mercoledì 7 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Alla ricerca della verità»

 
Il punto dolente per tutte le religioni rimane sempre il fatto che esse possono essere allegoriche non già ammettendolo apertamente, ma soltanto di nascosto, e perciò debbono insegnare le loro dottrine con grande serietà come se fossero verità sensu proprio; ne deriva un continuo inganno, date le assurdità che tali dottrine essenzialmente richiedono, e ciò rappresenta un grave inconveniente. Anzi, il male più grave è che col tempo viene alla luce come tali dottrine non siano vere sensu proprio: e allora esse vanno in rovina.
(Arthur Schopenhauer, «Della religione», Parerga et Paralipomena, 1851, § 177, «Intorno al cristianesimo», Adelphi edizioni, 1983, pag. 478) 
«Vi è una stupidità che va rispettata, dato che concerne cose rispettabili... La nostra miserabile specie è fatta in maniera tale che coloro che percorrono il sentiero già battuto scagliano sempre sassi contro quelli che insegnano un cammino nuovo».
(Voltaire, Dizionario filosofico, «Lettere, uomini di lettere, o letterati»)
Il Dio di Coincidenza  
Può qualcuno negare che 
Una cosa dopo l'altra  
In sequenza e logica 
Mai vista prima  
Non può essere che la  
Interferenza di un Dio 
Determinata a provare che  
Ognuno che pretende 
Di conoscere ora  
Una cospirazione è  
Demente?
(Kent Murphy)

Coloro (e io sono tra questi) che trovano già ripugnante credere nel Gesù Cristo dei cristiani (e dei cattolici in particolare) sarebbero probabilmente morti dal disgusto se avessero conosciuto il cosiddetto «Gesù storico» che si pretende avvistato al tempo di Ponzio Pilato in qualche villaggio della Giudea e della Galilea, dove avrebbe tratto — così si dice — una momentanea notorietà.

Ormai però, questo cosiddetto «Gesù storico» è tornato a sprofondare nell'oblio già da un bel pezzo, e altrettanto ignoto è il fenomeno delle vere Origini cristiane, rimasto assolutamente inspiegato, che d'altronde nessuno si è preso molta briga di approfondire e che, per un'inspiegabile negligenza degli ambienti cosiddetti accademici che avrebbero dovuto interessarsene e che invece di fatto si danno gran pena per offrirne la solita versione più o meno edulcorata ad uso e consumo delle chiese, è stato dimenticato senza essere investigato a fondo. Nè si può addurre quale scusante il fatto che i primi cristiani si sarebbero concentrati sul «significato» della morte e della resurrezione del Messia e per quella ragione avrebbero trascurato di riportare anche un solo dettaglio storico del loro preteso Messia. Grande fu l'affluenza dei curiosi venuti da lontano nella comunità primitiva, perfino dalla distante Roma; mancarono soltanto quelli che avrebbero dovuto mostrare più che una semplice curiosità da neoconvertiti. Anzi, se alcune persone di cui non sapremo mai il nome, non si fossero prese a cuore il compito di mettersi a tavolino per scrivere una storia, la notizia del presunto fenomeno non si sarebbe probabilmente diffusa per nulla. Occorre riconoscere che le dicerie, di solito così difficilmente arrestabili, in questo caso furono invece lentissime a mettersi in moto: senza una precisa spinta non si sarebbero certamente divulgate. Ma nemmeno questa era una buona ragione per trascurare la cosa, al contrario, anche quest'ultimo fenomeno andava esaminato. Invece destino volle che l'unica trattazione scritta del caso fu quella costituita dal Più Antico Vangelo, i cui autori però non avevano nè la capacità nè la preparazione culturale che gli consentissero di fornire una descrizione esauriente e utile, anche in seguito, del cosiddetto «Gesù storico», e tanto meno di riuscire a spiegarlo. Quel primo opuscolo venne pubblicato e andò a ruba tra i gentili che da parecchio tempo venivano ad affluire nelle comunità cristiane, incontrò maggiore e maggiore apprezzamento, correzioni e abbellimenti, ma i suoi ignoti autori erano abbastanza intelligenti da comprendere che in fondo la loro storia inventata e non sostenuta da nessuna prova era senza valore. Tuttavia, il fatto che non avessero mai desistito, ma anzi avessero dedicato tutti i loro sforzi alla fabbricazione e alla divulgazione di quella storia, benché fosse totalmente priva di fondamento, dimostra da un lato quanto fosse grande l'impressione che quel primo vangelo era capace di suscitare, e dall'altro di quanta abilità e bravura fossero capaci gli anonimi autori di quella più antica santa favola.  

