venerdì 20 marzo 2020

Flavio Giuseppe



FLAVIO GIUSEPPE

Resta da esaminare il caso di Flavio Giuseppe, lo storico ebreo che dovrebbe essere per noi una fonte inesauribile di informazioni sul cristianesimo poiché ha vissuto dal 37 al 97 circa, che è stato personalmente coinvolto nelle vicende della Palestina, nella Guerra Giudaica e che ha collaborato con i Romani. Ma in tutta la sua opera si sono trovati solo due passi che fanno allusione al Cristo ma quei passi sono collocati e scritti in tale maniera che la stragrande maggioranza dei critici vi vedono due interpolazioni designate a far credere che Flavio Giuseppe abbia parlato del cristianesimo. 

La prima domanda da porsi quando uno scrittore ebreo impiega la parola «cristo» è la seguente: vuol dire «unto», ovvero sommo sacerdote o re, oppure «messia»?

Per quanto riguarda Flavio Giuseppe, abbiamo una dichiarazione di Origene su questo soggetto; egli scrisse intorno al 250 che Flavio (Contro Celso 1:47) non credeva a Gesù come Cristo. E sappiamo che Origene diceva la verità poiché leggiamo nella Guerra Giudaica (6:5) che l'ambiguo oracolo [26] che prediceva la venuta dalla Palestina di un padrone dell'universo indicava l'imperatore Vespasiano. Agli occhi di Flavio Giuseppe, il Messia non era ancora venuto, lo si attendeva ma si poteva ritenere che fosse Vespasiano. Gesù-Messia non faceva parte dell'orizzonte dello storico ebreo.

I credenti, cristiani o ebrei, affermano tuttavia che Flavio Giuseppe avrebbe parlato di Gesù nel suo libro sulle Antichità giudaiche (terminato intorno al 93), in particolare nei capitoli 18 e 20. Sfortunatamente per questa tesi, i suddetti capitoli non figurano nel Codex Palatinus Gr. 14 (Biblioteca del Vaticano) che risale al 9° o al 10° secolo e che è il più antico dei manoscritti che possediamo di quest'opera.

In altri due manoscritti, quelli dell'XI° secolo, leggiamo l'impressionante passo che segue (Antichità 18:3:3): «Ci fu verso quel tempo Gesù, uomo saggio, SE PURE BISOGNA CHIAMARLO UOMO: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti Greci. QUESTI ERA IL CRISTO. E quando Pilato, per denuncia degli uomini notabili tra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. EGLI INFATTI APPARVE A LORO AL TERZO GIORNO NUOVAMENTE VIVO, AVENDO GIÀ ANNUNCIATO I DIVINI PROFETI QUESTE E MIGLIAIA D'ALTRE MERAVIGLIE RIGUARDO A LUI. ANCORA OGGI NON È VENUTA MENO LA TRIBÙ DI QUELLI CHE, DA COSTUI, SONO CHIAMATI CRISTIANI».

La critica pressochè unanime concorda nel riconoscere che Giuseppe non ha mai scritto un testo del genere. In effetti, se avesse detto di Gesù: «se pure bisogna chiamarlo uomo» e «questi era il Cristo», se avesse creduto nei suoi miracoli e nella sua resurrezione, egli sarebbe stato cristiano e ci avrebbe probabilmente lasciato sulla nuova religione una maggiore raccolta di informazioni. Questo testo proviene a colpo sicuro da un interpolatore cristiano. Autori cattolici come il vescovo Battifol e il padre Lagrange sono d'accordo con un non-credente come Charles Guignebert nel considerare questo frammento tutto intero come un'interpolazione.

Interpolazione peraltro relativamente tardiva (effettuata tra il 250 e il 325) poiché è soltanto intorno a 325 che questo testo è citato per la prima volta da Eusebio (H. E. 1:11, Dimostrazione evangelica 3:5). [27]

Questo passo è l'unico dove Flavio avrebbe parlato dei Cristiani, il che può sembrare sorprendente; tuttavia egli non parla né della loro persecuzione a Roma nel 64, né di san Paolo o di Pietro. E questo scrittore — che dichiara di aver fatto l'esperienza di diverse sette (Farisei, Sadducei, Esseni) per conoscerle, dice, tutte a fondo e scegliere la migliore — che passò perfino tre anni presso l'eremita Bano nel deserto, questo scrittore non dice nulla della setta cristiana e si astiene dal ricordare i motivi della denuncia e della condanna di Gesù.

