«Marco» (autore) come pericoloso untore suo malgrado |
«Non esiste potere più grande della storia, su questa terra ... La gente pensa che siano i confini e le frontiere a costruire le nazioni. È un'assurdità, sono le parole a farlo. Credenze, dichiarazioni, costituzioni. Parole. Racconti. Miti. Bugie. Promesse. Storia».(Libba Bray, La stella nera di New York)
Quando «Marco» si sedette a tavolino per scrivere una santa favola, non avrebbe mai potuto immaginare che, come nella diffusione di un virus,
...la sua allegoria della caduta di Gerusalemme nel 70 E.C. (memorizzate questa data) sarebbe stata presa per autentica «Storia ricordata» da tutti i suoi lettori nonché eventuali editori (come «Matteo», «Luca», «Giovanni», ecc.) al seguito. Il risultato: nel giro di una generazione, ogni cristiano che si ritrovò a leggere quella allegoria, non solo la fraintese, ma convinse altri a cadere vittima del suo medesimo equivoco. L'errore fu credere che il protagonista del racconto marciano, tale «Gesù», ebbe la bellezza di almeno quattro (sic) autori indipendenti a testimoniarne le presunte vicissitudini. Quando in realtà, come dimostra dati alla mano il miticista R.G. Price nel suo capolavoro, ogni scritto cristiano che parla di quel Gesù introdotto da «Marco», tradisce immancabilmente la conoscenza, e dunque la dipendenza (diretta o indiretta), da «Marco». Gli insegnamenti di Gesù (o meglio: ciò che passano per i suoi insegnamenti nel vangelo di «Marco») sono in realtà basati sui precetti di Paolo e non viceversa. Per farla breve, una marea di *prove* punta decisamente a supporto dello scenario tratteggiato da R.G. Price: tutti coloro — cristiani o pagani —, che capitarono a tiro della conoscenza del vangelo di «Marco» (o di chi imparò da «Marco»), «conobbero» per la prima volta che Gesù esistette sulla terra. Vale anche il contrario: tutti i cristiani (o pagani) che non ebbero in sorte di poter apprendere dallo scritto di «Marco» (o, in sua vece, da qualcun altro che aveva appreso a sua volta da «Marco»), rimasero con la concezione che già avevano dell'entità di nome «Gesù»: non l'uomo descritto da «Marco», ma un uomo in forma celeste, un arcangelo rivelatore, un «quasi deo» (per dirla con Plinio il Giovane, Epistole 10:96), mai venuto sulla terra. Per dirla tutta, un essere completamente mitologico.
Il caso volle che tra quei cristiani assolutamente ignari di qualunque cosa scritta da «Marco» sul conto di Gesù, figurasse proprio Paolo l'apostolo. Se il Cristo di Paolo non era storico, non lo era nemmeno il Cristo predicato dagli apostoli predecessori di Paolo, nonchè reali fondatori del culto: ovvero Pietro, Giacomo, Giovanni. I miticisti hanno ragione: Gesù non è mai esistito nel passato reale.
Di seguito la traduzione in italiano unicamente della:
Prefazione
di Robert M. Price al libro di R.G. Price
Questo libro affascinante è, tra le altre cose, un segno positivo che il miticismo di Cristo è diventato un vero sottocampo degli studi del Nuovo Testamento, cioè non è più semplicemente una conventicola di eccentrici “disprezzati e reietti dagli uomini”, ma una vera scuola di pensiero in cui i miticisti propongono e confrontano proposte antagoniste imparando l'uno dall'altro. Il miticismo diventa un campo positivo di studi, non solo un'iniziativa della polemica anticristiana.
I nuovi libri miticisti, mentre inevitabilmente coprono un territorio molto familiare, contribuiscono a nuove variazioni sul tema, offrendo nuovi argomenti, nuove teorie, nuove prospettive su temi che solo il miticismo rende visibili. Questo è certamente vero per il presente volume.
La tesi di fondo del libro è che il vangelo di Marco sembra essere il racconto originale di Gesù, su cui tutti gli altri sono stati basati. Bruno Bauer aveva scioccato i contemporanei del diciannovesimo secolo suggerendo che “Marco” (chiunque possa essere stato) creò il personaggio di Gesù di sana pianta, seguendo il consiglio di Seneca che si dovrebbe creare un amico immaginario, alla cui disapprovazione ci si potrebbe sottrarre resistendo alle tentazioni del male. “Cosa farebbe Gesù?” Quelle che possono sembrare fonti indipendenti alla base dei vangeli successivi, sono meglio intese come abbellimenti fittizi degli autori di quei vangeli. Tutto è iniziato con Marco, e questo è sospetto: se ci fosse stato un Gesù storico, non ci sarebbe, da un lato, una grande varietà di racconti cristiani e, dall'altro, un materiale biografico mondano ”neutrale” in Marco, come troviamo nelle vere biografie, non importa quanto grandi ed eroici siano i loro soggetti? Ma nada.
Price abbraccia la tesi di Earl Doherty, mia e di altri che, operando sull'assunto (dogmatico) che doveva esserci stato un Gesù storico, i primi cristiani provarono a ricostruire (in realtà a costruire, senza il “ri”) la vita e le azioni di quel Gesù, interpretando i testi biblici in modo esoterico, un po’ come la setta dei Rotoli del Mar Morto o i successivi Cabalisti. Quando dicevano che Gesù aveva fatto questo o quello “secondo le Scritture”, non intendevano dire che questi eventi, noti dalla memoria storica, erano stati promessi e previsti nell'Antico Testamento, ma piuttosto che i cristiani scoprirono che erano (presumibilmente) avvenuti leggendo le scritture dell'Antico Testamento, così come oggi i cristiani imparano ciò che Gesù (presumibilmente) ha fatto e ha detto leggendo il Nuovo Testamento. Questo paradigma dà un ottimo senso al fatto che, più e più volte, le storie del vangelo hanno una strana somiglianza con i racconti dell'Antico Testamento su Mosè, Giosuè, Elia, Eliseo, ecc. David Friedrich Strauss sostenne, molto tempo fa, che i primi cristiani dedussero semplicemente che, dal momento che il Messia promesso doveva superare le meraviglie e le avventure di tutti i precedenti eroi biblici, quando venne (o se era venuto), doveva riassumere le loro antiche imprese, però meglio. Da qui la creazione degli episodi del vangelo.
