giovedì 18 settembre 2025

Gerard Bolland: FILOSOFIA DELLA RELIGIONE — Che cosa pensate del Cristo?

 (segue da qui)

VI.

Che cosa pensate del Cristo?  

La questione che ora attirerà la nostra attenzione è formulata in Matteo 22:42: “Che cosa pensate del Cristo?” La domanda ad essa collegata, “Di chi è figlio?”, sarà trattata nel capitolo successivo.  

Giustino Martire, proveniente dalla Palestina e istruito a Roma, ci ha lasciato un dialogo con un ebreo di nome Trifone, in cui il punto di vista ebraico viene esposto ai cristiani del 2° secolo con queste parole: “Noi tutti aspettiamo il Messia come un uomo tra gli uomini” e anche: “Voi seguite una voce vana e vi create da soli un Cristo”. [1]  

E se non ci soffermiamo troppo sulla lettera, potremmo in un certo senso accogliere questa affermazione come nostra. Tuttavia, ciò è in netto contrasto con l'opinione dominante della cosiddetta teologia liberale, che segue il metodo della “sottrazione”. Gli evangelisti e le altre fonti vengono esaminati criticamente e comparativamente, ma sempre partendo dalla falsa premessa che qualcosa di storico deve pur esserci stato in Terra Santa, anche se molte cose non si possono più credere. Con questo approccio, però, alla fine non rimane nulla.  

Un eminente teologo del passato, [2] che non riusciva ad accettare le ipotesi dei Bollandisti, una volta esclamò: “Devo almeno conservare un uomo e una condanna!” E H. Zimmern, autore dell'importante scritto Zum Streit um die Christusmythe (1910), arrivò persino a non considerare più il nome di Gesù come storico, pur volendo mantenere la figura. Questo porta a una completa riduzione all'assurdo. [3]  

Ora, quel metodo ci ha insegnato a non credere troppo al racconto evangelico, ma la ricerca storica dimostra che non ci si può fermare a questa antitesi, né in questo campo né in altri ambiti scientifici.  

Se la tesi è la credenza che afferma: “Così è avvenuto”, l'antitesi nega tutto in modo radicale, [4] ma senza offrire una vera comprensione, ossia senza rispondere alle domande: Come dobbiamo interpretare questi racconti? Quale era il loro scopo? Queste questioni emergono solo nella sintesi, in cui ci si chiede: Quale è il valore storico del Nuovo Testamento? Cosa ci rivela? E la risposta deve essere: dietro il cristianesimo si cela un'essenza misterica. Nella sintesi, la teologia negativa, portata alla sua estrema conclusione, trasforma il concetto di Dio in una molteplicità infinita di opposti: ciò che non può essere definito né in un modo né nell’altro è entrambe le cose contemporaneamente. Questo dimostra che la vera logica, privata delle proiezioni antropomorfiche, diventa essa stessa teologia, e che la ragione, attraverso una sorta di inversione, può essere teologizzata.  

Torniamo ora alla preghiera discussa nel primo capitolo: “Vieni, Signore Gesù!” e chiediamoci se, secondo la teologia moderna, Gesù sia venuto in incognito. Perché, in questa prospettiva, egli è considerato un uomo che fu divinizzato solo in seguito.

Ma in questo modo non si capisce nulla della questione. Se un giovane uomo fosse morto in Galilea, allora circa 25 anni dopo, “Paolo” avrebbe scritto tra le 60 e le 65 epistole, [5] dopo essere stato istruito da discepoli palestinesi. Eppure, Paolo non dice quasi nulla sulla vita di Gesù; egli conosce solo Gesù Cristo e questi crocifisso, il che significherebbe che la divinizzazione sarebbe avvenuta immediatamente dopo l'esecuzione. Ma questo è molto improbabile!  

Ora, lo studio dell'antichità ha rivelato che la sofferenza, la morte e la resurrezione di questa figura divinizzata corrispondono esattamente a ciò che accadeva nei culti misterici. [6] Questo suggerisce che Gesù fosse una divinità misterica e non un giovane uomo divinizzato; un essere celeste creato dall'immaginazione di ebrei mistici-teosofici, impregnati di cultura greca, che lo avrebbero modellato nel loro linguaggio e nei loro testi.  

