giovedì 20 febbraio 2020

La Favola di Gesù Cristo — «Il Cristo romano»

(segue da qui)

Il Cristo romano

Questa concezione astratta, troppo intellettuale, non poteva sedurre gli ignoranti. Trasposta a Roma, la concezione del Cristo gnostico, pura apparenza, andrà a scontrarsi con la fede popolare, che ignora le sottigliezze neoplatoniche. Di spirito più realista, la comunità romana, popolata da povera gente, esigerà qualcosa di più preciso, di più accessibile. 

Non ha forse sotto i suoi occhi gli esempi di tanti altri dèi, che si sono realmente incarnati? Si celebrano pubblicamente, a primavera, la morte e la resurrezione di Attis; i misteri di Iside si praticano in pieno giorno, e ognuno può sapere come la resurrezione di Osiride, vittima del malvagio Tifone, abbia aperto ai suoi fedeli le porte dell'immortalità; ogni 25 dicembre i discepoli di Mitra festeggiano la nascita del loro dio. Come ci si può aspettare che i discepoli del Cristo si accontentino di una pura apparenza?

Un primo conflitto porterà all'esclusione di Marcione, un secondo a quella di Valentino. In queste lotte, ciò che prevale, è l'idea popolare di un Messia Salvatore che aveva veramente vissuto e sofferto sulla terra. È contro gli Gnostici che questa idea sarà precisata, sviluppata. Il gruppo rozzo e ardente di credenti analfabeti vorrà saperne di più sulla vita di Gesù. 

Siccome nessuno ha dei fatti precisi da raccontare, sarà proprio necessario ricorrere alle profezie dell'Antico Testamento, o più esattamente alla raccolta contenente gli estratti di quelle profezie che sembravano raccontare in anticipo tutto ciò che si deve sapere del Messia. È con l'aiuto di questa raccolta che si scriveranno le vite di Gesù, vale a dire i vangeli: da qui la necessità di rapportarsi alla Bibbia. Ed è per questo che, contro Marcione che auspicava una rottura totale col giudaismo, si sarà obbligati a conservare a Gesù la sua natura di Messia ebraico, fuori della quale la sua personalità si dissolve.

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