(segue da qui)
1
Perché e come Gesù
non esistette
Darei la mia stessa
vita:
Tra i nomi propri
che intervengono a titolo di attori nelle narrazioni evangeliche, ce ne sono
alcuni — e non i meno importanti — che meritano non solo che si presti loro
ebraicamente attenzione (l'attenzione ebraica (questo è il minimo, però...) ma
che se ne discerna l'origine, la germinazione — il luogo nativo. Leggere il
Nuovo Testamento è interrogarsi sul luogo nativo di ciascuna frase, di ciascun
concetto, di ciascuna affermazione o negazione posta, in chiaro o a parole
(ebraiche!) cifrate, dal testo.
Dopo un prologo dei
più contorti (e il cui greco, per quanto sia maldestro, non sembra rinviare ad
un originale ebraico ma ad una edizione tardiva), leggo questo, nel primo
capitolo di Luca:
«Vi era, ai giorni
di Erode, re della Giudea,
«Vi era, (oppure: E vi era), ai giorni di»: una clausola che non potrebbe essere più ebraica; nell'Antico Testamento e, più generalmente, in tutta la letteratura degli ebrei, essa annuncia, decine e decine di volte, un evento narrativo.
un certo sacerdote di nome Zaccaria, della divisione di
Abia; sua moglie era discendente da Aronne e si chiamava Elisabetta. Erano
giusti...», ecc.
Biascicamento greco che ricalca un ebraico (originale) sintatticamente del tutto appropriato.
Per il momento non
voglio insistere su questo Zaccaria appartenente alla divisione
Detto altrimenti, in ebraico, alla MŜMRH, vale a dire al turno di guardia cultuale nel Tempio, il servizio dei sacerdoti svolgendosi lì a rotazione.
di Abia: mi intriga
però sin dall'inizio che questo Zaccaria sia alla volta sacerdote e di Abia
— per la deliziosa ragione che il libro di Neemia, diversi lustri prima del I°
secolo,
I fatti che filtra il libro (biblico) di Neemia risalgono al V° secolo (?) Avanti Era Comune.
mi diceva
esattamente la stessa cosa; ma sì, la presenza di Zaccaria sia come sacerdote
che come appartenente al turno di guardia di Abia si riferisce a Neemia
12:17, dove si decifra:
«...per Abia, Zaccaria...»
E questo capitolo
12 di Neemia non mi racconta nulla di non importa cosa che si situi non importa
quando: contiene, uno per uno, la lista di turni di guardia nel Tempio al
momento del ritorno da Babilonia (ritorno, in effetti, molto anteriore ai
vangeli, no?) e, di conseguenza, la lista dei sacerdoti e dei leviti
Detto altrimenti, dei sacerdoti del Tempio e dei laici del Tempio. E tra i sacerdoti: lo Zaccaria dei Vangeli!
che si inseriscono nella divisione, in effetti,
dell'anno cultuale.
Ecco qui:
«... i sacerdoti e i leviti salirono
Detto altrimenti: ritornarono da Babilonia e raggiunsero Gerusalemme.
con Zorobabele... e Gesù-Giosuè»
(Neemia
12:4)...
E in mezzo a loro
figura in effetti un certo Abia, ed è ad Abia
Ebraico ʼBYH, «YHWH Padre». (Ecco, nel Nuovo Testamento, non è raro che «Padre»/ʼB sia un sostituto reverenziale di YHWH/«Dio»... Coincidenza?)
che appartiene
Zaccaria; verso 17 di questo capitolo: LʼBYH ZKRY / «per Abia Zaccaria».
Con un errore (intenzionale?) di vocalizzazione nel testo masoretico (tardivo): non «Zicri» ma «Zkarya» — lo scrittore cristiano-ebreo dell'inizio di Luca leggeva così il passo biblico del suo lontano predecessore e lo pronunciava così.
Come confessare che
lo scrittore evangelico colloca al tempo («ai giorni») di Erode il Grande un sacerdote che, secondo
Neemia, era vissuto diversi secoli prima. Ma non, ripeto, in non importa quale
secolo: al momento del ritorno da Babilonia, quando il popolo ebraico era
guidato da (Zorobabele e da) Gesù-Giosué.
Zorobabele essendo il governatore (vale a dire il capo religioso secolare) e Gesù-Giosué il sommo sacerdote (vale a dire il capo religioso sacerdotale).
Conclusione: per
esegesi (per midrash) di Neemia, lo scrittore di Luca fa intervenire nella sua
narrazione un certo Zaccaria perché questo Zaccaria è, in Neemia, il
contemporaneo di un certo Gesù-Giosué.