Questo concetto emerge anche nelle Scritture, in Filippesi 2:5-11: “Abbiate in voi lo stesso sentimento che fu in Cristo Gesù, il quale, pur essendo nella forma di Dio, non considerò una rapina l'essere uguale a Dio, ma annullò sé stesso, assumendo la forma di servo, diventando simile agli uomini; e, trovato nell'aspetto come un uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre”.

Se consideriamo che rapina è una cattiva traduzione di “facilmente afferrabile”, così come annullò sé stesso  lo è di svuotò se stesso” [7] (della gloria divina), un vero termine misterico, allora resta la domanda: a chi obbedì?

La risposta è: al Padre, il vero essere supremo, che non aveva creato questo mondo profondamente corrotto. Quest'opera era stata compiuta da un arcangelo superiore. Gli angeli erano dèi minori, spiriti planetari, [8] e con il Signore degli ebrei si intendeva in realtà lo spirito planetario di Saturno. [9] Era necessario rimediare a questa creazione imperfetta, e perciò il Padre aveva detto al suo Primogenito: Vai a riparare ciò che il Signore degli ebrei ha fatto di così male. Il Signore degli ebrei non era il diavolo, ma era comunque legato a lui, come si può leggere nel Salmo 7.  

La concezione errata è quella di equiparare il Padre al Signore, come se quest'ultimo avesse richiesto un riscatto per la Legge. Il Nuovo Testamento è ambiguo: si può concedere che abbia un fondamento nell'Antico, nel senso che è stato modellato in stile ebraico. Ma qui Dio è il Padre, mentre Gesù Cristo è il Signore. Perciò un predicatore ortodosso che continua a invocare il Signore Dio, riferendosi al Dio dell'Antico Testamento, in realtà è anticristiano e nient'altro che un ebreo rinnegato.  

Quanto è diverso il Signore dei cristiani dal sanguinario e vendicativo Signore degli ebrei! Basta leggere 2 Corinzi 8:9: “Voi conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, affinché voi diventaste ricchi mediante la sua povertà”.

Nel testo precedente (Filippesi 2:7), Cristo si svuotò, rinunciò alla sua divinità, qui definita “ricchezza”, mentre altrove si dice che in Cristo risiede il pleroma, la pienezza di Dio.  

Un hegeliano non potrebbe che ammirare questa concezione! Dio è diventato uomo, affinché l'uomo potesse diventare spirituale o, per dirla con Ireneo di Lione (3:21,1), affinché l'uomo fosse salvato. Ma purtroppo nessuno ha voluto ascoltare coloro che hanno esaminato le Scritture in modo imparziale, e queste questioni sono state messe a tacere. Solo il professor De Zwaan di Groninga può essere citato tra i pochissimi che hanno preso sul serio il filosofo di Leida. Tuttavia, anche i teologi più eruditi non vogliono (o non possono) vedere che, se questa è la verità iniziale del vangelo, allora in realtà non è mai accaduto nulla di storico; la vita terrena di Gesù non è mai esistita. [10] Ma la teologia moderna è completamente fuoristrada, per quanto comprensibile possa essere la sua direzione come fase dello sviluppo del pensiero storico. Consideriamo Ebrei 2:9: “Ma colui che per un breve tempo era stato fatto inferiore agli angeli, Gesù, noi lo vediamo ora coronato di gloria e di onore per la morte che ha sofferto, affinché per la grazia di Dio gustasse la morte per tutti”. Quegli angeli erano in realtà spiriti planetari o celesti, non messaggeri del Signore. E Gesù li superò tutti. Ma chi è Dio in questo contesto? Questo sarà esaminato nel prossimo capitolo.

Questa epistola agli Ebrei è uno scritto alessandrino, redatto da ebrei alessandrini. Essa rappresenta la dottrina originaria, che può essere confrontata con il Paolinismo, il quale non aderisce più all'antico ebraismo teosofico, ma diffonde un alessandrinismo diluito e mitigato. Tuttavia, ad esempio in 2 Corinzi, si nota ancora un contatto con questo scritto puramente alessandrino. I Vangeli arrivano più tardi e trasformano Gesù in un precipitato, un residuo umano.  


Ma contro cosa si combatteva nel 2° secolo?  

In 2 Giovanni 7 leggiamo che molti seduttori sono usciti nel mondo, coloro che non confessano che Gesù Cristo è venuto nella carne. Qui vediamo quindi una resistenza basata su una dottrina eretica, ovvero la dottrina dei Doceti, coloro che percepivano la verità come un'illusione, membri della comunità privi di spirito critico storico.  

