giovedì 17 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAL'assegnazione del nome di Gesù nell'Epistola ai Filippesi.



L'assegnazione del nome di Gesù nell'Epistola ai Filippesi.

Il secondo passo paolino che andremo ora a considerare è tratto dal capitolo 2 dell'Epistola ai Filippesi: è costituito da versi di una grande bellezza sull'abbassamento volontario e l'esaltazione di Gesù Cristo.

«6. Lui che esisteva in forma di Dio, non ha considerato un tesoro geloso l'essere uguale a Dio.

7. Ma ha spogliato sé stesso, prendendo forma di schiavo, divenuto in sembianza d'uomo. E dall'apparenza, trovato come un uomo,

8. ha abbassato sé stesso, divenuto obbediente fino alla morte (la morte della croce). [46]

9. Per questo Dio lo ha esaltato, e gli ha donato il nome al di sopra di ogni nome,

10. affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, degli esseri celesti, terreni e infernali,

11. e ogni lingua confessi: Gesù Cristo è Signore, alla gloria di Dio Padre». [47]

Rileggiamo il passo essenziale per il nostro oggetto: «Per questo Dio lo ha esaltato, e gli ha donato il nome al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi...».

Quale è il nome con cui è esaltato? Per la posizione delle parole, non può essere che il nome di Gesù. Come può essere «al di sopra di ogni nome»? La ragione è che in ebraico Gesù [48] significa: «Jahvé che salva», Jahvé essendo esso stesso il nome sacro per indicare Dio, che un ebreo non aveva il diritto di pronunciare. Il nome di Gesù contiene quindi il nome che è al di sopra di ogni nome. [49]  Il suo prestigio, il suo stesso potere magico sono attestati da molti scritti del Nuovo Testamento. [50]

Senza dubbio, nel Vangelo di Matteo (capitolo 1, versi 20-21) l'angelo dice a Giuseppe: «Maria, tua moglie, ... partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché salverà il suo popolo dai suoi peccati». Ma se nei Vangeli, il primogenito dei figli di Maria riceve il nome di Gesù, come i suoi fratelli ricevono quelli di Giacomo, Iose, Giuda e Simone (secondo il Vangelo di Marco 6:3), nella Epistola ai Filippesi, è un essere derivante da Dio che, dopo aver preso sembianza di uomo e aver subito la morte, risorge e riceve da Dio, per ricompensare la sua obbedienza, il nome di Gesù. Ne consegue che Gesù è un nome di culto, che Gesù Cristo è una concezione religiosa, non un uomo storico. [51]

Loisy ha compreso così bene l'importanza dell'argomento che si è sforzato di confutarlo. Il testo, ha scritto, significa: «che ogni lingua confessa che Gesù Cristo è Signore, cioè colui che è chiamato Gesù e Cristo dai suoi fedeli è ora acclamato... come Signore, questo nome, ben compreso, essendo il solo al di sopra di ogni nome, poiché è il nome del culto di Dio, quello che rappresenta nella lettura dell'Antico Testamento il nome ineffabile (Jahvè), che nessuno deve pronunciare...». [52]

Così Loisy dichiara che il nome con cui Dio onora colui che gli ha obbedito fino alla morte non è «Gesù», che è menzionato subito dopo (e di cui Loisy omette di dire che contiene il nome di Jahvé), ma «Signore», che si trova molto più oltre. Loisy considera come un nome quello che, nel testo, non è che un titolo. Egli riconosce che «degli esegeti [53] che non sono miticisti hanno rilevato... la virtù magica del nome di Gesù o hanno addirittura ammesso che il nome di Gesù non sarebbe stato attribuito che al Cristo risorto. A mio umile avviso», dichiara, «vi è là un grave errore e che è di conseguenza...» [54]