E perché appartiene (sempre in Neemia — biblicamente!) alla divisione cultuale di Abia/ʼBYH, cioè di «Dio Padre».
Zaccaria
contemporaneo di Gesù-Giosué il sommo sacerdote in Neemia, diventa Zaccaria
contemporaneo di Gesù-Giosué (il Gesù-messia cristiano) in Luca. —
Prolungamento della mia conclusione: Luca 1:5 non dipende quindi dalla
storia ma dal midrash.
Quanto a sapere come Luca sostituisca qui lo Zorobabele governatore di Giuda con Erode il Grande, domandarmelo è troppo — e troppo presto — da esigere da me.
Ma Zaccaria, nel
primo capitolo di Luca, non mi appassiona più; preferisco soprattutto parlare
di Elisabetta.
Elisabetta, la
madre del Battista.
Elisabetta, la madre di Giovanni, la madre — in ebraico — di YWĤNNN, termine la cui gematria (52) è identica a quella di BN/«figlio» o di MŜYĤ/«messia-cristo» (Coincidenza?...)
Nessuna Elisabetta
nell'Antico Testamento, nella Bibbia, è la moglie di un Zaccaria, sacerdote o meno,
di Abia o meno; e nessuna Elisabetta è figlia di Aronne.
Elisabetta corrisponde, in ebraico, alla grafia ʼLYŜBᶜ, «sazietà divina».
LYŜBᶜ,
Elisabetta, non ricorre in tutta la Bibbia ebraica che in occasione di un solo
verso: Esodo 6:23. E lei vi appare non come una figlia tra le figlie
di Aronne, ma come sua moglie.
Deduco, anche là con destrezza, che lo scrittore ebreo originale del Vangelo di Luca ha sostituito, nella sua narrazione, l'Aronne di Esodo 6:23 (Aronne marito di Elisabetta) con Zaccaria (sacerdote del tempo del ritorno da Babilonia). E opera questa sostituzione tramite midrash, «adempiendo la Scrittura» — la Scrittura biblica, e non la Storia.
E so anche, già al presente, intuire uno dei principi che animano questo midrash: la contemporaneità possibile (eterna) di tutte le parole dei testi dell'Antico Testamento (parola scritta eterna-sacra del Signore). Luca (sull'esempio di tutti gli scrittori cristiani primitivi, sull’esempio degli gnostici giudei-ebrei o samaritani-ebrei, ecc.) considera i testi sacri ebraici che sfoglia come se formano una massa omogenea: tra un verso di Neemia e un altro, dell'Esodo, vi è, per lui, possibile ed eterna continuità.
E poi: tutto l'episodio evangelico che segue, quello concernente la nascita di Giovanni figlio di Zaccaria (estratto da Neemia) e di Elisabetta (estratta dall'Esodo), si basa, talvolta parola per parola, talvota grazie a decodifiche e codifiche aritmetiche, su vari passi dell'Antico Testamento...
Da tutto ciò
realizzo che l'Elisabetta evangelica è in realtà la contemporanea di Mosè, di
Aronne e, dunque, di Giosuè (il Giosuè-Gesù dell'entrata in Canaan, il Giosuè-Gesù
del libro biblico di Giosuè) e che Zaccaria, suo marito, è in realtà il
contemporaneo di un altro Giosuè-Gesù, quello, questa volta, del ritorno da
Babilonia. Così il legame matrimoniale tra Zaccaria ed Elisabetta risulta, nel
vangelo, da un legame lessicale con la parola «Gesù-Giosué» così come funziona, a distanza di
secoli, nei vari testi dello stesso Antico Testamento.
Il secondo Giosuè-Gesù compie la sua missione al momento del ritorno da Babilonia. Ora non dimentichiamo che Babilonia è, metaforicamente, nell'Apocalisse di Giovanni, la Gerusalemme terrena. Il Giosuè-Gesù del ritorno da Babilonia è così identificato, tramite il midrash evangelico, sia con Gesù-Giosué (il cristo-messia cristiano) che con Giosuè-Gesù (il successore di Mosè): tenuto conto del tema del Regno, quella identificazione è enorme! — Ed ecco proprio la forza produttiva del midrash: l'ottenimento di una parola (sostantivo o nome proprio biblico) che funge da perno, il disinteresse della Storia, e una lettura dinamica della Bibbia.
Lo scrittore di
Luca confonde così, nel suo midrash deliberato dall'Antico Testamento, i due
Giosuè-Gesù ancestrali e li identifica al terzo, quello che gli interessa, il
Gesù-Giosué del vangelo che scrive.
Gesù evangelico di cui si vedrà, più oltre, come è lui stesso ottenuto.
