venerdì 9 febbraio 2024

Gli scritti di San Paolo — EPISTOLA AI COLOSSESI (I SALUTI)

 (segue da qui)

6. I SALUTI

Niente si oppone a ciò che si accetta come proveniente dallo stesso Paolo quanto dice di Tichico (7-9), di Aristarco, di Marco, di Gesù detto Giusto (10-11), di Ninfa e della chiesa che è in casa sua (15). È dunque esistita una nota di Paolo di cui ecco lo schema: «Tichico vi darà mie nuove. Io ve l'ho inviato per questo. Io ho anche inviato con lui Onesimo che è tra voi. Entrambi vi informeranno su ciò che mi riguarda. I miei compagni vi salutano. Essi appartengono alla circoncisione. Solo loro mi hanno aiutato nell'opera del regno di Dio. Salutate Ninfa e la chiesa che è in casa sua»

Nell'epistola ai Romani 15:7 Paolo chiama Andronico e Giunia suoi «compagni di prigionia». Egli fa allusione a una delle molteplici incarcerazioni che ha subìto in passato e nel corso della quale ha incontrato queste due persone. Il versetto 4:10 della nostra epistola dove Aristarco è chiamato il compagno di prigionia può essere interpretato nello stesso senso e non ci obbliga a concludere che Paolo abbia scritto la suddetta nota durante la sua prigionia a Roma. In ogni caso si è sorpresi di constatare che Luca, menzionato in 14 con la qualifica di «dottore beneamato», non è nominato in 11 tra coloro che sono stati «i soli» ad aiutare Paolo nell'opera del regno di Dio. Asserire che Luca non fosse circonciso e che 11 si occupi esclusivamente dei collaboratori circoncisi non è una soluzione ammissibile dato che, in 11, Paolo non dice di non avere avuto altri collaboratori circoncisi, ma: «Gli uomini che ho appena nominato e che appartengono al mondo della circoncisione sono stati i miei unici collaboratori». L'unico modo per risolvere quell'enigma è dire che 14 non appartiene alla nota di Paolo.

Occorre soprattutto eliminare dalla suddetta nota il versetto 12 relativo a Epafra missionario marcionita del 140 circa (si veda 1:7) e il versetto 16 che presuppone una lettera mentre Paolo ha scritto una semplice nota di poche righe. In compenso questi due versi si adattano così naturalmente alla lettera della comunità marcionita ai Colossesi che si può senza esitazione attribuirglieli e con essi la menzione di Luca nonché l'ammonimento dato ad Archippa (17). 

Veniamo ora al lavoro dell'editore. Probabilmente capo di una comunità cattolica evangelizzata in passato da Paolo, ad esempio quella di Efeso, egli ha trovato negli archivi la nota che l'apostolo aveva inviato a quella comunità. D'altra parte, i convertiti dal marcionismo originari o di Colosse o di Laodicea gli hanno mostrato un esemplare di una lettera rivolta «ai santi e fedeli fratelli di Colosse» e nella quale l'autore anonimo si esprimeva al plurale. Ben convinto che questo scritto ammirevole dovesse derivare da Paolo egli ha procurato a quell'origine apostolica le prove che gli mancavano. Conosciamo già due delle misure che ha preso (redazione individuale e titolo) per ottenere questo risultato. Aggiungiamo ora una terza misura che è consistita nell'inserire la nota di Paolo nei saluti della lettera «ai santi e fedeli fratelli di Colosse». Indotto, a torto o a ragione, dalla qualifica data ad Aristarco, a credere che la nota risalisse alla prigionia di Paolo, egli ha creato due attestazioni di quella prigionia, una in 4:3b, l'altra in 4:13b. Infine apprendendo dalla lettera ai Colossesi 4:16 che Paolo si era interessato ai cristiani di Laodicea, ha fornito due prove di quella sollecitudine, una in 2:1, l'altra in 4:13 dove Gerapoli interviene a titolo di precisazione. In una parola, egli ha fatto tutto il necessario per realizzare la fusione della nota di Paolo con l'epistola ai Colossesi. 

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