lunedì 30 settembre 2024

ECCE DEUS — EMINUS

 (segue da qui)


EMINUS

10. Prima di procedere all'esplorazione dettagliata di questi pilastri, sarebbe bene premettere alcune osservazioni generali. Si noterà, in primo luogo, che in questa dimostrazione il prof. Schmiedel tenta di illustrare un'impossibilità. Egli sostiene che gli autori cristiani non avrebbero potuto di loro iniziativa attribuire al Gesù certe parole e azioni, che le stesse dovettero essere state imposte loro da una tradizione contro la quale, invero, si batterono, ma invano. Ma una riflessione ovvia in presenza di questa tesi è che si tratta certamente di un'enorme pretesa. Tutte le affermazioni universali sono difficili da stabilire,  come tutte le negazioni universali: questa sembra particolarmente inaccessibile a una dimostrazione rigorosa. Per vedere chiaramente che nessuno che adorasse Gesù come una divinità avrebbe potuto attribuirgli tali e tali parole o azioni, si dovrebbe fare un inventario piuttosto accurato dei contenuti psichici della natura di molte migliaia di ebrei e gentili durante il volgere dell'era (dal 150 A.E.C. al 150 E.C.). Un tale inventario è chiaramente impraticabile e non è mai stato tentato. Ma di una cosa possiamo essere certi: quei contenuti furono in ogni caso straordinariamente vari. Per provarlo non c'è bisogno di riferirci alla vasta biblioteca delle innumerevoli sette che adornano le pagine dei primi eresiografi e degli storici del cristianesimo primitivo. Basta sfogliare le pagine del Nuovo Testamento, dove non ci sono tante opinioni quanti sono gli scrittori o gli scritti, ma, in realtà, molte di più, perché lo stesso Vangelo o la stessa Epistola offrono spesso abbondanti varietà dottrinali inconciliabili. 

11. Né queste specie e sottospecie sono sempre strettamente affini; spesso sembrano quasi separate dall'intero diametro della dottrina. In un punto è la fede senza le opere che giustifica; in un altro la stessa fede senza le opere è morta; spesso, inoltre, le concezioni non sono tanto contraddittorie quanto quasi del tutto scorrelate, avendo apparentemente poco più a che fare l'una con l'altra di quanto non lo siano l'algebra e la geometria, o la musica e la pittura. Lo testimoniano Romani ed Ebrei, Galati ed Efesini, Colossesi e l'Apocalisse, Giovanni e Marco. Sembra superfluo sottolineare che abbiamo a che fare con una sapienza multiforme e che è del tutto vano ricercarvi una qualche coerenza. In una quantità così eterogenea possiamo aspettarci di trovare un po' di tutto, sia ebraico che gentile, sia scita che greco. Se occasionalmente si incontrano le fantasie più bizzarre, come (Ebrei 7:3) quella dello storico sommo sacerdote Melchisedec, senza padre, senza madre, senza genealogia (al pari di una specie linneana), eterno; oppure qualche dogma stoico, come la conflagrazione universale (ἐκπύρωσις, 2 Pietro 3:10); oppure qualche concezione astronomica babilonese della restaurazione di tutte le cose (Atti 3:21); oppure qualche fantasia persiana dell'angelo accompagnatore o del sé astrale (Marco 14:51, 52): nessuno di questi incontri ci deve commuovere più di tanto. Tutte queste cose devono passare, ma la fine non è ancora arrivata. 

12. A prima vista, allora, sembra un atto di arroganza logica dichiarare che era impossibile per chi adorasse Gesù parlare o scrivere così e così. In realtà, molte cose furono possibili alla molteplice coscienza religiosa di quell'epoca: molte, senza dubbio, che non sono ancora state sognate dalla nostra filosofia. Non è facile comprendere il nostro prossimo nemmeno ai giorni nostri. Alcuni di noi sono del tutto estranei ai fenomeni della Scienza Cristiana e alla sua divinizzazione pratica da parte della signora Eddy. Altri esempi appena meno eclatanti si offrono in abbondanza. Come possiamo quindi pretendere di esplorare o di esaurire le possibilità della coscienza greco-romana-egizia-siriana-giudaica di millenovecento anni fa? La maggior parte dei moderni ritiene che Dio sia Uno, in cui non c'è altro che pace, nessuna lotta; eppure anche un filosofo come il compianto Friedrich Paulsen ci dice “che la vita di Dio non è priva di conflitti interiori”. Se una simile affermazione fosse stata fatta a proposito della vita di Gesù, quanto sarebbe stato facile dedurre che egli non avrebbe potuto essere concepito come Dio! Le moltitudini miste dell'Asia pensavano infinite cose diverse delle loro divinità; e sembra molto azzardato affermare che certi “brani sono appropriati solo a un uomo, e non avrebbero mai potuto, per nessuna ragione, essere stati scritti se l'autore avesse pensato a un semidio”. Sono parole forti queste e altre già citate; ma la loro forza suscita più che altro il sospetto della loro correttezza. 

