venerdì 19 febbraio 2021

Le fonti profane

 

CAPITOLO II

Le fonti profane

In tutta logica, l'inchiesta comincia dai documenti profani. Al tempo delle origini cristiane non mancavano storici, cronisti, scrittori e filosofi. Non hanno potuto rimanere in silenzio o ignorare l'evento più importante della storia.

Basterà interrogarli, a cominciare dagli ebrei, ben posizionati per fare luce sulla vicenda. In linea di principio, le loro testimonianze presentano un interesse particolare per lo storico proprio perché non sono influenzate dalla fede in Gesù Cristo.


1 — GLI AUTORI EBREI

Filone

Filosofo e letterato, nato sotto Erode il Grande, morto nel 54 della nostra era, Filone di Alessandria è, per ipotesi, l'esatto contemporaneo di Gesù.

Molto informato di tutto ciò che riguarda il popolo ebraico — conosce benissimo le comunità essene — la sua opera comprende 57 opere, tra cui L'era di Pilato, in cui si offrivano venti occasioni per parlare del Cristo. Ma vi si cerca invano la minima allusione.

Questo silenzio è tanto più strano perché Filone, sostenitore logomachico del Logos, era pronto a cantare verbosamente il Verbo. Eusebio e Fozio pretendono persino che fosse cristiano, e San Girolamo lo inscrive nel suo catalogo di scrittori ecclesiastici. È di sicuro una conversione postuma come tante altre. Il nostro uomo restò sempre fedele al giudaismo: lo si chiama perfino Filone Giudeo. Se conobbe la mistica cristiana, non vi cadde affatto, ignorando anche il nome del Cristo.

Ebreo coraggioso e impegnato, Filone si era recato a Roma a perorare, presso Caligola, la causa degli ebrei, vittime di persecuzioni sanguinose nel 39 ad Alessandria. L'Imperatore lo aveva ricevuto, ma aveva ignorato la sua richiesta. Filone era rimasto per qualche tempo sulle rive del Tevere, aveva frequentato la sinagoga romana ma senza tuttavia notare l'esistenza dei primi cristiani.

Tornato ad Alessandria, terminò la sua vita scrivendo numerose opere nelle quali si cerca invano un'allusione a Gesù. 

Come Filone avrebbe potuto ignorare la comunità cristiana di Alessandria di cui un certo Apollo, [2] rivale dell'apostolo Paolo, era un membro influente? Inoltre, la colonia ebraica di Alessandria era importante.

È difficile ammettere che nessuna eco di ciò che si sarebbe svolto a Gerusalemme sia giunta a sua conoscenza.

Il silenzio di Filone è così inquietante che gli scrittori cristiani hanno affermato senza prove a sostegno che egli ha parlato di Gesù... nelle sue opere perdute. Eusebio pretende persino che Filone si sarebbe convertito, ma «la favola di Eusebio non ha il minimo tratto di verosimiglianza», scrive Delaunay, traduttore e biografo di Filone. [3]

Discepolo di Platone, teorico del «Logos», influenzato dalle correnti alessandrine del suo tempo, Filone ha dissertato a lungo sulla nozione astratta del «Verbo». Meditando sulle relazioni del mondo imperfetto creato da un Dio onnisciente e lontano, fece sua la filosofia del «Logos», ossia la ragione che ordina il mondo.

Neoplatonico della prima ora, Filone non esita a fare del Verbo un essere celeste, individualizzato. È il Logos che ha creato tutte le cose. «Figlio primogenito di Dio», il Logos possiede gli attributi della divinità, tutte le creature procedono da lui, non è increato, e procede da Dio stesso.

È facile riconoscere l'analogia con i primi versi del Vangelo di Giovanni. Tradotto in latino dalla parola «Verbum» (il Verbo), o da «la Parola» (J. N. Darby), il testo diventerà: «In principio era il Verbo, e il Verbo era Dio... tutto è stato fatto per mezzo di lui» (Giovanni 1:1-3).

L'idea del Logos personificato è nell'aria. Basterà aggiungervi «E il Verbo si è fatto carne», che sarà cosa fatta nel secolo successivo sotto l'influenza degli Gnostici. Così il Logos avrà solo da manifestarsi agli umani.

Il mito entrerà nella leggenda.


Flavio Giuseppe

Nato a Gerusalemme nel 37 o 38 della nostra era, Giuseppe prese parte alla guerra contro i Romani prima di passare nel loro campo. Pubblicò a loro favore, intorno al 77, il racconto di quella lotta memorabile ne La Guerra Giudaica e un'opera altrettanto magistrale, le Antichità giudaiche.

Leggiamo nel capitolo 18 di quest'ultimo libro, a proposito del governo di Ponzio Pilato: «Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità e attirò a sé molti giudei e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato per denunzia degli uomini notabili fra noi lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d'altre meraviglie riguardo a lui. Ancora oggi non è venuta meno la tribù di quelli che da costui sono chiamati cristiani».

Questo testo sarebbe decisivo se fosse autentico, ma tutto indica che lo si deve considerare apocrifo. Non figurava nella edizione di Giuseppe più antica che conosciamo, quella che possedeva Origene all'inizio del III° secolo, il quale afferma che Giuseppe rifiutava la messianicità di Gesù.

Per di più, tutti lo ignorano prima di Eusebio nel IV° secolo. L'interpolazione è flagrante e nessuno storico serio crede più all'autenticità di questo brano.

Anche ammettendo che lo studioso alessandrino non avesse attestato che Giuseppe non ha detto nulla del genere, il semplice buon senso basterebbe a mettere in dubbio la sua asserzione «Questi era il Cristo». Proferendo una tale affermazione, sarebbe stato cristiano. Voltaire esclamerà: «Se tu avessi creduto che fosse Cristo, saresti diventato cristiano». [4]

Ma Giuseppe si mostra legato al giudaismo farisaico in tutte le sue opere, e anche nei suoi scritti successivi, in particolare nella sua autobiografia e nei suoi due libri «Contro Apione».