I genitori di
Giovanni (il Battista) sono dunque Elisabetta e Zaccaria. La madre del Gesù
evangelico è Maria.
Ebraico MRYM, la cui etimologia è impossibile da discernere.
Là le cose si
chiariscono particolarmente, e i miei Elisabetta e Zaccaria (biblici) di
poc'anzi si sentono improvvisamente meno soli.
Per quanto riguarda la parentela (lessicale-aritmetica, antistorica) Maria-Giuseppe-Gesù, cfr. il mio tomo 1.
E poi quella ripetizione: Gesù, in ebraico, non fa gioco di parole con Giosué; in ebraico, «Gesù» e «Giosué» sono la stessa parola.
Quando Maria va a
visitare Elisabetta (Luca 1:29 ss.), i cristiani di oggi
come di ieri, pittori del Rinascimento o fedeli di tutte le epoche,
unanimemente ignoranti dell'ebraico e delle sue sfaccettature, devono sentirsi
colpiti e invitati ad uno degli eventi più suggestivamente storici della loro
religione. Ciò, per loro, è reale! Quanto a me (più placido degli appassionati
di fatti vari...) mi aggrappo ancora una volta alla mano di un evangelista
lettore della Torà.
Infatti, se
Elisabetta è in Esodo 6:23 la moglie di Aronne, Maria non è altro, invece, che
la sorella di Aronne e di Mosè.
E così, anche lei, la biblica contemporanea del Giosuè-Gesù che succedette a Mosè.
Per Maria, sorella di Aronne e di Mosè, cfr. Numeri 26:59; Maria è profetessa; in Numeri 12:2 ss., lei è detta godere di rivelazioni divine... I dizionari teologici e i catechismi ci fanno credere che esiste una differenza tra Miriam biblica e Maria evangelica. Menzogna! In ebraico, è la stessa parola, MRYM, che designa, indistintamente, le due. La Maria del Vangelo è MRYM...
Quella stessa Maria è chiamata «Maddalena» (sic) nei racconti neotestamentari — e questo, non perché lei sia nativa di chissà quale villaggio chiamato «Magdala», ma per la bella ragione che il suo inno (in Luca 1:46 ss.) cominciava, in ebraico, con la parola MGDL(H), «esalta» (greco megalunei). Gioco di parole di cui l'indoeuropeo non ha potuto tradurre la piena ebraica gravità...
N.B. Quell'inno è, ciò detto tra parentesi, una duplicato di vari estratti dell’Antico Testamento ebraico (in particolare — ma soltanto — di 1 Samuele 2:1-10), con con numerosi echi di giochi di parole, e di acrostici, e di anagrammi, che il greco ha perso.
Ed ecco così già
tre personaggi dei Vangeli riportati alla loro origine reale: due (Elisabetta e
Maria) all'epoca di Aronne e di Mosè, e l'altro (Zaccaria) a quello del ritorno
da Babilonia — tutti e tre in ragione dei loro rapporti biblici con i due
Giosuè-Gesù dell'Antico Testamento. Ma ciò è ancora troppo poco.
Il Gesù-Giosué
evangelico pratica le guarigioni, scaccia i demoni, ecc. Colmo dei colmi,
resuscita un certo Lazzaro.
Qui, i cristiani gridano alla storia reale; e i non cristiani o anticristiani, invece, ridacchiano che è idiota: abbasso i miracoli! Ovvero... Quanto a me, li rimando uno dietro l'altro, tutti questi insopportabili...
Lazzaro si scrive,
in ebraico, LᶜZR.
Sotto quella forma, si tratta del diminutivo di ʼLᶜZR
(Eleazaro, letteralmente, «Dio
che aiuta, aiuto di YHWH»).
Ebbene, allo stesso
modo in cui Maria ed Elisabetta sono contemporanee (lessicali!) di Aronne e di
Mosè — e quindi, di Giosuè-Gesù —, Eleazaro-Lazzaro è, all'epoca della Torà non
ancora in preda alle acrobazie del midrash, il (terzo, per essere precisi)
figlio di Aronne.
Nome proprio della stessa costruzione di Lazzaro: ʼLYᶜZR, Eliezer. Hmm: Eliezer è figlio di Mosè (e di Sefora — in Esodo 18:4). Decisamente...
Gli attori-accompagnatori
più importanti del racconto evangelico si ritrovano di conseguenza ad essere,
semplicemente, i nomi (propri) estratti dall'Antico Testamento, tutti legati
tra loro come sono dalla loro comune contemporaneità biblica con (Aronne, Mosè
e) Giosuè (cioè con Gesù).