13. Anche se non riuscissimo a concepire come potessero essere stati scritti così, cosa dimostrerebbe ciò? Che nessuno potesse averli scritti così? Assolutamente no! Ma solo che noi non avremmo potuto scriverle così. Ma l'impossibile per noi è necessariamente impossibile anche per il giudeo-greco, per il palestinese, di diciannove secoli fa? Sicuramente no. “Du gleichst dem Geist den du begreifst”, ma non certo lo spirito religioso di quella terra di confine e di quel tempo. 

14. Ecco, dunque, che già all'inizio rileviamo una falla fatale nel seducente sillogismo. L'impossibilità asserita con tanta sicurezza non può, nella natura del caso, essere dimostrata in modo soddisfacente. A questo proposito non abbiamo chiamato in soccorso una seconda osservazione: ossia, che il professor Schmiedel ha ipotizzato che questi brani-pilastri siano primitivi e non interpolazioni successive. Questa ipotesi dovrebbe essere confermata da un attento esame di ciascun caso. Il semplice fatto che un brano si presenti in Marco non è una garanzia del suo carattere primitivo. Anche se Marco è la narrativa più antica, ci sono molte ragioni per considerare ancor più antica la fonte dei Logia, così ampiamente sfruttata in Matteo; e raramente si può dire con certezza che un brano particolare sia di origine primaria e non di origine secondaria. Né si può affermare con certezza che una data versione di Marco (solo perché si trova in Marco) debba quindi essere più antica della versione corrispondente in Luca o in Matteo. Possiamo preferire la versione di Marco in generale, nella maggioranza dei casi, e tuttavia riconoscere che quella di Luca o di Matteo può essere preferibile in casi particolari. Non è il caso di soffermarsi su questo punto, che verrà affrontato nella discussione dettagliata dei vari pilastri; ma lo si tocca qui perché riteniamo che le relazioni originarie tra l'elemento umano e l'elemento divino nella delineazione del Gesù siano state esattamente invertite nel pensiero dei critici: l'elemento divino era l'elemento primitivo; l'elemento umano è l'aggiunta di una fantasia successiva. 

15. Ancora una volta, questa argomentazione schmiedeliana sembra imbarazzata da una pervicacissima difficoltà fattuale. Pur di dare forza all'affermazione che alcuni passi sembrano trattare Gesù come un uomo, noi dobbiamo supporre che questi brani siano passati attraverso le revisioni o la coscienza di coloro che lo adorarono non come uomo, ma come Dio. È evidente che non si potrebbe dedurre nulla da testi che esprimono la visione unitariana, se questi testi arrivassero a noi solo tramite la mediazione unitariana. L'intera essenza del ragionamento di Schmiedel è messa a nudo nelle sue stesse parole: “Questa tradizione fu a sua volta realmente tramandata da adoratori di Gesù”: mentre questi brani-pilastri (come egli sostiene) furono incoerenti con “il loro culto di Gesù”. L'intero ragionamento di Schmiedel è messo a nudo nelle sue stesse parole: "Questa tradizione è stata realmente tramandata da adoratori di Gesù"; mentre questi passi-pilastro (come egli sostiene) erano incoerenti con "il loro culto di Gesù". È per questa presunta incoerenza che gli sembra impossibile che si tratti di invenzioni; quindi, conclude, essi “devono basarsi su una fedele riproduzione dei fatti”. 

16. Esaminiamo questa argomentazione in modo più approfondito. Nota, in primo luogo, che la questione non è se tali e tali parole e azioni siano incoerenti con la divinità, ma solo se fossero apparse incoerenti nel pensiero degli scrittori dei Vangeli. Naturalmente, siccome nessuno, né allora né oggi, sa cosa sia veramente Dio, nessuno sa cosa sia e cosa non sia inconsistente con la sua divinità. Il massimo che si può dire è che “questo o quello concorda o non concorda con la mia concezione di Dio: con l'idea che ho di Lui nella mia mente”. Di conseguenza, la domanda è: i brani in esame contennero elementi inconsistenti con le idee della divinità assunte da tutti gli autori dei Vangeli? Abbiamo già visto che non c'è modo di provare definitivamente l'affermazione: la nostra conoscenza non è adeguata.  Ora, però, si può fare un lungo balzo in avanti e affermare che il fatto, ipotizzato dal professor Schmiedel, cioè che questi passi siano stati preservati e trasmessi da questi adoratori di Gesù, è una prova decisiva del fatto che nel loro pensiero i brani non erano incoerenti con il culto di Gesù, non erano incoerenti con la divinità; comunque possano sembrare a noi, essi certamente non erano incoerenti nel pensiero degli scrittori dei Vangeli (che erano adoratori di Gesù). E la ragione è ovvia. Se i passi fossero stati ritenuti incoerenti con il culto di Gesù, con il culto del Gesù come Dio, essi sarebbero stati alterati e l'incoerenza sarebbe stata rimossa. Questa proposizione condizionale la affermiamo con perfetta sicurezza. L'intera struttura dei Vangeli mostra che il materiale a disposizione o fornito è stato trattato con la massima libertà possibile. Naturalmente, nessuno lo sa meglio del professor Schmiedel. Più di un semplice accenno sembrerebbe quasi un affronto all'intelligenza del lettore. Si prenda in mano un'Armonia [1] dei Vangeli e se ne esamini attentamente una pagina. Non si potrà fare a meno di notare che nessuna lingua può esagerare la libertà con cui gli Evangelisti trattano tutto il loro materiale, che si tratti di parole o di fatti del Gesù.

