sabato 14 marzo 2020

La testimonianza degli altri



LA TESTIMONIANZA DEGLI ALTRI

PLINIO IL GIOVANE

Il primo testo latino riguardante il cristianesimo risalirebbe, se non è apocrifo, all'anno 111; è la Lettera che sarebbe stata inviata da Plinio il Giovane, allora governatore di Bitinia, all'imperatore Traiano per domandargli quale condotta dovesse tenere nei confronti dei Cristiani «che si riuniscono al giorno stabilito prima del levar del sole per recitare tra loro alternativamente un inno a Christus come a un dio» (carmen Christo quasi deo).

L'autenticità di quella lettera di Plinio è stata messa in discussione ma, se è realmente di Plinio, cosa ci dice? Che i cristiani, in Bitinia, sarebbero già stati conosciuti dalle autorità romane verso il 111, forse anche vent'anni prima, [14] e che recitavano tra loro un inno al Cristo come a un dio. L'autore vuole insinuare che si tratti di un uomo divinizzato oppure di un nuovo dio che non conosce? Prestargli l'idea che delle persone potessero rivolgere preghiere ad un personaggio deificato di cui nessuno fino a lui non ha inteso parlare, ciò creerebbe difficoltà; se fosse stato così, Plinio non avrebbe mancato di parlarne all'imperatore. Per contro, trattandosi del dio sconosciuto di una setta misterica, il suo silenzio si comprende.

D'altra parte, Plinio non menziona il nome di Gesù; questo è importantissimo. Non conosce l'assimilazione di questo Cristo bitinico col Gesù palestinese. Non è dunque un testimone decisivo ma è almeno un testimone? È lui l'autore della lettera? [15]

Ci viene detto che nessun dubbio è possibile su questo soggetto perché Tertulliano (intorno al 200) utilizzava quella lettera. Questo sarebbe evidentemente un argomento di peso se fossimo sicuri che Tertulliano avesse sotto gli occhi un testo autografo di Plinio e non una copia più o meno fedele, ossia un apocrifo. Tertulliano avrebbe potuto conoscere un falso Plinio come ha conosciuto un falso Pilato; egli era così credulone al punto da pretendere che Giove e Saturno erano stati degli uomini. 

Inoltre ci sembra sorprendente:

— che Plinio e Traiano si siano serviti verso il 111 del nome di «cristiani» che abbiamo visto utilizzare per la prima volta dall'imperatore Adriano intorno al 131 in un senso molto particolare, e soltanto nel 150 circa dagli apologisti nel senso che ci è divenuto familiare. 

— che Tertulliano non specifica che Plinio governava la Bitinia; «egli amministrava una provincia», scrive semplicemente.

Inoltre, la Storia Augusta non parla di Plinio in Bitinia e, nel suo compendio della Storia romana di Dione Cassio, il monaco Xifilino parla della Bitinia senza menzionare Plinio. Allo stesso modo, Eusebio definisce Plinio il più illustre dei governatori delle province senza dire i paesi dove fu inviato. Gli storici profani, infine, omettono di menzionare questo proconsolato di Plinio, e questa lettera di Plinio è l'unica che fa menzione dei Cristiani.

— che Tertulliano scrisse novant'anni dopo la lettera attribuita a Plinio, e che i suoi scritti non ci sono conosciuti che da manoscritti dell'XI° secolo che offrivano letture diverse e che sono stati perduti dopo la loro pubblicazione nel sedicesimo secolo.

Spinti dalla logica dei fatti fino a questo punto di scetticismo, non si può più stupirsi di fare la seguente constatazione: 

La corrispondenza tra Plinio e Traiano costituisce il 10° libro delle Lettere e questo 10° libro non è apparso che nel 1502. Orbene, intorno all'anno 470, Sidonio Apollinare scrisse che Plinio aveva fissato a nove il numero di libri della sua raccolta epistolare, a nove, non a dieci. Si comprende il fatto che questa testimonianza abbia fatto riflettere gli eruditi del XVI° secolo; uno di loro, J.M. Cataneo, procedendo ad una nuova edizione delle Lettere di Plinio nel 1505, precisava: «Coloro che negano che le lettere di Traiano siano di Plinio dichiarano che non hanno potuto leggere in nessun manoscritto originale. Noi dobbiamo confessare che la nostra prima intenzione fu di non comprendere nella nostra edizione queste Lettere poiché non erano state pubblicate se non dopo un unico manoscritto estremamente antico e di cui non abbiamo potuto servirci...».