Nel capitolo 20 delle stesse Antichità si parla di «Giacomo, fratello di Gesù detto Cristo». Queste parole erano note ad Origene, che le cita tre volte, ma associandole ad un contesto che è scomparso in Giuseppe. Disponeva quindi di un'edizione diversa dalla nostra, già cristianizzata. La sua constatazione è inequivocabile, poiché ci assicura che Flavio Giuseppe non ha mostrato che Gesù sia il Cristo. [5]

Poche opere furono più ritoccate di quella di Giuseppe. Rimproverandogli di essere passato ai Romani, i suoi compatrioti mostrarono di ignorare i suoi libri. I cristiani se ne impadronirono e li adattarono al loro gusto. Scomparso non si sa come intorno all'anno 94, Giuseppe non era più là a protestare. 

La Chiesa non difende più questo testo, ma sostiene che sarebbe stato sostituito da una di quelle pie truffe a cui è abituata, il brano autentico nel quale Giuseppe avrebbe diffamato Gesù. Pura ipotesi e pessima contorsione intellettuale!

Padre Gillet, bibliotecario di Saint Geneviève e traduttore dello storico (1756) confessa di non ritrovarsi più: «Le contraddizioni e le alterazioni», scrive, «nascono, per così dire, ad ogni passo. Sono obbligato a dire così spesso che il testo è alterato e che si contraddice lui stesso che ho tutte le ragioni di temere che una così frequente ripetizione sia importuna e pesante». 

Ancora Gillet ignorava il «Giuseppe slavo» scoperto nel XX° secolo.

Soggiogato, il Padre de Grandmaison si aggrappa al mito: «non c'è dubbio», scrive con una tranquilla sicurezza, «che Giuseppe abbia parlato di Gesù».

Daniel-Rops, al contrario, non dubita che si sia taciuto. Parlando del messianismo, Giuseppe avrebbe, a quanto pare, dispiaciuto ai Romani, compromettendo i suoi privilegi. Il problema è che lo storico menziona diversi messia come Giuda il Gaulonita, Teuda e l'Egiziano. Quale è il buono? Rops prende questi messia per lanterne? 

Notiamo anche che Flavio intitola con insolenza il suo libro Guerra dei Giudei contro i Romani.

Pascal ragiona altrettanto bene. Constatando che Giuseppe, Tacito e altri non hanno detto nulla di Gesù: «Non è per niente un argomento a carico», dice, «anzi è a favore. Perché è certo che Gesù Cristo è esistito (!) e che la sua religione ha fatto un grande clamore, e che questi storici lo sapevano bene, e dunque è evidente che hanno volutamente taciuto, oppure che ne hanno parlato ma quello che dicevano è stato soppresso o cambiato».

In quella nebulosa ricerca della verità, l'apologetica, furba, ha l'ultima parola: «È normale che Giuseppe non abbia detto nulla del Cristo: solo il contrario sarebbe sorprendente. E d'altronde ne ha parlato».

E vi viene spiegato che il famoso passo citato più sopra non è autentico nella sua forma attuale, ma basta cancellarne la professione di fede cristiana e conservare il resto.

All'origine di quella ipotesi si trova un apriorismo discutibile: se il Cristo è esistito, Giuseppe non ha potuto tacere, e poiché il Cristo è vissuto, Giuseppe ha parlato. 

Sfortunatamente, il contesto grida all'interpolazione: la venuta del Cristo vi è messa al rango delle calamità che capitarono allora sulla Palestina. Segue una rivolta mortale e precede immediatamente queste parole: «Accadde nello stesso tempo un'altra disgrazia...»

Nessuna interpolazione è più maldestra di questa.

 È, inoltre, una confessione: il silenzio di Giuseppe è inspiegabile se il Cristo è vissuto.


Giusto di Tiberiade

Altro storico muto, rivale di Giuseppe, Giusto di Tiberiade. La sua «Storia dei Giudei», scritta poco dopo quella di Giuseppe, ora scomparsa, esisteva nel IX° secolo: sappiamo da Fozio, patriarca di Costantinopoli, che non diceva una parola su Gesù.

Quest'ultimo ha lasciato brevi commentari in una raccolta di note bibliografiche [6] nelle quali si può leggere, tra le altre cose, che «Giusto non fa alcuna menzione della venuta di Cristo, degli eventi della sua vita e dei suoi miracoli».

Fozio — che aveva avuto scontri con il papa Niccolò I (858-867) — non trova altra spiegazione per questo silenzio scioccante che quella del «pregiudizio ebraico».

Alfaric conclude naturalmente: «Se ne presenta un'altra molto più semplice: Giusto si trova nella stessa situazione di Giuseppe; se non ha detto nulla di Gesù, è perché non sapeva nulla di lui».


Il Talmud

Avremo più fortuna con la tradizione ebraica palestinese? Quando arriverà il tempo degli scontri tra cristiani ed ebrei, qualche piuma vendicativa se la prenderà coi loro avversari.

Talmud è una parola ebraica che significa «insegnamenti». Contiene le istruzioni e commentari relativi ai testi della Torà — o Antico Testamento — libro divino e sacro. Complemento della Legge scritta, il Talmud è una codificazione della Legge orale che attesta, confermando in particolare il dogma toratico del «popolo eletto».

La sua parte dottrinale è stata scritta nel III° secolo della nostra era. La moralità ambigua e arcaica illustra la superiorità dell'ebraismo. A riguardo dei cristiani, il Talmud proferisce accuse che hanno comportato la sua condanna in Occidente alla fine del Medioevo.

Tra le parodie incoerenti, autentiche caricature dei vangeli, figura il racconto del «presunto Figlio di Dio» di origine impura, nato da una prostituta ebrea di nome Maria e da un soldato romano dell'armata occupante, Panthera.

I miracoli che realizzava erano in realtà magia ispirata al culto dei demoni, ed è a giusto titolo che fu condannato a morte per aver tentato di corrompere il popolo ebraico e di incitarlo alla rivolta.

Polemica anticristiana, la leggenda passò dagli ebrei ai Greci. Celso, all'inizio del III° secolo, ne fece grande uso, deridendo il figlio di Panthera «Figlio di una donna del posto ripudiata da suo marito, è messo al mondo in segreto». [7]

È probabile che Panthera sia solo un grossolano gioco di parole, dal greco parthenos, vergine, attribuito dal vangelo alla madre del Cristo.