17. Considera il caso della nascita e confronta le storie di Matteo e di Luca, che si escludono a vicenda in ogni dettaglio. Considerate la Resurrezione e l'Ascensione, nota la radicale divergenza di Luca e degli Atti dagli altri nella questione importantissima della topografia. Osserva come Giovanni sviluppa il Lazzaro di Luca e trasforma una parabola in una storia. Pensa all'irrimediabile diversità di espressione e di contenuto nella storia dell'unzione del Gesù. Confronta il Discorso della Montagna di Matteo con il Discorso della Pianura di Luca. E così via. È evidente che gli scrittori dei Vangeli si sono sentiti completamente svincolati dalla tradizione o da autori precedenti. È altrettanto evidente che le loro sovraelaborazioni non sono stata casuali o disattente. In innumerevoli casi il movente è rivelato inequivocabilmente; in molti altri, dove non è evidente, può essere presunto per analogia. Gli Evangelisti non scrivevano per divertimento e nemmeno per fama. Il loro scopo era insegnare, fornire ai loro lettori “il latte puro della parola” affinché potessero maturare (1 Pietro 2:2). Le loro frasi sono dense di significato; sentirono di dover rendere conto di ogni parola inutile. L'idea che fossero persone semplici, che annotassero passivamente ciò che sentivano o che indugiassero a piacevoli reminiscenze dei bei vecchi tempi, è troppo assurda per essere presa in considerazione. [2] Ebbero idee e seppero benissimo come esprimerle, come alludere e come accentuare, come accennare velatamente e come sottolineare con enfasi. Un certo bagaglio comune di sentimenti e di concezioni è evidente a tutti, ma nessun Evangelista esita un attimo, se gli fa comodo, a modificare o addirittura a ribaltare le affermazioni di qualcuno o di tutti gli altri. Né lo fa di nascosto o sottobanco. Lo fa apertamente e lo accentua con la ripetizione. Così i Sinottici (Matteo 26:69; Luca 22:55, 56) ci raccontano che Simone era seduto accanto al fuoco; ma Giovanni insiste tre volte che stava in piedi (18:16, 18, 25). 

18. Alla luce di questi fatti affermiamo con tutta franchezza, come al di là di ogni contraddizione, che la tradizione, qualunque cosa contenesse, sia di parole che di fatti, era il più lontano possibile dall'essere un cristallo acuminato o un vaso fragile; al contrario, era malleabile come lo stagno, era plastica come la cera nelle mani dell'evangelista. Solo nel secondo secolo fu etichettata con la dicitura “Da maneggiare con cura”. “Una riproduzione fedele dei fatti”: questa sarebbe stata ritenuta la minima delle virtù di un primo Vangelo. “La lettera uccide: lo spirito dà vita”.

19. Ci permettiamo di ripetere, quindi, che il fatto stesso che una certa parola o azione sia attribuita al Gesù dall'autore di un Vangelo è una prova positiva del fatto che essa non era in consapevole disaccordo con l'idea di quell'autore sul  Gesù; né era probabile che fosse in inconsapevole disaccordo, perché questi Vangeli sono composizioni eminentemente deliberate, le parole sono state poste accuratamente nella bilancia, e anche più in là nei secoli troviamo i manoscritti consapevolmente modificati nell'interesse di una sottile riflessione.  La precisazione è fatta sul grande Manoscritto Vaticano B, che lo scriba ha esaminato con troppa curiosità. 

