitolo 20 (versi 1-10) è dedicato a Satana: un angelo afferra il dragone che è Satana; egli è legato per mille anni; alla fine di quel tempo, è rilasciato; cerca di sedurre le nazioni per impadronirsi del campo dei santi; ma un fuoco che discende dal cielo lo getta nello «stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta».

Gli ultimi versi del capitolo 20 (11-15) annunciano la resurrezione generale e il giudizio finale: «se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita» dell'agnello, segnalato nel capitolo 13, [7] «fu gettato nello stagno di fuoco».

Allora il profeta vide «un nuovo cielo e una nuova terra» (21:1) «Colui che siede sul trono disse: Io sono il principio e la fine... A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell'acqua della vita. Chi vince erediterà queste cose, io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio...» (21:6-7). Dal cielo il profeta vide discendere «la città santa, la nuova Gerusalemme, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (21:9): è, simbolicamente, «la moglie dell'agnello» (21:9), — le cui nozze sono state annunciate nei primi 10 versi del capitolo 19 —. Il capitolo 21 descrive le fondamenta della città fatte di pietre preziose; le dodici porte sono dodici perle; la piazza della città è d'oro puro. Ma il profeta «non vide alcun tempio nella città, perché il Signore, Dio onnipotente, e l'agnello sono il suo tempio» (21:22). E non entreranno nella città se non coloro che sono scritti nel libro della vita dell'agnello (21:27). In quella nuova Gerusalemme, «non ci sarà più nulla di maledetto...; non ci sarà più notte; non avranno bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli» (capitolo 22, primi 5 versi).

L'opera si conclude con un epilogo (capitolo 22, versi 6-21). «Queste parole sono fedeli e veritiere; e il Signore... ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra poco». Poi si intendono le parole di Gesù, trasmesse dall'angelo a Giovanni e da Giovanni ai cristiani, e che fanno eco a quelle di Dio Padre (22:13-17; si veda più sopra, 21:6): «Io sono... il primo e l'ultimo, il principio e la fine... Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per attestarvi queste cose in seno alle chiese. Io sono la radice e la discendenza di Davide, la lucente stella del mattino... Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda in dono dell'acqua della vita...». E il profeta conclude: «Colui che attesta queste cose, dice: Sì, vengo presto. Amen! Vieni, Signore Gesù! La grazia del Signore Gesù sia con tutti!» (22:20-21).

Diamo ora le valutazioni di Loisy, di Goguel e di Guignebert sull'Apocalisse, come documento relativo alla carriera terrena di Gesù. 

Le interpretazioni di Loisy.

Nella sua opera Histoire et mythe à propos de Jésus-Christ (1938), in cui intendeva confutare il «miticista» Couchoud, Loisy ha affermato che l'Apocalisse si riferiva alla crocifissione di Gesù.

Egli cita la «dichiarazione formale» del Cristo (1:17-18): «Io sono il primo e l'ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli». [8] Quella dichiarazione, scrive, «presenta un significato analogo a quello dell'inno... nell'Epistola ai Filippesi: [9] il Cristo dell'Apocalisse partecipa in qualche maniera agli attributi divini, ma non è entrato nel pieno godimento di quella gloria se non dopo aver conosciuto la morte. La qualità che gli è stata dapprima attribuita (1:5): «primogenito dei morti», lo rende il primo dei morti chiamati a risorgere nella gloria, si potrebbe dire il loro capofila. È dunque morto da uomo sulla terra...». [10]

Ma, come abbiamo avuto già l'occasione di farlo osservare, a proposito degli scritti paolini, la credenza che gli eventi riguardanti Gesù hanno avuto luogo sulla terra non implica che si tratti di fatti storici recenti; il riferimento stesso di Loisy all'inno inserito nell'Epistola ai Filippesi è significativo; l'esame che ne abbiamo fatto ha mostrato che si tratta nelle Epistole paoline di un essere mitico, e quella conclusione è stata corroborata da vari passi dell'Ascensione di Isaia. [11