Giustino conosceva quella leggenda (Dialogo con Trifone). Tertulliano e Origene vi fanno egualmente allusione.

La cosa più curiosa è che, secondo quella leggenda, Gesù non sarebbe stato crocifisso, ma lapidato, poi appeso. 

«Alla fine egli fu messo sotto processo a Lidda (?) come stregone e fautore di apostasia. Durante i quaranta giorni che precedettero l'esecuzione Gesù fu messo alla gogna e un araldo gridò ad alta voce: costui deve essere lapidato perché ha esercitato la magia e ha fuorviato Israele; chiunque sappia qualcosa per la sua giustificazione, si avvicini e faccia valere la sua testimonianza! Ma non si trovò nulla di simile, e così lo si appese il giorno della preparazione della Pasqua. Altri dicono: lo si lapidò». [8]

Si deve proprio concludere che gli autori ebrei non sanno nulla di un Cristo Gesù.


2 — GLI AUTORI PAGANI

Un fatto importante si impone: nessuno degli scrittori latini o greci del I° secolo della nostra era menziona Gesù. Questo silenzio non prova nulla, senza dubbio, ma ci si può stupire che non abbiano scorto i primi cristiani.

Nessuno scrittore segnala le tenebre che avrebbero ricoperto, in pieno giorno, il paese intero, alla morte di Gesù. Neanche una piccola eclissi di sole.

Nessuno ha sentito parlare di una nuova stella la cui insolita luminosità non avrebbe mancato di incuriosire gli astronomi e gli osservatori del cielo.

Gli illustri scrittori pagani tacciono clamorosamente: Dione Cassio, Pausania, Apuleio, autore dell'«Asino d'oro» nel quale Daniel Massé vede un pamphlet anticristiano, il che è lontano dall'essere evidente. [9]

Il siriano Luciano di Samosata ha ben inteso parlare, prima della sua morte, intorno al 190, di un mago che avrebbe introdotto «nuovi misteri» in Palestina e che si sarebbe messo in croce. Nel suo racconto Morte di Peregrino, parla di questo nuovo rituale: «essi adorano il loro sofista crocifisso». Quella affermazione non è priva di interesse perché il cristianesimo fu effettivamente presentato all'origine come un nuovo culto misterico.

Verso la fine del II° secolo, Luciano, così vicino alla culla del cristianesimo, incuriosito da tutti i culti che deride con un bellissimo spirito pre-voltairiano, non ha sentito parlare della crocifissione e dei vangeli.

Gli storici latini non conoscevano di più l'abominevole massacro di migliaia di bambini innocenti che avrebbe ordinato Erode.

Cosa dire infine, del silenzio dei cronisti del tempo sulla resurrezione dei morti, di cui parlano i vangeli?

Tali eventi, se avessero il minimo fondamento storico, non sarebbero certo passati inosservati.


Pilato

La sua testimonianza avrebbe un valore primario se Gesù fosse stato giudicato da un procuratore nelle circostanze che descrivono i vangeli. Secondo le abitudini dell'epoca, questo funzionario non avrebbe mancato di redigere un rapporto ufficiale all'attenzione del suo superiore gerarchico, prima che il documento finisse la sua carriera negli archivi imperiali.

Precisamente, verso la metà del II° secolo, san Giustino pretende, nelle sua prima Apologia, di conoscere l'esistenza di un tale processo verbale. [10] Non si è preso tuttavia la briga di leggerlo; ha solo supposto che si dovesse trovare questo documento nei documenti di Stato e che il suo contenuto non potesse che essere in accordo con quello dei vangeli.

Tertulliano tiene lo stesso ragionamento, ispirandosi probabilmente a lui nell'Apologetico. Trascinato dall'immaginazione, si spinge fino a dire che Pilato, scrivendo il suo rapporto, «era già cristiano nel suo cuore interiore». [11]

L'imperatore Massimino Daia, intorno all'inizio del IV° secolo, dà la replica a questi apologeti. Egli fa pubblicare e distribuire gli Atti di Pilato. Lo storico Eusebio lo definisce apocrifo e li chiama «pieni di blasfemie contro il Cristo». Ne dà persino una prova decisiva: la crocifissione di Gesù, dice, è datata al 7° anno del regno di Tiberio, cioè nell'anno 21. Ma è solo nel 26, secondo il meticoloso Giuseppe, che Pilato fu inviato in Palestina.

Più tardi, i cristiani pubblicarono a loro volta nuovi Atti di Pilato nei quali il Procuratore prendeva contro gli ebrei la difesa del Cristo. Questo libro degli Atti occupa un posto di rilievo nella letteratura del Medioevo. È giunto fino a noi nel Vangelo di Nicodemo. [12]

Ma nessuno, ai nostri giorni, considera questo testo autentico. Tutti sono d'accordo nel considerarlo un romanzo.

In definitiva, non possediamo su Gesù alcun atto ufficiale, non il minimo documento o testimonianza della Roma pagana. 

Avremo più fortuna con gli storici romani?

I cristiani ne invocano volentieri due, che sono, è vero, di importanza diseguale.


Svetonio

Il suo nome latino è Caio Svetonio Tranquillo. Visse dal 69 al 126 della nostra era e scrisse la biografia dei dodici sovrani romani, da Giulio Cesare, morto nel 44 prima della nostra era, a Domiziano, morto nel 96 dell'era cristiana. Figlio di un tribuno militare, Svetonio era contemporaneo di Tacito e amico di Plinio il Giovane. Fece gli studi a Roma, divenne grammatico e avvocato, poi, grazie alla protezione di Setticio Claro, prefetto del pretorio, fu assunto dall'imperatore Adriano come segretario Ab Epistulis, cioè archivista. Svetonio aveva quindi accesso agli archivi imperiali dove poté raccogliere preziose informazioni.