Con, come ho mostrato più sopra, confusione (volontaria! cosciente! normale per un ebreo che considera l'intero corpus biblico come la parola eterna omogenea globale di YHWH/«Yahweh») tra Giosuè (Gesù) condottiero del popolo in Canaan-Palestina e Giosuè (Gesù) sommo sacerdote dopo il ritorno da Babilonia.
E non è tutto.
Per nulla.
In Giovanni
11:1, leggo che Maria e Lazzaro hanno per sorella una certa Marta. Quella Marta
è, anche lei, da ricordare. Marta è, in aramaico, Martha, «la padrona» (femminile di MR, «il signore, il padrone»); in ebraico, è
l'equivalente, per anagramma approssimativo ma normale, di TMR (pronunciato thamar, «la palma da dattero»). Ora, per quanto ne so, il solo nome proprio
biblico che contiene ed esibisce la radice ŢMR
è ʼYŢMR (pronunciato Itamar) — e questo
Itamar non è altro, nell'Esodo, che il quarto (per rimanere precisi) figlio di
Aronne (cfr. Esodo 6:23).
La Marta evangelica è descritta come una domestica, una figura subalterna; Itamar, da parte sua, fu — anch'egli il più subalterno possibile — spodestato dalla stirpe di Sadoc (cfr., a questo proposito, la Bibbia ebraica, e la corrente sadducea, e, indistintamente, i manoscritti — cosiddetti esseni — del Mar Morto)...
Questo, per
concludere provvisoriamente:
Si parla più volte,
nei vangeli, di un Zebedeo e dei suoi
figli (in ebraico, BNY ZBDY). Ora, precisamente — e
coincidenzialmente (?) — un Zebedeo e i suoi discendenti figurano talmente bene
nel libro di Giosué
In qualsiasi libro della Bibbia? No: in quello di Giosuè-Gesù.
che essi occupano tutto il suo capitolo 7.
Per riassumermi:
Elisabetta, Maria, Lazzaro, Marta — e anche Zaccaria, e anche Zebedeo:
E poi anche Zaccheo (cfr. Luca 19), in ebraico ZKY.
questi non sono, ne
conveniamo,
Ne conveniamo.
attori di secondo
piano nell'economia plenaria delle narrazioni evangeliche. Tutti questi nomi
non sono, in realtà, nient'altro che estratti dall'Antico Testamento; tutti,
nella Bibbia ebraica, si situano attorno a(ai) Giosuè-Gesù.
E Zaccheo (ZKY) pure lui vi si situa: in Esdra 2:9, ZKY/«Zaccheo» è detto accompagnare Giosuè-Gesù (il sommo sacerdote) al momento del ritorno da Babilonia.
Ma, avendo molto da
dire, passo ad altro.
*
Gesù-Giosuè viene
dalla radice (ebraica) YŜᶜ, radice che
esprime la nozione di salvezza. Da un lettore dei vangeli, delle Epistole e
dell'Apocalisse canonici, è compreso che questa parola è un nome proprio, che
questo nome proprio è quello di un individuo, e che questo individuo chiamato
Gesù agisce e parla, e che le sue azioni e le sue parole sono precisamente il
Vangelo — la Buona Novella (storica) dei catechismi, in atti e in parole.
Vi si rassegni o
no,
Troppi consumatori del mio tomo 1 sembrano non voler riuscire a rassegnarsi. Questi consumatori irrecuperabili? — come per caso: tutti grecisti.
la mia personale
comprensione dei vangeli non è — non può essere - quella.
Si è spesso
sottolineato che Paolo (quello delle Epistole) ignora di Gesù tutti gli episodi
evangelici della sua vita. Paolo non conosce, in fondo, di lui che due cose:
che Gesù è il salvatore incarnato; che è morto e risorto.
Ciò pare molto. Io
affermo, invece, che ciò non è niente. E mostrerò più avanti, inoltre, da dove
proviene questo nulla.
Si sarebbe fatto
meglio, tra i commentatori eruditi della Chiesa (o delle Chiese) ad andare più
lontano e a sottolineare un altro fatto, maggiore a mio avviso, e di cui il
minimo che si possa intuire è che ribalta tutte le concezioni ricevute, quelle
che riguardano in particolare — perché qui è il mio tema — la fabbricazione dei
testi del Nuovo Testamento.
Questo
straordinario fatto è il seguente: diversi
Se ce ne fosse uno solo, il ribaltamento delle concezioni ricevute sarebbe già da effettuare.
testi cristiani
primitivi ignorano il nome di Gesù.
Non si dimentichi soprattutto ciò che ho stabilito all'inizio di questo studio: Elisabetta, Maria, Lazzaro, Marta, e poi Zaccaria, e poi Zebedeo, e poi Zaccheo, presenti sia nei Vangeli che nella Bibbia ebraica a fianco di (o dei) Giosuè-Gesù.
