lunedì 4 novembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «I fatti impossibili nella passione»

(segue da qui)

I fatti impossibili nella passione

La comparsa di Gesù davanti al tribunale ebraico (Sinedrio) deve essere respinta come assolutamente impossibile.

Nel I° secolo, Paolo attribuisce la morte del Salvatore agli «Arconti», che sono i demoni. Nel II° secolo, si sa molto di più, ma è probabile che, negli ambienti ebraici esasperati dalle disfatte del 70 e del 135, è ai Romani che si intese dapprima attribuire la morte del Messia. In quella prima versione, Pilato doveva giocare il ruolo principale (e un ruolo odioso). Ciò è talmente vero che lo pseudo-Giovanni, che ha qualche chance di contenere il racconto più antico, ignora il processo davanti al Sinedrio e parla solo di Pilato. [15]

Quando la separazione fu compiuta, è l'odio degli ebrei che prevalse (soprattutto a Roma, dove non li si amava granché). Bisognava allora trovare un modo di rendere gli ebrei responsabili della morte di Gesù: ecco perché ci si immaginò la comparsa davanti al Sinedrio (soppresso, ricordiamolo, nel 70), e anche quella frase che ha fatto tanto male, e che tuttavia non è che una citazione biblica distorta: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli» (Matteo 27:25).

Orbene, il processo davanti al Sinedrio è radicalmente impossibile, [16] poiché quel tribunale non poteva riunirsi durante la Pasqua e ancor meno durante la notte tra il 14 e il 15 di Nisan (notte santa quando nessun ebreo doveva lasciare la casa dove aveva appena consumato il pasto pasquale). Il fatto che il tribunale religioso abbia così violato tutte le disposizioni della Legge ebraica è un'assurdità, che hanno potuto solo immaginare degli estranei alle tradizioni ebraiche. Inoltre, non si poteva uccidere i condannati né durante la Pasqua, né il giorno stesso del loro interrogatorio. Tutte queste inverosimiglianze dimostrano che il racconto è stato fabbricato tardivamente, e contro gli ebrei.  

NOTE

[15] Giovanni 18, 19.

[16] Su quell'impossibilità, si veda GUIGNEBERT: «Jésus», pag. 566.

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