venerdì 23 maggio 2025

Thomas Whittaker: LE ORIGINI DEL CRISTIANESIMO — Prima Parte: 1:18-8:39

 (segue da qui)


 Prima Parte: 1:18-8:39.

Quando entriamo nella tentata dimostrazione dell'efficacia del Vangelo per la salvezza di tutti i credenti, al di là se ebrei o greci, troviamo fin troppe posizioni incompatibili per lasciare aperta la possibilità che il tutto procedesse dallo stesso autore, elaboratore del proprio pensiero senza riferimento alle fonti. Nel dettaglio, la procedura caratteristica è il collegamento artificioso delle frasi per mezzo di congiunzioni che dovrebbero indicare una transizione logica. Ciò è comprensibile sull'ipotesi che il tutto sia composito, ma non altrimenti. [1] Tra le antitesi più importanti si possono notare le seguenti. 

Il Dio che renderà a ciascuno secondo le sue opere (ὃς ἀποδώσει ἑκάστῳ κατὰ τὰ ἔργα αὐτοῦ) non è precisamente il Dio del Paolinismo insegnato altrove nel paragrafo. Lo scrittore che dice che gli osservanti della legge saranno giustificati (2:18) è diverso dallo scrittore che mediante le opere della legge non sarà giustificata alcuna carne (3:20). Ancora, i versetti 3:25-26 esprimono un'idea diversa da quella che è indicata in 3:24 e in altri passi, presi in congiunzione con 8:20. Nella prima idea, il Figlio di Dio è offerto come propiziazione da Dio a sé stesso per soddisfare le esigenze della propria giustizia. Nella seconda idea, il prezzo della redenzione dell'uomo è pagato a un potere che si pone contro Dio. (Si notino le parole διὰ τὸν ὑποτάξαντα in 8: 20, e le si confrontino con Galati 3:13, 4:5; 1 Corinzi 2:8, 5:5, 8:5, 10:20-21). Il passo prima citato proviene da un Paolinista di orientamento più ebraico; nel secondo scorgiamo un pensiero gnostico. Secondo i passi di quest'ultimo tipo, la giustificazione da parte di Dio è gratuita (δωρεὰν, 3:24). Inoltre, nel confronto tra Adamo e Cristo (5:12-19), la venuta della morte nel mondo è attribuita alternativamente al peccato di un solo uomo (12a, 18-14) e al peccato di tutti (ἐφ’ ᾧ πάντες ἥμαρτον, 12b). Un'altra antitesi diventa visibile nell'idea di una lotta morale permanente, distinta da una redenzione effettuata completamente una volta per tutte. L'impressionante brano 7:7-25 non si può riconciliare con i passi in cui il cristiano è descritto come se avesse infranto per sempre con il peccato nel diventare libero dalla legge. Permettere che l'esclamazione di 7:24, con la sua nota di serietà morale, si riferisca soltanto alla vita pre-cristiana di Paolo, equivale a ridurla a mera verbosità. L'aspirazione in questo caso è alla libertà dal corpo e si riferisce al conflitto interiore ancora da affrontare da coloro che con piena convinzione hanno già abbracciato il cristianesimo. Qualunque sia la fonte originaria di questo passo, la rielaborazione proviene da uno il cui scopo era di salvaguardare l'insegnamento paolino dall'accusa di antinomismo.

NOTE

[1] A questa linea di argomentazione si potrebbe opporre più plausibilmente la seguente obiezione. Non sembra impossibile a priori, si potrebbe dire, che l'autore originale dell'Epistola ai Romani fosse un pensatore religioso talvolta potente, spinto da una fervida emozione a esprimere alternativamente posizioni logicamente inconciliabili. L'inconcepibile complessità di siffatte antitesi dottrinali portò Giuliano a descrivere Paolo come il principe dei ciarlatani (τὸν πάντας πανταχοῦ τοὺς πώποτε γόητας καὶ ἀπατεῶνας ὑπερβαλλόμενον Παῦλον), ma non a negare la sua paternità degli scritti a lui attribuiti. Questa difesa puramente generale, però, perde la sua forza quando si fa il tentativo di applicarla ai particolari. L'uso arbitrario e incoerente della congiunzione γάρ, ad esempio, non sembra spiegato adeguatamente dalla risorsa preferita dai moderni Paolinisti filosofici protestanti: ossia la presunta formazione dell'Apostolo sotto gli sfortunati rabbini. L'ipotesi di Van Manen sull'uso delle fonti spiega davvero questa peculiarità nell'opera di uno “scrittore che parla greco e che pensa in greco”, quale era indubbiamente l'autore o l'editore dell'Epistola ai Romani. E, come lui osserva altrove, nessuno è arrivato a una psicologia — piuttosto che a una logica — di Paolo che abbia soddisfatto altri studiosi.

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