lunedì 26 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Storia della Palestina»

(segue da qui)

Storia della Palestina

Dato che la vita attribuita all'uomo Gesù si situa in un'epoca relativamente ben determinata della Storia, in un contesto geografico preciso, è utile ricordare ciò che stava accadendo in Palestina in quell'epoca.

Nel 63 Avanti Era Comune, approfittando di una lite dinastica, gli eserciti romani di Pompeo intervennero per la prima volta in Palestina. Pompeo si impadronì di Gerusalemme, ma si mostrò generoso: secondo la tradizionale tolleranza dei romani, rispettò i culti del paese conquistato; molto meglio, lasciò alla Palestina un'apparenza di indipendenza, sotto il regno di Ircano II. Ma, in effetti, dotò questo re di un supervisore nella persona di Antipatro, e tutti compresero che era un preludio alla futura annessione.

Nel 41 Avanti Era Comune, il re Ircano fu mandato in esilio dai Parti. Antipatro era morto, ma suo figlio Erode approfittò del vuoto di potere per farsi attribuire il trono dal Senato romano. Ciò non fu gradito dagli ebrei, poiché Erode non era di sangue reale (egli stesso non era che mezzo-ebreo); fino al 37 Avanti Era Comune costui dovette conquistare il suo regno con l'aiuto degli eserciti romani. Dopodiché fece uccidere per prudenza tutti i discendenti dell'antica famiglia reale, ivi compreso lo sfortunato Ircano al suo ritorno dall'esilio.

Erode (detto il grande) governò in seguito appoggiandosi ai Romani, cosa che provocò naturalmente un'opposizione ostile a questi conquistatori. Era un uomo abile: ebbe l'accortezza di schierarsi in tempo dalla parte di Ottaviano contro Antonio e Cleopatra, cosicché dopo la battaglia di Azio (31 Avanti Era Comune) fu confermato nelle sue funzioni reali. Nel 20 Avanti Era Comune, cominciò la ricostruzione del tempio di Gerusalemme. Sotto il suo regno, la Palestina godette di un'indipendenza ancora maggiore poiché i Romani erano sicuri della lealtà di Erode. Paese alleato, ma non annesso, non pagava il tributo a Roma, sebbene le costruzioni di Erode avessero costato caro al tesoro. Tra gli episodi minori di un regno, sul quale lo storico Flavio Giuseppe ci informa in dettaglio, non si trova alcuna menzione di un massacro di neonati: gli ebrei «resistenti» non mancheranno di sporcare la memoria del «collaboratore» Erode, ma nessuno avrà l'idea di imputargli un tale crimine. Nel 4 Avanti Era Comune Erode muore, lasciando una successione complicata, che dà luogo a sanguinose discordie. I suoi quattro figli si disputano il trono, e gli ebrei ne approfittano per rivoltarsi contro questa famiglia. Comprendendo il pericolo di una sollevazione, il legato di Siria Quintilio Varo interviene due volte con le sue legioni; la seconda volta la repressione è feroce e duemila ebrei sono crocifissi alla maniera romana. Questa abbondanza di croci lascerà un ricordo terribile nella memoria degli ebrei.

Infine l'imperatore Augusto arbitrò il conflitto e spartì la Palestina tra i figli di Erode. Il titolo di re è soppresso, vi saranno solo dei «tetrarchi» (letteralmente: capi di quarti), ma il maggiore, Archelao, prenderà in Giudea il titolo di etnarca. Diede rapidamente prova di crudeltà e di dispotismo, così che gli ebrei si ribellarono di nuovo. Stanco di questi conflitti, e approfittando infine dell'occasione, Augusto prende allora una decisione grave per il popolo ebraico: annette la Palestina all'Impero Romano (6 Era Comune). Archelao è destituito ed esiliato, e al suo posto un procuratore romano amministrerà la Giudea. È la fine dell'indipendenza: sebbene gli altri tre figli di Erode continuino a regnare ufficialmente (in particolare Erode Antipa in Galilea fino al 39), lo scettro è «uscito da Giuda» a Gerusalemme, e le truppe romane occupano il paese. Ora. gli ebrei sono ribelli all'occupazione romana, e i loro profeti hanno annunciato che un Messia sarebbe venuto per liberarli dal giogo straniero e ridare un fulgore universale alla regalità che deriva da Giuda. I pretesi Messia spuntano, e tentano di sollevare il popolo, ma tutti sono spietatamente schiacciati. 