In effetti, nei primi tempi del cristianesimo, la logica era poco sviluppata, e chi voleva superare il concetto ebraico di Dio ragionava in modo infantile: non approfondiva il concetto, ma semplicemente adottava un nuovo Dio superiore a quello degli ebrei. Questo accadeva in generale. Si credeva negli dèi, anche in quelli pagani; dato che i pagani affermavano la loro esistenza, allora dovevano esistere. Poi si fantasticava in modo ingenuo e si sosteneva che i pagani si sbagliavano solo sulla loro qualità: quegli dèi erano spiriti maligni, demoni. I demoni, però, non erano i diavoli medievali, ma spiriti naturali, esattamente come gli elementali dei teosofi moderni.  

Allo stesso modo, coloro che volevano superare il Dio di Mosè non dicevano che avrebbero dovuto superare il concetto stesso di Dio, ma semplicemente affermavano: “Quello non è ancora il vero Dio”. Doveva essercene un altro, più elevato, che non avesse sulla coscienza la Legge ebraica. Lo stesso problema aveva spinto Filone di Alessandria a interpretare allegoricamente il Pentateuco. Ed ecco che nacque la narrazione su come sarebbe avvenuta la redenzione.  

I Doceti, tuttavia, non negavano che fosse accaduto qualcosa, ma dicevano: il Signore Gesù è venuto come un'illusione, come un'apparenza.  

E se nella seconda epistola di Giovanni queste persone vengono chiamate seduttori, ciò significa per noi che la loro dottrina doveva suonare molto plausibile.  

I Padri della Chiesa del 2° e 3° secolo furono estremamente insoddisfatti di questa dottrina, ma non affrontarono il vero nodo religioso.  

Il problema dei Doceti era il seguente: “Possiamo concepire il Signore Gesù senza le funzioni corporee del nutrirsi e del bere?” In effetti, se si pensa a Cristo come a una figura puramente spirituale, allora il corpo fisico deve essere eliminato. Anche Clemente Alessandrino era in parte doceta, come lo sarebbe qualsiasi persona sensibile. Ma la maggior parte dei credenti non arriva a tanto, perché si sforza sistematicamente di evitare simili conseguenze estreme.  

Hegel, che da filosofo osava trarre conseguenze logiche, disse che agire significa diventare peccatori. E in Ebrei 4:15 leggiamo: Cristo è stato tentato in ogni cosa come noi, ma senza peccato. Ma allora, per un hegeliano, questo significa che Cristo non aveva un corpo. Guardiamo Romani 8:3: “Dio ha mandato suo Figlio nella somiglianza della carne di peccato”. Da dove è venuto questo Figlio? Dal cielo, ovviamente. E dunque non è apparso solo in apparenza, come viene ripetutamente affermato. Confrontiamo con il versetto 29: Dio ha predestinato coloro che lo amano a essere conformi all'immagine del suo Figlio. Il Figlio esiste per fluttuare nell'immaginazione. 

Ma nella lettera agli Ebrei, che rappresenta l'Alessandrinismo nella sua forma più pura, si legge in Ebrei 10:19-20: “Abbiamo fiducia di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, per una via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne”. Qui la carne è un velo, un’apparenza che fluttua nell'immaginazione; la redenzione è avvenuta attraverso una forma illusoria.  

Ora passiamo ai Vangeli. Qui non troveremo una conferma altrettanto esplicita di quanto detto sopra, poiché essi sono di molto posteriori alle fonti appena trattate.  

Ma leggiamo Luca 4:30: Lo condussero fino al ciglio del monte per gettarlo giù, ma egli passò in mezzo a loro e se ne andò. Lo stesso concetto si trova in Giovanni 8:59: I Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo, “ma Gesù si nascose e uscì dal tempio [passando in mezzo a loro e così se ne andò]”. I lettori più liberali vedono qui una contraddizione, ma si sbagliano completamente. Cosa accade realmente? Si vuole lapidare il vero Giosuè, ma egli diventa occulto, invisibile. Per questo i Doceti si chiesero: Che tipo di uomo era costui? E accanto alla loro convinzione che la resurrezione fosse già avvenuta e che ci si dovesse astenere dalla carne, dal vino e dalle donne, svilupparono la dottrina secondo cui il Signore Gesù era un essere celeste. Questi eretici credevano a ciò che si raccontava fosse accaduto, ma la loro immaginazione diceva loro: Se è accaduto, allora è accaduto solo in apparenza.