La sua «Vita dell'imperatore Tiberio», nato nel 42 prima della nostra era e morto nel 37 dell'era cristiana, e, per ipotesi, l'esatto contemporaneo dell'uomo Gesù, non è priva di interesse. Tuttavia, vi si cerca invano la minima allusione al Cristo. [13

Nella sua biografia di Claudio, nato a Lione nel 10 e morto nel 54 della nostra era, assicura che all'inizio del suo regno egli «espulse da Roma i Giudei [14] che per istigazione dell'agitatore Cresto (impulsore Chresto) causavano costantemente dei disordini e si rivoltavano senza posa».

Quella operazione di polizia si sarebbe svolta nel 41. Svetonio scrive queste righe intorno al 120, data lontanissima dai fatti raccontati.

Il fatto è abbastanza sorprendente, e né Filone né Giuseppe ne hanno avuto conoscenza. Ben al contrario, quest'ultimo ritrae Claudio, successore di Caligola, come un monarca favorevole alle abitudini e ai costumi degli Israeliti. [15]

In compenso, se ci si accontenta di questo testo, dev'essere che i guardiani della tradizione siano a corto d'argomentazione per appoggiarsi a lui. Così i primi cristiani sarebbero stati pericolosi agitatori. Sappiamo che non è affatto così e questo testo non allude al Cristo.

Inoltre, conviene distinguere «Christos» (unto, messia) e «Chrestos», nome molto comune, che si traduce in greco con «il buono» o «il migliore». Numerose iscrizioni estranee al cristianesimo l'attestano.

Il nome Chrestos era frequente tra gli schiavi e ancor più tra gli ebrei. Linck lo ha rilevato più di ottanta volte nelle iscrizioni latine.

Leggendo questo passo senza preconcetti, cioè dimenticando il contesto della Chiesa nascente, si vedrebbe in questo Chrestos un agitatore ritenuto vivere a Roma che turbava l'ordine pubblico predicandovi la rivoluzione.

Ammettiamo che questo tribuno del ghetto mal rassomiglia all'uomo-dio deceduto, in linea di principio, qualche anno prima a Gerusalemme.

Claudio ristabilisce l'ordine compromesso dalle azioni del suo predecessore, e in particolare la disputa ebraica nella quale erano stati coinvolti Agrippa, nipote di Erode e Filone di Alessandria.

Era un affare puramente ebraico di poca importanza e non è certo che Claudio abbia cacciato gli ebrei. Infatti, Dione Cassio si oppone a Svetonio su quella questione: «I Giudei erano così numerosi a Roma che non si poteva cacciarli senza provocare disordine, Claudio non li scacciò ma ordinò loro di non tenere più riunioni, pur continuando nel loro tradizionale stile di vita» (Libro 55).

Ammettiamo però, che l'imperatore espulse alcuni ebrei: nessun cristiano era del numero, perché non c'era ancora alcun cristiano a Roma nel 41, non più di quanti ce ne fossero a Pompei nel 79.

Supponendo che il Chrestos di Svetonio sia il Cristo Gesù, costui non è quindi morto sotto Tiberio. Affidarsi al testo di Svetonio per provare la storicità del Figlio di Dio è uno scherzo.

D'altra parte, la menzione che fa di lui prova semplicemente che il nome del Cristo cominciava a diffondersi negli ambienti romani, ma non fornisce la prova di una personalità storica.

Il pio sulpiciano Fillion lo concede: «Svetonio non vi guardava così da vicino». [16] Labriolle concorda: «il segretario di Adriano scriveva senza verificare, non essendo curioso e non avendo i mezzi». [17]

Quanto vale allora la sua testimonianza?


Tacito

Il secondo testo che si ha abitudine di citare è di Tacito. Non è privo di interesse e sembra più convincente. Costituisce spesso l'argomento principale dei tradizionalisti. Vediamo cosa ne può trarre lo storico senza idee preconcette.

Nel Libro degli Annali (15:44) l'autore evoca l'incendio di Roma che ebbe luogo sotto Nerone nel 64. L'imperatore attribuisce il disastro ai cristiani e ne fa uccidere un grandissimo numero. «Nerone inflisse tormenti raffinati a coloro che il volgo chiamava crestiani. Questo nome viene loro da Cristo, che era stato condannato al supplizio sotto il regno di Tiberio, dal procuratore Ponzio Pilato».

Insomma, Tacito spiega l'etimologia di una parola. «Il termine cristiano», dice Rops, «era in origine un soprannome. Da dove sarebbe venuto se si fosse ammesso che il Cristo non era esistito?» [18]

Allo stesso modo l'ammoniaca prova l'esistenza di Giove Ammone; il venerdì e il martedì quella di Venere e di Marte. In passato, si derivava il termine Ebionita da un certo Ebione: si veda Tertulliano ed Epifanio. Lo si fa venire ora dal plurale ebraico ebionim che significa i poveri. Ebione è scomparso nelle tenebre dell'oblio.

Infatti, ironizza Las Vergnas: «Cristo vuol dire Unto; cristianesimo Olio e cristiani Oliosi. Affermare di più equivale a far cantare l'etimologia». [19]

Certamente Tacito cita Tiberio e Ponzio Pilato. Questa non è una prova. Basti ricordare che gli Annali furono scritti intorno al 115-117, ossia circa 80 anni dopo la presunta morte di Gesù. Tacito non è un testimone.

Ciò detto, si vorrebbe conoscere la fonte dove ha attinto. Probabilmente non ha consultato gli archivi imperiali che, in linea di principio, erano segreti. Tutte le altre ipotesi sono possibili ma non verificabili. 

Si noti che l'espressione degli Annali è quella del Credo. Fino a prova contraria, pare essere quindi un'eco cristiana. Tacito avrà incontrato dei fedeli a Roma o altrove e ripeterà le loro affermazioni senza andarvi a vedere. Pretende persino che gli ebrei adorassero nel Tempio l'effigie di un asino. [20]

L'erudito Klausner dispensa in tre righe il testo di Tacito, giudicandolo senza conseguenze. [21] La sua autenticità è messa in discussione anche da Hochart e Volney. Di fatto, nessun apologeta né alcun padre della Chiesa lo cita. Tertulliano, sempre in guardia, non ne dice una parola.

Questo testo è probabilmente un falso del XV° secolo. Infatti ci è noto, come tutto il contesto, solo da un unico manoscritto dell'XI° secolo (?), scoperto nel 1429 ed entrato nel 1444 nella biblioteca dei Medici. 

