domenica 13 ottobre 2024

ECCE DEUS — NATURA DEL REGNO

 (segue da qui)

NATURA DEL REGNO 

Pare così che l'espressione più antica della concezione fosse il Regno di Dio (già nel Salmo 145:11, 13, sebbene l'espressione stessa non ricorra ancora), cioè il Regno stabilito da Dio e posseduto dai Santi (Israele), nel quale, quindi, si adorava Dio, il Dio Unico. Man mano che il termine “Dio” venne usato sempre meno, soppiantato da allusioni come “Cielo”, “Luogo”, “il Santo Benedetto”, “Signore dei Secoli”, “Che parlò e tutto divenne”, “Solo dei Secoli”, ecc., il Regno di Dio originario diventò regolarmente Regno dei Cieli (Malkuth hash-Shamayyim).  Quando quest'ultima espressione si trova esclusivamente in Matteo, mentre la prima esclusivamente in Marco e in Luca, l'indicazione è chiara che le due espressioni (la prima di colore più giudaico) sono derivate da sfere d'influenza diverse; ma nessuna deduzione sul fatto che Gesù avesse usato la seconda, che avesse parlato alla maniera del popolo, sembra essere permessa o suggerita. 

Weber ha mostrato chiaramente che negli ambienti rabbinici il Regno di Dio o dei Cieli fu equivalente al Regno della Legge; assumere quest'ultimo significava assumere il primo; dove regnava la Legge, lì regnava Dio e viceversa. Ma anche qui l'idea di organizzazione non era assente. Il Regno non consisteva nel pensiero o nell'indole o nell'obbedienza dell'individuo, ma nella totalità organizzata di tutti i soggetti della Legge, degli adoratori del Dio Unico. Gli individui sono membri del Regno, come l'americano nativo o naturalizzato è cittadino degli Stati Uniti. Naturalmente, ciò non può essere il senso del Nuovo Testamento, per quanto riguarda la Legge; eppure quest'ultimo senso deve essere strettamente legato a quello rabbinico, ed è, di fatto, derivabile da esso, cambiando la Legge in Vangelo. 

Non è nostra intenzione addentrarci al presente [1] nella selva delle discussioni sull'attesa messianica e sulle nozioni ad essa legate, come quella del Figlio dell'uomo. L'unico punto da chiarire è che in tutto il Nuovo Testamento, in particolare nei Vangeli, il Regno è una sorta di organizzazione. Nella maggior parte dei casi ciò è così evidente che ogni tentativo di provarlo potrebbe essere considerato inutile e quasi offensivo al lettore. In alcuni casi, però, il senso non è così vicino alla superficie e potrebbe esserci — anzi, c'è stata — una certa diversità di opinioni. Sarà quindi necessario esaminare l'uso neotestamentario, soprattutto nei Vangeli, con una certa attenzione, in particolare nei casi rarissimi in cui potrebbe sembrare che ci sia qualche motivo di dubbio. In Marco il Regno è rappresentato costantemente come un'organizzazione, o persino come un organismo, soprattutto come un'entità che cresce gradualmente in segreto (4:11, 26-32), e come qualcosa in cui si entra (9:47; 10:23, 24, 25), proprio come si entra in una società. Solo un'espressione potrebbe sembrare strana a prima vista: “Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso. E chiamatili, [2] li benedisse, imponendo loro le mani” (10:15, 16). Ma i rabbini parlavano di assumere il Regno assumendo la legge, e la frase di Marco sembra rivolta alla parte ebraica, che fu riluttante a ricevere il Regno di Dio composto principalmente da questi bambini piccoli: cioè da convertiti gentili. 

