martedì 18 febbraio 2020

La Favola di Gesù Cristo — «Trionfo del paolinismo»

(segue da qui)

Trionfo del paolinismo

Le due concezioni del Messia così messe in luce, quella di Paolo e quella dello pseudo-Giovanni, erano inconciliabili. Una di loro doveva prevalere, ed è evidente che è quella di Paolo che ha trionfato. 

Già nel 95, il numero di partigiani del Messia vincitore dei Romani doveva essere ridotto nelle comunità della dispersione ebraica: chi poteva ancora sperare di rovesciare il potere romano? Nelle comunità fortemente ellenizzate, e a maggior ragione nelle prime comunità cristiane, non si riponevano più le proprie speranze nel dominio universale di un re ebreo. Sottomessi all'autorità romana, e pagando il tributo a Cesare, i primi cristiani di Antiochia (poiché è là che hanno ricevuto questo nome), come probabilmente quelli di Efeso, di Smirne o di Pergamo, dovevano essere più attratti dalla natura spirituale del Cristo Salvatore.

Così, vediamo che nel 132 Bar-Kochba non si scontrerà soltanto con i Romani: avrà i cristiani come avversari. Dopo il 70, la rottura era consumata; la disfatta militare aveva già assicurato il trionfo del Cristo paolino sul Messia dell'Apocalisse. 

Ma le concezioni dello pseudo-Giovanni non scompariranno per questo dal cristianesimo: la prova ne è che l'Apocalisse, nonostante le forti resistenze, finirà per essere iscritta nel canone della Chiesa. La si interpreterà in senso simbolico: la nuova Gerusalemme, discesa dal cielo, vi risalirà; i guardiani delle sue dodici porte diventeranno i dodici discepoli di Gesù. 

Soprattutto, si rimarrà colpiti dalla cronologia, dalla precisa interpretazione dei testi che avevano permesso di datare la venuta del Messia. Che ci si sia ingannati sulla natura dell'Inviato celeste, ciò è divenuto evidente; ma questo non impedirà, in mancanza di altri dati, che si manterrà il modo di calcolo: il Messia aveva dovuto apparire quando lo scettro era uscito da Giuda, e i quaranta o quarantadue anni durante i quali Gerusalemme aveva sopportato il dominio romano permettevano sempre di fissare retroattivamente intorno al quindicesimo anno del regno di Tiberio la discesa dell'Inviato celeste. Nonostante il fallimento delle speranze ebraiche, queste precisioni non saranno scosse: cos'altro vi era da opporvi?

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