In verità, il Signore è lo Spirito (2 Corinzi 3:17), che si manifesta in una simbolica profondità. Senza rivelazione, infatti, l'umanità non è nulla. E la vera rivelazione è ciò che l'uomo comune non avrebbe mai trovato o concepito con le proprie forze, ma che, a posteriori, si rivela essere la verità.  

“Che cosa pensate del Cristo?” Ecco il tema di questo capitolo. E noi abbiamo chiamato Gesù il vero Giosuè. Perché in Giovanni 5:46 lo stesso Salvatore dice: “Se credeste a Mosè, credereste anche a me, perché egli ha scritto di me”.  

Nessuna facoltà accademica può fornire qui una spiegazione. Mosè deve aver scritto di Gesù. Ebbene, in Numeri 13:16, Mosè ha dato al suo successore il nome di Giosuè, che in greco ellenistico è reso come Iēsoûs, corrispondente all'aramaico Jeeshu'. Per cominciare, i traduttori alessandrini delle Scritture ebraiche hanno utilizzato questa forma. Jeeshu' è a sua volta una forma abbreviata di Jehooshu'a o Gesù, che troviamo in Palestina come variante più recente di Jehooshu'a o Giosuè. In aramaico, la a finale cadeva; i greci non riuscivano a pronunciare la sj e vi aggiunsero la desinenza -s per il caso nominativo, per cui in greco troviamo ovunque Ἰησοῦς, anche nella traduzione greca dell'Antico Testamento. In tal modo, per gli ebrei di lingua greca, il Salvatore divenne il vero successore di Mosè, colui che portò Israele alla meta.  

Già Filone di Alessandria suggerisce che il nome del successore di Mosè, Gesù, sia di particolare importanza. In Genesi 49:18 leggiamo: “O Jahvè, io attendo la tua salvezza [jeshu'a] (cfr. Salmi 62:3,7; 89:27). E Filone ci indica, nel suo scritto sui cambiamenti di nome: “Gesù (Ἰησοῦς = Jeeshu' < Jeshu'a, Jehooshu'a) significa 'salvezza del Signore', un nome per il carattere più nobile”. Egli osserva, nel §33 del suo trattato sulla filantropia, che Gesù, come guida del popolo di Dio, è stato riconosciuto da Mosè stesso come il successore designato da Dio. È un'oscuramento delle Scritture quando i nostri traduttori sinodali del 1866, in Atti 7:45 e in Ebrei 4:8, rendono il nome come “Giosuè”, come se il Giosuè dell'Antico Testamento nella traduzione alessandrina e il Gesù del Nuovo Testamento nel testo greco ellenistico portassero nomi diversi. Questo oscuramento delle Scritture è connesso all'occultamento generale dello sfondo ellenistico del cristianesimo operato dalla Riforma, che ha riportato in primo piano il testo ebraico delle Scritture della Sinagoga, facendo emergere la vera storia del giudaismo precristiano in Palestina e della sua origine, ma al contempo distogliendo lo sguardo dalla traduzione alessandrina e, più in generale, dal giudaismo ellenistico precristiano. Di conseguenza, i predicatori formati nelle nostre università – per i quali, tra l'altro, spesso la verità non è una priorità – comprendono meglio le Scritture della Sinagoga che quelle della Chiesa, e in generale manca ancora una vera consapevolezza dell'origine del cristianesimo.  