Loisy invoca un altro passo dell'Apocalisse (1:7): [12] «Ecco, egli viene sulle nubi e ogni occhio lo vedrà, anche coloro che lo hanno trafitto». «Da confrontare con il Vangelo di Giovanni 19:37». [13] Il confronto fatto da Loisy è tanto più giustificato perché, — se egli rifiuta l'attribuzione dell'Apocalisse e del quarto Vangelo all'apostolo Giovanni, che ritiene, così come Goguel, essere stato messo a morte in Palestina prima della guerra di Giudea del 66-70, [14] — Loisy pensa che l'Apocalisse, il quarto Vangelo e le Epistole di Giovanni siano stati messi sotto il nome dello stesso apostolo dai cristiani della Chiesa di Efeso, in Asia Minore, «quelli che è lecito chiamare gli editori della biblioteca giovannea». [15] Ma se ci si riporta al passo del Vangelo di Giovanni, riferito da Loisy e relativo alla constatazione della morte di Gesù da parte dei soldati romani, vi si legge questo, capitolo 19; 33. «Giunti a Gesù, lo videro già morto, e non gli spezzarono le gambe; 34 ma uno dei soldati gli forò il costato con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua...  36 Poiché questo è avvenuto affinché si adempisse la Scrittura: «Nessun osso di lui sarà spezzato». 37 E un'altra Scrittura dice: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».

Queste citazioni dichiarate della Scrittura chiariscono la maniera con cui il Vangelo di Giovanni è stato composto. Esaminiamo quella del verso 37. È tratta dal Libro di Zaccaria 12:10: «Essi guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico...»

Così la citazione di Apocalisse 1:7, come la presentava Loisy, dava l'impressione di un'allusione a coloro che avevano inchiodato le mani di Gesù alla croce. Il riferimento che fa lui stesso al Vangelo di Giovanni 19:37 dimostra che non lo è affatto. Senza dubbio questo Vangelo è il testo più antico che fa menzione dei chiodi nelle mani di Gesù (capitolo 20:25-27), dopo la sua morte, quando Tommaso, l'apostolo incredulo, domanda di vederne il segno. «L'usanza più comune era di fissare il condannato con delle corde», e «non è per nulla certo che Gesù sia stato inchiodato alla croce», ha scritto Goguel. [16] Il Vangelo secondo Marco, il più antico, e gli altri Vangeli «sinottici», [17]  secondo Matteo e secondo Luca, tacciono a questo proposito. «Se in Luca (24,39) Gesù risorto mostra le sue mani e i suoi piedi ai suoi discepoli, è per far loro constatare che non è un fantasma.... Giustino martire... è il primo che», — a metà del II° secolo — «parla di chiodi nei piedi». [18] Però si può constatare che questa crocifissione di Gesù è menzionata dal Vangelo di Giovanni in un altro capitolo (20) rispetto a quello (19) che si avvicina all'Apocalisse, e si è visto che il verbo «trafiggere» ha per soggetto, non gli autori, diretti o indiretti, ordinatori o agenti di esecuzione, responsabili della crocifissione di Gesù vivo, ma il soldato romano che, con una lancia, ha trafitto il costato del Gesù morto.

Inoltre, e soprattutto, il riferimento fatto dallo stesso Vangelo di Giovanni ad un testo di Zaccaria mostra l'origine dell'espressione: «coloro che lo hanno trafitto». L'autore del Vangelo secondo Giovanni l'ha ispirata a Zaccaria, ma forse dopo averla letta nel verso 1:7 dell'Apocalisse; e forse anche l'autore di quest'ultimo verso, in un'opera così intrisa della tradizione ebraica, si era ricordato lui stesso di Zaccaria. [19] Vi sono, in conclusione, molte probabilità del fatto che non vi sia nessuna allusione nell'Apocalisse (1:7)  ad un fatto storico e recente, e, in ogni caso, una tale allusione non è per nulla stabilita. 