Che essi avessero sentito l'esigenza di mettersi a tavolino per inventare un Gesù a loro totale immagine e somiglianza, a conferma di quanto disse Horst Fuhrmann:
«Non esiste un avvocato migliore per lo spirito dei tempi del falsario: quello che molte persone pensavano fosse necessario, ma mancava, egli lo portò alla luce».
...è però dimostrato da un curioso aspetto che aggiunsero alla vita di carta del loro Gesù, inventato in un momento in cui nessuno poteva più ricordare di cosa si era trattato nel passato reale. In maniera persuasiva non tanto per l'efficacia quanto piuttosto per l'apparente — e soltanto apparente — onestà del loro linguaggio, essi lamentavano la mancanza di comprensione della vera identità del Cristo di carta da parte di coloro da cui meno lo si sarebbe aspettato. Di quei pretesi primi seguaci di Gesù — guardacaso, semplici cloni di carta di tre personaggi realmente esistiti, le cosiddette «colonne» tanto invise a Paolo l'apostolo — dettero un ritratto a dir poco imbarazzante. E fra gli altri episodi, uno più inverosimile dell'altro, citano quello di un esorcista indipendente che guariva «nel nome di Gesù», senza aver mai realmente conosciuto il Cristo di carta tantomeno aver mai sentito parlare di lui. Il nome di questo singolare outsider, così compromettente per ogni pretesa di superiorità delle «colonne», viene taciuto, ma da alcune circostanze accessorie si può indovinare chi fosse.

Egli è colui che scrisse uno degli incipit più antichi di tutto il Nuovo Testamento:
Paolo, apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo...
(Galati 1:1)

Quando lessi quest'episodio dell'esorcista indipendente, realizzai da subito una profonda contraddizione: come si poteva attribuire un potere taumaturgico al nome di «Gesù» prima ancora di conoscere colui che, a detta del primo vangelo, aveva indotto così tanti a credere al potere taumaturgico del suo nome?

Quella sola contraddizione nel primo vangelo mi impedì ipso facto di riporre fiducia nei confronti dei suoi anonimi autori. Era inevitabile che, a fronte di una così evidente divergenza tra la realtà e quella storia, si sviluppasse quasi una sorta di ostilità verso quelli autori ignoti. 

È vero che lo scritto manteneva verso i suoi lettori una parvenza di modestia e di umiltà, ma tanto più chiara ne risultava la vera disposizione dei suoi creatori. C'era qualcosa di ingannevole, di menzognero, nella loro natura. A loro non interessava di certo riportare la vita del «Gesù storico» più di quanto quella stessa vita importasse davvero — o fosse veramente conosciuta — a Paolo e ai primi cristiani. 

Quando ho fatto presente la cosa ai folli apologeti cristiani sotto mentite spoglie di accademici, la loro mancanza di giustificazioni valide mi ha ulteriormente infastidito. Quella mancanza di risposte credibili da parte di sedicenti esperti al soldo di una istituzione religiosa combacia a meraviglia con il silenzio degli autori di quella storia sui loro nomi e sulle loro fonti, se mai ne avessero avute. Inutile dire che il silenzio degli uni come degli altri mi ha infastidito parecchio in quanto proveniente dopotutto dalla stessa motivazione di fondo, il malcelato desiderio di venderti una «Verità» — al di là delle diverse gradazioni della stessa, valide a seconda delle stagioni — nella più totale assenza di prove e garanzie degne del nome.