E i testi ai quali
penso non sono ridicoli brandelli di inchiostro sbiadito che adorna qualche
raro brandello di papiro microscopico; non hanno la dimensione (o la mancanza
di dimensione) di tanti e tanti frammenti invisibili dei manoscritti del Mar
Morto. Non sono francobolli! Sono, tutt'al contrario, grandi monumenti, parenti
a pieno titolo
Finché i soprusi, quelli sì storici, della censura della Chiesa (o delle Chiese) non vi si sono accaniti sopra.
dei monumenti
canonici del cristianesimo delle origini.
Testi cristiani
primitivi che ignorano persino il nome di Gesù... Ciò non è banale. — Ne
esamino alcuni, con dettagli di supporto.
Gli studiosi mi
dicono che Il Pastore di Erma risale al II° secolo Era Comune. Io voglio
ben accordare loro la mia fiducia, perché questa opinione è quella
dell'unanimità degli studiosi. Il Consenso me lo afferma, quindi annuisco e
aderisco: non è forse sicura politica piegarsi al rispetto degli specialisti e
obbedire alle ingiunzioni degli storici ecclesiastici?...
E questo Pastore di Erma, come ho appena menzionato, non è un gingillo: è uno dei libri più lunghi del cristianesimo nascente: arriva a quasi duecento pagine; per dimensioni vale, da solo, sei o sette vangeli.
Intoppo e granello
di sabbia che falsifica tutto: il suddetto Pastore, per quanto cristiano sia e
per quanto del II° secolo della nostra era lo si pretenda essere, ignora che
Gesù si chiamava Gesù.
Si immagina — si conosce — un autore dell'Islam ignorante, un secolo o un mezzo secolo dopo l'Egira, che il Profeta si chiamasse Maometto? — Perché, insisto, Il Pastore non è un almanacco o un trattato di transumanza: esso mescola, a colpi di (ampie) parabole e (non meno ampie) visioni, temi primordiali, escatologici o meno, del cristianesimo del suo tempo — e non sa chi sia il fondatore «storico» del cristianesimo che dispiega...
E poi ignora anche
la parola «cristo-messia».
Ecco, non sa nulla di Maria o di Giuseppe (né dei fatti e gesta della coppia).
Né, d'altronde, del Verbo, ecc.
In compenso e per contro — dettaglio da sorbire — esso lavora sul concetto di «Figlio di Dio», in ebraico BN YHWH, espressione che, elevata al quadrato, produce Giosuè-Gesù. Ma, giustamente, Erma non tenta mai quella elevazione evangelica (e non incontra mai Gesù): per lui, il Figlio di Dio non è per nulla, in chiaro o in modo oscuro, Gesù-Giosué, ma lo Spirito (ebraico — femminile! — RWĤ).
Ecco quindi — e
nessuno se ne preoccupa, e nessuno ne trae la giusta lezione... — un testo
cristiano del II° secolo (!?) che, su un percorso di circa duecento pagine
cristiane, non porta alcuna traccia dell'ABC del Vangelo. E si tratta eppure di
un testo canonico! Il Pastore di Erma, di cui tutti i concetti sono cristianamente
situati e ripetuti, ha il suo posto nel Codex Sinaiticus (codice, canonico in
effetti, del IV° secolo): e non possiede, canonicamente, la minima idea di Gesù
come individuo (né di Gesù tout court).
Per contro e in compenso, esso contiene idee sulla salvezza (greco soteria), la cui radice ebraica sottostante è YŜᶜ (radice di «salvezza» e di «Gesù-Giosuè»); ma non le concentra mai sul minimo individuo eventualmente chiamato Gesù.
Nello stesso codice
(Sinaiticus) canonico è inclusa l'Epistola di Barnaba. Quella epistola non
manca di colori. Innanzitutto, gli studiosi — sempre agli ordini, sempre
cronologisti, sempre pretenziosi — concordano nel datarlo tra il 70 Era Comune e
la fine del II° secolo.
Nessuna necessità di fare al mio lettore un disegno: queste date sono fantasiose — ma mi si lasci, per ridere, prenderle sul serio.
Questo ci rimanda
piuttosto lontano dai tempi presunti presentati dinanzi a noi dai vangeli...