In un'opera precedente, Les origines du Nouveau Testament (1936), Loisy aveva rilevato, di passaggio, il verso seguente della Conclusione dell'Apocalisse 22:16: «Io sono la radice e la discendenza di Davide, la lucente stella del mattino». Lo aveva accompagnato con il seguente commento: «... Molto probabilmente, non si tratta della stella che», — nell'antico libro della Bibbia, Numeri 24:17, — il profeta «Balam diceva uscire da Giacobbe, ma del pianeta Venere, in quanto una grande potenza astrale, cosicché, infine», la tradizione ebraica si mostra «intrisa di mitologia astrologica». D'altra parte l'attenzione per la discendenza di Davide ci orienta» verso la predicazione evangelica, che in quel momento «noi dobbiamo supporre in via di sviluppo...». [20] Sulla discendenza di Davide, abbiamo già citato, all'occasione di un passo della Epistola paolina ai Romani, l'opinione dello stesso Loisy: «Si è fatto Gesù discendente di Davide, perché era ritenuto che il Messia dovesse esserlo». [21] Quanto al commento sulla «mitologia astrologica», che viene a influenzare la tradizione ebraica, si comprende che Loisy non si sia sognato di includerlo in un libro avente per scopo di confutare un «miticista».

 Loisy ha d'altra parte esaminato il significato della figura dell'Agnello. «Si può dire che vi è là l'unico nome del Cristo, l'Agnello immolato, e che, nell'Apocalisse, vi è costantemente menzione del sangue dell'Agnello... Il Cristo-Agnello... si è sostituito... all'agnello pasquale degli ebrei, tra i cristiani dell'Asia, che avevano continuato a celebrare la Pasqua ebraica nello stesso giorno degli ebrei, a differenza dei cristiani di altre Chiese, che celebravano la loro Pasqua nella festa speciale della Resurrezione, con la commemorazione precedente, il venerdì, della morte di Gesù, essendo ritenuto che costui avesse celebrato la Pasqua ebraica il giovedì... Vi è là un mito della salvezza per mezzo dell'Agnello, vittima redentrice...; è un mito del Cristo, agnello pasquale, associato, per la prospettiva profetica, alla descrizione del Servo sofferente, nel libro biblico di Isaia» («simile ad un agnello condotto al macello», 53:7). E Loisy ricorda che, in un passo mistico della 1° Epistola paolina ai Corinzi (5:7) si legge anche: «Il Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato». [22]

Così, mentre Goguel ritiene che «il simbolismo dell'agnello nell'Apocalisse è senza relazione con l'idea dell'agnello pasquale», [23] Loisy ne afferma l'interpretazione in questo senso. E già una tale divergenza ci autorizzerebbe a mettere in dubbio l'allusione ad un fatto storico recente. Ma se si accetta come verosimile il commento di Loisy, se si ammette, al pari di lui, che «la morte del Cristo si è sostituita al sacrificio dell'agnello come principio di salvezza», [24] una tale sostituzione non implica, di per sé, che essa si leghi ad un fatto storico recente. «Nulla prova, o più esattamente lascia intendere», scrive ancora Loisy, «che l'Essere così rappresentato dall'Agnello non sia morto sulla terra... Ciò che importa precisare, è la natura della morte commemorata (nella celebrazione della Pasqua), morte mitica di un essere mitico oppure morte reale di un essere umano investito di missione divina e soprannaturalmente glorificato. Il problema è... da risolvere... con un esame attento delle particolarità della scrittura e del significato autentico dei testi...». [25] Il problema è così esattamente posto, ma i termini stessi in cui Loisy li pone mostrano quanto sia lecito dubitare a riguardo della soluzione che vi dà.

