lunedì 2 ottobre 2023

Evoluzione dell'idea primigenia

 (segue da qui)

§ 87) Evoluzione dell'idea primigenia. — Scomparso il Maestro e represso il movimento rivoluzionario ch'era divampato alla sua morte, coloro che sempre gli erano stati vicini e più avevano imparato ad amarlo, non potevano persuadersi che egli fosse trapassato. Troppo improvviso era stato il suo arresto, improvvisa la condanna, ed improvvisa l'esecuzione. Improvvisi erano poi scoppiati i moti di ribellione in tutto il paese, ed improvvisa era seguita la reazione delle autorità romane. Non deve quindi meravigliare se in tanto turbinoso succedersi di eventi, i rari episodi riguardanti l'arresto e la morte del Gesù non avessero fatto in tempo a fermarsi nel pensiero di quegli uomini semplici, e se pertanto alcuni seguaci del Galileo non credettero che il Maestro fosse morto, rifiutando di pensare che un tanto uomo, da essi collocato al vertice di ogni idea, e che già aveva dato prova di possedere in sé una capacità miracolante, fosse uscito dal mondo come un comune mortale. Né apparirà strano che alcuni tra quei seguaci abbiano preferito pensare che egli sarebbe comunque resuscitato per virtù proprie, non dovendo essere difficile, a chi aveva richiamato in vita Lazzaro e Talita, richiamare in vita se stesso.

Il fenomeno, del resto, non è isolato. Giacché — a parte le figure storiche del falso Nerone in Roma e del falso Dimitri in Russia — in modo perfettamente simile si ripeterà esso nel Babismo. Anche il Bab infatti (Mirza Alì Mohamed) aveva suscitato in Persia (1850) un moto messianico analogo a quello galileo. Arrestato però e giustiziato dal governo dominante, egli continuò ugualmente ad essere ritenuto vivo dai suoi aderenti, i quali ne aspettano ancora adesso la venuta, essendosi anche in quei semplici spiriti trasformata l'attesa immediata dell'evento, in attesa lontana e mediata. [1]

L'idea di un prossimo ritorno del Maestro di Galilea si era venuta pertanto raffermando in mezzo ai suoi aderenti, anche indipendentemente dalla concezione apocalittica, che tale idea aveva teorizzato come pertinente al Messia. E poiché la fede nell'evento messianico era diventata ormai per gli israeliti una necessità prepotente, senza della quale non vedevano essi uno scopo nella vita, da quella idea, fusa ed elaborata colla corrispondente parte della concezione apocalittica, si era venuta originando nelle masse la convinzione che il Maestro non fosse venuto in terra — nella sua prima comparsa — per attuare, bensì per preparare il Regno Messianico, la cui attuazione invece avrebbe egli effettuato in una seconda parusia. In conseguenza di ciò, la fede nella seconda parusia del Maestro diventò in Giudea comune tanto alle maggioranze zelote, quanto alle minoranze mistiche.

Senonché i rimasti in Giudea continuarono a raffigurare il «Maestro» quale un guerriero, che avrebbe seminato stragi tra i nemici d'Israele, attuando — nella sua seconda parusia — il «Regno messianico» a carattere terreno. Appunto per questo si indussero più tardi a quella grande guerra, che doveva portare alla distruzione Gerusalemme. Per contro le minoranze mistiche, emigrate fuori di Palestina, ritenendo — specie dopo l'intervento di Paolo — che colla prima parusia il Maestro avesse avuto per iscopo soltanto di riscattare dai peccati, col proprio sacrificio, il popolo, per renderlo degno del successivo premio in Cielo, coltivavano bensì la «fede» nella seconda parusia; ma questa si sarebbe verificata colla fine del mondo e conseguente resurrezione dei corpi.

Nell'idea messianica pertanto, diventata, nell'oriente greco, idea cristiana, era penetrata lentamente, con carattere integrativo, l'idea di un sacrificio espiatorio, necessario per riscattare il «popolo d'Israele» (ed in seguito tutti i credenti nel Messia) dai commessi peccati. E non è chi non riconosca che in tale processo trasformativo era la vecchia idea proto-messianica — dell'unto cioè sacrificato per riscattare le colpe della comunità — che dopo millenni tornava a predominare. Al quale proposito, le voci che già correvano sulla morte del Maestro, sacrificato dai sacerdoti per salvare il popolo, [2] non potevano non richiamare, presso qualche spirito meditante, l'idea proto-messianica della vittima redentrice, contribuendo a fare del «Gesù» una vittima sacra (§ 13).

Ed infatti, l'idea messianica originaria (proto-messianismo) altro non era stata se non l'idea sacrificale, implicante una vittima — quasi sempre uomo — uccisa per redimere le colpe della comunità, e posta poi a cuocere sul fuoco sacro, dopo essere stata unta di olio. Solo tardivamente, nella storia universale, l'idea messianica da redentrice si era mutata in salvatrice, senza richiedere la morte dell'unto (deutero-messianismo). Nel caso poi del Messia Galileo, poiché l'idea salvatrice era fallita colla morte del «Maestro», quella stessa morte non poteva non richiamare al pensiero dei discepoli la più vecchia idea redentrice dello stesso concetto. Per altro, l'idea iranico-apocalittica da una parte, e la dottrina mitraica dall'altra, non potevano — fuse colla dottrina dell'anima, della scuola galilea — non influire sull'ulteriore evoluzione del concetto messianico.

In tal modo il processo di divinizzazione dell'uomo aveva inizio nell'oriente greco, e la qualifica di «Messia» (unto), già riconosciuta in Giudea al «Maestro» nel significato di «condottiero terreno», si avviava ad essere interpretata, nell'oriente greco, secondo il più vecchio significato di «vittima redentrice».

Con questa concezione, il «Maestro» diventava l'inviato di Jahvé, non più per salvare il popolo d'Israele dalla dominazione straniera e ricostruire l'antico regno di Davide, bensì per riscattare il popolo col proprio sacrificio, assicurandogli il conseguimento del «Regno di Dio».

NOTE

[1] Cfr. Turchi, Storia delle Religioni, Torino 1922, p. 247 e bibliografia.

[2] Giovanni, XVIII, 10.

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