20. Ebbene, allora! Gli Evangelisti furono chiaratamente adoratori di Gesù, credettero e propagandarono ardentemente la dottrina che il Gesù fosse divino; nel loro pensiero, quindi, i brani non furono dimostrazioni della sua mera umanità, non furono prove schiaccianti “che il divino andasse cercato in lui solo nella forma in cui è possibile trovarlo in un uomo". L'idea del professor Schmiedel che questi brani rivelatori siano stati preservati per riverenza verso le stesse parole e le stesse azioni del Gesù è campata in aria; è contraddetta da tutto ciò che sappiamo della composizione dei Vangeli. 

21. Se ora si insiste sul fatto che, sebbene gli stessi scrittori dei Vangeli potessero non avvertire alcuna discordanza tra questi “brani fondamentali” e il culto del Gesù come divinità, e quindi avrebbero potuto preservarli, tuttavia gli scrittori originali, più vecchi di mezzo secolo rispetto ai Vangeli, [3] dovettero avvertirne la discordanza, e quindi non avrebbero potuto scrivere i brani in uno stato d'animo di adorazione di Gesù, ma avrebbero dovuto scriverli considerando il Gesù un essere umano: noi rispondiamo che una tale asserzione è una ipotesi gratuita. Non c'è motivo di credere che la natura umana cambi molto in cinquant'anni, né che una discordia non sentita nella generazione successiva sarebbe stata sentita nella precedente. Siccome furono adoratori di Gesù a preservare questi brani-pilastri, possiamo credere ragionevolmente che furono adoratori di Gesù ad avergli scritti in origine. 

22. La facilità con cui un tale adoratore di Gesù come un Dio riuscisse a conciliare le apparenti contraddizioni è dimostrata clamorosamente da un esempio che potrebbe arricchire la decina di prove fondative dell'umanità e della storicità del Gesù. Le profezie della venuta imminente del Figlio dell'Uomo alla distruzione di Gerusalemme, e dei prodigi su prodigi ad essa legati, nessuno dei quali furono verificati, sembrerebbero una dimostrazione lampante di umanità, e persino di un'umanità ampiamente imperfetta. Sicuramente si potrebbe pensare che nessun adoratore di Gesù avrebbe potuto scrivere tali predizioni; sicuramente esse dovettero essere state pronunciate essenzialmente come dettate, e preservate solo per la riverenza dei biografi intenti a una “riproduzione fedele dei fatti”. A prima vista questa sembra essere la plausibilità stessa. Però non è nulla di più; è ben lungi dall'essere un fatto. Passando a 2 Pietro 3:4, 8, scopriamo due cose: che la difficoltà fu effettivamente sollevata da alcuni “schernitori” e che non turbò la serenità dell'autore dell'epistola. La contraddizione che urtò così duramente il “volenteroso ignorante”, la sua fede prontamente risolse in una coerenza superiore. Mediante l'espediente semplice ed elegante di introdurre un moltiplicatore costante (o un divisore, a seconda delle necessità), cioè 365.000 (trascurando alcune centinaia dispari), egli porta le profezie in armonia non solo con l'esperienza, ma anche con le più elevate previsioni della speculazione stoica. Forse qualcuno potrebbe ritenere un tantino eroico questo trattamento, ma non è così! Apparirà in un certo senso mite e modesto, al confronto con le manipolazioni dell'esegesi moderna nel trattare l'esatta cronometria di Genesi 1, per cui un giorno definito da una rotazione completa della terra sul suo asse (“e fu sera e fu mattina: primo giorno”) viene dilatato in un'era geologica. E non ci sono forse milioni di persone altamente illuminate che ancora oggi trovano la riconciliazione petrina proprio comme il faut? 

23. Sembra, dunque, che la possente freccia dell'argomentazione dello svizzero abbia mancato il bersaglio, perché nel puntare non si è tenuto conto della dimensione personale, nazionale e temporale. Il professor Schmiedel non ha giudicato innaturalmente, ma ha giudicato infelicemente, gli altri in base a sé stesso; ha proiettato il proprio modo di pensare, altamente preparato, sequenziale e scientifico, attraverso il mare dei secoli, nella mente dei profondi teosofi che organizzarono il sistema cristiano. Le conclusioni che ha tratto possono forse valere per una coscienza come la sua, ma non per una coscienza come la loro. Questo è il risultato a cui siamo indotti dalle riflessioni generali sull'intera materia e modalità di questa argomentazione, senza alcun indagine particolare su ogni brano addotto.

NOTE

[1] Lucus a non lucendo.

[2] Per le loro realizzazioni retoriche si vedano le importanti monografie di D. H. Mueller: Die Bergpredigt im Lichte Der Strophentheorie, e Das Johannes-Evangelium im Lichte der Strophentheorie.

[3] Se davvero questi pilastri appartengano tutti allo strato più antico del lascito evangelico, il che è tutt’altro che certo e qui viene concesso solo provvisoriamente, per amor di discussione.

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