Infine, riguardo all'Agnello dell'Apocalisse, Loisy esamina una «particolarità della redazione», alla quale attribuisce grande importanza. [26] Egli rimprovera a Couchoud di aver fatto riferimento al capitolo 13, verso 8, dove si parla degli adoratori della Bestia, «i cui nomi non sono scritti nel libro della vita dell'agnello, immolato dalla fondazione del mondo», [27] comprendendo che è l'Agnello che è stato immolato dalla fondazione del mondo; poiché, evidentemente, in questo caso, la sua immolazione potrebbe difficilmente essere interpretata come un'allusione ad un fatto storico recente. Ma Loisy fa osservare che un po' più avanti nell'Apocalisse (17:8) «si legge semplicemente: «gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti nel libro della vita dalla fondazione del mondo», [28] e conclude da questo confronto: «La menzione dell'«Agnello immolato» ha proprio l'aria di essere un'aggiunta nel primo passo citato. È la lista dei predestinati ad essere stata stilata dall'eternità; allo stesso modo, l'immolazione dell'Agnello è stata prevista dall'eternità», ma non è stata realizzata che più tardi. Couchoud ha replicato obiettando che Loisy ha introdotto dopo la parola «immolato» una virgola, che non è nel testo e che nulla obbliga a collocarla, isolando le parole «dalla fondazione del mondo», che si riferiscono solo a «quelli i cui nomi non sono scritti». Se «l'iscrizione o la non iscrizione nel libro della vita è stata fatta dalla fondazione del mondo», spiega Couchoud, «è logico per ciò stesso che l'immolazione dell'Agnello, causa di cui l'iscrizione nel libro della vita è l'effetto, abbia avuto luogo, anch'essa, dalla fondazione del mondo». [29] Si può aggiungere, benché non sia un argomento decisivo, che san Girolamo, nella sua traduzione latina (fine del IV° secolo), aveva compreso il testo greco in quell'ultima maniera. [30]

Ma se si ammettesse anche l'interpretazione di Loisy e se l'Agnello non è stato immolato dalla fondazione del mondo, nulla, ancora una volta, precisa l'epoca in cui è stata «realizzata» quella immolazione.

Però Loisy vuole comprendere egualmente il capitolo 12 dell'Apocalisse (il figlio inseguito dal Drago) come un'allusione ad un evento storico: l'autore «ha utilizzato un quadro, — già costruito, —un quadro ebraico dove era sfruttato un mito pagano fortemente intriso di astrologia, — se non per adattarlo al fatto di Gesù e del cristianesimo, mediante certi ritocchi e un'applicazione simbolica». Così la morte di Gesù e innanzitutto la sua esistenza terrena sembrerebbero ignorate, ma accade semplicemente che si è creduto di poterle includere in uno scorcio del quadro simbolico». [31]

E Loisy dà in seguito un'interpretazione generale della maniera con cui l'autore dell'Apocalisse ha concepito la carriera di Gesù: «Per lui... la nascita del Cristo bambino inaugura un dramma che continua e che si concluderà prossimamente. Se la vita terrena, la morte e la resurrezione del Cristo scompaiono dalla prospettiva, è perché il mito fornito» all'autore «dalla tradizione apocalittica le ignorava, e ... costituivano una sorta di parentesi nel grande dramma che ha descritto. Insomma, i tratti mitologici che trattiene sono come il segnale simbolico di tutto ciò che lascia intendere e che il lettore cristiano sa...». [32]

Questa sarebbe forse in effetti l'interpretazione che converrebbe dare all'Apocalisse, «se la vita terrena e la morte» del Cristo fossero stabilite per mezzo di altre testimonianze; ma se tali testimonianze mancano, il fatto di considerare questa vita terrena e questa morte «una sorta di parentesi» in un grande dramma non costituisce affatto un contributo positivo per stabilirne la realtà storica. [33]

Si veda a quale conclusione quasi negativa Loisy era condotto in un'opera, scritta nel 1938, dove voleva stabilire, contro un negatore, la prova di una carriera terrena di Gesù. Ma nelle opere precedenti, dove non aveva affatto tale preoccupazione, si era spinto molto più in là. «Della tradizione evangelica», scriveva ne La naissance du christianisme (1933), «l'Apocalisse ha poca cura». [34] E ne Le origines du Nouveau Testament (1936), dichiarava a proposito dell'Apocalisse: «Da un capo all'altro, è il Cristo a venire che è al centro della scena... A dire il vero, l'autore dell'Apocalisse sembrerebbe ignorare tutto» della predicazione evangelica. «Questo fatto non è significativo?». [35

Le valutazioni di Goguel.

Goguel riconosce, nella sua opera Jésus, che «il Cristo dell'Apocalisse, malgrado il nome di Gesù col quale è più spesso indicato, è un essere celeste; è il Signore che è nei cieli e di cui si attende il ritorno (1:5 e seguenti, 13 e seguenti; 3:11)...». [36]

«Ma,» — scrive d'altra parte Goguel — «questo essere celeste ha avuto una storia umana ed è per questo che è il Salvatore». Egli cita cita: [37]

a) Capitolo 1, verso 5: «Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno... Amen!»