In Matteo si trova la stessa rappresentazione. In 13:41 (“raccoglieranno dal suo Regno tutti gli scandali”, ecc.) il riferimento all'organizzazione è particolarmente chiaro. Solo in Luca troviamo due versetti (17: 20, 21) che potrebbero forse indicare che il Regno sia qualcosa di interiore, uno stato mentale. “Il Regno di Dio non verrà in maniera che si possa osservare; [3] e non si dirà: Eccolo qui, o eccolo là; perché ecco!, il Regno di Dio è tra voi”. [4] Questo testo è la Gibilterra dei critici liberali, che lo traducono “dentro di voi”, “nei vostri cuori”, non “in mezzo a voi”, e sostengono strenuamente che il loro Gesù con ciò rifiuta esplicitamente l'idea comune del Regno come qualcosa di esterno o politico o sociale-organizzativo, e sublima il concetto in quello di una grande Idea spirituale interiore onnicomprensiva e trasformatrice. Ascoltiamo uno dei più grandi, che ha portato tanta luce dall'Antico Testamento al Nuovo. Wellhausen traduce ἐντὸς ὑμῶν con “Innerhalb von euch” e aggiunge: “es ist inwendig von euch”. “È perciò qualcosa piuttosto diverso dal regno futuro degli ebrei”: il che si può concedere facilmente. “Ma non è neppure la comunità cristiana [cosa che non si può assolutamente concedere] ad essere intesa comunemente in questo modo in Matteo”, dove comunemente (gewöhnlich) esprime una grande enfasi. “L'espressione ἐντός  significa più di ἐν μέσῳ (nel mezzo)”. Dov'è la dimostrazione? “Qui piuttosto il Regno di Dio, proprio come nella parabola del lievito, è concepito come un principio che opera invisibilmente nel cuore degli individui”. Un bel pensiero moderno, che Chamberlain ha sfruttato appieno, ma del tutto estraneo al Nuovo Testamento. Osserva che Wellhausen non fornisce alcuna dimostrazione. Egli adotta quest'interpretazione in barba a tutti i precedenti e alle prove, solo perché è conforme al “Jesusbild” liberale, esso stesso una mera immaginazione. Egli stesso dichiara, nella frase successiva, parlando della concezione corretta, che definisce “del tutto impossibile”: “A dire il vero, nel discorso successivo ai discepoli, essa è nondimeno trattata come possibile”. In realtà, egli ammette un'incoerenza intrinseca (innere Differenz) tra la propria interpretazione e l'idea del Regno presente altrove nei Vangeli. La verità è che la sua esegesi è del tutto priva di supporto nei Vangeli, o persino nell'intero Nuovo Testamento. L'illustre critico adduce, e può addurre, un solo parallelo anche apparente: la parabola del lievito. Ma si tratta di un vero parallelo? Leggi le due parabole (Matteo 13:31-33; Luca 13:18-21). La prima parabola paragona il Regno a un granello di senape, più piccolo di tutti i semi, ma che cresce fino a diventare un vero e proprio albero, tra i cui rami possono dimorare gli uccelli. Quale è il significato? Il Regno è qui un principio nel cuore dell'individuo? Impossibile! È chiaramente un'organizzazione, dapprima poco appariscente, che assume gradualmente proporzioni colossali: il che corrisponde perfettamente all'idea presentata altrove nei Vangeli. Ma la seconda parabola? Siccome le due sono date in immediata correlazione da entrambi gli Evangelisti, si presume che presentino le stesse idee oppure idee simili con immagini diverse. “Un'altra parabola. Il Regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata”. Cioè, il Regno è un'organizzazione nascosta ora nella grande massa della società, ma che si estende gradualmente fino a comprendere il tutto. Quale immagine più vera o più chiara del Regno, del culto di Gesù, del cristianesimo, si potrebbe desiderare? Perché cercare un altro significato quando un significato perfettamente soddisfacente sta a portata di mano? Lo stesso Wellhausen non può negare che il pasto rappresenti “un'entità esterna (il mondo o il popolo ebraico?)”, ma ritiene che il Regno sia “ein durchdringendes Prinzip”. Il Regno è un principio pervasivo! I principi pervasivi crescono come le piante di senape? Egli stesso si rende conto che si tratta di una mera fantasia, perché nella frase successiva dice: “Lo è, tuttavia, nonostante la comunità cristiana”. Ecco! Ha vuotato il sacco! Chiamalo un principio pervasivo, se vuoi ma il lievito, il Regno, rimane la comunità cristiana, l'organizzazione segreta dei discepoli primitivi, che sono essi stessi definiti “il sale della terra”, che addolciscono e salvano l'intero gruppo sociale. 

Sembra quindi che questo, l'unico passo parallelo di Wellhausen, vada direttamente contro la sua stessa interpretazione. Ma va aggiunto che la traduzione di ἐντὸς ὑμῶν con “dentro di voi” è del tutto impossibile, perché ci si rivolge ai farisei, che qui non sono certo concepiti come se avessero il Regno nel loro cuore. Wellhausen intuisce la difficoltà, almeno in parte, e parla di questo discorso come “auffallend” (sorprendente), ma non offre alcuna spiegazione. Ancora di più, però, il siriaco sinaitico scioglie ogni dubbio in merito dichiarando senza ambiguità “tra voi” (“unter euch”, come lo rende Merx), e non “dentro di voi”; così Burkitt traduce: “Perché, ecco, il Regno di Dio è tra voi!”

Solo una parola è necessaria riguardo all'espressione “in maniera che si possa osservare”. Siccome l'organizzazione fu segreta, siccome il culto fu accuratamente custodito in misteri e parabole, naturalmente il Regno non sopraggiunse in modo che si potesse osservare, con un'espressione o una manifestazione esplicita, e gli uomini non poterono dire di esso: “Eccolo qui, o eccolo là”. Nulla, allora, rimane inspiegato in questo passo famoso, che si rivela in accordo completo con la generale dottrina neotestamentaria del Regno. Soffermarsi su versetti come Giovanni 18:36, Romani 14:17, 1 Corinzi 4:20, non sarebbe un complimento all'intelligenza del lettore; ma gli si può chiedere di riflettere su Matteo 13:47, in cui il Regno è paragonato a una rete gettata in mare che cattura sia pesci buoni che cattivi. Quale organizzazione ha membri indegni oltre che degni? È impossibile qualunque altra interpretazione! E com'è caratteristico che Giovanni abbia drammatizzato la parabola in Storia (21:1-14)!

NOTE

[1] La questione relativa al “Figlio dell'Uomo” e al gruppo di idee e problemi correlati è uno degli enigmi più oscuri e intricati che abbiano mai lasciato perplesso l'investigatore. Non sembra opportuno affrontare un tema così radicato e complesso se non in un volume specifico. A questo punto è sufficiente affermare il fatto, di cui è riservata la prova, che tutti i meridiani dell'evidenza convergono sulla tesi che sia l'assegnazione sistematica del termine a Gesù nei Vangeli e la non assegnazione altrettanto sistematica nelle altre Scritture neotestamentarie, sia le testimonianze extra-canoniche, ebraiche, pagane, apocrife, mostrano che il termine, comunque derivato, indicasse non un semplice uomo, un rabbino carismatico, ma un'Entità celeste e divina, che poteva sì apparire, al pari di Zeus o persino di Jahvé, rivestito della veste di umanità, ma che è completamente frainteso quando viene concepito come un uomo, il figlio di Giuseppe e Maria. Vedi la trattazione esaustiva di Schmidt nell'Encyclopaedia Biblica (“Figlio dell'Uomo”), i Poimandres di Reitzenstein, la monografia ragionata di Hertlein, Die Menschensohnfrage im letzten Stadium, e l'articolo di Badham su “Il Titolo 'Figlio dell'Uomo'” nel Theol. Tijdschr. (1911), pag. 395-448, secondo cui “'Secondo Adamo' o 'Salvatore' fu il significato che si attribuì al termine quando furono scritti i Vangeli”. 

[2] Così recita D, anche il siriaco sinaitico; il “prenderli in braccio” è una variante sentimentale successiva. Sembra chiaro che “imporre le mani su di loro” li indica come se stessero in piedi dinanzi a lui, non come già tra le sue braccia. Nota anche la resa di Burkitt del versetto 13: “Allora gli furono presentati dei bambini perché imponesse loro le mani”. L'abbraccio non è contemplato e quasi escluso.

[3] μετὰ παρατηρήσεως

[4] ἐντὸς ύμῶν

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