Ma, mettendo in un angolo quelle fallaci argomentazioni storiciste che disonorano chi le concepisce e chi ha perfino il coraggio di spacciarle pomposamente — udite, udite — per «prove dell'esistenza storica di Gesù» (sic), non voglio tacere dell'interrogativo di fondo che d'un tratto afferra chiunque abbia realizzato le reali entità del problema: qualcuno sa spiegarmi perché, mentre questa cosiddetta civiltà giudeocristiana volge oramai ad un inglorioso crepuscolo, dopo che finalmente il Dubbio sulla storicità di Gesù si è insinuato nella mente di così innumerevoli occidentali, mescolandosi alla quantità mastodontica di informazioni che internet sta per servirci giorno dopo giorno, dopo essere stati esposti, mediante la Rete, alla conoscenza sic et simpliciter di una ricostruzione miticista delle Origini cristiane, ed alla intrinseca plausibilità di una tale ricostruzione; qualcuno sa spiegarmi perché, seppur alimentando l'impressione che un Gesù storico non sia mai esistito fisicamente, storicamente, mentre sempre di più appare chiara di converso l'inconsistenza e l'improbabilità della visione tradizionale delle Origini del cristianesimo, il suo essere un paradigma inesorabilmente tramontato, rovesciato da uno nuovo; qualcuno sa spiegarmi perché, in questa fine di un'era, l'ennesima, piuttosto che concentrare la commossa attenzione a questo grave istante, l'ingresso in un universo senza dio, in un mondo senza Cristo, e in un cristianesimo senza Gesù, così pieno di cose irrimediabilmente caduche... ...e tuttavia, a differenza di Gesù, reali — piuttosto che lasciarsi occupare da tutto questo, gli ultimi cristiani rimasti pensino ancora con malinconia al chimerico ritratto del loro evanescente «Gesù di Nazaret», alle occasioni mancate di riscontrare nel passato reale un uomo simile («sempre se sia lecito chiamarlo uomo», come pure concorderebbe il famigerato interpolatore del Testimonium Flavianum) che avrebbe ornato quella «Grande Chiesa» di corruzione e vanità dai cristiani faticosamente eretta nel corso di due lunghi millenni...   

Perciò ho rinunciato a credere ad una parola degli autori di quel Vangelo Più Antico. Quando si offre a qualcuno, tanto a chi scrisse il primo vangelo quanto al teologo travestito da storico, un congedo definitivo, come ho fatto io, e l'altro trova la cosa perfettamente naturale, si è soliti esaurire nel modo più spiccio quanto resta ancora da sbrigare in comune, e non si impone inutilmente la propria presenza silenziosa. Guardandoli per l'ultima volta con le dovute prospettive, gli autori anonimi del vangelo e i moderni partigiani della loro «buona fede», non potrei mai credere che si riuscirebbe a farli dissuadere dalla loro passata e presente attività di invenzione e di propaganda.  
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Guy FAU

LA FAVOLA 
DI 
GESÙ CRISTO
«Se il fatto della rivelazione non è reale, o almeno non ha nulla di soprannaturale, le religioni non sono altro che delle creazioni interamente umane, e tutto si riduce allora a trovare la ragione delle diverse finzioni dello spirito umano».
ERNEST RENAN.
INTRODUZIONE

ALLA RICERCA DELLA VERITÀ


Il 2 luglio 1766, per non aver salutato una processione e forse aver danneggiato un crocifisso di legno (la sentenza dichiara che ne era «veementemente sospettoso», che è una confessione dell'assenza di prove), il Cavaliere de la Barre fu crudelmente torturato, poi giustiziato in luogo pubblico. Sulla sua schiena, in conformità alla decisione dei giudici, un cartello denunciava i suoi crimini: «Empio, bestemmiatore, sacrilego esecrabile ed abominevole». Ancora non si aveva osato menzionare il crimine più grave: egli possedeva il «Dizionario filosofico» di Voltaire, che venne solennemente bruciato con il suo corpo decapitato. 

E questo, in pieno secolo dei Lumi! 

Quasi cento anni dopo, il 15 gennaio 1862, il corso di Renan alla Sorbona fu sospeso per ordine della polizia, a causa di oltraggio a Cristo. Venne soppresso il mese successivo. Almeno, questa volta, non si potè arrivare a bruciare l'autore. 

Questi interventi dell'autorità, in un'area che doveva ospitare solo la libera discussione, testimoniano abbastanza gli impedimenti che, in un passato relativamente recente, erano apportati alle ricerche concernenti le origini cristiane. 

Siamo al giorno d'oggi più liberi di intraprendere tali ricerche, e di farne conoscere le conclusioni? Certamente, in apparenza, tutti godono di una piena libertà. È vero che non si incorre più nel rogo (e ammetto che avrei esitato a correre questo rischio). Ma la voce degli storici razionalisti ha poche chance di farsi ascoltare. 