Ma Price offre nuovi dati in tal senso. Price fornisce molti esempi di scene derivate da riferimenti letterari, osservando che molti di questi esempi si riferiscono a passi sulla disapprovazione di Dio nei confronti del suo popolo. John Dominic Crossan argomenta in modo simile nel suo brillante libro The Cross That Spoke, in cui espone la tesi secondo cui tutti i vangeli canonici sono basati su un originale “vangelo della croce”, una raccolta di brani dell'Antico Testamento che sono stati storicizzati nelle storie evangeliche, ma non riesce a seguire la logica fino alla sua naturale conclusione. Price, d'altra parte, sa quanto fa due più due.
L’accento sull’imminente giudizio divino sul popolo ebraico per aver rifiutato Gesù, il punto di molti dei riferimenti letterari, non è un problema secondario, secondo Price. Riflettendoci, la prominenza del tema non deve forse suggerire che esso in realtà è la ragione principale per cui venne scritto Marco? Tutta la teologia deuteronomica dell'Antico Testamento fu progettata perché Dio avesse una via d’uscita dalle sconfitte e dalle sottomissioni di Israele e Giuda da parte degli imperi pagani. Jahvè non era obbligato a proteggere il suo popolo? Beh, evidentemente no, perciò gli ebrei si trovarono di fronte a due opzioni: o l'alleanza con Dio era, secondo le parole di Woody Allen, “solo un mare di chiacchiere”, o Dio gettò ai lupi il suo popolo dell'alleanza, perché [il popolo] rinnegò l'alleanza, non lui. I pensatori ebrei scelsero la seconda opzione. Sarebbe stato ancora peggio dire ”Ok, abbiamo preso un granchio, immagino. Siamo soli.” (Richard L. Rubenstein ha avuto il coraggio di trarre proprio questa conclusione nel suo libro After Auschwitz.)
A questo riguardo, la teoria di Price ricorda quella di William Benjamin Smith, che intese la storia di Gesù come un'allegoria del destino della Giudea per mano dei Romani.
Torniamo all’affermazione di Price secondo cui tutte le versioni evangeliche derivano in ultima analisi da Marco, qualcosa che sembrerebbe molto improbabile se Gesù fosse stato un vero individuo storico che avrebbe lasciato diverse “impronte”, non solo una. E la fonte Q? Questa non conterebbe, come molti pensano, come una seconda fonte indipendente per un Gesù storico? Ma Q è solo una supposizione. Diversi studiosi, tra cui Michael Goulder e il sottoscritto, hanno sostenuto in modo convincente che l'autore di Luca si è servito di Matteo, eliminando Q dall'equazione. Price offre anche altre alternative e mostra quanto sia implausibile che sia Matteo che Luca abbiano inserito del materiale da una seconda fonte indipendente.
La sezione di Price sulla concezione di Paolo di Cristo come essere celeste che non si è mai incarnato sulla terra come Gesù storico è piuttosto efficace. Non si accontenta di citare solo Colossesi 2:15 e 1 Corinzi 2:6-8 come attestazione di una crocifissione invisibile da parte degli arconti in cielo. Fa un buon lavoro invocando la stranezza del fatto che Paolo non parla mai di un “ritorno” o di una “seconda venuta” di Cristo, ma solo di una “venuta”, come se Cristo non fosse ancora atterrato tra gli uomini, e la stranezza di quando dice che il vangelo gli fu rivelato direttamente (e/o rivelato dall'esegesi carismatica delle Scritture come in Romani 16:25-26), non da un resoconto di tradizioni orali delle presunte parole e azioni di un Gesù storico recente. E lungi da Paolo il citare gli insegnamenti di un Gesù storico, Price vede che la trasmissione va nella direzione opposta, proprio come fa David Oliver Smith (Matthew, Mark, Luke, and Paul): Marco riprese i testi paolini dalle epistole e li accreditò a Gesù, proprio come, d’altra parte, qualche redattore sminuzzò una copia di Eugnosto il Benedetto e trasformò le proposizioni in risposte di Gesù per impostare le domande dei discepoli.
Infine, il libro giustifica il suo sottotitolo? Davvero “prova” che Gesù non è mai esistito? Non penso che si possa “provare” né che un Gesù storico sia esistito, né che non sia esistito. Quello che si può fare, e quello che Price fa, è costruire le stesse vecchie evidenze, ma in un modo nuovo, che abbia un senso più naturale, meno artificioso. Questo, lui l’ha fatto, e l’ha fatto potentemente. Ho trovato che la sua argomentazione è impressionante, anche se ho già familiarità con il miticismo di Cristo.
Ma voglio sottolineare un punto cruciale: solo perché la questione non può essere risolta in modo definitivo con certezza matematica, questo non dà ad una persona imparziale il diritto di dire: “Caso non provato? Allora posso tornare ad assumere che la visione tradizionale sia corretta”. Il giudizio storico non funziona in questo modo. Bisogna accompagnarsi con l’argomento più forte, e anche allora non si deve fingere di aver risolto la domanda. E, per quello che vale, penso che Price abbia esposto l'argomento più forte.
Robert M. Price
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