sabato 28 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il Messia trionfante»

(segue da qui)

Il Messia trionfante

Una prima immagine del Messia lo rappresentava come un conquistatore vittorioso, che avrebbe liberato gli ebrei dall'occupazione romana e ristabilito a loro vantaggio una monarchia indipendente e gloriosa.

Numerosi passi dell'Antico Testamento supportavano questa speranza. Oltre a Daniele (tenuto per profetico, anche i cristiani ne convengono), si potrebbe citare il Salmo 110: «Io farò dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi», — il secondo Isaia: «I re... si prostreranno davanti a te, con la faccia a terra, baceranno la polvere dei tuoi piedi» (49:23), — molti altri ancora.

Una tale concezione è logica in un popolo oppresso. La vendetta sui Romani era l'aspirazione dei più ardenti, che evocavano la vittoria di Giuda Maccabeo e ricordavano come Dio avesse una volta spogliato brutalmente Babilonia del suo splendore. La nostalgia dei tempi di Salomone incitava a sognare la restaurazione di una monarchia ebraica, che avrebbe sostituito i Romani nella dominazione del mondo, come Daniele sembrava averlo predetto: «Il regno, il dominio e la grandezza dei regni sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo» (7:27). Per una strana aberrazione, ma che trae le sue fondamenta dai testi interpretati soggettivamente, gli ebrei erano arrivati a concepire un Messia che, non limitandosi a liberarli dai Romani, avrebbe dato loro, al posto dei Romani e sullo stesso modello, l'impero universale per semplice sostituzione. Non ci si domandava come ciò potesse realizzarsi, poiché Dio l'aveva annunciato pe mezzo dei suoi profeti e promesso in cambio dell'alleanza: più la cosa sembrava impossibile, più grande sarebbe stato il miracolo atteso. 

Ascoltate cosa ne dice un autore cristiano:

«Quando i primi successi di Giuda (Maccabeo) avrebbero acceso il loro coraggio, quando l'incombenza sempre più pressante dei Romani minacciò di assoggettare tutte le monarchie, il libro di Daniele insegnò agli ebrei, esaltati dalla fiducia, a contare sulla venuta dell'ultimo degli imperi, quello di Dio che sarebbe stato anche il loro. In questo immenso fermento di nazionalità, da cui emergeva una nozione più solida dell'unità di tutti gli uomini... il nazionalismo ebraico era pronto a concepire il re di un impero universale sotto i tratti del suo Messia». [3]

NOTE

[3] LAGRANGE: «Le judaïsme avant Jésus-Christ», pag. 2.

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