Poggio, segretario discutibile di diversi papi, pretendeva di averlo ricevuto da un monaco anonimo venuto a Roma in pellegrinaggio e subito scomparso. Hochart lo accusa di aver scritto lui stesso il famoso passo. Dio solo lo sa e forse neppure lui lo sa...

Altri hanno contestato l'autenticità dell'intera opera [22] il che è senza dubbio esagerato. Alfaric è di questo avviso, ma si affretta ad aggiungere: «Ci si può chiedere se il passo sia davvero di Tacito, perché contiene strane improbabilità, e i dettagli orribili che dà sui supplizi inflitti ai cristiani sembrano essere stati ignorati nei primi secoli e in tutto il Medioevo». [23]

Auguriamo ai cristiani che questo testo sia apocrifo. Esso parla proprio della morte di Cristo, ma ignora la sua resurrezione: ma per la fede cristiana, i due eventi sono indissolubilmente legati. Con il suo silenzio, Tacito esclude quindi il fatto che Gesù sia ritornato in vita, ma ammette facilmente la sua morte, poiché tutti muoiono. In definitiva, questo testo, che nega la risurrezione, non prova la morte del Cristo.

Ma ciò importa poco nella questione che ci occupa. Prendiamo il testo per autentico. È sufficiente a dimostrare la storicità di Gesù? Certo che no.

Al tempo in cui Tacito scrisse i suoi Annali, intorno al 117, i cristiani erano abbastanza numerosi a Roma. La vita di Gesù cominciava a diffondersi e ad imporsi a loro, in particolare per mezzo del Vangelo secondo Marco. Se Tacito ha scritto questo testo, egli ne ha ricevuto la sostanza dai cristiani stessi. Solo il soprannome rituale del Cristo è menzionato, il che non attesta in alcuna maniera una esistenza terrena del Messia.

Aggiungiamo che l'incendio di Roma attribuito ai cristiani e il supplizio di questi ultimi sono ignorati da altri storici: Plinio il Vecchio, Marziale, Dione Cassio, Flavio Giuseppe non ne dicono nulla.

Il filosofo romano Celso (II° secolo), già citato, fa di Gesù un mago ciarlatano che definisce «capo di briganti». Lo sappiamo da Origene (183-252) — «Contra Celsum». Nel suo Discorso vero, Celso afferma che i cristiani «hanno alterato a loro piacere, tre o quattro volte e anche più, i testi primitivi del vangelo, al fine di confutare ciò che vi si obietta».

È comprensibile che la Chiesa faccia poco uso di quella citazione. La brutta abitudine che i cristiani hanno preso molto presto di falsificare i testi secondo i bisogni della polemica deve essere tenuta presente per apprezzare l'autenticità dei vangeli.

Tra i greci, Plutarco, intorno al 50-125, l'autore degli «Uomini illustri», ignora ciò. Attraverso i suoi soggiorni ad Atene, Roma, Alessandria, a contatto con gli ebrei, non si accorge nemmeno dei primi cristiani, ma segnala lo spostamento degli Israeliti.

Stessa discrezione tra i Latini del I° secolo: il filosofo Seneca, così vicino al cristianesimo che Girolamo non esiterà a farne un padre della Chiesa, non ha detto nulla di Gesù né dei cristiani. Per colmare quella lacuna, la Chiesa fabbricherà di sana pianta una corrispondenza tra Seneca e l'apostolo Paolo, che il filosofo chiama «fratello». Nessuno difende più questo falso grossolano che rende più sensibile il vuoto che era chiamato a colmare.

La ricerca resta egualmente vana se ci si rivolge ad un Giovenale, un Perso, un Marziale, tutti in ascolto dell'Oriente.

Alessandria, fondata nel 331 prima della nostra era da Alessandro Magno, fu il capoluogo e il centro intellettuale dell'Oriente durante tutta l'Antichità. La sua biblioteca, di una ricchezza prodigiosa, fu purtroppo distrutta nel 391 per ordine dell'imperatore romano cristiano Teodosio, il quale, nel corso di un'azione militare contro il paganesimo, ordinò la distruzione dei templi e degli edifici adiacenti alla biblioteca. Quella devastazione bellica doveva impoverire per sempre il patrimonio culturale dell'umanità con la perdita di migliaia di preziosi manoscritti. Quanti documenti utili alla nostra ricerca sono andati in fumo? Nessuno può dirlo.

Ma il silenzio più clamoroso è senza dubbio quello di Plinio il Vecchio, zio di Plinio il Giovane. Ecco uno spirito curioso, appassionato di storia naturale e di fenomeni cosmici: si sa che morì nel 79, osservando l'eruzione del Vesuvio troppo da vicino. 

Ora, quest'uomo di scienza è in Palestina, intorno al 60, con le armate romane. È ancora troppo presto, per ipotesi, perché Gesù e le sue prodezze siano dimenticate. Plinio vi incontrerà sicuramente dei testimoni o dei grati al Cristo: il cieco nato o la figlia di Giairo, una guardia della tomba, un pastore della notte miracolosa. Amante delle eclissi, sarà affascinato dalle tenebre del Venerdì santo, confronterà la stella dei magi con quella di Cesare. Ai suoi 150 volumi di note, può aggiungerne dieci d'un colpo.

Ahimè! Non sa nulla di Gesù e dei suoi prodigi.

Daniel Rops scrive al diavolo: «In realtà quella storia non ebbe per il cittadino di Roma che vive sotto Tiberio più importanza di quanta ne avrebbe per noi l'apparizione di qualche oscuro profeta in Madagascar o alla Riunione». 

Là mi ribello: Gesù non è un oscuro profeta, è Figlio di Dio e gioca a impressionarci: illumina la notte di Betlemme, convoca alla sua culla gli angeli musici, cammina sulle acque, sale al cielo. Tutto si svolge in una esigua provincia occupata dall'esercito romano ed in rapporti quotidiani con Tiberio. E la storia che si aggira per la Palestina non vede nulla? Bisognava che Gesù resuscitasse il Mar Morto?

Plinio e Giuseppe non avrebbero potuto tacere eventi di quella portata senza squalificarsi: il loro silenzio è una negazione.

