venerdì 10 luglio 2020

Dramma liturgico



DRAMMA LITURGICO

Si è accostato il Barabba evangelico al Carabba di Alessandria in quanto i due nomi non si differenziano che per una lettera e il suono della pronuncia dell'uno è vicino a quello dell'altro. Questo non è impossibile, ma non è che un'ipotesi. Si noterà anche che Barabba viene rilasciato mentre Carabba rimane prigioniero, a cui si può opporre il fatto che Barabba si chiamava anch'egli Gesù e che un Gesù è stato deriso e ucciso. Forse si è avuto uno sdoppiamento del personaggio.

Ciò che vi è di interessante negli esempi precedenti è che essi stabiliscono che alcuni episodi del Nuovo Testamento provengono dal folclore o da antichi miti religiosi, da usanze e da tradizioni il cui significato primitivo era dimenticato. Chi, oggi, può vedere nel Carnevale di Nizza le vestigia di feste pagane come le Dionisiache, i Saturnalia, i Lupercalia?

Sappiamo che in varie epoche alcune scene degli antichi misteri — in precedenza riservate agli iniziati — furono svelate e rappresentate in pubblico, e che altre che erano solo preliminari all'iniziazione o ne davano solo l'aspetto essoterico erano universalmente conosciute. Quanto agli spettatori — almeno la maggior parte di loro — prendevano per la realtà quelli che non erano che gesti rituali e credevano all'esistenza degli dèi o degli eroi leggendari, poiché vedevano agire e sentivano parlare gli attori che li rappresentavano. Nessuno ignora che il teatro greco è nato in parte dalla rappresentazione pubblica di antichi misteri.

Sarebbe sorprendente se i Cristiani, circondati da religioni misteriche, e vivendo in un'atmosfera di feste e rappresentazioni religiose, non abbiano posseduto anche i loro drammi liturgici. Un'eccezione del genere sarebbe tanto più sorprendente in quanto il cristianesimo non ha potuto diffondersi che adottando gli usi pagani.

Gesù e san Paolo dispensavano entrambi un insegnamento generale alla moltitudine, ma riservavano ai loro «fratelli» le rivelazioni particolari e segrete. La significativa espressione dell'Epistola ai Galati (3:1) «davanti ai cui occhi Gesú Cristo è stato mostrato crocifisso» ricorda forse un'antica maniera di rappresentare la crocifissione; il passo suggerisce l'esposizione di un dipinto o di uno spettacolo. La Epistola ai Corinzi contiene due riferimenti a rappresentazioni teatrali e, in 4:9, gli apostoli sono paragonati ad una truppa di gladiatori destinati a morire sotto gli occhi degli arconti e degli uomini. In un altro passo (7:1) «passa la scena di questo mondo» si è potuto vedere un'allusione ad un dramma tratto o dal cambio di scena, o dal passaggio attraverso la scena di una processione. [128]

All'inizio del IV° secolo, Cristiani e Pagani avevano trasferito, a quanto sembra, le loro polemiche al teatro. L'episodio del mimo Genesio che si dichiara cristiano sul palcoscenico ne è un indizio. D'altra parte, Gregorio di Nazianzo sottolinea, intorno al 363, che i Cristiani sono vittime delle cattive parole dei Pagani. «Ci si fa comparire sulla scena — lo dico quasi piangendo — e ci si burla di noi in una maniera indegna. Non uno spettacolo teatrale che piaccia di più del Cristiano sbeffeggiato».

Si deve pensare che i Cristiani non si difendessero utilizzando metodi simili? Già l'autore degli Atti (19:23-40) sembra segnalare un intervento dei Cristiani di Paolo a Efeso nel teatro della grande Artemide.

Più tardi, intorno al 420, san Proclo, vescovo di Costantinopoli, paragona nella sua terza predica le feste pagane a quelle cristiane e non vede tra di esse che una differenza di natura morale. Nel suo quarto sermone, esorta padri, madri e figli a venire a vedere la vergine e il bambino fasciato nella sua culla; nel suo sesto sermone, rende conto a lungo del dialogo tra Giuseppe e Maria; questi dettagli, così come tutte le allusioni alle feste e ai misteri, indicano pratiche cristiane piuttosto simili alle rappresentazioni drammatiche dei pagani mille anni prima dei primi drammi liturgici del nostro medioevo. 

Per J.-M. Robertson, l'autore di Pagan Christs e di Christianity and Mythology, il vangelo di Matteo (cap. 26) è semplicemente la rappresentazione di un'azione drammatica e di un dialogo. Gli eventi sono accatastati gli uni sugli altri senza preoccuparsi della plausibilità. L'azione è compressa nel tempo. Il contenuto è puramente drammatico. Quello che leggiamo è il testo nudo di una rappresentazione primitiva; non si riporta che ciò che si svolge sulla scena. Non si smette di essere i testimoni di un dramma che non ha bisogno di descrizione perché lo spettatore vede la scena. Il copista riproduce semplicemente l'azione e le parole, tranne quando è obbligato a spiegare un episodio come quello di Barabba. La scena del giudizio, quella dell'incoronazione derisoria non sono che parole pronunciate e azione recitata; più tardi, Luca espanderà il racconto. Nulla era detto di Gesù perché tutti lo vedevano sulla scena. Per contro la resurrezione non si rappresentava; essa era raccontata. Forse un attore, travestito da angelo, ne faceva il racconto alle pie donne.

La messa non è forse un dramma composto di canti e di recitazioni, di dialoghi tra l'officiante, il clero e i fedeli? Non è forse la commemorazione di un sacrificio e la sua rappresentazione simbolica allorché il sacerdote prende il posto di Dio che offre il suo corpo? Ancora oggi il vangelo della Passione si legge a tre voci (Gesù, il popolo, l'evangelista). 

Questi indizi non depongono evidentemente a favore di un evento storico a sostegno del quale i vangeli apporterebbero una testimonianza ammissibile. Noi ci troviamo in piena liturgia. 

Qui dovremmo riportare le rassomiglianze tra la tragedia di Euripide Le Baccanti e la Passione del Cristo. In una Rivista del Cercle Ernest-Renan, [129] Il signor Léon Herrmann ha scritto: «Nelle Baccanti non si vedeva forse un dio incarnato sotto una forma umana? La sua natura divina non era forse stata contestata perfino nella sua stessa famiglia? Non si presentava come mediatore e come procuratore della salvezza eterna (Baccanti v. 806)? Soprattutto, la tragedia mostrava quale pericolo ci fosse nel negare la divinità di un essere di apparenza umana i cui atti misteriosi erano capaci di confondere la cosiddetta sapienza umana? (Baccanti v. 1391-1392)».

NOTE

[128] Al momento del «trionfo» di Tito a Roma nel 71, al seguito della guerra giudaica, un grande sforzo fu realizzato per impressionare gli animi; è così che un certo numero di palchi rotanti fecero parte della processione, palchi sui quali erano rappresentate scene della guerra che era appena terminata; il ricordo ne è stato conservato per mezzo delle due scene scolpite sull'arco di Tito nel foro di Roma.

[129] Cahier n° 24: Saint Paul et les dieux païens

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