Questi termini si riferiscono in particolare a Guignebert, la cui opinione è oscillata molto a riguardo del significato del nome di Gesù. Nel 1923, al Congresso Internazionale di Storia delle Religioni, analizzando i versi 9-11 del capitolo 2 della Epistola ai Filippesi, egli non rileva il significato in ebraico del nome di Gesù e afferma che il nome onnipotente è il nome di Signore, concesso da Dio a Gesù Cristo obbediente: «esso è portato alla fine di tutto il periodo», come «una conclusione di una storia». [55] Nel 1925, rendendo conto del primo libro di Couchoud, Le mystère de Jésus, egli non menziona i versi dell'Epistola ai Filippesi. [56] Nel 1933, nella sua opera Jésus, egli afferma chiaramente che il nome accordato in quella Epistola è il nome di Gesù. [57] «I miticisti», scrive in seguito, «hanno naturalmente cercato il loro vantaggio nelle considerazioni che ho appena riassunto e hanno tentato di basare su di esse una delle loro affermazioni relative alla natura mitica del Cristo Gesù. La loro conclusione va al di là dei testi, e non è per nulla necessario pensare che la sostituzione di un nome sacro ad un nome d'uomo smentisca l'esistenza di Gesù. Io non vado fino ad affermare che quella sostituzione si sia fatta, ma la credo probabile... Fin dalla costituzione della più antica tradizione, essa ha preparato la dimenticanza della vita di Gesù precedente alla sua resurrezione». [58] Ci si può, pertanto, domandarsi se sia «probabile» che quella «tradizione» abbia provocato la «dimenticanza» totale del «nome d'uomo» di Gesù.

Nel 1937, appare il secondo libro di Couchoud, Jésus le Dieu fait homme, al quale Guignebert disdegna di rispondere. [59] Egli prepara il seguito di Jésus, le Christ; in quest'ultima opera, alla traduzione del verso 10, «Affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi», Guignebert aggiunge tra parentesi: «cioè al nome che ha ricevuto Gesù da Dio», ossia, come si legge qualche riga più oltre nel commentario, «il nome di Signore». [60] Guignebert ritornava così alla sua interpretazione del 1923, senza dare alcuna spiegazione per il suo ripensamento. [61]

Conviene, d'altra parte, far conoscere a chi i vari critici attribuiscono i versi da 6 a 11 del capitolo 2 della Epistola ai Filippesi. Guignebert non mette in discussione la sua attribuzione a Paolo. [62] Turmel ritiene che i versi da 6 a 8 siano dovuti, intorno al 140, alla scuola dell'eretico Marcione, ma che un editore cattolico, venuto una ventina d'anni più tardi, vi abbia apportato alcune correzioni e vi abbia aggiunto i versi da 9 a 11. [63] Il protestante liberale E. Lohmeyer vede nell'insieme dei versi una sorta di poema mistico, inserito nel mezzo di una epistola primitiva dell'apostolo Paolo, e Loisy, che si schiera con questa opinione, pensa che l'inserzione sia stata fatta dai discepoli paolini della fine del I° secolo o dell'inizio del II°. [64] Ma, — come per il passo della 1° Epistola ai Corinzi, esaminata più sopra, — l'attribuzione classica all'apostolo Paolo dell'inno mistico dell'Epistola ai Filippesi non cambierebbe affatto il significato sopra descritto e lo rafforzerebbe perfino.

NOTE

[46] Si veda la nota seguente.

[47] Traduzione di LOISY, in Remarques sur la littérature épistolaire du Nouveau Testament, pag. 91-92. Loisy adottava l'opinione del critico tedesco E. Lohmeyer (protestante liberale), che, «basandosi sulla corrispondenza ritmica delle due strofe (che costituiscono i versi 6-8 e 9-11), considera aggiunte, a mo' di spiegazione (alla fine del verso 8), le parole: «la morte della croce» (si veda LOISY, Histoire et mythe..., op. cit., pag. 76, nota 1).

[48] In greco Ièsous, in ebraico Jeschuah (si veda GUIGNEBERT, Jésus, pag. 78).

[49] Siccome contiene anche il nome di «Salvatore», che è spesso dato a Gesù; si veda di seguito la citazione del Vangelo di Matteo.

