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XVII. — GIUDA GALILEO E GESÙ GALILEO
§ 48) Tra i vari «Messia» storici di Giudea emerge il «Rabbi» Galileo. — Tra i molti messia, falsi profeti e agitatori di popolo, che lo storico Giuseppe ci presenta come vissuti in Israele nel periodo che c'interssa, un personaggio solo è da lui trattato con deferenza: Giuda Galileo. Contrariamente al linguaggio spregiativo adoperato dallo storico nel parlare di Atronge, di Teuda o di altri più o meno falsi messia, il linguaggio da lui adoperato nel parlare di Giuda Galileo non solo è misurato, ma è deferente, e talvolta anche ossequiente.
Giuda Galileo entra nella Stori d'Israele quale filosofo e Maestro di dottrina nuova: quale un Rabbi cioè, nel significato più eletto della parola: quale un Rabbi cioè, nel significato più eletto della parola. Inoltre egli viene presentato dallo storico come l'agitatore che ebbe più seguito durante tutto il periodo messianico. Sulla sua persona quindi convergono i principali requisiti, che abbiamo accertato essere stati del Gesù evangelico.
Per altro, potrebbe apparire assurdo esaminare se il Gesù evangelico debba identificarsi, ad esempio, con Giuda di Ezechia, figlio di un capo-banda e capo-banda anch'esso; col pastore Atronge, col vagabondo Teuda, o con qualsiasi altro dei sedicenti messia registrati dallo storico. Giacché nessuna affinità può riscontrarsi tra i molti agitatori riconosciuti da Giuseppe Flavio quali falsi messia, ed il Gesù evangelico. L'unico personaggio invece, che possieda affinità col personaggio evangelico, è il Rabbi Giuda, soprannominato «Galileo».
Infatti (§ 40) proprio «Galileo» era stato chiamato il Salvatore Cristiano dai Gentili; e «Galilei» avevano chiamato sé stessi i seguaci dello stesso «Salvatore», fino all'anno 47 E.V. Non basta: dai Vangeli emerge che coll'attributo di «Maestro» era stato invocato dai discepoli il Galileo evangelico; ed ecco che anche il Galileo storico — come emerge dal testo di Giuseppe — era stato conosciuto coll'attributo di «Maestro». Peraltro, dalla particolareggiata esposizione di Giuseppe Flavio, non risulta esserci stato in Giudea un altro «Messia», o «ritenuto messia», che fosse stato «Galileo» e fosse stato «Maestro». Questa concordanza quindi, tanto nel nome quanto nell'attributo, ci impone di iniziare proprio da Giuda Galileo le ricerche che c'interessano.
Più avanti accerteremo se anche i discepoli del Maestro evangelico, Giacomo e Simone, debbano identificarsi negli omonimi discepoli del Maestro storico. Intanto dovremo indagare se la concordanza nel nome e nell'attributo del personaggio principale sia da considerare casuale, o non sia stata invece la «storia» di Giuda Galileo ad aver dato vita — trasferita nell'oriente greco — alla «leggenda» di Gesù Galileo. Perché, se dalle nostre ricerche emergerà che tutte le circostanze, nessuna esclusa, da noi accertate per il «Gesù», aderiscono alle circostanze registrate dalla storia per il «Galileo», dovremo concludere che il personaggio, tramandato dalla leggenda greca con gli attributi di «Cristo» e di «Gesù», altri non era stato in Giudea che il Rabbi Giuda, soprannominato «Galileo».
A questo punto, il lettore giudicherà forse insensato l'ammettere, sia pure per semplice ipotesi, che Giuda Galileo — il «filosofo terribilissimo», presentato dallo storico giudeo quale principale ribelle al dominio romano — possa aver formato una persona sola col «mite profeta di Nazareth». Si deve però considerare che la storia profana presentò Giuda Galileo quale un «ribelle», appunto perché i sacerdoti giudei avevano visto in lui soltanto il ribelle. Ciò coincide, del resto, con la tradizione evangelica. Giacché proprio dalla tradizione apprendiamo che il Salvatore era stato condannato dal pontefice Anna, perché ritenuto «ribelle» alla Legge, ossia «bestemmiatore» (cfr. Matteo, XXVI, 65). Ed era naturale che, dovendo più tardi un sacerdote giudeo scrivere del Gesù (designandolo però col suo nome profano), non potesse presentarlo che quale un ribelle.
Nel caso poi di Giuseppe Flavio, dobbiamo ricordare che lo stesso scrisse la sua storia dopo l'esito disastroso della Guerra Messianica, terminata con la distruzione di Gerusalemme (a. 70 E.V.). Non poteva quindi egli — malgrado in precedenza avesse creduto per qualche tempo nella messianità del Galileo — non presentare quest'ultimo quale un ribelle, alla cui predicazione fossero da attribuire le sciagure del suo paese. Non solo; ma essendo lo stesso Giuseppe colpevole di ribellione al dominio di Roma, per aver seguito dapprincipio il movimento Galileo, era naturale che, fatto esso prigioniero delle truppe romane, cercasse di schivare ogni responsabilità propria, insistendo sulle responsabilità del Rabbi e dei suoi più fanatici aderenti (oltre che sulle colpe dei funzionari romani).
Non deve quindi la qualifica di «ribelle» data al «Galileo» storico rappresentare un ostacolo per la sua identificazione col «Galileo» evangelico; perché anzi proprio il «ribelle» sotto un regime, diventa il «martire» ed il «santo» sotto il regime contrario. È utile per altro ricordare che il Renan, il quale resta sempre tra i più acuti analizzatori delle fonti cristiane, nelle sue ricerche intese ad individuare il personaggio evangelico, ha sfiorato sempre il Rabbi di Giuseppe Flavio; gli è passato sempre vicino; lo ha sempre paragonato al Rabbi evangelico, e lo disse financo «fratello» del suo Gesù, identificando le idee dell'uno nelle idee dell'altro. Pertanto potremmo pensare che Renan non abbia visto l'identità delle due figure, soltanto perché troppo radicata era in lui la figura evangelica. Giacché come mai potrebbe altrimenti spiegarsi perché Renan abbia girato tanto spesso attorno a Giuda Galileo, veduto sempre vicino al suo Gesù; ed attorno ai seguaci di Giuda Galileo, veduti sempre vicini e talvolta identificati coi seguaci del Gesù? [1] Non potrebbe forse Renan aver visto due figure, soltanto perché aveva guardato attraverso una lente — la tradizione — che aveva già sdoppiato il personaggio, invece di ricercare esso stesso con maggior acume nella storia? E non sarebbe ammissibile che l'intuizione divinatrice gli abbia indicato il personaggio reale, mentre la lente, attraverso la quale egli guardava, sdoppiando la figura, gli abbia fatto vedere due persone («due fratelli» egli scrive al Capo XIV di «Vita di Gesù»), al posto di una sola?
Tutto questo non solo ci autorizza, ma ci costringe ad iniziare le nostre ricerche da Giuda Galileo.
NOTE
[1] Cfr. Renan, San Paolo, Cap. XVII e passim.
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