A peggiorare le cose, questo manoscritto «unico, estremamente antico» fu perduto dopo aver servito alle edizioni del 1502 e 1508. L'esistenza di questo manoscritto non potrebbe essere messa in dubbio ma non si sa da dove venisse né se riproducesse un testo autentico di Plinio o se non fosse l'opera di un falsario. 

In queste condizioni, si comprenderà che la nostra fiducia in questa famosa lettera sia piuttosto limitata soprattutto quando ci domandiamo perché Plinio avrebbe scritto una tale lettera a Traiano.

Tentiamo di comprendere. Plinio era un giureconsulto di talento, un grande avvocato a cui le province affidavano le loro rivendicazioni davanti al Senato, a cui si rivolgevano i proconsoli in stato di accusa delle province così come i pretori per la preparazione dei loro arresti; era stato nominato da Traiano «quaestor principis», consigliere personale del principe. Si può immaginare che un tale personaggio si sia sentito obbligato a consultare l'imperatore con il pretesto che non possedeva un precedente sul problema cristiano, nessun dossier al riguardo, nessuna informazione sul posto? 

Ma la Bitinia non era sconosciuta per Plinio; egli aveva già difeso davanti al Senato Basso poi Vareno accusati dai Bitini di abuso di potere e di prevaricazione; aveva proceduto a contro-inchieste in quella provincia. Prima della sua partenza, aveva avuto per informatore il suo amico Massimo, che era stato questore in Bitinia e lui disponeva certamente di collaboratori esperti di affari locali, di dossier e di informazioni di polizia.

Pensare che fosse partito per governare una provincia senza sapere che vi avrebbe trovato dei Cristiani e che la questione del loro status si poneva o si sarebbe posto, pensare che avrebbe domandato (al rischio di farsi mal giudicare) un consiglio all'imperatore che era proprio incaricato di consigliare e di rappresentare — e che era molto meno informato di lui — è inimmaginabile.

Cosa gli risponde allora l'imperatore? «Mio caro Plinio, la condotta da seguire era proprio quella che tu hai seguito». Infatti — e questo merita considerazione — Plinio domanda istruzioni quando tutto è regolato. I fedeli pagani affluivano di nuovo nei templi fino ad allora deserti [16] e i sacrifici, per un tempo trascurati, sono restaurati; il caso era «chiuso».

Attribuita a Plinio, la lettera è quindi inutile. In compenso, si intuisce l'interesse che poteva avere un apologeta cristiano della fine del II° secolo nel mostrare l'ignoranza e la negligenza dei giudici romani, l'innocenza dei Cristiani, la loro condanna basata unicamente sul nome che portavano, la propagazione miracolosa della loro fede (che ci porta verso l'anno 200), infine una valutazione equa della loro condotta espressa da un proconsole.

Per concludere, noi supponiamo che vi sia, alla base di questa lettera attribuita a Plinio, una nota proveniente da un funzionario romano di provincia intorno all'anno 180, nota alla quale il brano filo-cristiano sarà stato aggiunto e che, messa sotto il nome di Plinio, si trovò retrodatata di settant'anni.

Sembra, in effetti, che il cristianesimo non sia stato portato che molto tardi nelle province di Bitinia e del Ponto. Secondo gli Atti (16:7) «quando Paolo e i suoi compagni cercavano di andare in Bitinia, lo spirito di Gesù non lo permise loro». Noi sappiamo, d'altra parte che, due secoli dopo, «la città di Neocesarea... capitale del Ponto ... e molto popolata ... era nelle tenebre del paganesimo e non contava che diciassette cristiani». [18] Tra queste due epoche non abbiamo alcuna traccia di martiri di Bitinia, in particolare sotto Traiano. Gli unici nomi di martiri conosciuti sotto questo imperatore sono il vescovo di Gerusalemme Simeone e Ignazio di Antiochia; ma il primo è immaginario e il secondo retrodatato di cinquant'anni. [19

Di fronte agli ostacoli che si accumulano contro la tesi dell'autenticità dell'epistola di Plinio, ci si domanda se Tertulliano, nostro principale testimone, non provasse per i documenti adulterati una propensione eccessiva. Già Bruno Bauer ha fatto allusione agli «archivi ufficiali dove Tertulliano ha scoperto una nota che riportava che al momento della morte di Gesù il sole si era oscurato in pieno mezzogiorno». Si può egualmente ricordare la seguente affermazione del grande polemista cristiano (Apologetico 5): «Noi abbiamo avuto, al contrario, un protettore nel saggio Marco Aurelio; se ne avrà la prova se si ricerca la lettera con la quale questo imperatore... attesta che la sete dell'esercito di Germania fu dissipata per la pioggia che ottennero le preghiere di Cristiani che erano per caso nel numero dei suoi soldati». Ora, questa lettera apocrifa non ci è pervenuta che in greco e il suo autore si è tradito; scrivendo «per caso» dimostra di non sapere che i Cristiani dell'epoca rifiutavano il servizio militare ma, per attribuire loro il beneficio del miracolo, ne introduce eccezionalmente alcuni nell'esercito di Germania.

