martedì 10 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «La dottrina dell'immortalità»

(segue da qui)

La dottrina dell'immortalità

Trascurando gli aspetti secondari, tutti questi culti avevano in comune una dottrina, che sarà anche quella del cristianesimo e che è quindi utile riassumere.

A) Le religioni pagane ufficiali restavano assai vaghe sulla sorte dell'uomo dopo la morte. All'inizio dell'Impero romano, come dice Giovenale, «che esistano Mani e regni sotterranei, il Cocito e le nere rane delle acque dello Stige, o che una così infinita moltitudine di anime attraversi il guado su una sola barchetta, ormai non lo credono nemmeno i bambini». [6] In contrasto con questo scetticismo, tutti i culti misteriosi sono delle dottrine di immortalità: lo scopo della loro iniziazione è di assicurare quella che si chiamerà la «vita eterna». Tutti insegnano che, mediante una partecipazione alle virtù del dio, il miste conoscerà, dopo la sua morte, una vita felice. 

Questa dottrina sembra avere per origine un culto vegetale, [7] una meditazione sulla resurrezione primaverile delle piante: la germinazione del chicco di grano sepolto è spesso data come simbolo della resurrezione, e l'apostolo Paolo conosce questo simbolo (1 Corinzi 15:37). Ma da molto tempo ormai quell'immagine ha solo un valore simbolico, e tutti i culti misterici sono pervenuti a quell'idea secondo cui l'uomo è dotato di un'anima immortale che, prigioniera nella materia, si illuminerà liberandosene. È dai misteri che Platone ha ricavato la sua dottrina dell'anima. L'insistenza sull'immortalità dell'anima è anche il grande dogma del neopitagorismo, di cui conosciamo poco i riti, ma di cui questo aspetto aveva sedotto Cicerone.

Carcopino [8] studia una tomba, del III° secolo della nostra era, scoperta a Roma, che appartiene ad una setta dissidente del cristianesimo, intrisa di dottrina pitagorica: bell'esempio di fusione di culti.

B) Nei culti misterici, l'immortalità non è promessa a tutta l'umanità, è riservata agli iniziati, e ogni culto comporta un rito d'iniziazione destinato a procurarla. Il rito più comune è il battesimo, per mezzo del quale il fedele purificato parteciperà alla vita del dio e rinasce, in qualche sorta, ad una vita nuova: il miste di Attis, per esempio, esce dal battesimo «rinato per l'eternità» (renatus in aeternum), da cui l'origine del nome di Rinato che prende l'iniziato dopo la cerimonia. C'è bisogno di ricordare che il Paradiso dei cristiani è ugualmente riservato ai battezzati? 

C) Se il rito opera questo cambiamento, è perché vi è già nell'uomo un doppio principio: tutti questi culti insegnano che l'uomo è un essere decaduto e incapace di procurarsi da solo la sua salvezza; è solo partecipando alle virtù del dio che egli può conquistare l'immortalità, e questa partecipazione è l'effetto di una «grazia». In origine, questa grazia era riservata ad un piccolo numero, ma a poco a poco il favore si è allargato e, infine, l'immortalità si è trovata offerta a tutti coloro che volessero partecipare al rito d'iniziazione. È così che in Egitto l'immortalità, dapprima riservata al faraone che partecipa alla divinità, era stata estesa ai suoi parenti, poi ai nobili, poi a tutti.

I culti misterici erano arrivati persino alla nozione di una uguaglianza totale, indipendente dalla ricchezza, dalla condizione sociale o dalla nazionalità:

«In questa prospettiva, le nazionalità finivano per svanire, non vi sono più dei Romani, dei Greci, degli Ebrei, dei Siriani, degli Egiziani. Tutti gli uomini sono uguali, avendo tutti un'anima immortale. Tutti sono quindi chiamati a beneficiare delle promesse divine. Coloro che rispondono alla chiamata dall'alto, da qualsiasi luogo vengano, a qualunque condizione appartengano, si sentono tutti fratelli. Formano tra loro una grande famiglia, dove si entra per libera scelta, grazie ad un rito di iniziazione che si compie nel mistero e che passa per dare una vita nuova». [9]

C'è bisogno di sottolineare la parentela di questa dottrina con il cristianesimo paolino, dove il battesimo procura una sorta di rinascita, offerta a tutti senza distinzione di provenienza, ma riservata agli adepti della setta? Questo è esattamente quello che dice Paolo: «Voi tutti che siete stati battezzati in Gesù Cristo vi siete rivestiti di Gesù Cristo. Non c'è qui né Giudeo né Greco, non c'è né schiavo né libero...» (Galati 3:27-28).

Perfino gli schiavi, direte voi? Certamente: i fedeli di Mitra, che erano tutti «fratelli», erano gerarchizzati in sette gradi, al punto che uno schiavo poteva ritrovarsi il superiore di un patrizio. Allo stesso modo nel cristianesimo primitivo: è solamente sotto il pontificato di Bonifacio I (419-422) che gli schiavi e gli ex schiavi saranno dichiarati indegni del sacerdozio.

D) Questo internazionalismo dei culti misterici è stato largamente favorito dalle conquiste: è grazie all'unità del mondo romano che i culti orientali, ivi compreso il cristianesimo, si diffonderanno in tutto l'impero. Iside non sarà più venerata solo in Egitto o Mitra in Persia, ma entrambi avranno i loro templi e i loro fedeli a Roma. Poiché aveva infranto i confini tra i popoli, la conquista romana ha denazionalizzato gli dèi. [10] Vi saranno, certo, delle reazioni, ma di breve durata e inefficaci. Comprendiamo meglio, in base alla diffusione dei culti di Iside o di Mitra, in che modo una religione strettamente ebraica, almeno per alcuni dei suoi aspetti, abbia potuto oltrepassare il contesto ebraico. Le comunità ebraiche della «dispersione» facevano allora altrettanti convertiti come le sette di Ermes: è in queste comunità, soprattutto in Siria, che si è formato il mito di un Cristo ebraico accessibile ai Gentili, a tutte le razze, a tutte le nazioni. A Gerusalemme, si restava molto legati alla tradizione, e una tale apertura non vi sarà mai ammessa; ma Gerusalemme scomparve nel 70 dalla mappa del mondo antico.

E) Infine, in questi nuovi culti, la concezione stessa della vita religiosa si trova trasformata. Al posto delle cerimonie ufficiali, i misteri offrivano l'attrazione di una conoscenza diretta della divinità per mezzo dell'esperienza mitica: «Era l'estasi, con tutti i fenomeni mistici che comportava, a cui mirava direttamente l'intero apparato liturgico. Non si mirava più a delle cerimonie vuote; l'iniziato viveva lui stesso il dramma liturgico e vi acquisiva una vivida certezza della realtà del mondo spirituale». [11]

Questa sarà proprio la concezione di Paolo, quando parlerà delle sue rivelazioni intime: egli ha conosciuto il Cristo «nello Spirito Santo», ma la certezza che ne scaturisce è superiore a quella di una conoscenza ottenuta attraverso i sensi.

NOTE

[6] Giovenale 2:149.

[7] Si veda su questo soggetto BRIEM: «Les sociétés secrètes de mystères» (Payot, 1941).

[8] «De Pythagore aux apôtres» (Flammarion, 1956).

[9] ALFARIC: «A l'école de la raison», pag. 127.

[10] Aggiungiamo che le divinità protettrici delle «città» hanno perduto il loro credito, poiché non hanno potuto evitare la conquista romana. 

[11] BRIEM: «Les sociétés secrètes de mystères», pag. 289.

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