[50] Si veda GUIGNEBERT, Jésus, pag. 77, Le Christ, pag. 84 (si veda GOGUEL, Jésus, pag. 135). — Sul significato di «Nuovo Testamento», si veda GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 19-20: «Si chiama Nuovo Testamento una raccolta di ventisette scritti, reputati ispirati... La parola Testamento... significa, nella lingua ellenistica, innanzitutto alleanza, poi patto o trattato, e per estensione, disposizione divina o legge. È probabilmente quest'ultimo significato che ha nelle due espressioni parallele: l'Antico Testamento e il Nuovo Testamento, che costituiscono le due parti della Bibbia cristiana.

[51] Ciò che doveva facilitare, in seguito, la confusione, è che da una parte, onoma in greco, come nomen in latino, è una parola che nel contempo indica un uomo ed esprime il suo stesso essere, e che d'altra parte, Gesù era all'inizio dell'era cristiana un nome molto comune tra gli ebrei (si veda GUIGNEBERT, Jésus, pag. 78, e la sua comunicazione del 1923 al Congresso Internazionale di Storia delle Religioni, citato più oltre, pag. 66, nota 55).

[52] LOISY, Histoire et mythe..., pag. 78, si veda la stessa opera, pag. 27.

[53] «È la critica, destinata a mettere a punto per la storia questi racconti oscuri e confusi, che si chiama propriamente l'esegesi (dalla parola greca exègèsis, che significa spiegazione)», ha scritto GUIGNEBERT, alla fine del paragrafo Les sources de l'histoire chrétienne primitive nel suo libro Le Christ, op. cit., pag. 39.

[54] LOISY, Histoire et mythe, pag. 27.

[55] Actes du Congrès (ottobre 1923), volume 2, pag. 296-297 e 315 (comunicazione riprodotta nella Revue d'histoire et de philosophie religieuse, 1923, si veda pag. 512-517 e pag. 532).

[56] COUCHOUD li aveva citati (pag. 120-122), ma non ne aveva rilevato l'importanza, riguardante la non-storicità di Gesù, con la stessa forza con cui doveva farlo nel 1937 nella sua opera Jésus, le Dieu fait homme, pag. 87-88, e il 1° settembre 1939 nella sua replica al libro di LOISY, Jésus, Dieu ou homme? (Nouvelle Revue Française, pag. 405). — GUIGNEBERT ha reso conto del libro Le mystère de Jésus nella Revue de l'Histoire des Religions, luglio-dicembre 1926, 47° anno, volume 94, pag. 215-247. 

[57] Jésus, pag. 77.

[58] Jésus, pag. 79-80.

[59] Si veda COUCHOUD, Le Dieu Jésus (Parigi, Gallimard, 1951), pag. 89. — Si veda sopra, pag. 66, nota 56.

[60] Si veda GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 195-196.

[61] Questa interpretazione si ritrova alla pag. 350 del Christ di GUIGNEBERT. Ma quella pagina fa parte di una conferenza del 1933 (l'anno stesso della pubblicazione di Jésus), inserita alla fine dell'opera Le Christ, che era incompiuta alla morte dell'autore. — GOGUEL non pare aver discusso il problema del nome posto dall'Epistola ai Filippesi, né in Jésus de Nazareth (1925, si veda pag. 112-118), destinato a confutare il primo libro di Couchoud, né in La naissance du christianisme (1955), dove è semplicemente scritto che, nell'Epistola ai Filippesi, «il Cristo ha ricevuto il titolo di Signore».

[62] Non più di Goguel.

[63] Si veda l'Epistola ai Filippesi, edita nel 1928 da TURMEL, sotto il nome di DELAFOSSE, pag. 17-19, 29, 30.

[64] LOISY, La naissance du christianisme, pag. 27-28, e 335-336, Remarques..., op. cit., pag. 91-94, Histoire et mythe..., op. cit., pag. 75-79. È l'attribuzione fatta da Lohmeyer e Loisy che ci sembra la più probabile. Segnaliamo d'altra parte che, in un articolo della Revue de l'Histoire des Religions di marzo-giugno 1927, intitolato: «Le Jésus de Paul», ALFARIC aveva valutato che il testo dell'Epistola ai Filippesi (2:5-11) «combinava l'oracolo di Daniele (7:13-14) e quello del secondo Isaia (52:13; 53:12)» (si vedano gli estratti riprodotti nel Bulletin du Centre Ernest Renan, n° 52, marzo 1958).

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