D. Rops confuta la tesi cristiana ma anche quella del razionalismo evemerista che fa di Gesù un uomo divinizzato. Delle due l'una, in effetti: Gesù è un taumaturgo senza importanza oppure un personaggio fuori dal comune. Ammettiamo, nel primo caso, che la storia l'ignorasse, come spiegare la sua divinizzazione così rapida ? 

Se al contrario è trasceso attraverso il miracolo e la parola, accetto che sia stato divinizzato, ma come si spiega il silenzio della storia? 

La parata della Chiesa è pronta: «Nessuno storico del XIX° secolo» — precisa un sacerdote — «ha menzionato Lourdes e i suoi miracoli: né Michelet, né Renan, né Augustin Thierry: eppure Lourdes esiste». 

Passi per Thierry, morto due anni prima, ma Renan ha citato Lourdes e La Salette, [24] interessandosi molto da vicino. Zola, Huysmans, Barrès, Lasserre ne hanno parlato. Si dispone di rapporti di polizia, di cronache, di mandati, di gazzette... che vi invito a lasciare per il Nazareno. 

L'imbarazzo sta in questa constatazione: non c'è una sola testimonianza profana di Gesù.

In compenso, non è lo stesso per il cristianesimo, attestato da più parti già dal II° secolo. 

Così Plinio il Giovane, nipote del Vecchio, amico di Svetonio e legato della provincia romana di Bitinia tra il 111 e il 113. In una delle sue «Lettere» spesso citate, interroga l'imperatore Traiano, di cui ha scritto dei «Panegirici», sulla condotta da tenere nei confronti dei cristiani che «infestano la regione e adorano il loro messia invece di sacrificare al culto dell'imperatore».

Questi primi attori del cristianesimo nascente, precisa Plinio il Giovane, affermano che «tutta la loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come a un dio».

Si è dibattuta l'autenticità di quella lettera, che tradisce una ignoranza sorprendente in un uomo di legge. Si noti che la risposta di Traiano è altrettanto curiosa: «Non ricercare inoltre i cristiani degni della pena di morte»

Quella lettera è un falso? Renan, Boissier e Labriolle ne sono convinti; Havet ne dubita; Guignebert e Bouché-Leclerc esitano; Goguel vi annusa un'interpolazione apologetica tardiva, i cristiani essendo gli unici, di solito, a pensare tanto bene di sé.

Poco importa: questo testo indica semplicemente che degli uomini, nell'autunno del 112, rivolgevano «un inno a Cristo come a un dio».

Da queste affermazioni, alcuni non esiteranno a dedurre la storicità di Gesù. Padre Braun afferma con una bella sicurezza: «Le parole Christo quasi deo danno a intendere che il Cristo non fosse una divinità qualunque ma un personaggio storico elevato al rango di divinità». [25]

Questa volta mi oppongo. Se affermo che gli Slavi adorano i Vodianoi come  geni acquatici, non attesto per nulla l'esistenza di questi elfi. Così, si può perfettamente pretendere che Gesù sia un dio fatto uomo, senza pertanto sottoscrivere la storicità delle due entità, umana e divina. 

«La definizione», diceva Aristotele, «non implica l'esistenza del definito». [26]

A volte lo si intende sotto un'altra forma: «attaccando Gesù, voi lo provate, perché si combatte solo ciò che esiste». Questa era l'argomentazione di Sant'Anselmo...

Se si ritorna al testo di Plinio, una lettura attenta rivela che invocando il Cristo come un dio, i cristiani lo onorano come eroe. Si noti di passaggio che egli dice il Cristo e non Gesù. Ma Cristo è un'espressione teologica e non storica. Chi spinge al limite il sofisma di padre Braum deve concluderne che Plinio era cristiano. Sappiamo bene che non lo è affatto.

La sua espressione chiarisce quindi la fede cristiana senza pertanto legittimarla. Essa suppone tuttavia, se si vuole, che Traiano conoscesse almeno il nome del Cristo. 

Non si può trarre nulla di più da questo testo e bisogna ben respingere Plinio come testimone di Gesù.

Questi sono i testi che, secondo padre de Grandmaison, «non lasciano nulla di grande importanza». [27] Per Vaganey, sono sufficienti a rovinare gli attacchi dei nichilisti. [28]

Goguel esclama: «Da sola, la testimonianza di un Tacito è nettamente incompatibile con la teoria di un Cristo ideale». [29]

Com'è poco esigente la fede cristiana!

Condivido l'opinione di Guignebert, che affermava che «le pretese testimonianze pagane ed ebraiche non hanno alcun peso e il silenzio di Giuseppe non è favorevole alla storicità del racconto evangelico». [30]

Lo stesso Rops lo riconosce: «Ad attenersi ai soli documenti romani, non è rigorosamente dimostrabile che il Cristo sia esistito davvero, che sia stato condannato e crocifisso sotto Ponzio Pilato, ma ciò sembra altamente probabile e ammesso da molta gente poco dopo la sua morte». [31]

Nella sua prefazione alla 13° edizione della Vita di Gesù, E. Renan scriveva: «Se ci si limitasse, nello scrivere la vita di Gesù, ad avanzare solo cose certe, ci si dovrebbe limitare a qualche riga».

Questa constatazione la dice lunga sul vuoto storico dell'evento più impressionante della storia umana dalle origini della vita.

Ma l'assenza di testi probatori, l'insufficienza di documenti, la mancanza di prove nella materialità dei fatti sull'uomo Gesù non hanno mai scoraggiato i suoi biografi.

Sono legioni ad essersi appropriati della vita terrena del Salvatore e ad averla raccontata nei minimi dettagli.

Oltre alla commovente narrazione di E. Renan, citiamo L'histoire de Jésus-Christ, di RP Brückberger, Jésus de Nazareth di Zahrnt, un'audace Vie authentique de Jésus Christ di Laurentin, Jésus Christ di Bezançon, Un Jésus di Maillot, L'homme qui devint Dieu di Massadié.

A causa di una varietà di fattori, questi scritti, a volte propagandistici, si sono spesso presi delle libertà insolenti con la tradizione della Chiesa.

