lunedì 23 marzo 2020

Le epistole di Paolo



Gesù Cristo
secondo il Nuovo Testamento

I testi cristiani ci pongono immediatamente di fronte ad una situazione inaspettata; essi ci presentano intrecciati tre ritratti di Gesù, ritratti inconciliabili e contraddittori, quelli di un dio e di due uomini i cui atti e i detti si oppongono tra loro. Così noi siamo posti di fronte ad un serio problema di cui dobbiamo conoscere i dati se non la soluzione.

Elimineremo dapprima i tratti del dio e, in seguito, sottolineeremo i detti divergenti dell'uomo Gesù, detti che (se provenissero da lui) stabilirebbero l'incoerenza di questa straordinaria personalità e farebbero dubitare della sua esistenza.

I. — Il dio

LE EPISTOLE DI PAOLO

Le più antiche testimonianze sul Cristo provengono da Paolo, le cui epistole sono precedenti di almeno mezzo secolo ai primi lineamenti del primo in ordine di tempo dei nostri vangeli. Questo solo fatto dovrebbe rendere prudenti i critici che volessero spiegare o commentare Paolo con l'aiuto di testi scritti molto tempo dopo di lui.

Queste epistole ci sono pervenute nel loro stato primitivo? Certamente no; sono state largamente modificate sia con aggiunte, cancellazioni, rimaneggiamenti, sia con il rifacimento di diverse note originarie in un'unica epistola, sia con la presentazione di brevi trattati sotto forma di epistole.

Sono tutte e interamente di Paolo? Alcune sono state messe sotto il suo nome, altre sono state modificate o completate tanto dai suoi discepoli quanto dai suoi avversari. Al di fuori dei circoli gnostici e paolini, esse furono tutte dapprima scartate a favore di una tradizione orale peraltro in via di formazione che era soprattutto giudeo-cristiana; [35] nel secondo secolo, Papia e Giustino non conoscevano Paolo; non è che più tardi, intorno al 145, quando la tradizione scritta si impose, che si dovette tener conto degli scritti di san Paolo che avevano almeno il merito di esistere. 

Dalle lettere che gli sono attribuite, si possono ricavare due diversi ritratti di Paolo:

— Il primo ritratto lo presenta come un cittadino della «diaspora», cittadino romano che parlava e scriveva in greco, avversario della Legge ebraica e in particolare della circoncisione;

— il secondo ritratto ce lo mostra come un pio ebreo, un fariseo, proveniente dalla tribù di Beniamino e il cui nome sarebbe Saulo.

A ciascuno di questi ritratti inconciliabili si allega, beninteso, una dottrina. Secondo la prima, il Gesù di Paolo è un essere divino disceso dal cielo sotto forma umana e morto in croce, risorto spiritualmente per assicurare la vittoria dello Spirito sulla Materia e, per ciò stesso, la salvezza degli uomini.

Secondo la seconda, il Gesù di Paolo sarebbe stato un uomo di carne, nato da una donna, dal seme di Davide, sotto la Legge, morto in croce e risorto corporalmente poi deificato. 

Questi due Paoli e i loro due Gesù provengono da concezioni diametralmente opposte. Quale scegliere? O, piuttosto, quale è cronologicamente quella primitiva?

Contrariamente a quanto ci insegna l'ortodossia, noi crediamo che sia quella che abbiamo riassunto per prima. Paolo era un ellenista, evangelizzava i Pagani e non gli ebrei, era l'apostolo riconosciuto da Basilide, Valentino, Marcione.

Ascoltiamolo dire come concepiva il suo Cristo: «Avendo una forma divina... egli (il Cristo) svuotò sé stesso per prendere un forma di schiavo, divenendo così simile agli uomini; prendendo forma umana, umiliò sé stesso... fino a morire in croce...» (Filippesi 2:2-8).

Questa idea di un dio che si trasforma a volontà, molto comune all'inizio della nostra era, è stata interpretata in diverse maniere; gli uni hanno pensato che il Cristo, emanazione di Dio, non avesse che un corpo apparente poiché non poteva negare la sua divinità incarnandosi in un corpo di carne; gli altri, al contrario, hanno creduto che il suo spirito fosse giunto ad incarnarsi in un corpo umano o alla nascita, o più tardi.

Alcuni Gnostici credevano all'apparenza umana ma negavano che avesse un corpo composto, come quello degli uomini, di carne e di sangue. Così, Valentino, scrivendo ad Agatopo a proposito di Gesù Cristo, diceva: «Pur sottomettendosi a tutte le necessità della vita, egli le ha dominate. È così che ha realizzato la divinità. Egli mangiava e beveva in una maniera particolare, senza defecare».

Paolo non ha conosciuto Gesù; il solo essere che gli interessa, è il Cristo. Si ha potuto scrivere giustamente: «Se tutte le epistole fossero perdute, non ne sapremmo molto meno su Gesù» (Wernle, Die Quellen des Lebens Jesu, Tubinga, 1913).

