sabato 24 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Testi sacri»

(segue da qui)

Testi sacri

L'applicazione dei metodi della critica storica ai cosiddetti testi «sacri» è contestata dalla Chiesa nel suo stesso principio: secondo lei, questi testi non sarebbero dei documenti come gli altri; essendo ispirati, potevano solo essere interpretati da lei. È facile confutare questo sofisma: la questione è sapere se questi testi sono ispirati, e si deve prima esaminarli per rendersene conto. Ma anche uno studio superficiale vi rivela degli errori, delle contraddizioni, delle flagranti improbabilità. Per sapere se questi testi ci dimostrano l'esistenza di Gesù sulla terra, è impossibile affermare in linea di principio che avrebbe ispirato lui stesso i racconti di questa esistenza. Per sapere se la Chiesa ha un privilegio quanto alla conservazione e all'interpretazione di questi testi, sarebbe importante stabilire che essa è di istituzione divina, che ha ricevuto questa missione, quindi che Gesù sarebbe arrivato sulla terra per conferirgliela: ciò non può essere ricercato che nei testi, esaminati alla sola luce della ragione. Ma questo studio non consente minimamente di concludere l'istituzione della Chiesa da parte di un certo Gesù, perfino per coloro che ammettono l'esistenza del personaggio. [2] Ricordiamo che tre evangelisti su quattro ignorano la missione di Pietro, tardivamente inserita a Roma nello pseudo-Matteo, [3] e che le Chiese d'Oriente non hanno mai voluto riconoscere la preminenza di quella di Roma. [4]

È pertanto necessario procedere ad una severa analisi dei testi. Ciò che si scopre è piuttosto sorprendente, ed è per questo che la Chiesa cattolica non ci tiene generalmente a lasciarli leggere dai suoi fedeli senza grandi precauzioni. Beninteso, essa si sforza di rispondere alle obiezioni; ma se numerosi credenti si accontentano di queste risposte senza guardare più da vicino, non ci tiene che la loro debolezza [5] sia messa in luce. Come disse Gerard de Nerval, gli uomini credono meno al miracolo non appena hanno l'idea di guardare nelle maniche del buon Dio. [6]

NOTE

[2] Si veda GUIGNEBERT: «Jésus», pag. 387. La parola «chiesa», che deriva dal greco «ecclesia» (assemblea), ha preso il suo significato attuale solo dall'esistenza di comunità cristiane. È servita a designare ciascuna di queste comunità, ben prima di designare il loro insieme. Da nessuna parte (a parte l'interpolazione «Tu sei Petrus ...»), si fa menzione delle fondazione o dell'idea iniziale di una chiesa unica, organizzata e gerarchica.

[3] La formula, per quanto importante, viene ignorata dallo pseudo-Marco, che si pretende essere stato discepolo di Pietro! È ignorata da Clemente nella sua epistola ai Corinzi (150 circa), da Ireneo (180 circa). Eppure entrambi possedevano allora una versione del testo originale attribuito a Matteo. Ancora nel IV° secolo, il vescovo Giulio I (337-352) tenterà di giustificare la preminenza romana solo per «l'usanza», senza invocare questo testo. 

[4] Ancora nel 1216, il patriarca di Costantinopoli obiettava:
«Roma ha esercitato il primato perché era allora la capitale dell'impero».

[5] Prese isolatamente, queste risposte possono essere fuorvianti. Ma, come ha scritto Renan: «Quando, per difendere la stessa tesi, dieci, cento, mille risposte sottili devono essere ammesse come vere allo stesso tempo, è la prova che la tesi non è buona» (Ricordi d'infanzia e di giovinezza).

[6] «Viaggio in Oriente».

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