mercoledì 16 gennaio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — Gesù puramente uomo (IV): RENAN

(segue da qui)

PARTE SECONDA

GESÙ PURAMENTE UOMO

RENAN

Ho appena riletto la Vita di Gesù. [1] Mi lascia come sempre tra l'ammirazione e la nausea. Ad ogni istante, credo di tenere qualcosa di solido che mi sfugge costantemente. Renan, mi ha detto Philippe Berthelot, è come il mercurio: sfuggente e pesante. Nella Histoire des origines du christianisme tutto ciò che non è il cristianesimo è solido e saporito; il cristianesimo è insignificante e incoerente. Nella Vita di Gesù l'ambientazione storica è buona, l'ambientazione geografica suggestiva. È la figura che non regge. È sfocata, fugace, indecisa, imprecisa, in un paesaggio fortemente disegnato. A volte si ha l'impressione che l'argomento sia il seguente: Gesù è esistito, io ho visto il lago.
Renan parte dal grande assioma che tutto ciò che è soprannaturale è falso, necessariamente. “I miracoli raccontati dai vangeli non hanno realtà; i vangeli non sono libri scritti con la partecipazione della Divinità. Queste due negazioni non sono per noi il risultato dell’esegesi, ma la precedono. Sono il frutto di un’esperienza che non è stata affatto smentita. I miracoli sono cose che non capitano mai. Perciò, se si ammette il soprannaturale, si è fuori della scienza”. Renan si persuade abbastanza ingenuamente che se espelle dai vangeli il soprannaturale, il resto continuerà a reggere.
La nascita verginale?  “Non vi è grande avvenimento nella storia, che non susciti un circolo vizioso di favole: e Gesù non avrebbe potuto, anche volendolo, spegnere queste creazioni popolari”. Il miracolo di Cana? “Egli non fuggiva la gioia, e volentieri assisteva a nuziali divertimenti. Uno dei suoi miracoli fu fatto per rallegrare le nozze d'una borgatella”. La penetrazione delle anime? “Talvolta Gesù si valeva di un artificio innocente, adoperato anche da Giovanna d'Arco. Mostrava cioè, di sapere, intorno alla persona che voleva guadagnare, qualche particolarità della sua vita intima”. La Trasfigurazione?  “Si diceva che conversasse sulle montagne con Mosè ed Elia”. La moltiplicazione dei pani?  “Quando Gesù si fosse tenacemente rifiutato ad operare prodigi, la moltitudine ne avrebbe creati per lui”. Le guarigioni? “Chi oserebbe dire che in molti casi, salvo le lesioni appieno caratterizzate, il contatto di una tal persona delicata non valga gli espedienti della farmacia?” Altri miracoli? “Ammetterò adunque, senza esitazione, che della vita di Gesù occuparono gran spazio certi atti, i quali adesso sarebbero considerati o come fantasmagorie, o come cose da pazzo. Sacrificheremo noi all'ingrata parte la parte sublime di una tal vita?” Gesù si è creduto il Figlio di Dio? Egli si crede più di un uomo ordinario, ma separato da Dio per distanza infinita... L'idealismo trascendentale di Gesù, non gli concede mai di avere una nozione ben chiara della propria personalità. Egli è suo Padre; suo Padre, è lui”.
La resurrezione di Lazzaro? Prima versione: “Forse l'ardente desiderio di chiuder la bocca a coloro che oltraggiosamente negavano la missione divina del loro amico, potè, per soverchio amore, indurre queste persone appassionate (Marta, Maria, Lazzaro) a trascendere ogni confine. Forse Lazzaro, ancora pallido per malattia sincopatica, si fece cinger di fasce come un morto e chiudere in una tomba di famiglia... Gesù desiderò vedere per l'ultima volta colui che aveva amato; e, tolta via la pietra, Lazzaro uscì tutto fasciato e colla testa ravvolta in un sudario. Questa apparizione dovette naturalmente esser considerata da tutti come una resurrezione... Ah! La vita di Gesù è macchiata di debolezze che ci rivolterebbero se le vedessimo”. Seconda versione (nella 13° edizione: “Se qualcuno dei morti resuscitasse, dicevano senza dubbio le pie sorelle, forse i vivi farebbero penitenza. — No, doveva rispondere Gesù, quand'anche un morto resuscitasse, essi non crederebbero... Più tardi, egli stabilì su questo argomento degli equivoci singolari. L'ipotesi fu modificata in un fatto”. Tutto è ridotto a un piccolo malinteso. Anatole France amava citarmi questa enorme variante: “Il signor Renan è serio? Quando uno storico rimaneggia a tal punto una parte così importante della sua storia, non vede che il suo intero libro è da rifare?”
La Resurrezione di Gesù? “La forte immaginazione di Maria di Magdala, ebbe in questa circostanza una parte capitale. Possanza divina dell'amore, momenti sacri, in cui la passione di un'allucinata resuscita un Dio al Mondo!” Le altre apparizioni? “Le città orientali sono silenziose dopo il tramonto del sole... L'attesa di solito crea il suo oggetto. In queste ore decisive una corrente d'aria, una finestra che cigola, un mormorio fortuito arresta la credenza del popolo per i secoli. Nello stesso momento in cui il soffio si faceva sentire, si credette di sentire dei suoni. Alcuni dissero che avevano distinto la parola schalom, felicità o pace”.
