domenica 4 febbraio 2024

Gli scritti di San Paolo — EPISTOLA AI COLOSSESI (LA RESURREZIONE È COMPIUTA NEI CRISTIANI)

(segue da qui)


EPISTOLA AI COLOSSESI 

I critici sono pressoché unanimi nel dire che quella epistola è di Paolo, che l'ha scritta in prigionia, o a Roma o altrove.

1. LA RESURREZIONE È COMPIUTA NEI CRISTIANI

Io comincio studiando i testi 2:11-13 e 3:1 che dicono in sostanza questo ai cristiani: «Per mezzo del battesimo voi siete stati sepolti con il Cristo; voi siete anche risorti con lui. La vostra vita è in cielo. Non dimenticate che quella vita celeste vi impone doveri sublimi».

Essi tracciano della vita cristiana un quadro che non manca di grandezza, ma la cui provenienza solleva un problema considerevole. Essi dicono, infatti, che il cristiano è risorto. Ma la seconda epistola a Timoteo 2:18 denuncia due eretici il cui crimine consiste nel dire che «la resurrezione è già arrivata» e che, per questo fatto, «rovinano la fede di alcuni». Se le epistole pastorali sono state scritte da Paolo nell'anno 60, come credono i teologi, come mai l'apostolo ha potuto parlare, nell'epistola ai Colossesi, della resurrezione compiuta nel cristiano proprio nel momento in cui trattava come eretici coloro che presentavano la resurrezione come «già arrivata»? Si dirà che le sue intenzioni erano pure e che non intendeva respingere la resurrezione dei corpi. Ma la questione non è lì. Coloro che hanno «rovinato la fede di alcuni» sono arrivati ​​ai loro fini semplicemente dicendo che la resurrezione è «già arrivata». È quella formula capziosa che ha fatto il male, perché essa ha combattuto subdolamente contro il dogma della resurrezione, perché essa lo ha distrutto fingendo di rispettarlo. Come mai quindi l'apostolo ha adottato per suo uso personale una espressione così perfida? Come mai non ha visto che forniva armi agli eretici, che lavorava per loro? Vi è lì una difficoltà insolubile per i teologi e per tutti coloro che sostengono che il testo attuale delle epistole pastorali sia autentico. 

I critici soffrono un imbarazzo appena meno grande. Secondo loro è intorno al 125 che uno sconosciuto ha messo in guardia Timoteo contro i due suddetti eretici; ma è Paolo stesso ad aver scritto il testo di Colossesi 3:1: «Voi siete risorti con il Cristo». Ecco quindi come essi sono condotti dalla logica del loro sistema a ricostruire gli eventi. Paolo, nel 60, spiega ai Colossesi che la resurrezione è già realizzata in loro, ma naturalmente senza presupposizione di un'altra resurrezione che avrà luogo alla fine dei tempi ma di cui però egli non parla. Più tardi, intorno al 120, eretici sconosciuti alla Storia abusano dell'espressione dell'apostolo e se ne servono per ingannare le masse popolari legate alla fede cristiana. Insegnano che la resurrezione è una cosa già arrivata nel cristiano; ma aggiungono che non vi è altra soluzione da aspettare. Poco tempo dopo un teologo cattolico spaventato alla vista dei danni commessi dai suddetti eretici scrive sotto il nome di Paolo: «Non ascoltate coloro che predicano che la resurrezione sia già arrivata: questi sono eretici»

Ma quella ricostruzione si scontra con una difficoltà enorme. Un teologo cattolico intorno al 125 non poteva, sotto il pretesto di difendere la fede nella resurrezione, condannare una espressione impiegata una volta dal grande apostolo, espressione che tutti conoscevano e che conosceva lui stesso meglio di tutti. Senza dubbio, poiché gli eretici avevano abusato delle espressioni di Paolo, egli doveva segnalare l'abuso. Ma doveva segnalarlo risparmiando l'apostolo. 

I mezzi non gli mancavano per ciò. Se ne giudichi dai due esempi seguenti. Intorno al 170, l'autore della seconda epistola di Pietro (3:15) saprà bene, in poche parole, esaltare le lettere paoline e fustigare gli eretici che sfruttano questi scritti per corrompere la fede. E, intorno al 140, l'autore della seconda epistola ai Tessalonicesi (2:2) avrà cura di mettere in guardia i fedeli contro i falsari che abusano del suo nome. Sarebbe stato facile all'autore delle epistole pastorali fare un'osservazione analoga e, poiché si nascondeva sotto il nome di Paolo, scrivere qualcosa come questo: «Imenea e Filete rovinano la fede nella resurrezione del corpo servendosi indebitamente delle mie espressioni. Dichiaro che la resurrezione spirituale compiuta ora nei cristiani sarà seguita da una resurrezione corporale». Al posto di ciò egli condanna l'espressione impiegata da Paolo nell'epistola ai Colossesi. La condanna senza aggiungere alcuna correzione, alcuna distinzione, alcuna spiegazione. Dichiara semplicemente che si distrugge la fede, e che si è eretici quando si dice che la resurrezione è «già arrivata». Ecco ciò che è incomprensibile se sa che l'apostolo di cui prende il nome ha scritto nel 60 ai Colossesi che il cristiano è risorto con il Cristo.

Si deve concludere che non conosce questo testo, proprio l'interpolatore cattolico delle epistole pastorali che si colloca intorno al 160? No. Lo conosce molto probabilmente, ne conosce la provenienza. In ogni caso sappiamo da dove provengono le espressioni 2:12, 3:1 che riproducono così esattamente l'espressione marcionita. Poiché esse non derivano da Paolo, esse sono uscite dal laboratorio marcionita,  hanno potuto uscire solo da lì. È Marcione o uno dei suoi discepoli che, intorno al 140, ha spiegato ai cristiani che la loro resurrezione era un fatto compiuto e che ha consegnato questo insegnamento nell'epistola ai Colossesi. E l'interpolatore cattolico delle epistole pastorali, laddove denuncia la propaganda di Imeneo e di Filete, prende di mira i testi Colossesi 2:12, 3:1 o uno dei loro simili.  

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