Mosè non aveva ancora condotto il popolo di Dio alla sua destinazione finale; solo Gesù si rivelò il vero condottiero. Oppure doveva ancora venire ai tempi di Filone? Il popolo di Dio doveva ancora aspettarlo come uomo inviato dal cielo? [11“Marana tha!”, O Signore, vieni!, si gridava ancora nel 2° secolo della nostra era. [12] “Infatti, se Gesù”, dice lo scrittore alessandrino della lettera agli Ebrei (4:8), “li avesse introdotti nel riposo, non avrebbe poi parlato di un altro giorno!” Il vero Giosuè, secondo lui, è dunque già venuto come “mediatore di una nuova alleanza”. [13] L'“altro giorno” è chiaramente il giorno del Dio d'Israele annunciato dai Profeti, che era stato promesso al popolo come un giorno di grande soddisfazione “nazionale” [14] e che sembra ancora essere atteso in Apocalisse 22:20. [15] In Ebrei 4:8, i nostri traduttori della Bibbia dicono: “Sebbene la terra di Canaan fosse anche un luogo di riposo per gli Israeliti, in essa non era racchiuso il loro bene supremo; essa era solo un'ombra di questo riposo supremo e spirituale, e quindi essi dovevano impegnarsi per raggiungerlo attraverso la fede”. In altre parole, il luogo in cui il popolo di Dio doveva ancora arrivare era un luogo spirituale, e doveva esservi condotto dallo Spirito. In questo senso, i veri crestiani gesuani sono poi stati detti salvati dal Padre dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno del Figlio del suo amore. [16]

A Mosè aveva detto il Signore: “Io susciterò per loro un profeta in mezzo ai loro fratelli, simile a te; e metterò le mie parole nella sua bocca”. [17] Il Giosuè, Jesua o Gesù della narrazione ebraica era già il compimento di questa profezia, oppure era solo un segno, un presagio del vero Gesù, Jesua o Giosuè, il quale avrebbe portato al popolo di Dio la vera e, perciò, celeste redenzione? E chi era in realtà quel vero Giosuè, Jeshua o Gesù? 

Come abbiamo già visto nel primo capitolo, il Talmud parla di un angelo, Metatron, il primo rappresentante e vicario di Dio sulla terra, che viene esplicitamente identificato come Messia: “Abramo è l'immagine del Maestro, come il Sole, e il servo di Abramo è l'immagine del Metatron inviato dal suo Maestro”. [18] Fino al 19° secolo venivano fabbricati amuleti per evocazioni con il nome di Metatron, il principe della Presenza. [19] Inoltre, una liturgia recitata sotto il suono della tromba nel primo giorno del nuovo anno ebraico – che proviene da un'antichità remota, poiché lo stesso Talmud (Aboth de Rabbi Nathan 21) vi accenna – dice: Possa la nostra preghiera salire davanti al trono della Shekinah, al suo involucro Metatron, a Giosuè, il principe della Presenza. Su un papiro magico pubblicato da C. Wessely a Parigi è stata trovata un'invocazione greca “per il Dio degli ebrei, Gesù”. Questi amuleti e testi dimostrano dunque che esistevano invocazioni nel nome di Gesù, [20] il che non deve sorprenderci: l'antico giudaismo era immerso nella superstizione. Ma leggiamo ora Marco 9:38, dove Giovanni dice al Salvatore: “Maestro! Abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome, e glielo abbiamo impedito perché non ci seguiva”. Il vangelo di Marco, databile intorno al 140 o poco più tardi, dice la stessa cosa, ma... capovolge la situazione, così come fanno Luca 9:49 e Luca 10:17, dove si dice con gioia: “Signore! Anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”. Qui vediamo quindi cristiani ed ebrei dello stesso stampo.

Infine, si deve ancora far riferimento a Atti 19:13, dove vengono menzionati esorcisti ebrei itineranti che invocavano il nome del Signore Gesù su coloro che erano posseduti da spiriti maligni.  

Allo stesso modo, gli ebrei praticavano esorcismi nel nome di Metatron, e i cristiani li imitarono con l’idea che questo Giosuè si fosse manifestato. E ciò avvenne come in un mistero, in cui la vita, la sofferenza e la morte della divinità erano la garanzia che anche i suoi discepoli avrebbero avuto una vita beata dopo la morte.  

Così emerge la duplice origine del Vangelo, che già Schopenhauer aveva intuito, portandolo a osservare che il Vangelo avrebbe nelle sue vene sangue indiano. Ciò dimostra che egli aveva già percepito come tutto ciò non potesse derivare unicamente dal giudaismo. In effetti, l'incarnazione di Dio richiama la speculazione e la vita popolare indiana: è probabile che qualcosa dell’India sia confluito nei nostri racconti evangelici, e un secolo e mezzo più tardi pare che anche Clemente Alessandrino conoscesse il Buddha. È ad Alessandria che con maggiore probabilità le leggende provenienti dall'India  — quando il buddhismo ancora fioriva — si sono infiltrate nel Vangelo. [21]  