Così, il Jésus di Dusquesne è stato oggetto di polemiche con le autorità ecclesiastiche per aver messo in discussione il dogma della Redenzione.

In questa proliferazione di letteratura diversamente ispirata, delle opere più impegnative, dedicate alla seria analisi storica, si sono imposte per il rigore e per l'onestà del loro approccio.

Così Couchoud ammette che agli occhi della storia, Gesù è «qualcuno il cui nome non è nemmeno certo, ha insegnato qualche cosa sul Regno di Dio, ed è morto, non si sa né quando né perché, su una croce».

Al contrario, alcuni autori pongono la questione su un piano simbolico (Strauss). Con la sua verve pungente e la sua mancanza di rispetto per le cose sacre, Voltaire è uno dei primi, dopo Diderot, a liberare il pensiero umano dalla cappa del tabù millenario.


3 — I MANOSCRITTI DEL MAR MORTO

Tutto ciò che aiuta a comprendere le origini del cristianesimo e di Gesù, suo illustre precursore, presenta un grande interesse per lo spirito critico, che non può limitarsi ai soli racconti mistici dei Vangeli.

Ecco che in pieno XX° secolo, una luce inaspettata sarà proiettata su una scena storica tutto sommato oscura e lacunosa. 

Nel 1946, un giovane beduino seminomade, andando dal fiume Giordano a Betlemme, si avventurò in una delle innumerevoli grotte naturali che compongono un paesaggio arido e desertico della regione di Qumran, a sud di Gerico, non lontano dal Mar Morto. [32]

Dichiarò di aver scoperto per caso documenti antichi che si rivelarono essere manoscritti redatti in ebraico e in aramaico. 

Quella scoperta era di una importanza archeologica enorme. Consisteva di undici rotoli di cuoio, avvolti con cura in stoffe immerse in una miscela di bitume e di cera.

Gli scavi ben condotti dovevano presto riportare alla luce frammenti di giare che erano servite da recipienti per questi rotoli. Si scoprirono seicento piccoli frammenti di minuscole dimensioni, e di altri manoscritti redatti in una scrittura arcaica che risale indiscutibilmente al II° secolo prima della nostra era.

L'esame di questi documenti rivelò che essi contenevano un testo completo del Libro di Isaia, un commentario della Profezia di Abacuc, il testo aramaico del Libro di Enoc e un trattato di una setta ebraica.

L'importanza del ritrovamento non è dovuta solo all'antichità dei manoscritti: è dovuta ancor più a quella dei testi non biblici che vi si trovano.

Questi si rivolgono, visibilmente, ad un gruppo di iniziati che vivevano ai margini delle sinagoghe ufficiali. Sebbene venerasse Mosè e i Profeti, quella comunità possiede le sue proprie Scritture e una Tradizione segreta.

Si è da subito pensato alla setta degli Esseni, che Plinio il Vecchio ci mostra stabilita ad Engaddi, a ovest del Mar Morto, e di cui Flavio Giuseppe fa una descrizione vivace e pittoresca, senza dubbio ispirata, in gran parte, al suo predecessore Nicola di Damasco, contemporaneo di Erode.

Riesumato dalla grotta di Qumran, il libro dedicato alla «Guerra dei Figli della Luce contro i Figli delle Tenebre» [33] fa pensare naturalmente alla grande crisi scoppiata nel secondo quarto del II° secolo prima della nostra era, quando l'ebraismo nazionalista, sotto la guida dei Maccabei, si sollevò contro l'Ellenismo invasore di Antioco Epifane.

La scoperta dei manoscritti palestinesi del Mar Morto, col ritrovamento di una biblioteca essena vecchia di ventuno secoli, è di grande interesse per lo storico. Ci fa penetrare più profondamente nella preistoria del cristianesimo. Prosper Alfaric ha dimostrato il ruolo essenziale che va attribuito all'Essenismo ne les Origines sociales du christianisme. [34

Numerosi libri sono stati scritti a proposito della scoperta di Qumran: Dupont-Sommer (1956-1996), Lapperrousaz (1961-1991), Danielou (1974), Burrouws (1955), de Waard, Shanks, e molti altri autori, ciascuno espone alla sua maniera e tenta di comprendere, di ricostruire o di mettere in rilievo il messaggio degli antichi. 


Il Maestro di Giustizia

L'inchiesta che conduciamo sull'uomo Gesù non può ignorare l'allusione al Maestro di Giustizia — il suo nome non è rivelato — che sopraggiungerà alla fine dei tempi di cui parla abbondantemente il manoscritto detto Documento di Damasco trovato intorno al 1900 in una sinagoga del Cairo.

Questo documento, che si sa oggi legato alla setta degli Esseni, ci informa che una comunità essena (probabilmente un'altra, diversa da quella di Qumran), vittima di persecuzioni, sarebbe andata a rifugiarsi a Damasco, condotta da una stella.

Forse abbiamo là l'origine della stella di Betlemme. L'astro è un simbolo; la stella è il cercatore della legge che è venuto a Damasco, come è scritto: «Una stella si fa strada da Giacobbe»

È nel corso di questo esilio a Damasco che fu conclusa la «Nuova alleanza» con Dio. È a Damasco che il successore del Maestro di Giustizia avrebbe ricevuto un'illuminazione che consacrava questo nuovo contratto con l'Onnipotente.

Quella storia è quella di uno scisma: gli Esseni di Damasco si separarono dagli ebrei fedeli all'antica alleanza. Impiantata in ambiente pagano, era fatale che la Comunità di Damasco ne subisse le influenze.

Si noti che l'espressione «Nuova alleanza» è presente nei testi cristiani. Se ne parla nella cosiddetta epistola agli Ebrei (8:13). Prima del suo rimaneggiamento, questo passo era probabilmente un testo esseno.

Il termine figura anche nella prima epistola ai Corinzi: «Questo calice (questa coppa) è la nuova alleanza nel mio sangue» (11:25). Si tratta anche di una probabile aggiunta successiva, poiché l'apostolo Paolo conosceva allora solo i pasti comuni.