Ora l'autore, che il suo nome sia Barnaba o Quidam, poco importa,
Gli articoli e opere che affrontano questa rocambolesca questione sono legione (ma per nulla così numerosi, lo confesso, quanto quelli che trattano dell'attribuzione a Giovanni sia del suo Vangelo che della sua Apocalisse).
conosce certo la
Passione; conosce l'Incarnazione; possiede il suo cristo-messia a menadito: il
messia, per Barnaba, recita il suo ruolo nella Creazione del mondo
Gesù, misero carpentiere-rabbino galileo del I° secolo, divenuto (in una cinquantina o un centinaio d'anni) il messia che presiede alla Creazione del mondo e quindi trasformato nell'officiante numero uno dell'inizio della Genesi: ecco una lacuna colmata!
e nell'opera dei
profeti; creatore, è anche ri-creatore, e presiede al Giudizio finale. Egli è
Signore (vale a dire YHWH) e figlio
di Dio (vale a dire di YHWH). A dire
il vero, Barnaba non sa decidersi: talvolta afferma che il messia-cristo è Dio,
e talvolta lo subordina a Dio. E Barnaba conosce l'esistenza degli apostoli
(purtroppo — voglio dire: purtroppo per gli storicisti storici della Chiesa —
non sa minimamente nominarli).
Ma di Gesù, in
quella Epistola, niente. Del Cristo, del Dio, del Signore, sì — ma non di Gesù.
O meglio: non di
Gesù evangelico, ma solo quello della Bibbia ebraica, il Giosué biblico (il
successore di Mosè).
In pratica, per Barnaba è YHWH/«Yahweh» che ha percorso/percorre/percorrerà la traiettoria evangelica di Gesù.
Basta per Barnaba. Passiamo ora al Vangelo di
Pietro. Di questo vangelo possediamo più di un lungo frammento (troncato ai due
estremi) che descrive la passione, la morte e la resurrezione non di Gesù o di
Gesù Cristo ma, ancora una volta, del... Signore.
Detto altrimenti, ancora una volta (e tenuto conto del significato di Kurios/«Signore» nelle traduzioni greche della Bibbia ebraica), di YHWH.
... E altri testi
cristiani primitivi, fraudolentemente etichettati come tardivi - come
posteriori ai vangeli canonici — dagli studiosi, ci vomitano la stessa
anomalia: essi ignorano Gesù e parlano del Signore, di YHWH (greco Kurios). E quando, in loro, si parla
qua e là di un Gesù-Giosué, è del Giosuè biblico che parlano.
E tutti i nostri
suddetti studiosi pretenziosi restano muti quando domando loro, leggendoli:
come si fa che i testi cristiani primitivi, canonici o no, sanno che il
messia-cristo cristiano ha (aveva) per nome Gesù, e che altri, oggi tenuti per apocrifi
— ma un tempo considerati e riveriti come canonici o peri-canonici — lo
ignorano?... È incredibile!
Il mistero c'è. Il
mistero rimane. Allora immagino...
Immaginiamo un Gesù
storico che ha avuto storicamente per padre e madre un Giuseppe e una Maria
storici, ecc. Un individuo Gesù che abbia storicamente camminato sulle acque e
insegnato, che sia stato storicamente martirizzato e crocifisso, e che sia
storicamente resuscitato. Immaginiamo che una Chiesa (una comunità), disparata
o unita, piccola o grande, si sia impadronita di questi eventi e di questo
insegnamento e di questi percorsi (storicissimi) per ricavarne una nuova
religione... - Ma come proseguire un tale delirio nel buon senso: come spiegare
che dei testi primitivi di quella religione ignorano persino il nome storico
del suo fondatore storico?
Risposta? —
aspetto.
Invano.
Lo so: molti
cristiani oggi non ragionano più in questi termini. Avendo smarrito sciabola e
aspersorio, essi non credono più oggi, in maggioranza, che sia possibile per
chiunque, che si chiami (storicamente?) Gesù o no, risorgere o camminare sulle
acque — o far rivivere un Lazzaro, ecc. I nostri cristiani moderni, suvvia,
sono più progressisti; hanno subito le docce della scienza; non si fanno più
fregare — in breve: non ingoiano più, così com'è, il miracolo alla lettera;
Docce o no, il mio lettore di qui a poco si accorgerà che il miracolo alla lettera è, quanto alla Bibbia e quanto al nuovo testamento, il miracolo più ingoiato di tutti! un piatto che non conviene soprattutto gettare via...
prendono la cosa
diversamente: essi suppongono un certo Gesù galileo storico che si era
proclamato messia-cristo all'inizio della nostra era; suppongono e credono che
questo Gesù si sia fatto prendere dagli ebrei e dai Romani (storici) e che si
sia eventualmente ritrovato inchiodato ad una croce (storica). Proclamazione,
cattura e crocifissione storiche, quello sì — davanti a testimoni.
Ah, il controsenso sulla nozione di testimonianza (in ebraico, ᶜD) nel Nuovo Testamento: un pozzo senza fondo!... Vi ritornerò.