Ora, si deve capire che la distinzione tra i nomi di Gesù e Giosuè è un innocente inganno nella traduzione olandese, ad esempio in Atti 7:45 e in Ebrei 4:8. In questi passi, Giosuè è il Gesù antico, in carne e ossa, in quanto figura terrena; mentre, allo stesso tempo, è anche Mosè, colui che aveva profetizzato l'arrivo del vero Giosuè. Mosè dovette morire prima che Israele entrasse nella Terra Promessa, e questo Gesù, che aveva condotto il popolo, era il presagio di ciò che avrebbe fatto il Gesù celeste: portare Israele laddove doveva essere.  

Ma guardiamo ora Matteo 1:21: “Tu gli darai il nome Gesù, perché egli salverà il suo popolo dai loro peccati”. Qui si vede chiaramente che Matteo non sapeva più cosa significasse realmente il nome Gesù, derivato da Jehošua, [22] un nome che non può essere separato dal Dio ebraico Jahvé e che indica che il Dio degli ebrei reca salvezza. Matteo pensa in termini greci e vi legge ἴησις, ἴασις e σώζω, σωτήρ, facendo apparire Gesù come un guaritore, un taumaturgo per il corpo e per l’anima.  

Troviamo la stessa idea in Matteo 18:11: “Poiché il Figlio dell’uomo è venuto a salvare ciò che era perduto”. Il professor Oort traduce qui figlio dell'uomo come essere umano. Ma Cristo non è certo semplicemente un uomo. [23] Infatti, il Figlio dell’uomo è proprio il Figlio di Dio, e non un semplice giovane. In Luca 22:69-70 leggiamo: “Ma da ora in poi il Figlio dell’uomo siederà alla destra della potenza di Dio. E tutti dissero: Dunque tu sei il Figlio di Dio? Ed egli rispose loro: Voi lo dite, perché io lo sono”.  

E secondo Matteo 20:28: il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita come riscatto per molti. Proprio come una divinità misterica, Cristo dona il suo sangue, il sangue dell’alleanza, che secondo Matteo 26:28 viene versato per molti per il perdono dei peccati.  

Quale alleanza si intende qui? La nuova, che entrò in vigore con la distruzione di Gerusalemme. Poiché quella distruzione rappresentò la rottura della vecchia alleanza: il Dio ebraico rinnegò la sua alleanza lasciando che il suo tempio venisse distrutto.  

Nella predicazione di Pietro riportata da Clemente Alessandrino (Stromati 6:5), si afferma chiaramente: Egli vi ha dato una nuova alleanza, poiché quelle dei Greci e degli Ebrei sono ormai obsolete; voi invece, che lo adorate in un modo nuovo come una terza stirpe, siete cristiani.

Ancora una volta vediamo qui come questa nuova alleanza sia stata, a posteriori, l’interpretazione data dagli ebrei per gli ebrei riguardo agli eventi dell’anno 70. In quanto suprema entità celeste presso l’essere supremo, Gesù accettò la morte per il perdono dei peccati. Tuttavia, questa idea era già conosciuta dagli ebrei prima del Vangelo, che sviluppò tale concetto secondo una visione teosofica di matrice alessandrina.

NOTE AL CAPITOLO VI. 

[1] Dial. 49 e Dial. 8.

[2] Alla mia domanda se qui fosse forse inteso il Prof. Oort, il Prof. Bolland scrisse: Con “un uomo e una sentenza” non devi pensare al Prof. Oort. — Più tardi appresi oralmente che il Prof. Meyboom aveva pronunciato questa frase. Cfr. De Groote Vraag², 140.

[3] Molto conciso, ma oggettivo e penetrante: Te Winkel, Ontwikkelingsgang IV, 712. Fino a che punto arrivi la scienza teologica liberale lo discute Bolland in De Groote Vraag.

[4] S. Reinach, Orpheus 332.

[5] Come risulterà più avanti, le lettere di Paolo sono anteriori al vangelo. Vedi De Groote Vraag, 142 ss.

[6] Si confronti a questo proposito un libro come Arthur Drews, Die Christusmythe⁴ (1910), pp. 30–51 e 89–98.

[7] Cfr. De Groote Vraag, p. 8, nota.

