domenica 8 novembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAGli israeliti.




Gli israeliti.

Cominceremo con i fedeli della più antica di queste credenze, la religione israelita. Senza dubbio, è comprensibile che dopo il colpo terribile che è stato per gli israeliti il trionfo di una dissidenza, che ha relegato la loro antica e sacra religione al rango di una credenza desueta, che, soprattutto a causa del regime di umiliazioni e di persecuzioni che doveva loro essere imposto attraverso i secoli per il loro ostinato attaccamento alla fede ancestrale, gli israeliti, ancora ai nostri oggi, considerano con diffidenza tutto ciò che, nello sviluppo del pensiero religioso ebraico, si discosta dalla stretta ortodossia.

Ma è chiaro dallo studio precedente che quella situazione non si è creata che al seguito del successo di un Vangelo, destinato a mettere alla portata dei pagani occidentali le pure concezioni religiose di certi ebrei d'Oriente: allora quella che non era che una raffigurazione, la messa a morte del Figlio di Dio, è apparsa come il ricordo di un fatto storico; d'allora in poi, la separazione tra giudaismo e cristianesimo è diventata definitiva; per gli israeliti il cristianesimo sembrava irrimediabilmente contaminato dall'idolatria.

Durante tutto il primo secolo dell'era cristiana, al contrario, se gli ebrei ortodossi respingevano la concezione del Figlio di Dio morto per la salvezza degli uomini, come sembra essersi elaborata in alcune comunità ebraiche, legate all'essenismo, ad Antiochia o a Damasco, se specialmente il mito del Figlio di Dio crocifisso dopo la sua messa a morte, come l'aveva adottato Paolo, sembrava uno scandalo, le ricerche storiche stabiliscono due fatti che, oggi, — senza che si domandi agli israeliti di abbandonare il loro credo — dovrebbero essere ammessi da loro.

Il primo, è che vi è stato, intorno all'inizio dell'era cristiana, nel pensiero religioso ebraico, un'ampia corrente dottrinale, molto vicina al cristianesimo: essa appare non solo nei documenti specificamente esseni, recentemente scoperti, i manoscritti del Mar Morto, ma anche nei Testamenti dei Dodici Patriarchi, di cui, già all'inizio del XX° secolo, il grande erudito inglese R.H. Charles aveva riconosciuto la parentela con il pensiero cristiano. [14] Dopo la passione del Maestro di Giustizia (65 prima dell'era cristiana), la setta della Nuova Alleanza sembra aver vissuto per almeno un secolo (fino alla guerra di Giudea, 66 dell'era cristiana), forse ai margini della comunità ebraica, ma non in contrasto con essa.

Il secondo fatto, ancora più significativo, è l'esistenza, nella stessa Gerusalemme, di una comunità giudaico-cristiana, che aveva adottato apparentemente la nozione del Figlio di Dio, morto e risorto, per volere dell'Eterno, pur rimanendo attaccata alla tradizione ebraica e pur condividendo la repulsione degli ebrei ortodossi verso certi credi «paolini». Caratteristica a questo proposito è la figura di Giacomo, detto il Giusto, contemporaneo di Paolo, uno dei notabili della Chiesa cristiana di Gerusalemme, di cui lo storico cristiano Eusebio ci ha conservato il ricordo di una pietà ebraica austera e fervente, e la cui esecuzione, per ordine del sommo sacerdote Anania nel 62, ha suscitato, a testimonianza di Giuseppe, l'indignazione di tutti gli ebrei di Gerusalemme. [15] Se si considera come dimostrato che, sotto il procuratore romano Ponzio Pilato, non vi è stata, intorno all'anno 30, l'esecuzione di un profeta ebreo, Gesù, in cui i cristiani del II° secolo dovevano vedere l'incarnazione di Dio, è impossibile domandare agli israeliti del 20° secolo di essere altrettanto comprensivi nei confronti della dottrina cristiana, liberata da questo fatto storico, come lo sono stati i loro antenati verso uno dei suoi primi seguaci? 

NOTE

[14] Si veda A. DUPONT-SOMMER, Nouveaux aperçus sur les manuscrits de la Mer Morte, op. cit., pag. 211-212.

[15] Eusebio, Storia ecclesiastica, libro 2, capitolo 23, paragrafi 3-6. Sulla testimonianza di Giuseppe, si veda più sopra, pag. 38-39, 127-129 e 162.

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