La Chiesa non può più far bruciare coloro che la ostacolano, e neppure le loro opere. Ma dispone di molti mezzi per reprimere le obiezioni, sempre più serie, che si oppongono ai suoi dogmi, alla sua versione romanzata dei fatti. Con riluttanza, essa è scesa a compromessi con coloro che si limitano a negare la divinità di Gesù, obiettando loro che la fede trascende la ragione. Non può cavarsela a buon mercato con gli storici che dimostrano l'inesistenza stessa di Gesù come uomo: così, finge di ignorarli e di trattarli con disprezzo. Ma non si confutano affatto gli argomenti con il silenzio!

In un testo sovietico, pubblicato nel 1958: «L'origine del Cristianesimo», Lenzman rileva «la stagnazione della letteratura borghese postbellica dedicata alle origini cristiane». Dopo aver sottolineato che la Chiesa romana è corsa ai ripari, perfino tra i protestanti, in presenza del pericolo che minaccia la fede, nota l'efficacia dei metodi di insabbiamento. Secondo lui, con la sola eccezione degli scritti di Alfaric, «attualmente la scuola mitologica non ha dei continuatori in Occidente, benché le conclusioni critiche enunciate dai suoi rappresentanti non abbiano perso nulla del loro valore»

Lenzman è male informato, almeno in Francia. L'esistenza di un circolo Ernest-Renan, le cui pubblicazioni sono accessibili a tutti coloro che desiderano aderirvi, testimonia che la voce dei razionalisti non si è affatto spenta; e opere come «Jésus-Christ a-t-il existé?» di Las Vergnas (1958), o «La passion de Jésus fait d'histoire ou objet de croyance» di Marc Stéphane (1959), dimostrano che la scuola rimane in vita. 

La difficoltà comincia allorché si tratta di raggiungere il pubblico. Un'opera di questo tipo è certa di non trovare posto in nessuna grande collezione, la stampa non ne parla. [1] E Georges Ory constata con amarezza: «Ai nostri giorni, purtroppo!, né Renan né Voltaire avrebbero potuto pubblicare» [2]  

La Chiesa cattolica dispone del benevolo appoggio delle autorità pubbliche, e dei poteri finanziari che controllano la stampa e l'editoria. Ha delle risorse finanziarie considerevoli, un personale numeroso e dedicato. Oltre alle sue pubblicazioni, profitta grandemente per la sua propaganda (a spese perfino dei contribuenti non credenti) della radio e della televisione. Soprattutto, beneficia di una lunga tradizione, e della forza d'inerzia inerente ad ogni posizione difensiva. Cosa sorprende del fatto che i suoi dogmi siano largamente diffusi, perfino se questa imponente cattedrale non è costruita che sull'argilla?

I razionalisti, per contro, sono isolati, non hanno affatto dei mezzi finanziari, non dispongono affatto di grandi settimanali; non hanno affatto il prestigio di riti spettacolari. Le loro opere, spesso accademiche, sono stampate per un piccolo numero di copie. Questa sproporzione nei mezzi basterebbe a spiegare che il grande pubblico, così informato delle pie leggende, ignora financo l'esistenza dei contraddittori. 

Queste considerazioni giustificano la pubblicazione del presente studio: nella misura dei suoi mezzi, ciascuno deve sforzarsi di aggiungere una pietra all'edificio, di far conoscere le conclusioni di coloro che, essendosi liberati dall'influenza dei dogmi, hanno cercato di informarsi per rispondere oggettivamente a questi difficili interrogativi: Gesù è realmente esistito o non è che un mito? E se non è affatto esistito, come si spiegano la nascita e la diffusione del cristianesimo?

Tali problemi restano estranei al grande pubblico, sia per indifferenza, sia perché il loro studio esige degli sforzi. Il tema impone l'esame e la discussione di numerosi testi, che gli stessi cattolici non leggono. Si deve concludere che la materia sia riservata a dei rari specialisti, che leggono il greco e l'ebraico? 

La principale preoccupazione di questo libro sarà di mettere questi problemi alla portata di qualsiasi lettore di cultura media, senza domandargli uno sforzo eccezionale. Ma il soggetto stesso non permette affatto di escludere i  riferimenti ai testi, la loro discussione e una grande abitudine dell'analisi critica che, a differenza del «buon senso» di Cartesio, non è proprio la cosa del mondo meglio condivisa.

NOTE

[1] Questo è ben inteso, quello che è successo per la prima edizione di questo libro; di tutta la grande stampa parigina, solo la «Canard enchâiné» (che io ringrazio) ha avuto il coraggio di parlarne.

[2] Bulletin du Cercle Ernest Renan, dicembre 1961.

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