[8] “I filosofi sono soliti chiamarli in generale dèmoni, ma la Sacra Scrittura li chiama angeli, dice Filone di Alessandria nel suo trattato sui sogni ispirati (1:22). Anche in Plutarco però si parla talvolta di “angeli”: vedi § 22 del suo scritto sull’impossibilità, secondo Epicuro, di vivere felici. Agostino: “Essi dicono che vi sono dèi e li chiamano amici del saggio; noi invece li chiamiamo semplicemente angeli”. (La città di Dio 19:3). — La concezione ebraica degli angeli in Salmi 91:11 è babilonese. Cfr. soprattutto Zuivere Rede³, 646 ss.

[9] A questo riguardo il Prof. Bolland mi scrisse: “Io stesso non considero Jahvé semplicemente come Saturno, sebbene il Kewan di Amos non sia altri che Saturno: originariamente il dio tribale di Giuda — che non va confuso con la “pietra d’Israele” e che si chiamava Jahū — fu un feticcio-serpente, ma in seguito venne “babilonizzato” da più prospettive, e così ad esempio ha tratti del dio-sole. Come dio della pioggia non è nemmeno Saturno. Ma come dio del sabato è stato identificato con Saturno dai giudei teosofici; e che il signore degli ebrei non fosse in ogni caso ancora l’Essere Supremo, lo ammisero ad Alessandria tanto i primi χρηστιανοί quanto i “settari” del 2° secolo. L’ortodossia romana della metà del 2° secolo è, in questo grande aspetto, sorta in un secondo momento; solo ignoranza o partigianeria può negare che il Padre del Signore Gesù originariamente non fosse il signore degli ebrei.

[10] Cfr. J. Keulen, De mythische verklaring van den oorsprong van het christendom, p. 17; le prefazioni di Drews alle varie edizioni del suo libro; e soprattutto Reinach, Cultes, mythes et religions IV: De bello orphico.

[11] Giovanni 3:13; 6:62; 1 Corinzi 15:47.

[12] Didaché 10:3; 1 Corinzi 16:22.

[13] Ebrei 9:15; 12:24.

[14] Amos 5:18 e altrove; Isaia 49:22-23.

[15] Si confronti qui anche Salmi di Salomone 17:21–33 e il “Figlio di Davide” lì con il “Figlio di Davide” in Matteo 22:42.

[16] Colossesi 1:13. Così anche la “Mandā de Hajjê”, cioè la Conoscenza della Vita, personificata presso i Nazareni non cristianizzati della bassa Mesopotamia, mira alla salvezza e al trasferimento dell’anima dal mondo dei corpi a quello dello spirito; in questo contesto però lo Spirito Santo del Gesù unto è definito un pericolosissimo nemico della vera religione.

[17] Deuteronomio 18:18; cfr. Atti 7:37.

[18] Zohar I 181 b (su Genesi 24:2).

[19] Vedi Zuivere Rede, p. 687 ss. e De Groote Vraag, pp. 135 ss.

[20] Quando inviai al Prof. Bolland alcuni passi tratti da Danziger, egli rispose: Danziger saprà bene perché non considera così antiche le invocazioni giudaiche presso Metatron; tragga lei stesso le conclusioni da passi come Apocalisse 3:21, 20:22, Marco 9:38, Luca 9:49, Atti 19:13, in relazione al fatto che il ba‘al šēm ṭōb suole invocare il nome di Gesù Metatron, il principe del volto. Rilegga per me anche, non appena ne avrà l’occasione, ’Abōt de Rabbi Natan 21, e tenga presente l’importanza della preghiera per lo più nascosta ai nostri studenti di teologia: “Possa la nostra preghiera salire davanti al trono della Shekinah, tramite la sua manifestazione Metatron, fino a Gesù principe della presenza”.

[21] Spiegato in De Groote Vraag 108.

[22] Zuivere Rede 736.

[23] In quanto Figlio dell’Uomo, il Signore Gesù del Vangelo è naturalmente il Figlio del Padre, ma non Figlio del Signore; egli è il primogenito, che il Padre buono per un certo tempo ha consegnato al fratello minore, al meno buono signore degli ebrei. (Cfr. qui 1 Corinzi 8:6; 2 Corinzi 4:4; Romani 10:4; Galati 3:13; Giovanni 8:44; 14:30; 1 Corinzi 2:8; Giovanni 7:28; 16:3; Matteo 11:27).

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