Fermiamoci all'espressione: «il primogenito dei morti». Lo stesso Goguel ne ha dato lui stesso il commento in un'altra delle sue opere, La naissance du christianisme: «La preesistenza del Cristo è nettamente affermata. Il Cristo è il principio della creazione di Dio (Apocalisse 3:14), il primo e l'ultimo» (1:17; 2:8; aggiungere: 22:13). [38] Quella eternità è una «storia umana»? Si tratta del Cristo, si dirà, non di Gesù; d'accordo, ma nulla situa Gesù nel tempo.

b) Capitolo 1, verso 18: «Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli». [39] Morte e resurrezione di Gesù sono proprio il credo essenziale del cristianesimo: ma là ancora, nessuna indicazione di tempo.

c) Capitolo 2, verso 8: «Queste cose dice il primo e l'ultimo, colui che era morto, e che è tornato in vita». Stessa osservazione. [40

Inoltre, come non sottolineare l'estrema brevità del racconto di quella storia umana?

Goguel insiste sulla frequente menzione del sangue dell'agnello immolato: «È perché l'Agnello è stato immolato che egli è degno di rompere i sigilli del libro» (5:6 e 9); [41] quella concezione «presuppone», scrive, «una dottrina della redenzione che, come quella di Paolo, è un'interpretazione del dramma del Calvario». Senza dubbio la dottrina della redenzione è un elemento fondamentale del credo paolino, e la figura dell'«agnello immolato» la esprime in una maniera impressionante, ma si riconoscerà che è una «interpretazione» molto lontana «del dramma del Calvario». [42]

«Se non vi è, nell'Apocalisse», riconosce ancora Goguel, «alcuna allusione diretta al racconto della passione, è necessario», aggiunge, «per apprezzare la portata di questo fatto, tener conto, da un lato, della natura allegorica del libro, e, dall'altro, del fatto che è stato scritto in un momento in cui la letteratura evangelica era già abbastanza sviluppata, e la tradizione, dappertutto conosciuta. La sola menzione dell'agnello immolato evocava per i lettori il ricordo della passione con una sufficiente chiarezza».

Queste affermazioni di Goguel sollevano due osservazioni. In primo luogo, il suo ragionamento presuppone che si ammetta per la prima stesura dei vangeli l'ultimo terzo del I° secolo, come per quella dell'Apocalisse; ma abbiamo visto che Loisy non fa risalire i Vangeli prima dell'inizio del II° secolo. In secondo luogo, e soprattutto, Goguel ammette come dimostrata la «tradizione» evangelica della Passione di Gesù, come quella di un dramma umano recente; ma nella nostra rassegna degli scritti, operata per ordine cronologico, non abbiamo finora trovato alcun testo che l'attesti, e ne abbiamo trovati due, nelle epistole paoline, corroborati da altri due nell'Ascensione di Isaia, che attestano il contrario; Goguel si appoggia su ciò che si tratta precisamente di dimostrare. 

Goguel invoca ancora, per stabilire che «l'autore dell'Apocalisse conosce la tradizione evangelica», un certo numero di allusioni, che confronta a passi dei Vangeli. Egli cita: [43]

a) Apocalisse 3:3 (lettera alla Chiesa di Sardi). «Se non sarai vigilante, io verrò come un ladro, e tu non saprai a che ora verrò a sorprenderti». — Vangelo di Matteo 24:43-44: «Se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe... Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà» (si veda Vangelo di Luca 12:39-40).

b) Apocalisse 3:5: «Chi vincerà... confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli» — Matteo 10:32: «Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli» (si veda Luca 12:8).

c) Apocalisse 13:10: «Se uno dev'essere ucciso con la spada, bisogna che sia ucciso con la spada». —Matteo 26:52: «Tutti quelli che prendono la spada, periranno di spada».

d) Apocalisse 21:6 e 22:17: «A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell'acqua della vita». —Vangelo secondo Giovanni 7:37: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva» (si veda Giovanni 4:10 e seguenti).

