(segue da qui)
Giuseppe.
Che l'autore degli Atti degli Apostoli si servisse di Giuseppe tra le sue fonti è dimostrato da molti dettagli della narrativa. Forse il parallelismo dei fenomeni detti aver accompagnato l'effusione dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste (2:1—4) con i portenti descritti da Giuseppe in quanto profetici della distruzione di Gerusalemme (Guerra Giudaica 6:5, 8) [1] può essere preso come prova. Ci sono, però, tracce più chiare di questa e altre simili piccole coincidenze. La menzione di Teuda e di Giuda il Galileo nel discorso di Gamaliele (5:86—37) è dovuta evidentemente a un ricordo imperfetto di quanto l'autore aveva letto in Giuseppe (Antichità 20:5, 1 e 2); dove il Teuda menzionato, e con lui “i figli di Giuda il Galileo”, appartengono a un'epoca successiva a quella a cui Luca assegna gli eventi che fa descrivere a Gamaliele. L'“Egiziano” per il quale Paolo fu scambiato a Gerusalemme (21:38) è l'innominato “profeta dall'Egitto”, la cui spedizione, con la sua disfatta da parte di Felice, è ricordata da Giuseppe (Antichità 20:8, 6; Guerra Giudaica 2:13, 5). La parola σικάριοι (sicarii), applicata ai suoi seguaci, non si trova in nessun altro punto del Nuovo Testamento; essa ricorre spesso in Giuseppe — anche se non nei due passi citati — e apparentemente in nessun altro autore greco. La “tendenza” di Luca qui è evidente. Egli coglie l'occasione per illustrare la sua tesi implicita che ogni trattamento duro dei Romani nei confronti di un cristiano deve essere dovuto a qualche fraintendimento. Nel far predire al suo Paolo che Dio “percuoterà” il sommo sacerdote Anania (23:3) egli probabilmente aveva in mente che lo stesso sommo sacerdote — i cui schiavi erano soliti “percuotere” coloro che non si sottomettevano alle sue imposizioni (Antichità 20:9, 2) proprio come aveva ordinato che Paolo fosse percosso (23:2) — fosse perito di morte violenta (Guerra Giudaica 2:17, 8). I personaggi principali legati all'imprigionamento e al processo di Paolo — Felice e Drusilla, Festo, Agrippa e Berenice — sono tutti tratti da Giuseppe. Luca mette insieme una narrativa ben costruita sulla base dei loro personaggi così come sono descritti dallo storico ebreo, ma non ha una tradizione autentica indipendente su cui lavorare. La narrativa stessa è un'interpolazione da parte sua negli Atti di Paolo. La coincidenza con Giuseppe nell'introduzione di Festo è persino verbale (ἔλαβεν διάδοχον 6 Φῆλιξ Πόρκιον Φῆστον, 24:27; Πορκίου δὲ Φήστου διαδόχου Φήλικι, Antichità 20:8, 9). Il tutto serve allo scopo di mostrare come il cristianesimo, mentre era perseguitato dai fanatici ebrei, fosse protetto dalle autorità romane.
NOTE
[1] Un altro resoconto dei prodigi nel Tempio durante l'assedio di Gerusalemme, tra cui ci fu una voce che proclamava la dipartita degli “dèi” (excedere deos), si trova in Tacito (Historiae 5:13): “quae pauci in metum trahebant: pluribus persuasio inerat antiquis sacerdotum litteris contineri, eo ipso tempore fore ut valesceret Oriens profectique Judaea rerum poterentur”. Se il passo degli Atti è giustamente collegato al passo di Giuseppe, potrebbe sembrare che l'autore cristiano intendesse simboleggiare in forma visibile il trasferimento dei privilegi e delle pretese teocratiche dell'antica gerarchia ai fondatori leggendari della nuova.
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