domenica 15 marzo 2020

Tacito



TACITO 

Veniamo ora alla «testimonianza» di Tacito che, se è di lui, si colloca intorno agli anni 116-117. Nei suoi Annales (15:44), questo autore ci insegna che Nerone accusò i Crestiani di aver dato fuoco a Roma nell'anno 64 e che il loro nome sarebbe venuto da Cristo che era stato, sotto il principato di Tiberio (14-37), consegnato al supplizio da Ponzio Pilato. Egli aggiunge che questa detestabile superstizione, repressa all'epoca, rinacque non soltanto in Giudea ma a Roma.

Quando le si leggono attentamente e senza pregiudizio dottrinale, quelle dichiarazioni, quantunque tradizionalmente celebri, provocano un certo disagio.

Tacito non è un testimone diretto di quel che riporta; egli scrive ottantasette anni dopo la crocifissione di Gesù e cinquantatré anni dopo l'incendio di Roma. Parlando di questa catastrofe, si interroga lui stesso: «essa si verificò, non si sa se accidentale o per cattiveria del principe — e le mie fonti mi hanno tramandato le due versioni». In 15:38, egli ignora la terza versione, quella dell'accusa recata contro i cristiani, che ci presenterà il paragrafo 15:44. 

Fatto egualmente singolare: Tacito, come Plinio, non conosce il nome di Gesù; egli parla solamente del Cristo e prende questo appellativo cultuale per un nome proprio. Ma non si è nemmeno sicuri se il passo primitivo non parlasse di Chrestus; sembra, in effetti, che sull'unico manoscritto Mediceus di Tacito la lettera e di Chrestus sia stata graffiata poi sostituita dalla lettera i, come nella parola Chrestianos (si veda pag. 28). [21

Tacito, menzionando per la prima volta i Cristiani, non prova il bisogno di spiegare ai suoi lettori cosa sono questi settari, in cosa consisteva il loro movimento che sarebbe stato represso tra il 14 e il 37 sotto Tiberio, come mai quella setta fu tollerata in Roma e perché era esecrabile. 

Ma i nostri sospetti riguardo a questo testo si aggravano irrimediabilmente quando vedremo Tacito mettersi in contraddizione con sé stesso. 

Dopo aver letto gli Annales, apriamo le sue Storie al libro 5, sezione 9, e leggiamo il testo: «Dopo la morte di Erode (nel 4 A.E.C.) senza attendere gli ordini di Cesare, un certo Simone aveva usurpato il nome di re. Egli fu punito da Quintilio Varo... SOTTO TIBERIO LA NAZIONE FU TRANQUILLA poi, avendo ricevuto da Caio Cesare (Caligola) l'ordine di collocare la sua immagine nel tempio nel 40, preferì prendere le armi; la morte di Cesare (nel 41) arrestò questa rivolta».

La sezione 10 di questo stesso libro 5 ci insegna che: «i Giudei soffrirono nondimeno con pazienza fino al procuratore Gessio Floro sotto il quale la guerra scoppiò», [22] ossia nel 66, poi Vespasiano arrivò inviato da Nerone.

Così, secondo il Tacito delle Storie, non vi fu alcun disturbo in Giudea sotto il regno di Tiberio (14-37), non vi fu repressione di una «abominevole superstizione», non vi fu un Cristo crocifisso. Tuttavia, l'occasione era buona per parlare del Cristo re dei Giudei dopo aver menzionato Simone che si era proclamato re. Inoltre, Tacito ricorda la rivolta del 40 e la guerra del 66-70; non aveva alcuna ragione di nascondere gli incidenti dell'anno 30 in Palestina e quelli dell'anno 64 a Roma se li avesse conosciuti e lui li avrebbe conosciuti se fossero accaduti. Ora, [23] le Storie sono state scritte prima degli Annales; da dove viene la documentazione aggiuntiva degli Annales? Perché Tacito non dichiara, in questa seconda opera, che egli rimedia su questo punto ad un errore che ha fatto nella prima? Ha voluto infliggersi una smentita senza sottolinearlo? Oppure un correttore non ha saputo che Tacito aveva rovinato in anticipo ciò che lui gli avrebbe fatto dire? 

Certo, malgrado questa contraddizione, si può preferire il Tacito «migliorato» degli Annales senza il quale la leggenda dell'orribile persecuzione a Roma dei Cristiani da parte di Nerone non esisterebbe. Per quanto ci riguarda, noi abbiamo serie ragioni per dubitarne.

L'anno 64 ha potuto, nella mente dell'annalista, segnare gli inizi dell'agitazione che sarebbe culminata nel 66 nella Guerra Giudaica e, a torto o a ragione, egli ha supposto che i gruppi ebraici di Roma avessero allo stesso tempo manifestato una certa turbolenza e potessero essere accusati di aver dato fuoco alla città. Tuttavia ciò non è sicuro e ciò non riguarda i Cristiani che non ricevettero il loro nome se non nel 130 o 150 circa. 

Noi sappiamo d'altra parte che i Cristiani non si sono recati presto a Roma. Il Gesù evangelico si era riservato esclusivamente «alle pecore d'Israele» (Matteo 15:24) e aveva raccomandato agli apostoli di allontanarsi dai pagani (Matteo 10:5-6).