I confronti sono esatti, ma Goguel conclude che «l'autore dell'Apocalisse conosce la tradizione evangelica»: accade, ancora una volta, che egli considera come stabilita «la tradizione evangelica»; ma si può benissimo ritenere che i Vangeli si siano ispirati all'Apocalisse. Lo si può fare tanto meglio in quanto l'Apocalisse, nell'essenzialae, non è posteriore alla fine del I° secolo, e in quanto, se Goguel data il Vangelo di Matteo e quello di Luca dall'85 al 90, e quello di Giovanni dal 90 al 100, Loisy abbassa la stesura di questi tre Vangeli tra il 130 e il 144. [44] Si può anche notare che Goguel non ha trovato alcun confronto da fare tra l'Apocalisse e il Vangelo di Marco, il più antico dei quattro, fatto che sembra andare contro una tradizione evangelica e nel senso di un semplice utilizzo, da parte dei Vangeli più recenti, dell'Apocalisse, quando la conoscenza di quella è stata diffusa.

Infine Goguel ha sottolineato, nel suo libro su Jésus, l'influenza della tradizione ebraica sull'Apocalisse: «Il capitolo 12» (la persecuzione della madre di Gesù da parte del dragone) «è certamente l'adattamento di un frammento apocalittico ebraico più antico...». È impossibile infatti ammettere che alla fine del I° secolo un cristiano si sia rappresentato il Messia sollevato al cielo immediatamente dopo la sua nascita.[45] Forse, ma allora cosa diviene della tradizione evangelica sulla vita terrena e sulla passione di Gesù? E nella sua opera su La naissance du christianisme, Goguel si è spinto più lontano ancora: «Il pensiero dell'autore dell'Apocalisse è molto più in linea con il cristianesimo palestinese che con quello paolino. Può sembrare che derivi soprattutto dalla tradizione ebraica, così tanto appare disinteressarsi della storia evangelica». [46

Si veda la prudenza delle valutazioni di Goguel sull'Apocalisse, come documento relativo alla carriera terrena di Gesù.

Le negazioni di Guignebert

Tuttavia Guignebert, esaminando nell'opera che ha dedicato a Jésus le informazioni  o allusioni che si possono trarre a suo riguardo dai vari scritti del Nuovo Testamento, elimina l'Apocalisse in poche parole: «Non abbiamo nulla da sperare.... dal simbolismo dell'Apocalisse e dalla sua glorificazione dell'Agnello immolato, che interessano solo la storia della cristologia», [47] cioè l'evoluzione dei credi relativi alla natura del Cristo-Dio, e non la sua vita in questo mondo. 

NOTE

[1] Noi sottolineeremo di seguito tutte le espressioni che possono sembrare rapportarsi alla carriera terrena di Gesù, come la presentano i Vangeli.

[2] Si veda Emile MIREAUX, La reine Bérénice, 1951, Appendice III: La data dell'Apocalisse di san Giovanni, pag. 243-245: «Quella Bestia ha un numero, che è un «numero d'uomo» (Apocalisse 13:18), ovvero che indica un uomo»: Nerone, secondo la maggior parte dei commentatori; l'insieme degli imperatori fino al 70 dell'era cristiana, suggerisce Mireaux.

[3] Si veda sopra, pag. 285 (Apocalisse 13). 

[4] Si veda sopra, pag. 284-285: «Ella partorì un figlio maschio, il quale deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro» (Apocalisse 12:5).

[5] Si veda sopra, pag. 287 (Apocalisse 17:14).

[6] Si veda sopra, pag.285 (Apocalisse, capitolo 13).

[7] Si veda sopra, pag. 285 (Apocalisse 13:8).

[8] Si veda più sopra, pag. 282.

[9] Si veda più sopra, pag. 62 e seguenti.

[10] Loisy, Histoire et mythe..., pag. 88.

[11] Si veda più sopra, capitolo 3, sezione 1.

[12] Si veda più sopra, pag. 281-282.

[13] LOISY, Histoire et mythe..., pag. 91.

[14] LOISY, ibid., pag. 205-206.

[15] LOISY, ibid., pag. 201-203 e 205-206.

[16] GOGUEL, Jésus, pag. 445, nota 2.

[17] Si veda più sopra, pag. 14, nota 6.

[18] GOGUEL, Jésus, pag. 445, nota 2.