Non si può fare a meno di pensare che è proprio a Damasco che Paolo si recava quando ricevette l'illuminazione che doveva decidere della sua vocazione. La nuova alleanza essendo stata stipulata a Damasco, sembra logico che sia in quella comunità dissidente di Siria che il futuro apostolo ricevette la rivelazione di questo nuovo Maestro di Giustizia che diventerà il Cristo, il Messia.

Chi è questo Maestro di Giustizia? Il suo status di Sacerdote non lo destinava evidentemente ad essere il re davidico, Messia di Israele. Dupont-Sommer dice di lui che è stato «l'immagine stessa dell'uomo dei dolori, il servo del Signore caricato di sofferenze» di cui si parla in Isaia. 

Sotto il titolo «Inni di Ringraziamento», si scopre in frammenti il personaggio del Maestro di Giustizia. Michaud ha ricostruito la sua vita: era orfano, cresciuto in seno alla comunità religiosa sotto una disciplina implacabile e rigorosa; leggendo le Scritture, aveva ricevuto nella sua gioventù una rivelazione. Sotto la pressione della sua cerchia, ha dovuto andare in esilio in Egitto, dove conobbe grandi difficoltà. Formò un gruppo di seguaci e insegnò loro la Legge. Secondo Michaud, è in Egitto che la Nuova Alleanza gli fu rivelata. 

Per mezzo secolo, la decifrazione dei Manoscritti anima la controversia tra i ricercatori di ogni tendenza. Le tesi esistenti sono innumerevoli, sono dedicate all'esame sia dal punto di vista della Storia che dalla prospettiva di un approccio dogmatico o religioso.

Howlett avanza l'ipotesi che il Maestro di Giustizia possa essere stato Eleazaro il Fariseo che si considerava quasi come il Messia, poiché il poeta precisa che «Dio lo ha incaricato di separare i giusti dagli ingiusti».

Bruce vede nel Maestro di Giustizia risorto il Messia di Aronne. Oesterreicher ha dimostrato che il Maestro e il Messia non sono lo stesso personaggio; poiché il Maestro di Giustizia era il fondatore della comunità, non poteva essere allo stesso tempo il Messia annunciato dai profeti.

Licht ha fatto giustamente sottolineare che solo questo passo dei «Ringraziamenti» parla del Messia, e che non se ne parla negli altri scritti del Mar Morto.

Per Vermèse, l'«uomo» al quale si riferisce questo Inno di Ringraziamento è il profeta escatologico che gli è associato, il Profeta promesso dal Deuteronomio.

Burrows sostiene che il Maestro di Giustizia è solo un precursore, perché non Giovanni il Battista ?

Cristo è il diretto erede spirituale del Maestro di Giustizia? Lasciamo agli specialisti il compito di sbrogliare la matassa. Ricordiamoci, tuttavia, che né i manoscritti di Qumran né il documento di Damasco annunciano o provano la nascita di Gesù Cristo.

D'altra parte, gli scritti esseni forniranno la prova inconfutabile che la vera culla del cristianesimo è la Siria. È a Damasco che si formeranno i miti fondatori della Chiesa apostolica romana, e non a Roma come pretende il papato. 


NOTE

[2] Apollo è senza dubbio l'autore dell'epistola agli Ebrei.

[3] F. Delaunay, Filone d'Alessandria, scritti storici (Didier et Cie, 2° edizione 1867, pag. 35).

[4] Dizionario filosofico, V° Cristianesimo.

[5] Contra Celsum 1:47.

[6] Biblioteca 33 (Migne, P.G.CII, 65).

[7] Origene, Contra Celsum 1:32, 33, 69 (Migne, Patr. gr. XI, 721, 724, 289).

[8] Padre de Grandmaison, Jésus Christ, volume II, pag. 147-148.

[9] Daniel Massé, L'Apocalypse et le royaume de Dieu, pag. 303.

[10] Apol. 1:335,9; 48:3.

[11] Apologeticum 21:24.

[12] Traduzione francese di G. Brunet, ne Les Evangiles apocryphes, Parigi 1848, pag. 230-273, e in Migne, Dictionnaire des Apocryphes, Parigi 1856, volume 1, pag. 1101-1138. 

[13] È vero che le sue opere non ci sono pervenute nella loro interezza, ad eccezione delle prime pagine della vita di Giulio Cesare.

[14] I Romani confondevano gli ebrei con i cristiani.

[15] Antichità giudaiche 19:5,2-3; 20:1,1-2; 20:6,3.

[16] Fillion, Vie de N.-S. J.C. volume 1 pag. 23 (Letouzey, 1925).

[17] Labriolle, La Réaction païenne, pag. 43 (L'Artisan du livre, 1942).

[18] Rops, op. cit., pag. 11.

[19] Jésus a-t-il existé? pag. 14.

[20] Tacito, Storie, 5:4.

[21] Klausner, Vie de Jésus, pag. 74 (Payot).

[22] P. Hochart, De l'Authenticité des Annales et des Histoires de Tacite, Parigi 1894, e Nouvelles considérations au sujet des Annales et des Histoires de Tacite, Parigi 1894.

[23] Alfaric, A l'école de la raison, pag. 112.

[24] Renan, Oeuvres complètes, volume IV, pag. 495 (Calmann-Lévy, 1949).

[25] P. Braun, Histoire générale des religions, volume 3, pag. 430 (Quillet, 1952).

[26] Ciò che confuta l'argomento ontologico di Descartes.

[27] Encyclopédie Ecclesia, pag. 381 (Bloud et Gay, 1933).

[28] Encyclopédie Le Christ, pag. 123 (Bloud et Gay, 1935).

[29] Goguel, Jésus de Nazareth, mythe ou histoire? pag. 49 (Payot, 1925).

[30] Guignebert, Le Problème de Jésus, pag. 149 (Flammarion, 1914).

[31] Rops, op. cit. pag. 11.

[32] Qumran è situata a 12 km a sud di Gerico e a 2 km ad ovest del Mar Morto.

[33] Titolo dato dal Prof Sukenik, dell'Università ebraica di Gerusalemme, che per primo studiò il manoscritto.

[34] Les Cahiers Rationalistes N°97, Comment s'est formé le mythe du Christ e N°103 La vraie Genèse de l'Eglise.

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