Paolo, è certo, non crede all'esistenza di un uomo Gesù. Per lui, il Cristo è un dio che, per farsi comprendere dagli uomini, [36] ha rivestito temporaneamente la loro apparenza. Ci renderemo presto conto che la morte in croce può essere la simulazione della morte di un dio, e che la croce cristiana primitiva non era il patibolo romano. Si converrà d'altra parte che solo un dio può risorgere perché egli è immortale e perché, se la sua morte è rituale, apparente, non è una morte autentica; essa è al tempo stesso spettacolo e simbolo.

Un cristiano contrapporrà a questa opinione il verso di 2 Corinzi 5:16: «Se anche abbiamo conosciuto Cristo con gli occhi della carne, ora però non lo conosciamo più così». Ma nemmeno una parola di questa frase ci autorizza a credere che Paolo ha potuto conoscere un cristo di carne; quando lo ha incontrato sulla via di Damasco, ha visto con i suoi occhi, Paolo, con i suoi occhi di carne, un Cristo di luce, ed egli non vuole conoscere d'ora in avanti che un Cristo spirituale che confermi la visione soprannaturale che egli ha avuto sulla via di Damasco o altrove.

Paolo sarebbe stato veramente in contatto con persone che pretendevano di essere i testimoni di un uomo Gesù? Egli non dice da nessuna parte nelle epistole che i pochi capi che avrebbe incontrato a Gerusalemme fossero stati i compagni di un Gesù che aveva concluso una vita terrena. Quando egli fa allusione ai «fratelli del Signore», la parola «fratelli» indica i membri di una confraternita che adora un Signore, vale a dire un dio.

Il vangelo che predica, Paolo non lo ricava da un uomo e questo vangelo non è raccontato secondo un uomo (Galati 1:11-12) vale a dire secondo Marco, Matteo, Luca o Giovanni; il grande apostolo lo ha ricevuto per «rivelazione» dal Cristo, e non «da carne e sangue». Se non si dichiara inferiore in nulla agli apostoli che si vantano (2 Corinzi 11:18-12:6), è perché, anche loro, non hanno conosciuto il loro Cristo che per mezzo di visioni o rivelazioni. 

Si legge in Galati (4:4): «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, [nato da donna, nato sotto la legge] per riscattare...». Le parole che collochiamo tra parentesi quadre sono state aggiunte da un correttore che ci teneva a fare affermare da Paolo la natura umana del Cristo. [37]

In realtà, Paolo non conosce o non dà alcun dettaglio su un uomo Cristo; egli non sa o non dice chi fossero i genitori di Gesù, il villaggio dove sarebbe nato, le ragioni della sua morte al tempo di Pilato, ecc. 

Paolo fa allusione alle parole del Signore, ma questo Signore è un dio. Il Cristo di Luce gli ha parlato presso Damasco e probabilmente nel corso di altre visioni. In nessun momento Paolo parla della predicazione di Gesù; se l'avesse conosciuta, quante citazioni  ne avrebbe ricavate!

Ma ci viene fatto osservare che l'apostolo stesso parla di una «consegna» del Cristo, il che indicherebbe che conoscesse il racconto della Passione. In effetti, secondo la 1° ai Corinzi (11:23-26), Paolo ha ricevuto direttamente dal Signore il racconto dell'istituzione dell'eucarestia: «Il Signore Gesù, nella notte in cui fu consegnato, prese del pane...». Poiché si tratta ancora di un Signore divino, noi dubitiamo fortemente della realtà materiale della scena, ma questo «pregiudizio» non ci impedisce di analizzarla.

Cosa può rappresentare questa consegna nella notte? Scartiamo immediatamente Giuda, di cui parleremo più oltre. [38

Paolo peraltro ignora il traditore. Se, d'altra parte, egli non commenta la «consegna», è perché essa era allora compresa da tutti i suoi lettori; era già storia sacra, forse la spiegazione mitica di un rito sacrificale. [39]

La consegna deriva senza dubbio da una confusione o da una connessione tra la morte del Cristo considerato come un uomo e certi sacrifici dove, effettivamente, la vittima era acquistata a spese dell'erario pubblico. Ma ci troviamo, in questo caso, fuori dalla Storia e circondati nel dominio del sacro.

Si riscontra nei versi 5:7b-8 della 1° ai Corinzi un passo che paragona il Cristo alla Pasqua e che smentisce il verso precedente il quale diceva che i Cristiani costituivano un lievito nuovo, una pasta lievitata. Un fervente del pane azzimo ha inserito questi versi nel testo originale per combattere il pane nuovo del Cristo (Giovanni 6) e il  lievito nuovo che portava: «Il regno dei cieli è simile al lievito...». (Matteo 13:33; Luca 13:21). [40

Quanto all'istituzione dell'eucarestia — il cui racconto primitivo è stato profondamente alterato — non si comprende il fatto che un uomo abbia potuto, prima di morire, dare il suo corpo da mangiare e il suo sangue da bere. La spiegazione di questo fatto si trova certamente nelle religioni pagane e non nelle grossolane interpretazioni date a questo episodio da parte di scribi ignoranti.