Il segno più detestato della servitù, è il pagamento del tributo, del «tributo a Cesare». Sebbene fosse rivestito di ampi poteri in Palestina, il procuratore dipendeva dal legato di Siria: è dunque con grande verosimiglianza che il vangelo detto di Luca riferisce al legato di Siria Quirino un censimento a scopo fiscale, che ebbe luogo nell'anno 7. Questo censimento è  chiamato a buon diritto «primo», poiché il paese era ancora libero ai tempi di Erode. Ha provocato negli ebrei una profonda umiliazione e gravi turbamenti; un certo Giuda, detto il Gaulonita, ma che gli «Atti degli Apostoli» (5:37) chiamano «Giuda di Galilea», tenta una rivolta e fonda il partito degli «Zeloti», di cui Flavio Giuseppe ci dice che «esortavano il popolo a rivendicare la libertà», pur cercando di nascondere che questo avrebbe dovuto realizzarsi attraverso la ribellione armata. Ma Giuda fallisce ed è messo a morte.

Nell'anno 14, l'imperatore Tiberio succede ad Augusto. Il quindicesimo anno del suo regno, al quale il vangelo di Luca riferisce la «levata» di Gesù, si colloca dunque nel 29/30, ma nessun testo menziona un qualunque evento in quella data. Tacito ci assicura che «la nazione ebraica era tranquilla sotto Tiberio». Calma molto relativa: se non vi fu una grande rivolta, il mantenimento dell'ordine preoccupò spesso i procuratori. Conosciamo i loro nomi, e sappiamo che dopo Valerio Grato (15-26), fu Ponzio Pilato che amministrò la Giudea dal 26 al 36: Pilato era dunque procuratore proprio nel quindicesimo anno di Tiberio. Ma non era l'uomo esitante e debole che ci mostrano i vangeli: Filone e Giuseppe ne parlano come di un capo energico e brutale, di cui gli ebrei hanno conservato un brutto ricordo. Diciamo a sua difesa che non doveva essere facile mantenere l'ordine in quel paese costantemente agitato.

Nel 37, il nipote di Erode, Agrippa, riuscì a guadagnare il favore del folle Caligola e cominciò a ricostruire il regno di suo nonno. Ci riuscirà sotto Claudio: se questo pacifico imperatore dovette prendere a Roma alcune misure contro gli ebrei turbolenti, fece mostra in Palestina di liberalismo. Nel 41, il regno ebraico è interamente riunificato a beneficio di Agrippa, ma costui muore improvvisamente (probabilmente di una peritonite) dopo aver celebrato dei giochi in onore dell'imperatore nel 44: gli ebrei vi vedono una punizione divina della sua alleanza con i Romani (si veda Atti 12:23).

Niente di notevole durante il regno di Nerone, almeno fino al 66. Allora scoppiò la grande rivolta, quella che si chiamerà la «guerra dei giudei». Durerà quasi quattro anni. Un certo Menahem, definendosi il Messia, riesce a  cacciare i romani, e il generale Vespasiano deve ripiegare. A Roma è l'anarchia che succede alla morte di Nerone: gli insorti ne approfittano e già credono, complici le profezie, alla vittoria.

Ma la speranza è di breve durata. Vespasiano si impadronisce del potere a Roma, e invia suo figlio Tito a domare la rivolta ebraica (69). Tito assedia Gerusalemme per cinque mesi, e finisce per conquistare la città. I Romani, furiosi, si abbandonano ad una spietata repressione, che si aggiunge alle rovine dell'assedio. La città è devastata, il tempio distrutto; il sommo sacerdote e il tribunale sacerdotale (il Sinedrio) sono soppressi; una gran parte della popolazione è perita, un'altra è condotta in schiavitù, il resto si disperde (70). La disfatta annichilì tutte le speranze degli ebrei e costituì una irrimediabile catastrofe nazionale.

Verso la fine del secolo, lo storico Giuseppe  scriverà le sue opere per cercare di far comprendere ai Romani la storia e la mentalità del popolo ebraico. Malgrado questi tentativi, la rivolta cresce, ma è impotente.

Un'ultima ribellione avverrà nel 132, quando l'imperatore Adriano vorrà ricostruire il tempio per dedicarlo a Giove: è «l'abominio della desolazione». Un ultimo Messia, chiamato Bar-Kokhba (figlio della stella), raccoglierà un esercito e terrà ancora i Romani in scacco, ma sarà alla fine vinto. Questa volta, Gerusalemme perderà perfino il suo nome e diventerà Aelia Capitolina (135).

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