E poi, continuano i
nostri cristiani-che-non-si-lasciano-fregare,
Cristiani che, cattolici o no, si riversano nella via che Bultmann e compagni hanno reso regale. La via — ci si accorgerà di qui a poco — della miracolosa catastrofe.
le comunità
(Chiese) nate dall'insegnamento e dai fatti e gesta di questo Gesù galileo
storico hanno fantasticato
Ah, le fantasie!
e hanno prodotto
Così? di sana pianta? utilizzando miti greci o egizi? (cfr. sempre, Bultmann e compagnie).
una credenza nella
sua resurrezione; poi, sulla base di quella fede,
La fede delle comunità cristiane primitive come base del cristianesimo: tutto torna! (Ma una fede derivata da cosa?...)
hanno prodotto
l'idea di Gesù-messia, e di Gesù-figlio dell'Uomo e di Dio, e, fine della fine
della fine, di Gesù Dio.
Un allegro (e
coraggioso) Evemero asseriva una volta che gli dèi non sono, in fin dei conti,
che degli esseri umani esagerati, nei loro vizi o nelle loro qualità, da altri
umani: che Eracle, per esempio, è ed era, in origine, solo un adepto del
body-building divenuto l'eroe di qualche setta... Questo Evemero ha generato
molti figli...
In massa e non
senza consenso, cristiani e non cristiani oggi, alla maniera dell'antico
Evemero, concordano nel pensare che un Gesù storico è stato esaltato ed elevato
dalle comunità alle quali ha profuso il suo insegnamento, e che queste comunità
hanno finito poco a poco per farne rapidamente
Quella congiunzione (inammissibile) di un «poco a poco» e di un «rapidamente» è ciò che gli studiosi di oggi chiamano, con un'espressione che non significa nulla, la «tradizione apostolica»: essi riprendono così, a vuoto, un vecchio concetto dei primi Padri della Chiesa e vi infilano tutte le loro manie storiciste.
un Dio e un
risorto.
Perché cristiani e non cristiani condividono di fatto, ormai, la stessa stupidità: Gesù è esistito. Nelle enciclopedie, della Chiesa e altre, trovo le date della sua nascita e della sua morte. Come quelle di un Giulio Cesare, di un Napoleone o di un Lenin.
Questo bell'accordo
sulla Storia (con una S maiuscola, per renderla più occidentale) si basa su un
enorme malinteso; e soprattutto: su una falsa lettura del Nuovo Testamento e
dei testi correlati.
Lo contraddicono
dall'inizio:
1.
il fatto che i personaggi più importanti delle narrazioni evangeliche vivevano,
linguisticamente, nella Bibbia ebraica, al fianco di Giosuè;
Quale che sia questo Giosuè (questo Gesù): il successore di Mosè o il sacerdote del ritorno da Babilonia.
2.
il fatto che diversi testi cristiani primitivi ignorano il nome di Gesù.
Questi due fatti non formano, in realtà, che uno solo: per effetto di midrash, il Gesù dei vangeli non è altro che il(i) Giosuè biblico(biblici). Come il Giosuè succeduto a Mosè, egli inaugura la sua missione al Giordano: nella Bibbia ebraica, il Giordano è la barriera d'acqua che separa il popolo dalla Terra Promessa; nei vangeli, il Giordano è la barriera d'acqua (battesimale) nella quale conviene farsi immergere per accedere al Regno (atto, in entrambi i casi, necessario — indispensabile — e non sufficiente). Ecc. — Ma vado troppo veloce, sono troppo impaziente. Sto anticipando.
Riparto quindi
tutto da zero.
*
In Ezechiele e in
Daniele (ma anche nei Salmi, ecc.) si parla di un Figlio dell'uomo.
E non se ne parla alla leggera: se ne parla eminentemente.
Nella Genesi
ebraica, si parla di Adamo (= l'uomo) come di un essere creato
Mi spiace scrivere «creato» (tanto questo termine impoverisce sia il testo biblico che tutti i midrashim che se ne sono impadroniti); ma passiamo oltre.
a immagine di Dio.
Nella Bibbia ebraica, si parla, a più riprese, del Dio vivente. Nella Bibbia
ebraica, poi nei vari giudaismi che succedettero al ritorno da Babilonia (VI°
secolo Avanti Era Comune?), si avanzano, sempre più imperativamente, i temi e
le ispirazioni che circolano attorno alla nozione di messia (= cristo). Nella
Bibbia ebraica, Dio è spesso e fortemente invocato come salvatore. Al termine
della Torà, infine, dopo i percorsi dei cinque libri più sacri degli ebrei (e
dei Samaritani), vengono, tra gli ebrei come tra i samaritani ,un libro e un
personaggio che inaugurano l'ingresso degli ebrei nella Terra: al termine della
Torà, al termine dell'azione di Mosè, ecco Giosué-Gesù e il suo libro.