Chi non sente l'arbitrarietà di una espurgazione così drastica dei vangeli? Quando si rimuovono i testi sacri dall'elemento religioso che ne è l'essenziale, quale credito può essere dato al resto? Munito di documenti ben purificati dal soprannaturale, Renan spera di “derivare qualcosa di storico per mezzo di delicate approssimazioni”. Idea di artista, o d'alchimista. La cosa più difficile è costruire la figura di Gesù. Deve essere grandiosa. “La fede, l'entusiasmo, la costanza della prima generazione cristiana, non sono esplicabili che all'origini dell'intero moto, supponendo un uomo di colossali proporzioni... La più alta coscienza di Dio che abbia esistito in seno all'umanità è stata quella di Gesù... Tra i figli degli uomini, non è nato mai uno più grande di Gesù”. Sainte-Beuve ha detto comicamente: il signor Renan offre a Gesù il più alto posto nell'umanità, “per strappargli la sua abdicazione da Dio”.
Prima di presentare il suo eroe, domanda tutte le libertà dell'artista:  “I testi hanno bisogno dell'interpretazione del gusto. Bisogna dolcemente sollecitarli, finché giungano a toccarsi e fornire un insieme, nel quale sia fuso felicemente ogni dato. La ragione dell'arte sarebbe per tale soggetto una buona guida”. Ahimè! riconosciamo che ha perso la sua faccia. Taine lo ha detto subito: “Egli mette assieme al tempo di Nazaret tutte le idee dolci e piacevoli di Gesù, ne scarta le tristi, fa una amabile mistica pastorale. Poi, in un altro capitolo, mette tutte le minacce, tutte le amarezze, che collega al viaggio di Gerusalemme”. [2] Il Gesù di Renan è un ritratto composito. Vi rientra un poco di Maometto (i tre periodi: aforismi, eloquenza calma e poetica, polemiche), parecchio di Francesco d'Assisi (il raffinato e allegro  moralista che percorre con la sua truppa gaia e vagabonda una Galilea che rassomiglia all'Umbria) , un po' di Lamennais (il gigante oscuro della fine), un sacco di Renan. Gesù è come il signor Renan un “idealista compiuto”, un apostolo del puro culto e della religione libera da ogni forma esteriore. Democratico, sì, ma deviato dal contatto malsano delle necessità politiche. “Gran maestro di ironia”, testimonia ai potenti un rispetto derisorio. Ha fondato “questa grande dottrina del disdegno trascendente, vera dottrina della libertà delle anime che sola dona la pace”. Più amato che amorevole, delicato, pieno di tatto, di una suscettibilità femminile, ha con le donne “queste maniere riservate che rendono possibile un'unione molto dolce di idee tra i sessi”. La tendenza del cuore si trasforma in lui “nella dolcezza infinita, nella vaga poesia, nel fascino universale”. Essenzialmente “era un incantatore”, immensamente superiore a quelli che lo circondavano. Ha avuto i suoi momenti di fallimento. “Poteva aver dubitato della sua opera... Ricordò (nel giardino di Getsemani) le ragazze che avrebbero potuto acconsentire ad amarlo?” Basta! Si sente fin troppo bene come tutti questi tratti suonino falsi, applicati a qualcuno che non sia un seminarista emancipato.
Renan è un maestro dolce (Bernanos). È riuscito a tradurre dolcemente persino l'Apocalisse. Dove la dissolvenza va fino al disgustoso è nell'uso ostinato della parola divino. Renan sa bene che il problema serio che lo attende sarà spiegare perché la divinità è stata riconosciuta a Gesù da così tante generazioni. Egli imbroglia nell'elargire, a proposito di Gesù, l'epiteto di divino, preso in senso minore o nel senso ordinario. È solo una questione della sua carriera divina, della sua opera divina, del suo rango divino, della sua libertà divina, della sua “potenza divina, se oso dirlo”, del suo istinto divino, della sua essenza divina, persino della sua “divinità” (pag. 380). Gesù deride i farisei “con un artificio divino... Solamente un Dio può uccidere in quel modo”. Il signor Renan lo boccia, piuttosto pesantemente: “La divinità ha le sue intermittenze; non si è figlio di Dio per tutta la vita e in modo continuo”. Delle frasi di un equivoco deliberato, come questa: “per essersi fatto adorare a tal punto, bisogna che egli sia stato davvero adorabile”, fanno vomitare. Si ricongiungono per l'eccesso a quelle frasi affettate di cui Eschilo disse: “Bisognerebbe davvero sputare e tergersi la bocca”.
Il primo ritratto di Gesù puramente uomo, caratterizzato da un falso romanticismo applicato da uno scrittore di talento, è un fallimento, anche dal punto di vista artistico. Era necessario Rembrandt, abbiamo Bida. Abbiamo almeno “uno dei modi in cui Gesù avrebbe potuto esistere”? Neanche. Il ritratto pecca per l'anacronismo, l'ingrandimento artificiale, il sovraccarico di tratti estranei. Sarà rilevato nella loro opera dai successori di Renan. Allora peccherà per un eccesso del tutto  opposto. Quello della piccolezza e dell'insignificanza. Renan ha voluto darci un gigante. Ci verrà dato un pigmeo.


NOTE

[1] 13° edizione riveduta, Parigi, Calmann-Lévy, 1867.

[2] Nota intima citata da P. Alfaric. Les Manuscrits de la Vie de Jésus, Strasburgo e Parigi, 1939, pag. 58.

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