giovedì 12 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il Cristo di Paolo e i misteri»

(segue da qui)

Il Cristo di Paolo e i misteri

Tra tutti questi culti, il cristianesimo sembra presentare due originalità: include degli elementi ebraici, e vi ritornerò, — d'altra parte sembra essere una religione aperta a tutti, e non un culto riservato a degli iniziati. Su questo secondo punto, la nostra prospettiva è distorta dalla storia: il cristianesimo è divenuto una religione che aspira all'universalità, ma nelle sue origini era un culto misterico, e questo è ancora molto evidente nelle epistole di Paolo.

Si noti che ancora oggi, il rito di iniziazione (battesimo) è richiesto per l'accesso all'immortalità, e che i culti misterici in genere non richiedevano generalmente di più. Ma si può andare più lontano, ed importa dimostrare che il Cristo di Paolo è stato rivelato dall'apostolo come un mistero, come se Paolo avesse ricevuto un'iniziazione in una setta siriana, come se la sua conversione potesse interpretarsi come una «rinascita» simile a quella che procurava l'iniziazione. [20]

Prima di tutto, il Cristo di Paolo muore per la redenzione degli uomini, risorge il terzo giorno, e il suo sacrificio è reversibile, vi si può partecipare mediante il rito d'iniziazione: tutto questo, ho detto, è esattamente il contenuto della dottrina dei misteri. Supporre che Paolo abbia inventato questa dottrina e fabbricato una specie di dio che rassomigli per caso agli dèi Salvatori del suo tempo, equivale ad accumulare le improbabilità; appare molto più probabile che Paolo abbia ricevuto questa dottrina e la rivelazione del suo «Salvatore», come la ricevettero altri del suo tempo. Paolo non si presenta mai lui stesso come un inventore, egli non è che il propagandista di una rivelazione che ha ricevuto: a meno di ammettere un intervento soprannaturale, bisogna pur cercare da dove proviene quella rivelazione.

Che Paolo sia stato iniziato a qualche «mistero», ne avremo la prova dal linguaggio stesso delle sue epistole, dove la parola «mistero» rinviene parecchie volte, con questa precisazione, che il mistero era fino ad allora nascosto, e Paolo avrebbe ricevuto la missione di rivelarlo. Il ruolo di Paolo sarebbe dunque consistito nel rivelare esternamente la virtù redentrice di un Salvatore tra gli altri, nel generalizzare un'iniziazione precedentemente occulta: ciò che Platone non aveva osato fare per i misteri di Eleusi, Paolo lo fece per un nuovo mistero siriano. Perché? Perché, da Platone in poi, la diffusione dei misteri era tale che divenne impossibile e inutile conservarne la natura segreta. Ma Paolo non ha preso questa iniziativa: egli non ha ricevuto che una missione. Chi gliel'ha data, chi ha preso la brillante e così importante decisione di svelare il mistero del Salvatore Gesù? Questo è il problema essenziale delle origini cristiane, e vedremo che è probabilmente a Damasco che va cercata la risposta, a Damasco, proprio dove Paolo ha ricevuto la sua rivelazione e la sua iniziazione.

Ecco prima di tutto un testo, sul quale la Chiesa si guarda bene d'insistere, dove Paolo ammette... il  politeismo: «Infatti, anche se vi sono degli dèi, sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti Signori, per noi c'è un solo Dio... e un solo Signore (Kyrios) Gesù Cristo» (1 Corinzi 8:5-6). Paolo conosce quindi l'esistenza di altre divinità onorate del titolo di «Kyrios», altri dèi Salvatori; affermando il primato o addirittura l'unicità del suo, lo colloca tra gli altri, lo assimila ai vari Salvatori dell'ellenismo.

Nella stessa epistola: «Noi predichiamo la Sapienza divina NEL MISTERO, quella che è stata NASCOSTA...» (1 Corinzi 2:7).

Nell'epistola ai Romani: «A colui che può fortificarvi secondo il mio vangelo... conformemente alla RIVELAZIONE DI UN MISTERO TENUTO NASCOSTO fin dai tempi più remoti, ma ora MANIFESTATO (rivelato)». Questo testo (Romani 16:25) ha certamente subito, nella forma, un rimaneggiamento ulteriore, ma non si vede perché vi si sarebbe aggiunta l'allusione a un mistero rivelato. 

Nell'epistola ai Colossesi, Paolo precisa esattamente la natura della sua missione. Come il precedente, questo testo è stato ritoccato nella forma, ma il riferimento a un mistero non si spiega, se non figurava nell'opera originale. Ora, ecco quel che contiene il testo attuale: «La Chiesa di cui io sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di predicare la parola di Dio, il MISTERO NASCOSTO agli spiriti del mondo e alle generazioni. Ma ora è stato MANIFESTATO ai suoi santi, ai quali Dio volle far conoscere quale è la  ricchezza e lo splendore di questo MISTERO» (Colossesi 1:25).

Stesse espressioni nell'epistola agli Efesini: «Nel leggere questo, voi potete capire quale sia la mia intelligenza del MISTERO di Gesù Cristo» (3:4). «Io ho ricevuto... la grazia di manifestare a tutti quale sia il piano seguito da Dio riguardo al MISTERO che era NASCOSTO fin dalle più remote età» (3:9).

A volte, senza impiegare la parola «mistero», Paolo utilizza il vocabolario consueto e preciso dei misteri: i suoi ascoltatori non sono ancora degli spirituali, ma dei «carnali» simili a dei «bambini piccoli» ai quali solo conviene il latte come nutrimento (1 Corinzi 3:1-2), poiché non sono ancora in grado di riceverne un altro. Non solo tali espressioni sono comuni nei riti di iniziazione, ma la dottrina è in contraddizione con il dogma cristiano secondo il quale l'iniziato riceve tutto per mezzo del battesimo, senza che esistano dei gradi di iniziazione.

NOTE

[20] Si veda su questa questione GUIGNEBERT: «Le mystère paulinien», in «Le Christ», pag. 336 e seguenti.

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