Il mio studio dovrebbe fermarsi lì; ho appena enunciato la totalità delle basi testuali del midrash cristiano – e dunque del cristianesimo – primitivo. La sua totalità.
È su questo insieme
di constatazioni, perlustrandole e ri-perlustrandole, che si instaurerà
progressivamente (e non di colpo, a Betlemme, a Nazaret o a Cafarnao) ed
esegeticamente (e non sulla base di cosiddetti fatti storici che si sono
apparentemente svolti nella Giudea e nella Galilea del I° secolo della nostra
era) quello che si convenuto di chiamare oggi il cristianesimo.
Sebbene il cristianesimo di oggi non intrattiene più alcun legame se non molto tenue con il cristianesimo giudeo-ebraico degli inizi. Perché, inabissandosi nel greco e nel latino, ha perso — per sempre — le sue mentalità d'origine.
1.
Progressivamente: il che vuol dire che diversi strati del nascente
cristianesimo giudeo-ebraico ignorano o trascurano (o rifiutano) tal o talaltro
dei fatti testuali biblici che ho appena passato in rassegna; il che vuol dire,
anche, che tutti i cristiani primitivi non ottengono, con tutti o alcuni di
questi fatti, gli stessi risultati dottrinali.
Ma tutti, poiché sono nel contempo giudei, ebrei, e studiosi (esperti in midrash), sono d'accordo nell'impiegare gli stessi metodi cabalistici.
2.
Esegeticamente: il che vuol dire che tutto il cristianesimo primitivo, con le
sue coerenze e le sue esitazioni (in quanto, proprio, ricerca che perlustra),
dipende da un gigantesco midrash
Midrash = ricerca, perlustrazione (radice DRŜ, «cercare, perlustrare»).
avente per
obiettivo (unico) la Bibbia ebraica (cioè la Torà e i suoi esiti giudei e
samaritani) e per metodi (unici) le ricette cabalistiche in uso intenso
Intenso: non sporadico!
tra i giudei e i
samaritani ebrei.
Domanda: Lunga
impresa, questo midrash? — lunga fabbricazione?
Non mi guardo bene
dall'onorare quella domanda del minimo sguardo; preferisco, per ora, e senza
preoccuparmi della cronologia, rendere conto nel dettaglio, a fondo, di quella
impresa e di quella fabbricazione. — E, che il mio lettore mi perdoni, il
dettaglio, qui, non è semplice.
P.S.
Il dettaglio al quale faccio allusione ci porta, come minimo, abbastanza
lontano dalle considerazioni abituali sui poveri analfabeti pescatori del lago
di Tiberiade:
A questo proposito, ogni frequentatore della Bibbia ebraica sa che Giosuè è «figlio di Nun» (BN NWN); ora «Nun»/NWN significa, in ebraico, «il pesce» — da cui, le elaborazioni piscicole e barcaiole dei vangeli, elaborazioni narrative che si combinano, sul tema della pesca con la rete (ebraico ĤRM/«la rete, la distruzione, anatema, ecc.»), con una grandiosa lettura (tra altre) del libro di Giona, libro nel quale un pesce — e quanto... — gioca il suo ruolo con talento.
Ad un livello superficiale, il legame tra Gesù-Giosué figlio di Nun e Giona (chiamato «figlio di Amittai», vale a dire «figlio della verità-fedeltà divina») e Ninive (città midrashica dove Giona è inviato da Dio) è un legame grafico e vocale: grafico sulla lettera N, e vocale sulle lettere del nome sacro-divino YHWH. infatti: Nun (padre di Giosuè-Gesù) = NWN; Giona = YWNH; e Ninive = NYNWH. — Ora, su questo legame, gli evangelisti hanno escogitato, ancora per midrash, fortissime teorie sulla resurrezione (cfr. più oltre): ci si ricordi, per il momento, se non altro del famoso «segno di Giona», detto altrimenti ʼWṬ YWNH, «la lettera di Giona» (ʼWŢ = «segno, lettera, miracolo»), segno che occorre in Matteo 12:38-42, Marco 8:11-12 e Luca 11:29-32 sotto forma della lettera ebraica N (con, nelle nostre versioni neotestamentarie in lingue occidentali, errori di traduzione che mi farebbero grande imbarazzo se ne fossi — da quasi duemila anni — l'autore)...
ci conduce al cuore della fornace della scienza ebraica. Vi pervengo — con del concreto, con degli esempi, con dei testi.
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