Il suo interpolatore ne ha detto troppo o troppo poco, troppo se Giuseppe non ha conosciuto Gesù Cristo, troppo poco se lo ha conosciuto. Si spiega meglio il silenzio completo dello storico ebreo che un'allusione così occasionale e così complessa.

Si legge egualmente nelle Antichità giudaiche (20:9) la dichiarazione seguente: «Anano sommo sacerdote convocò il sinedrio per il giudizio e gli presentò il fratello di Gesù soprannominato il cristo e alcuni altri; li accusò di aver trasgredito la legge e li consegnò per la lapidazione», il contesto collocando questo evento nel 62.

A ben leggere questa frase, chiunque ne sia l'autore, si può trovargli un significato del tutto diverso dal significato adottato tradizionalmente. Nulla permette di affermare che questo unto Gesù sia il Gesù Cristo dei vangeli o anche il Gesù della precedente interpolazione e che sia già morto. Questo Gesù può designare un sommo sacerdote ebreo contemporaneo di Giuseppe, vale a dire un «unto» che non ha alcun legame con il cristianesimo. Questa allusione furtiva ad un Gesù sul quale Giuseppe non dice nulla sembra sospetta; d'altra parte, dire che Giacomo era il fratello di Gesù, equivale a supporre che quest'ultimo fosse un personaggio più importante di Giacomo; ma è il contrario che constatiamo, se seguiamo Eusebio. Costui, in un passo che attribuisce a Giuseppe (H.E. 2:23, 30) — e che non ritroviamo nei nostri testi attuali — presenta la rovina di Gerusalemme come il castigo del crimine commesso contro Giacomo, il che assegna a costui un'importanza tanto grande quanto quella di suo fratello Gesù. E quando Eusebio, Epifanio e Girolamo riportano che questo Giacomo sarebbe stato il primo «vescovo» di Gerusalemme (cosa che non dice neppure Giuseppe), non prendono per un cristiano un sommo sacerdote, cioè un unto ebreo, un cristo? 

Infine, se si continua a leggere le Antichità giudaiche immediatamente dopo il passo citato più sopra, si apprende che il re «Agrippa II, irritato contro Anano, gli tolse il sommo sacerdozio che aveva da appena da tre mesi, e pose in suo luogo Gesù, figlio di Damneo; insoddisfatto dalla condotta di quest'ultimo, egli lo sostituì con Gesù figlio di Gamaliele (o di Gamala)». Così quindi, vi sarebbero stati a Gerusalemme, nel 62-63, in successione due Gesù, unti o cristi, sommi sacerdoti, dopo Anano il quale aveva fatto perire Giacomo ritenuto lui stesso un unto e fratello di un Gesù. Eccoci lontani dal Gesù-Messia che sarebbe morto nel 30. [28]

Nulla ci fa pensare al Gesù Cristo evangelico e Giuseppe non si riferisce certamente ad un antico Gesù crocifisso, ma non è impossibile che un correttore cristiano, riscontrando un Gesù nel testo delle Antichità e prendendolo per il suo, abbia aggiunto l'espressione «soprannominato il Cristo» in quanto questa si presentava nel vangelo di Matteo (1:16), in quello di Giovanni (4:25), negli Atti (2:36, 18:28), al fine di indicare che Gesù era il Cristo. [29]

Vedremo ulteriormente altre «allusioni» al Gesù evangelico o ad altri Gesù nelle scritture ebraiche, ma esse solleveranno molte difficoltà. 

Per il momento, si può concludere dal nostro esame della letteratura ebraica del primo secolo che essa ci ha riservato tante delusioni quante ne ha riservate la letteratura pagana dello stesso periodo. Alla maniera di Daniel-Rops già citato, diremo che «ad attenersi ai soli documenti ebraici, non è dimostrabile che il Gesù Cristo evangelico sia davvero esistito».

NOTE

[26] Si veda la profezia di Giacobbe in Genesi 49:10. Profezia simile in Tacito, Hist. 5:13 e in Svetonio, Vesp. 4.

[27] Questo passo, sconosciuto ad Origene, non è menzionato dagli scrittori più antichi come Ireneo, Tertulliano e Clemente di Alessandria. In particolare, Giustino, padre della Chiesa, non menziona questo passo di Giuseppe nel suo Dialogo con Trifone (160 circa); se l'avesse conosciuto egli non avrebbe rinunciato ad un argomento così decisivo.

[28] Si veda di seguito pag. 254-256.

[29] Cosa che non era di gradimento per tutti poiché certi gridavano: «Anatema a Gesù» (1 Corinzi 12:3).

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