mercoledì 19 febbraio 2020

La Favola di Gesù Cristo — «Verso l'incarnazione»

(segue da qui)

Verso l'incarnazione

Fino ad allora, nessuno (né Paolo, né Nicola, né lo pseudo-Giovanni) aveva prestato al Messia una reale esistenza umana. Ma in ambiente pagano, gli dèi hanno tendenza ad incarnarsi: non è forse questo che hanno fatto Attis o Mitra, di cui si racconta la vita? Non occorre dunque sorprendersi del fatto che nel 140 E.C. Marcione arriva a Roma con un vangelo che raccontava come, nel quindicesimo anno del regno di Tiberio, Gesù fosse disceso dal cielo.

Durante questo periodo la Gnosi aveva raggiunto Alessandria, — e con essa una certa forma del cristianesimo. In questo ambiente, più intellettuale, sottili speculazioni aggiungeranno qualcosa al mito di Gesù. Egli sarà assimilato alla «Sapienza» divina, e presto al Logos di Filone, con i quali ha già tante analogie: non sono tutti, sotto questi vari nomi, il primo Eone, il «figlio primogenito di Dio»? Si tratta ancora di miti celesti; ma il Cristo venuto dalla Siria conserva rispetto agli dèi pagani e alle idee di Nicola una leggenda più precisa: egli è «disceso» dai cieli superiori, ha preso, come dirà Marcione attraverso Paolo, «una rassomiglianza di carne di peccato» (Romani 8:3).

Questa non è ancora che una pura apparenza: il suo corpo non era di carne, era una sorta di fantasma; non poteva veramente scadere alla condizione umana, essendo dio, né soffrire; la sua morte non è, a sua volta, che un'apparenza e un simbolo. Ma come questi racconti avrebbero potuto restare leggendari e non trasformarsi a poco a poco in una incarnazione reale? 

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