L'offerta alla divinità esigeva una vittima che fosse immolata. Ma ci viene detto: «L'uomo che fa un tale dono alla divinità... ci tiene a ricevere una testimonianza sensibile dell'efficacia del suo sacrificio. Egli ritiene che il dio a cui l'ha offerto gli permetta di assidersi alla sua tavola e di condividere con lui il banchetto sacro. Alimentandosi della carne della vittima, cosa che è per lui il supremo pegno del perdono o della benevolenza...» Chi è l'autore di queste righe? P. Lagrange, Etudes sur les religions sémitiques (Parigi 1905, pag. 246-274).

L'archeologia ha portato alla luce vari bassorilievi, sculture e incisioni raffiguranti Dioniso, Serapide, Iside, Apollo e Cibele, ecc. che partecipano al pasto sacro in compagnia dei loro fedeli. L'immagine del dio Gesù che presiede la Cena circondato dai suoi apostoli non può essere compresa altrimenti dalla critica indipendente. [41]

Paolo dice più volte che il Cristo è morto, ma non dice come. Un solo verso interpolato nell'epistola ai Filippesi (2:8) parla della sua morte sulla croce, ma ci si può domandare quale cristo? Quale croce? Quale morte? Perché? La discrezione di Paolo è così grande su questo argomento che si potrebbe credere che si tratti di un mito misterico riservato ai soli iniziati. [42]

In 1 Corinzi (2:7-8) leggiamo: «Noi annunciamo una sapienza di Dio misteriosa, mantenuta nascosta... quella che nessun principe di questo mondo ha conosciuto; se l'avessero conosciuta, essi non avrebbero crocifisso il Signore della gloria...». Questo Signore della gloria, vittorioso, non è certamente un uomo inchiodato ad una croce. [43]

Gesù non è mai stato chiamato Signore fintanto che uomo vivo, ma in quanto dio di apparenza umana. I vangeli hanno fatto l'assurdità di prestare al dio disceso sulla terra la consistenza e le parole di un uomo. Ma Paolo ha ben marcato la natura divina che egli associava al titolo di Signore. «Dio lo ha esaltato (il Cristo)… al di sopra di ogni nome… perché ogni lingua proclami che egli è Signore» (Filippesi 2:11).

Così, san Paolo, il primo in ordine di tempo degli scrittori cristiani, non conosce l'uomo Gesù Cristo, di cui i vangeli tenteranno invano di tracciarne il profilo. Le epistole dell'apostolo, nelle loro parti autentiche, risalgono agli anni 50-60; un discepolo di Paolo, Marcione, (rendendosi conto verso il 135 che i giudeo-cristiani cominciavano a falsificarle), pubblicò il testo primitivo di quelle Lettere, ma quella edizione fu distrutta dai suoi avversari e non disponiamo oggi che di una collezione di epistole fortemente amputate, espanse, modificate, interpolate.

NOTE

[35] I giudeo-cristiani respingevano Paolo perché si rivolgeva ai Gentili che, ai loro occhi, non avevano il loro posto nell'economia di salvezza. Essi vollero perfino uccidere Paolo (Atti 23:12).

[36] Per Paolo è Cristo glorificato, non l'uomo Gesù, che insegna agli uomini, ma per farli vedere e intendere, egli, come un fantasma, ha «preso la loro forma».

[37] Si veda Cahier E. Renan, n° 55, pag. 16.

[38] Pagina 178-179.

[39] Secondo Isaia 53:10, 12, il servo di Jahvé si è consegnato lui stesso; d'altra parte l'agnello era acquistato, quindi consegnato.

[40] D'altronde è solo nell'VIII° secolo che la Chiesa di Occidente che impiegava fino ad allora del pane con lievito per l'eucarestia, gli sostituì del pane azzimo, con grande scandalo dei Cristiani di Oriente che chiamarono quelli di Occidente «gli Azzimiti» e li scomunicarono. 

[41] Si veda pagina 145 e seguenti.

[42] Loisy (Remarques sur la littérature épistolaire du Nouveau Testament, pag. 92 e seguenti) riteneva, in questo passo, che le parole «la morte della croce» fossero state aggiunte al testo primitivo. Si vedano di seguito pag. 150 e seguenti le diverse croci simboliche.

[43] Couchoud (Jésus le dieu fait homme, pag. 86) ritiene che questo Signore della gloria venga dal Salmo 24 (7-10).

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