E se Paolo si recò a Roma è perché vi fu costretto (Atti 25:12, 26:32); era un prigioniero che le guardie conducevano al suo giudice. Quando arriva nella capitale, è agli ebrei che si rivolge e sono gli ebrei che gli rispondono (Atti 28:14-29): «Noi non abbiamo ricevuto nessuna lettera sul tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te... ma, a nostra conoscenza, la setta di cui fai parte trova dappertutto opposizione». Dappertutto? In ogni caso non a Roma poiché gli ebrei di questa città non sanno nulla sulla nuova setta né su Paolo. Il nome di «cristiani» non è pronunciato. Così, il Nuovo Testamento testimonia contro la presenza dei Cristiani a Roma al tempo dell'incendio. [24]

Flavio Giuseppe che era a Roma nel 64 non menziona l'incendio. Se Plinio il Vecchio, Svetonio, Dione Cassio riportano l'accusa contro Nerone senza dire nulla su una massiccia persecuzione degli incendiari, è perché non la conoscevano. 

Constatazione inquietante: tra l'anno 68 e l'anno 1000, nessun autore cristiano (ad eccezione di Sulpicio Severo)  fa uso del passo di Tacito sulla persecuzione dei Cristiani. Ora, precisamente, il manoscritto più antico degli Annales è attribuito all'XI° secolo e ha dovuto restare a lungo confidenziale poiché nel XIV° secolo Dante e Niceforo Callisto (autore di una Storia Ecclesiastica) ignoravano il martirio collettivo dei Cristiani sotto Nerone riportato da questo manoscritto. 

Non ci si può stupire di conseguenza del fatto che la persecuzione dei Cristiani sotto Nerone sia rimasta sconosciuta all'Apocalisse, a Tertulliano (che tuttavia aveva l'opera di Tacito sotto gli occhi), a Lattanzio, a Origene, ad Eusebio, a sant'Agostino; perfino quando alcuni di questi scrittori fanno allusione ad un inizio di persecuzione sotto Nerone, non hanno alcuna idea dell'accusa di incendiari lanciata contro i Cristiani né di un «gran numero» di fedeli consegnati alle fiamme. 

Nel IV° secolo, Cirillo di Alessandria si sforza di confutare l'imperatore Giuliano; ma, quando costui dichiara che Gesù è stato sconosciuto agli scrittori prominenti dell'epoca, Cirillo non gli obietta il passo degli «Annales» di Tacito. 

Parallelamente i polemisti anti-cristiani Frontone, Celso, Luciano, Porfirio non hanno sollevato questa denuncia contro Nerone. Questa serie impressionante di silenzi sarebbe stata interrotta un istante da Sulpicio Severo che, intorno al 400, scrisse una Storia sacra della Chiesa. È, in effetti (se il suo testo è autentico) il primo degli autori cristiani ad accusare Nerone di aver ritenuto i Cristiani gli incendiari di Roma e di averli trasformati in torce viventi. Si è preteso che egli avesse attinto da Tacito il famoso passo che, alla sua epoca e più tardi, non fu utilizzato da nessuno. Come non pensare che Tacito e Sulpicio Severo siano stati completati successivamente? Questo silenzio di mille anni su un tema così grave non può spiegarsi diversamente.

L'idea di questo piccolo romanzo — la cremazione dei Cristiani nel 64 — forse viene dalla corrispondenza apocrifa tra Seneca e san Paolo che fu «fabbricata» nel IV° secolo. La lettera 12° inviata dal primo fa allusione all'incendio di Roma in termini che si oppongono a quelli di Tacito. Vi si apprende che l'innocenza dei seguaci di Paolo è condannata a frequenti supplizi; non si tratta quindi di un castigo eccezionale come quello di cui parlano gli Annales. Vi sarebbero stati a Roma frequenti incendi e le autorità avrebbero inviato continuamente al supplizio i Cristiani e gli ebrei, gli uni e gli altri essendo descritti come incendiari. Ma Tacito non fa alcuna allusione agli ebrei mentre lo pseudo-Seneca ignora le torce viventi che illuminano la notte. Attraverso il silenzio degli uni e le contraddizioni degli altri si scorge una leggenda nell'atto di formarsi, leggenda che sarà fissata da un «editore» dell'XI° secolo e infilata in Tacito. [25]

NOTE

[21] Si veda il riferimento in Jésus le Dieu fait homme di Couchoud, 1937, pag. 160.

[22] È esattamente ciò che dice Flavio Giuseppe (18:2) nelle sue Antichità: «Gessio Floro, governatore della nostra nazione, l'ha trattata in tale maniera che l'ha spinta a rivoltarsi contro i Romani». Per lui, non si ha avuta alcuna rivolta nel 30.

[23] Ci si può stupire del fatto che Tacito scrivendo intorno al 11-117, quando era appena stato (dopo il suo amico Plinio) proconsole d'Asia, non parli dei Cristiani della regione vicina.

[24] D'altra parte, l'interruzione del viaggio di Paolo per sette giorni a Pozzuoli, le visite che ricevette a Roma sono incompatibili con la sua condizione di prigioniero. Si è voluto così servirsi dell'Epistola ai Romani per pretendere che esistevano dei Cristiani a Roma prima dell'arrivo di Paolo in quella città; ma l'indicazione di Roma non figura in tutti i manoscritti di quella lettera, la quale non è che un trattato al quale si è data la forma di una lettera. Vi si legge che la vostra fede «è celebrata nel mondo intero», il che è inesatto nel 61. La nostra epistola è un'opera di paolini intorno all'anno 120. Tertulliano non credeva che siano esistiti dei Cristiani a Pompei al tempo dell'eruzione del Vesuvio nell'80 (Apologetico 40).

[25] Altra ipotesi: il testo attribuito a Tacito ha potuto essere fabbricato sulla base di quello di Sulpicio Severo (espressioni analoghe) e quest'ultimo ha potuto riportare una leggenda formata al suo tempo.

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