domenica 19 giugno 2022

LA PRIMA GENERAZIONE CRISTIANADATA DEI TESTI, DATA DEL LORO CONTENUTO

 (segue da qui)


APPENDICE VII

DATA DEI TESTI, DATA DEL LORO CONTENUTO

La tesi del signor Guignebert si riassume pressappoco testualmente in questo:

Non è dalla data di redazione di un testo che si giudica l'antichità del suo contenuto. [1]

L'espressione «suo contenuto» si presta ad un equivoco; ma lo stesso eminente professore ne ha in anticipo precisato la portata.

Poiché le epistole sono il documento più antico sul cristianesimo, spiega, non ne consegue che sia in esse a giacere la rappresentazione del cristianesimo più antica che ci sia possibile raggiungere.

E, alla pagina successiva:

I vangeli sinottici contengono, benché scritti dopo le epistole, le tracce di una tradizione anteriore, di una rappresentazione di Gesù più vicina alla prima fase dell'evoluzione cristologica...

Per «contenuto», il signor Guignebert intende dunque la «rappresentazione» di Gesù e del cristianesimo. È infatti troppo evidente che non si tratta di eventi che hanno potuto riportare o ai quali hanno potuto fare allusione le epistole e i vangeli; pretendere che un evento è necessariamente più storico di un altro perché è riportato da un testo più antico, denoterebbe una follia di cui il signor Guignebert non crederà capace nessuno dei suoi avversari. Si tratta non di ciò che si era compiuto al tempo di Gesù, ma di ciò che gli autori (e i lettori) delle epistole e dei vangeli credevano essersi compiuto; non di ciò che era stato realmente Gesù, ma di ciò che credevano che fosse stato; per «contenuto» delle epistole e dei vangeli dobbiamo intendere l'idea che si facevano di Gesù e della sua opera l'autore (e i lettori) delle epistole e, un mezzo secolo più tardi, gli autori (e i lettori) dei vangeli. [2] La questione non è di sapere se le idee degli uni fossero più conformi alla realtà storica delle idee di altri, ma di sapere se fossero più antiche.

La domanda posta nella sua generalità, noi rispondiamo:

In principio, e salvo casi eccezionali, è dalla data di un testo che si giudica l'antichità delle concezioni che esso traduce.

Cosa che, per riprendere le espressioni del signor Guignebert, noi spieghiamo aggiungendo:

Poiché le epistole sono il documento più antico sul cristianesimo, vi è ogni probabilità che sia in esse a giacere la rappresentazione più antica del cristianesimo che ci sia possibile raggiungere.

I vangeli sinottici hanno ogni probabilità di dare di Gesù la rappresentazione che era quella dell'epoca in cui sono stati scritti, vale a dire una rappresentazione posteriore alla rappresentazione che se ne faceva l'epoca precedente. 

...Vi è ogni probabilità che le memorie scritte su Napoleone durante la Restaurazione esprimano non una conoscenza più accurata della vita di Napoleone, ma una rappresentazione di Napoleone e della sua vita più antica di quella che esprimono quelle scritte dopo la Rivoluzione di luglio.

In modo meno categorico del signor Guignebert, diciamo: «vi è ogni probabilità»... Ciò che asseriamo è l'ordine naturale delle cose... Diciamo semplicemente che l'«ordine naturale delle cose» vuole che i libri scritti nell'anno 50 esprimano le concezioni dell'anno 50 e che i libri scritti nell'anno 100 esprimano le concezioni dell'anno 100. E, dopo aver riconosciuto che vi sia là solo una probabilità, aggiungiamo che è a colui che pretende che le cose si siano svolte altrimenti che fosse naturale fornirne la dimostrazione. 

L'onere della prova spetta a colui che asserisce contro l'ordine naturale delle cose.

Ma nel caso particolare che ci occupa, crediamo possibile andare più oltre.

Perché la rappresentazione che i vangeli esprimono di Gesù e della sua opera sia più antica di quella espressa un mezzo secolo prima da San Paolo, occorrerebbe che, nata prima di quest'ultimo, essa si sia perpetuata al di fuori del gruppo paolino. Ora, questo è ciò che gli studiosi evemeristi affermano, ma che è loro impossibile dimostrare, mentre noi crediamo possibile stabilire la tesi opposta.

Dovendo ritornare sulla questione nel nostro successivo volume, ci limiteremo a riassumere qui la nostra tesi nel dilemma seguente: di due cose l'una, o San Paolo avrebbe conosciuto quella antica rappresentazione di Gesù e della sua opera, oppure l'avrebbe ignorata.

Che l'abbia ignorata, la cosa è inammissibile, essendo dati i suoi rapporti con i Galilei.

Che l'abbia conosciuta e che, non solo non ne abbia mai parlato nelle epistole, ma non l'abbia mai combattuta, la cosa non è meno inammissibile. Si sa quale ardore combattivo egli manifesti nei suoi scritti contro tutto ciò che non gli piace! Eppure non ha una parola contro una concezione che sarebbe stata agli antipodi della sua. L'argomento a silentio, spesso così deludente, funziona qui a pieno regime. 

Le epistole di San Paolo conoscono in Gesù solo un essere che, esistendo in forma di dio, ha preso una forma d'uomo per farsi crocifiggere e ha passato sulla terra solo i tre giorni necessari per morire, essere sepolto e risorgere. Lungi dal ritornare ad una concezione cristologica arcaica, i vangeli hanno espresso,  un mezzo secolo più tardi, la grande novità che si faceva alla loro epoca, vale a dire (per attenerci alla rappresentazione di Gesù) la concezione del dio che ha vissuto una vita umana prima di offrirsi in sacrificio.

Non diciamo che la data di redazione di un testo implichi necessariamente quella delle concezioni che esso esprime; diciamo che, in questo caso particolare, la data di redazione delle epistole implica, di fatto, l'anteriorità della rappresentazione che esse forniscono di Gesù e della sua opera. 

NOTE

[1] Revue de l'Histoire des Religions, 94, pagina 226.

[2] Non abbiamo da soffermarci un attimo sull'ipotesi che gli scrittori dei vangeli, come gli autori dei nostri romanzi storici, abbiano fatto di proposito degli arcaismi.

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