Da queste prospettive, il minimo che si possa assicurare, [20] è che la lettera di Plinio non costituisce una testimonianza sicura a proposito dei Cristiani o del Cristo; se fosse autentica e non interpolata, stabilirebbe del tutto semplicemente che Plinio ha conosciuto dei Cristiani che adoravano un Cristo come dio (il che non ci informa né sulla natura o sull'identità di quel Cristo, né sui Cristiani che lo veneravano) e che la sua testimonianza non è indipendente dalla tradizione cristiana poiché si basa sugli interrogatori dei cristiani.

NOTE

[14] Secondo questa lettera alcuni «Cristiani» dichiaravano che non lo erano più da almeno venti anni.

[15] Egli neppure associa quei «Cristiani» a quelli che sarebbero esistiti a Gerusalemme nel 30 e a Roma nel 64.    

[16] Il che è inesatto; i templi non erano abbandonati, né i sacrifici trascurati.

[17] Tutto è eccezionale nella situazione creata da Traiano in favore di Plinio il Giovane; l'imperatore domandò dapprima ai Patres di cedergli l'amministrazione diretta della Bitinia; invece di essere un proconsole, Plinio fu il legato propretore di Traiano e quest'ultimo aggiunse a quel titolo il potere consolare, accrescendo così il prestigio del suo rappresentante; Plinio diveniva il «vice» del suo padrone; era stato scelto per «la sua intelligenza, elastica, vigile, rapida a risolvere le situazioni più complicate...» (Carcopino, Testament de Pline le jeune, in «Rencontres de l'Histoire et de la Littérature romaines», Flammarion, Parigi, 1963).

[18] Tillemont. Mémoires pour servir à l'Histoire Ecclésiastique. Saint Grégoire Thaumaturge, art. 6.

[19] Turmel. Les Lettres d'Ignace d'Antioche. Si deve fare allusione alla 1° Epistola del pseudo-Pietro rivolta alla «Diaspora» di cui sei province tra le quali la Bitinia ? La prima citazione di quella lettera si trova nella Lettera di Policarpo ai Filippesi che si può datare con Turmel al 155-165; anche là, la testimonianza, vaga e tardiva, non ha alcun valore.

[20] In uno studio significativo apparso nel 1954: Les interpolations de la Lettre de Pline sur les Chrétiens (LATOMUS, Volume XIII, 3, pag. 343-355), il signor Léon Herrmann, professore all'Università di Bruxelles, ha concluso che la lettera era «parzialmente autentica ma piena di interpolazioni».

Egli osserva che il rescritto di Traiano risponde ad un solo punto della lettera di Plinio e passa così sotto silenzio altre due questioni: 1) Si devono graziare i Cristiani ? Sì, risponde l'imperatore, bisogna perdonare a coloro che si pentono. 2) Si devono trattare i bambini come gli adulti? Nessuna risposta. 3) Si deve perseguire il nome di Cristiano o le turpitudini che vi si associano ? Silenzio egualmente. Per quali ragioni Traiano non avrebbe risposto a tali interrogazioni ? Non sarebbe perché Plinio non gliele ha poste ? 

Quando si confronta la sua lettera con la risposta imperiale, si constata un'enorme sproporzione tra la lunghezza dell'una e quella dell'altra. Si scorgono così delle improbabilità: Plinio fa torturare due «presunte» donne cristiane; egli condanna a morte delle persone che «quale che fosse la natura di quel che confessavano», si mostravano ostinate nelle loro dichiarazioni; orbene, il dovere di Plinio consisteva proprio nell'informarsi della natura dei fatti per applicare e decidere le sue sanzioni.

Con l'aiuto di argomenti serissimi, il signor L. Herrmann segnala le interpolazioni che cela la Lettera di Plinio di cui ci restituisce verosimilmente il testo originale. La lettera autentica così ristabilita ha una lunghezza normale e non pone che una domanda a Traiano, il quale non manca di rispondervi; quella lettera non era conosciuta da Giustino.

Per contro, è la lettera interpolata che conosceranno Tertulliano, Girolamo, Eusebio, Sulpicio Severo e Orosio. L'autore o correttore poteva essere un certo Apollonio, martire cristiano del 184. Le interpolazioni daterebbero al periodo 155-184 che non è incompatibile con l'epoca indicata sopra da noi.

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