[19] Il riferimento diretto a Zaccaria 12:10 è fatto nelle Bibbie con concordanze, in nota ad Apocalisse 1:7.

[20] LOISY, Les origines du Nouveau Testament, pag. 324.

[21] LOISY, La naissance du christianisme, pag. 84 (si veda più sopra, pag. 256-257).

[22] Si veda LOISY, Remarques sur la littérature épistolaire du Nouveau Testament (1935), pag. 145, Les origines du Nouveau Testament, pag. 322-323, Histoire et mythe, pag. 77, nota 2, 86-87, 199-200. — Quanto al passo citato della 1° Epistola ai Corinzi, Turmel e Loisy sono d'accordo nel non vedervi una parola di Paolo; ma, come quasi sempre TURMEL (pseudonimo: DELAFOSSE) l'attribuisce alla scuola di Marcione (La I° Epître aux Corinthiens, pag. 35-36 e 142-143. LOISY a dei discepoli mistici di Paolo (La naissance du christianisme, pag. 19).

[23] GOGUEL, Jésus, pag. 95, nota 2.

[24] LOISY, Histoire et mythe, pag. 87.

[25] Ibid.

[26] LOISY, Histoire et mythe..., pag. 28.

[27] Si veda più sopra, pag. 285. — La traduzione francese data qui segue esattamente l'ordine delle parole del testo greco.

[28] Si veda più sopra, pag. 287.

[29] COUCHOUD, Jésus, Dieu ou homme? (Nouvelle Revue Française, 1° settembre 1939), pag. 408.

[30] Traduzione latina di san Girolamo, detta Vulgata (ossia testo diffuso e generalmente accettato): «quorum non sunt scripta nomina in libro vitae Agni, qui occisus est ab origine mundi».

[31] Loisy, Histoire et mythe, pag. 93.

[32] Ibid.

[33] COUCHOUD, nell'articolo citato, pag. 409, aveva, pure lui, rilevato l'espressione di «parentesi», impiegata da Loisy. 

[34] LOISY, La naissance du christianisme, pag. 37.

[35] LOISY, Les origines du Nouveau Testament, pag. 321. Per il senso dato da Loisy all'importante passo dell'Apocalisse (11:8) sul «Signore crocifisso», si veda nel corpo della presente opera il capitolo 3, sezione 2, l'Apocalisse, pag. 80-81. 

[36] GOGUEL, Jésus, pag. 95.

[37] GOGUEL, Jésus, pag. 95.

[38] GOGUEL, La naissance du christianisme, pag. 403.

[39] Si veda più sopra, pag. 282.

[40] Goguel cita ancora, 5:9: «Tu hai riscattato per Dio con il tuo sangue gli uomini di ogni nazione»; ma queste parole sono rivolte all'agnello «immolato»: è difficile vedervi una «storia umana. Per la menzione fatta da Goguel del passo relativo al «Signore crocifisso» (11:8), si veda nel corpo della presente opera il capitolo 3, sezione 2, l'Apocalisse, pag. 80, nota 89.

[41] Si veda più sopra, pag. 282.

[42] Si può segnalare che, in un'altra opera, La naissance du christianisme, pag. 404, nota 1, Goguel dichiara che la parola greca arnion è tradotta comunemente, ma scorrettamente, con agnello; la traduzione autentica è ariete; non si tratta quindi di un «debole animale, che soffre senza potersi difendere, ma di una bestia piena di forza e di ardore, che marcia alla testa dell'esercito, lo conduce e lo difende». Quest'interpretazione è evidentemente più in rapporto con la figura del Cristo guerriero del capitolo 19 dell'Apocalisse (si veda più sopra, pag. 281), nondimeno Goguel mantiene l'idea del sacrificio: «il Cristo», scrive, «è l'arnion (ariete), che è stato immolato».

[43] GOGUEL, Jésus, pag. 95, nota 1.

[44] GOGUEL, Jésus, pag. 104 e 107-108. — LOISY, Les origines du Nouveau Testament, pag. 74 e 184.

[45] GOGUEL, Jésus, pag. 97.

[46] GOGUEL, La naissance du christianisme, pag. 404.

[47] GUIGNEBERT, Jésus, pag. 27.

Nessun commento: