giovedì 24 ottobre 2024

ECCE DEUS — ADDENDUM I.

 (segue da qui)

ADDENDUM I. 

Nella Hibbert Journal, luglio (1911), pag. 891, il professor Cheyne pensa che la derivazione di Scariot da sikkarti “potrebbe forse passare se sikkarti ricorresse in un passo come il Salmo 41:9, uno dei passi fondamentali su cui si sarebbe basato uno schema precristiano della vita del Dio-uomo. Altrimenti no, ecc.” 

Il sillogismo sembra essere che nessun passo inconsueto sarebbe stato usato dall'inventore nel costruire “lo schema della vita, ecc.”; questo passo (Isaia 19:4) è un passo inconsueto, quindi non sarebbe stato usato così: un Celarent molto carino, ma per una zoppicatura su entrambe le gambe. Non abbiamo il diritto di supporre che i passi per noi inconsueti fossero inconsueti pure per gli autori di un libro, per gli entusiasti settari del volgere dell'era. Il numero di citazioni dirette dell'Antico Testamento nel Nuovo e in opere affini è grandissimo, ma ancora più grande è il numero degli accenni e delle allusioni indirette all'Antico Testamento. Il Catalogo dei paralleli estremamente compatto di Dittmar, contenente solo il numero dei capitoli e dei versetti, ma nessuna parola di citazione, copre sessantaquattro grandi pagine, e tuttavia non ha alcuna pretesa di completezza. Sembrerebbe che la totalità dell'Antico Testamento fosse abbracciata nella coscienza religiosa collettiva di quell'epoca. Mentre alcuni passi potrebbero essere definiti passi fondamentali, tuttavia quasi ogni passo, anche in Neemia o nei Cantici o in Ester, potrebbe essere chiamato in causa in qualsiasi momento. Così tanto contro la premessa maggiore de jure, come direbbe Arnauld. Ma quella minore è altrettanto errata de facto. Infatti accade che il versetto immediatamente precedente (19:2) sia proprio sfruttato nei Vangeli: Matteo 24:7; Marco 13:8; Luca 21:10 (“Nazione contro nazione e regno contro regno”), almeno così pensano Dittmar e altri. Sembra che vi siano ancora altri echi nel Nuovo Testamento, ma su questi non occorre insistere. Sembra chiaro che l'“Oracolo sull'Egitto”, se sia isaiano o meno, non è una parte irrilevante del libro del Profeta, né c'è alcuna ragione per svalutarlo o per ritenerlo inconsueto per i pre-cristiani e per i proto-cristiani.

Il professor Cheyne riconosce saggiamente che “Gesù di Nazaret non fu tradito né consegnato alle autorità ebraiche, né da 'Giuda' né da alcun altro”. Inoltre dichiara: “Anche i 'Dodici Apostoli' sono per me tanto non-storici quanto i settanta discepoli”. Queste cose sono dette nobilmente e coraggiosamente. [1] Ma l'illustre critico si aggrappa ancora, non, a quanto pare, a un Gesù uomo reale, vivo e vegeto, ma al più misero simulacro, vuoto di valore come le esuvie degli animali. Il Gesù dell'ortodossia è, in effetti, un'entità gloriosa, anche se privo di giustificazioni scritturali o di altro tipo. Anche il Gesù di Renan non è inglorioso, anche se non più storicamente o meno logicamente giustificato. Il Gesù di Cheyne, di Loisy e di Wellhausen non solo è altrettanto ingiustificato, ma è anche debole, miserabile e insignificante, del tutto superfluo sulla scena della Storia, non spiega assolutamente nulla, ma blocca ogni spiegazione altrimenti soddisfacente, una ruota di scorta assolutamente ingestibile per la macchina della teoria storico-critica. Il motivo per cui tali studiosi dovrebbero insistere nel trattenere una siffatta ipotesi dopo aver ridotto la sua efficacia assolutamente a zero è davvero sconcertante. Il motivo, qualunque esso sia, sembra del tutto illogico, e tuttavia difficilmente può essere sentimentale, poiché il simulacro in questione non soddisfa alcun bisogno emotivo; esso non è particolarmente amabile, non è bello, non è attraente, non è impressionante, nemmeno particolarmente, tanto meno unicamente, ammirevole. [2] In verità un siffatto critico può esclamare: «Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?»

Il professor Cheyne pensa che ci sia bisogno di una teoria generale che “spieghi interi gruppi di nomi simili nell'Antico e nel Nuovo Testamento” — una conclusione da auspicare devotamente; e non è mai vissuto nessun uomo più competente per inquadrarne una. Egli sostiene “che tutti i soprannomi degli Apostoli nei Vangeli provengono da nomi antichi di regioni o province ai quali le famiglie dei portatori erano state legate, e il cui vero significato era stato generalmente dimenticato da tempo”: un'ipotesi molto ingegnosa; ma data la natura del caso, per darle credito si richiederebbe un'enorme quantità di prove ben vagliate. Coerentemente, “Iscariota, allora, è una corruzione di un nome antico, la cui forma completa fu Ashḥart, o, con il suffisso gentilizio, Ashḥartai”. Si attende con vivo interesse la produzione delle prove che il professor Cheyne dovrà avere di riserva. Nel frattempo, se i “Dodici Apostoli” fossero non-storici, non sarebbero altrettanto non-storici i “portatori” dei soprannomi degli Apostoli come pure le loro famiglie? E cosa penseremo allora delle “regioni o province ai quali le famiglie dei portatori (immaginari) erano state legate”? Difficilmente si può essere sicuri in queste materie, tuttavia potrebbe sembrare che regioni o province non geografiche fossero abbastanza buone per Apostoli non storici. E quando ogni altro ostacolo sarà superato, come potremmo spiegare il fatto fondamentale che Scariot viene così spesso definito gratuitamente “il consegnatore”, a meno che non sia questo ciò che Scariot significa realmente? Questa è la coincidenza che difficilmente può essere accidentale, e non si spiega con nessun'altra etimologia del nome. Non c'è bisogno di insistere sul fatto ovvio che, se Iscariota è una corruzione di Ashḥarti, si tratta di una corruzione sufficientemente corrotta. 

Il professor Cheyne domanda: “C'è bisogno che io sottolinei che, in ebraico, 'il guardiano' sarebbe ha-noṣer, non ha-noṣri?”. In quanto tre pagine di Der vorchristliche Jesus (47-50) sono dedicate alla considerazione di questo punto, la risposta sembrerebbe essere che non ce n'è bisogno. Ma quando è detto che “sicuramente né Hannathon né Nazaret significano difesa”, va risposto che le autorità sembrano dissentire. Il professor Cheyne riferisce ad Hannathon e a Nazaret nell'Encyclopaedia Biblica. Si possono leggere ripetutamente le nove righe su “Hannathon” e l'interessante articolo su “Nazaret”, senza trovare alcuna ragione per l'affermazione appena citata. Il professor Haupt dichiara: “Sia Hittalon che Hinnathon significano protezione” — un giudizio, per quanto riguarda Ḫinnatuni, confermato da altri eminenti assiriologi. Quanto a Nazaret, la forma della desinenza può essere incerta, proprio come la desinenza stessa, ma difficilmente lo è la radice Nazar, che appare nella forma più antica Nasar-aioi; e circa l'ebraico Naṣar (custodire) non c'è nessun dubbio. 

L'interpretazione data al nome della “città chiamata Nazaret” come “il luogo dei germogli” non convince da subito per la sua intrinseca plausibilità. 

Nelle affermazioni secondo cui “il nome dietro Nazaret è chiaramente Reṣin (o Rezon)”, secondo cui “il popolo traspose le lettere per produrre un significato più piacevole o ovvio, e Nazaret (luogo dei germogli) e Nazorai (Nazareno) furono i risultati”, riconosciamo le congetture di un sommo studioso; ma non dimentichiamo che proprio un siffatto studioso (Bentley) ipotizzò analogamente che “oscurità visibile” andrebbe detta “oscurità trasparente”, in quanto produce “un significato più piacevole o ovvio”. Può darsi che Parigi non sia altro che un'inversione di Serap, avendo il popolo trasposto le lettere per celare lì l'allusione al culto antico di Serapide; ma il giudizio non si approva sulla base di una semplice affermazione. Non è forse fuori luogo osservare che Bousset ora rinuncia a Nazaret come la radice originale di Nazareo, e apparentemente pure come un'entità geografica. Egli guarda con favore alla seconda opinione di Wellhausen, secondo cui “Gen è il giardino”, e Gen-nesar significa giardino di Nesar o Galilea (anche se Cheyne stesso corregge — dopo Buhl — l'idea che Halévy, a cui Wellhausen si appella, dica Nesar = Galilea). Gan è certamente giardino; ma perché pensarlo presente in Ge-nesar, tanto più che lo stesso Wellhausen ha detto che “Ge è certamente גיא” (valle), del tutto scorrelato a Gan? In effetti, è difficile tenere il passo con le recenti congetture degli orientalisti su Nazaret, perché esse “si susseguono fitte e veloci, e sempre più numerose”. Ma tutte sembrano effimere, perché trascurano il fatto fondamentale e importante che Nazareo fu un termine o un nome religioso; esso espresse una qualche particolarità religiosa della setta che lo portò; e quando le molteplici congetture dell'ingegno linguistico saranno finalmente messe a tacere, si vedrà che l'ovvio riferimento è alla radice ebraica naṣar (custodire), perfettamente familiare e apparente. Come si è espresso così bene Winckler: “Dal concetto di neçer si nomina la religione di coloro che credono nel 'Salvatore': Nazareni Cristiani e Nusayri. Nazaret come la casa di Gesù costituisce solo una conferma della sua natura di Salvatore, nel gioco simbolico delle parole” (Vedi la mia nota in Das freie Wort, luglio, 1911, pag. 266). Le idee di Guardiano e di Salvatore sono così strettamente affini che Servator e Salvator sono usati quasi scambievolmente in riferimento al Gesù.

NOTE

[1] Sembra strano aggiungere che “il consegnatore......non può essere separato dal fato del consegnatore; se l'uno è simbolico, dovrebbe esserlo anche l'altro”. Infatti la separazione è reale in Marco, che non dice nulla del “fato” di Giuda. Chiaramente le storie contraddittorie sulla sua fine (Matteo 27:3-10, Atti 1:15-26) sono fantasie molto posteriori. Il fatto che gli ebrei non si siano offesi per il simbolismo di cui “non sembrano aver avuto alcun sentore” non deve destare meraviglia. Sicuramente c'era abbastanza altro di “offensivo” nel Nuovo Testamento che essi passarono sotto silenzio. 

[2] Invece, ahimè!, il caso è persino peggiore, assai peggiore. Secondo l'“ipotesi escatologica”, ora in pieno vigore e favore, ultimissima espressione nebulosa di una critica "polvere che si alza e si posa leggermente di nuovo”, il Gesù non fu altro che un “ignorante entusiasta” — ma uno dei tanti! — il cui folle insegnamento ha conquistato l'intelligenza della razza ariana straniera e ha plasmato la civiltà di migliaia di anni! Questa critica deve essere tre volte benvenuta nei circoli ultraconservatori, perché costituisce la reductio ad absurdum del Razionalismo, una dimostrazione che chi ha fretta può leggere e capire e non dimenticare mai.

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